TEARS FOR FEARS
Change
1983 - Phonogram Records

ANDREA CAMPANA
23/12/2019











Introduzione recensione
Change è il quarto singolo dei Tears for Fears, e il primo da loro pubblicato nel 1983, lo stesso anno nel quale vedrà la luce finalmente l'album d'esordio del duo, The Hurting. Quando Change viene pubblicato, Roland Orzabal e Curt Smith sono ormai lanciati verso il successo, principalmente grazie alla grande popolarità del singolo precedente, Mad World, uscito l'anno prima. Con Change, se da una parte i due mostrano di preferire un lato musicale più semplice e diretto, dall'altra comunicano una volta di più di essere interessati alle più disparate influenze, come quella evidente della musica etnica giapponese che introduce la canzone, e che ne è rimasta un po' anche il simbolo (poi prontamente ripreso nel relativo videoclip, uscito sempre quell'anno). I Tears for Fears si dimostrano sempre più pronti e capaci nel catturare suoni pop in un contesto musicale, quello della new wave, che nasce inizialmente come sperimentale e volendo raccogliere, in questo, l'eredità scontenta e innovativa del punk. Ma l'introduzione degli strumenti elettronici e delle tecnologie digitali consente possibilità illimitate, in direzioni fino a poco prima neanche pensate. Ecco quindi che, nell'inserire melodie e ritmi pop nella sperimentazione, i Tears for Fears fanno anche il contrario: nessuna loro canzone, per quanto "canonica" (rispetto alla media della musica pop/rock per come si sviluppa in Regno Unito all'inizio degli anni '80) si sofferma mai su una struttura semplice o su un arrangiamento banale. I due, e questo va capito, sono artisti che vogliono di continuo provare cose nuove, tentare vie non battute, accogliere influenze diverse; il tutto, si intende, mediato da un songwriting che è però sempre fatto per comunicare con le masse (visti anche gli argomenti trattati) e non per rivolgersi esclusivamente ad un pubblico d'élite. All'inizio forse i Tears for Fears non pensano, non prevedono neppure di poter diventare un gruppo da classifica, con migliaia di dischi venduti e stadi pieni di fan accorsi per vederli: ma ora la via è aperta, la scalata è iniziata e non si può più tornare indietro. È proprio qui, allora, che interviene questa canzone di Roland Orzabal, sensibile tanto alle esigenze del pop quanto alle tentazioni della dance, che però non dimentica, come si diceva, di affidarsi anche ad elementi originali e atipici. Un po' per questo, un po' grazie al succitato video musicale girato per l'occasione (e diretto, come quello di Mad World, da Clive Richardson, noto per il suo lavoro con i Depeche Mode), Change riesce non solo a raggiungere una più che dignitosa posizione numero 4 nella classifica inglese, ma riesce ad entrare anche nelle charts di molti altri paesi, compresa per la prima volta pure l'Italia (al numero 8) e persino gli Stati Uniti, sogno di qualunque artista britannico: sfondare nel mercato americano (anche se con una posizione piuttosto umile come la 73, conquistata in questo caso) significa avviarsi davvero verso il successo internazionale, poiché il pubblico di quel paese, lo si sa, è sempre stato avido di produzioni musicali provenienti dalla ex-madrepatria. Tradizionalmente, quando una band "made in U.K." ottiene questo risultato, bisogna considerare che le cose si stanno facendo serie. È ben noto a qualunque storico della musica e musicofilo, tanto per fare un esempio celebre per chiarire il concetto, che il grande successo internazionale dei Beatles, nonché la stessa "Beatlemania", esplodono quando il singolo I Want to Hold Your Hand del quartetto arriva alla posizione numero uno delle classifiche americane nel gennaio del 1964. Non è un raffronto casuale, giacché se quel singolo dei Beatles apre la "British Invasion" degli anni '60, quest'altro dei Tears for Fears sicuramente si può considerare parte integrante e strumentale nell'avvento della "Second British Invasion", che è appunto quello delle band new wave inglesi nel mercato discografico (ma anche nell'immaginazione collettiva e nella cultura popolare) degli Stati Uniti. A coronamento di tutto quanto detto ricordiamo che sia questo singolo che il precedente, Mad World, vincono il disco d'argento, riconoscimento conferito in Gran Bretagna alle pubblicazioni che riescono a vendere 60.000 copie o più.

Change
Change (Cambiare) inizia con delle percussioni intonate, il cui suono imita quello di uno xilofono, che ritraggono una melodia che richiama alla mente la musica tradizionale giapponese. Infatti, forse proprio in riferimento a questo fatto, nel videoclip della canzone compaiono diversi grotteschi personaggi che indossano delle maschere simili a quelle del teatro Kabuki giapponese, e si esprimono anche in gestualità particolari ed esasperate che potrebbero essere legate alla medesima forma artistica. Un'altra spiegazione potrebbe riguardare il secondo verso del testo: "La faccia che indossavi era fredda". Anche se è vero che simili allusioni occasionali alle musiche orientali si trovano spesso in ambito new wave (per esempio in China Girl di David Bowie, o in Cities in Dust di Siouxsie and the Banshees), si tratta qui probabilmente più di una "boutade", che di una scelta stilistica con un senso preciso. Infatti, tempo un paio di ripetizioni del pattern, la canzone assume subito tutti i connotati di una composizione new wave: tastiere, ritmo elettronico, basso prominente e chitarra incisiva ma non troppo distorta. Le strofe sono accompagnate dalla cadenza impetuosa del basso di Curt Smith, che come nei due singoli precedenti tiene per sé il compito di intepretare la canzone come vocalist primario. Nell'incedere del pezzo si aggiungono varie decorazioni musicali, come altre tastiere e piccoli riff di chitarra, che servono a conferire un senso di vertigine al pre-ritornello (quando non a caso le parole cantate sono "When it's all too late"). In ogni refrain torna il suono dello xilofono, che con la propria frenetica presenza ritmica aiuta nel caratterizzare la canzone, particolarmente in questo punto, come adatta ad un ambiente dance; anche se le liriche, come si vedrà tra poco, non sono certo ciò che ci si aspetterebbe di ascoltare in una discoteca. Molto interessanti in questa composizione sono le due piccole variazioni, una affidata quasi esclusivamente al basso di Smith, che una volta di più prova di essere, se non un virtuoso, certo un conoscitore e un apprezzatore delle possibilità del suo strumento; il secondo bridge, invece, si basa su una parte di tastiera particolarmente invadente, sempre molto ritmata, che viaggia su tonalità differenti e crea un buon diversivo per impreziosire l'attesa del ritorno degli accordi ai quali siamo stati abituati all'inizio della canzone. Quando la normale sequenza riprende, la chitarra "decide" di esprimersi in alcune pennate veloci e distorte, quasi furiose, che contrastano ferocemente con l'accorata e pulita esecuzione nel resto del brano. La canzone riprende, e continua a porre l'accento sul titolo, Change, ripetuto più e più volte con toni enfatici e caratteristicamente struggenti. Come contenuto lirico, la canzone sembra essere una sorta di dialogo tra il narratore e un'altra parte di sé, ossia un dialogo con sé stesso: la parte che vuole cambiare, e quella che non vuole. Oppure: come si è prima del cambiamento, e come si diventa poi. Viene quindi affrontato il tema del doppio, tanto caro a molta letteratura e arte, ma anche quello del cambiamento stesso, che si interpone tra le due personalità come specchio del confronto. Leggiamo il testo: "Sei entrato nella stanza / Mi è venuto da ridere / La faccia che indossavi era fredda / Eri una fotografia / Quando è troppo tardi / È troppo tardi / Non avevo il tempo / Non avevo il coraggio / Di chiederti come ti sentivi / È questo ciò che ti meriti / Quando è troppo tardi / È troppo tardi / Cambiare / Tu puoi cambiare / E qualcosa nella tua mente / È diventato un punto di vista / Ho perso la tua onestà / Tu hai perso la vita in te / Camminiamo e parliamo nel tempo / Io cammino e parlo in due / Dov'è che la fine di me / Diventa l'inizio di te? / Cos'è successo all'amico che conoscevo / Se n'è andato?" Per tutto il testo, il concetto del cambiamento viene visto alternativamente come positivo o negativo, ma non c'è una presa di posizione precisa. Il narratore parla di un cambiamento che deve ancora avvenire, ma anche di uno che è già avvenuto. Visto dal dopo, questo evento ha reso il protagonista irriconoscibile a sé stesso, in quanto ha "perso la sua onestà" (notare che si dice "io ho perso la tua onestà"); d'altra parte, guardando indietro, il narratore ride vedendo il sé stesso del passato, triste e inerme come in molte altre canzoni dei Tears for Fears: la fotografia è un'istantanea letterale di quel momento, che immortala perciò un'immagine passata di ciò che il cambiamento ha inteso eliminare; o meglio, superare. Si tratta quindi apparentemente di una trasformazione fortemente voluta (difficile ignorare l'enfasi con la quale viene cantato il refrain "You can change") ma poi apparentemente rimpianta, almeno in parte. Per complicare ulteriormente la riflessione: non si tratta semplicemente di un prima e un dopo, come ci viene rivelato dai versi "We walk and talk in time / I walk and talk in two / Where does the end of me / Become the start of you?" Il personaggio ci spiega che entrambe le sue versioni a confronto sono sempre contenute in lui, e che non sono distinte l'una dall'altra: così l'esperienza di prima e di dopo il cambiamento si compenetrano, influenzandosi a vicenda (camminare e parlare: un confronto che è anche un avanzamento continuo) ma senza mai prevalere l'una sull'altra. Alla fine, come spesso accade, il tanto sospirato cambiamento non porta ad un necessario miglioramento, ma al contrario sembra comportare un rimpianto amaro per la condizione precedente: non perché migliore, ma perché conosciuta, familiare, e in quanto tale più confortevole della nuova situazione di confusione ed incertezza.

The Conflict
La b-side di Change è The Conflict (Il conflitto), traccia dei Tears for Fears molto poco nota, che infatti è raro trovare per l'ascolto. Nel 1999 viene inserita nella versione CD ri-masterizzata dell'album Songs from the Big Chair, anche se in effetti è stata scritta e registrata all'epoca del disco precedente, ossia The Hurting. Come molte b-sides dei Tears for Fears, questa canzone appare subito molto più inusuale e fantasiosa rispetto a quelle scelte per i singoli finora pubblicati. Come struttura il pezzo è una sorta di divagazione strumentale, che procede su un tappeto di percussioni tribali, di ispirazione africana: un altro motivo ricorrente della musica new wave (si pensi per esempio a The Rhythm of the Heat di Peter Gabriel, 1982). Le tastiere e la voce leggera e discreta di Curt Smith accompagnano questo incedere misurato e profondamente atmosferico, che sembra non voler tanto stupire l'ascoltatore quanto fargli compagnia, coinvolgerlo e trasportarlo pian piano in un piccolo paesaggio che sembra dipinto quasi per caso. Il testo è molto breve, e cerca di riassumere in poche (ma tutto sommato efficaci) frasi l'idea del conflitto come di una macchina in moto perpetuo, che si alimenta degli stessi sbagli che ne sono i meccanismi costitutivi: "Quando uno di noi fa, l'altro prende / Quando uno di noi prova, l'altro mente / Non c'è fine alla fine". Chi parla ammette che non si tratta semplicemente di una divisione tra buono e cattivo, e che in qualunque conflitto sono entrambi gli attori coinvolti ad essere colpevoli. Ciò assume una rilevanza ben maggiore se si pensa al periodo in cui la canzone viene composta: Ronald Reagan è da poco salito ad occupare la Casa Bianca, e di conseguenza la perdurante crisi con l'Unione Sovietica si permea di nuove connotazioni ideologiche e retoriche che la esasperano alquanto. La situazione è tesa, e non si risolverà fino al crollo del Muro di Berlino nel 1989: Orzabal e Smith lo sanno, e si dedicano perciò a questa riflessione piuttosto pacata ma anche essenzialmente diretta: qualcuno deve fare un passo indietro, qualcuno deve esporsi, altrimenti il conflitto (inteso sia come Guerra Fredda che come situazione ricorrente nella storia dell'uomo) non cesserà mai. Piccola nota: in questa canzone figurano, cosa ancora rara nel 1983, come co-autori del brano sia Curt Smith che il tastierista Ian Stanley; per una volta, non si tratta di una composizione del solo Orzabal.

Conclusioni
Change è un tassello importante nella costruzione di quel mosaico che è il suono definitivo dei Tears for Fears, un suono in questo periodo (nel 1983) è ancora involuto, per il momento, ma che assumerà via via sempre maggior carattere e spessore con il passare degli anni. La band si giostra ancora con sonorità synth, etniche e ed elettroniche, che non rappresentano esattamente l'orizzonte più ampio possibile da esplorare; tuttavia, lo fa con maestria e competenza, mostrando, nonostante la giovane età e l'esordio avvenuto di recente, una sicura capacità di produzione di hit pop da classifica che tengano ben presenti le istanze e le esigenze dei suoni del periodo, ma che allo stesso tempo facciano capo ad uno stile personale e caratteristico. E che cosa c'è di caratteristico dello stile dei Tears for Fears in Change? Volendo rispondere in breve, si potrebbe dire che vi si ritrova quella usuale malinconia di fondo, rivolta alla condizione umana in quanto condizionata da eventi del passato e da paranoie del presente. Il tema del doppio, come spiegato sopra, viene ripreso e trattato in maniera piuttosto sottile, e anche matura: nel comporre il pezzo, Orzabal tiene presente la consapevolezza di essere lui stesso, come ogni essere umano, la causa principale dei propri problemi. Ciò costituisce un'inversione dei parametri espressivi e di analisi adottati nei precedenti singoli, dove invece la fonte dei problemi e dei traumi viene identificata, alternativamente, con i genitori, il sistema scolastico, la società fredda e indifferente. Ma questo non significa che Orzabal assolva sé stesso, né d'altra parte che si condanni in via definitiva: semplicemente, si conclude, è molto complicato decidere di chi è la colpa, o persino se in effetti ce n'è una. L'auto-psicanalisi, comunque, finisce come usuale in questi anni per riversarsi emozionalmente in motivi musicali votati all'introspezione, cupi, tenebrosi e che in questo caso sembrano trasmettere anche un certo macabro sarcasmo: non abbiamo lo sconforto infantile di Pale Shelter, né la disperazione nichilista di Mad World. Anche se Change non è la canzone più famosa dei Tears for Fears, e nemmeno una di quelle più ricordate o meglio riuscite in assoluto (lo stesso Orzabal la definirà come "uno di quei testi pop a poco prezzo"), va in ogni caso certamente tenuta presente tanto nella costruzione del sound della band, come già si diceva, quanto nella loro scalata al successo. Per farsene un'idea più precisa, si possono ascoltare le diverse versioni della composizione, pubblicate in differenti occasioni, e annotarsi i miglioramenti intervenuti. La prima versione come singolo, pubblicata nel 1983 e qui trattata, dura "solo" 3 minuti e 52 secondi. La versione dell'album The Hurting, uscita sempre quell'anno, ha una durata maggiore e liriche differenti. Infine, una "extended version" di ben 6 minuti (tempi biblici per un gruppo new wave) viene inclusa nella versione re-mastered dell'album, pubblicata nel 1999, tra l'altro al fianco ad un mix di addirittura 7 minuti di Pale Shelter. L'esistenza di così tante versioni diverse prova come i Tears for Fears siano, all'epoca, continuamente alla ricerca del suono giusto, del ritmo perfetto, della composizione ottimale per esprimere ciò che sentono l'esigenza di esprimere. Di lì a poco, con la pubblicazione di The Hurting, la canzone di cui si parla qui, Change, andrà a giocare il suo ruolo nel compimento del primo, grande passo di una discografia breve ma imponente, impostata fin da questo momento (la pubblicazione dei primi singoli tra il 1981 e il 1983) verso una continua evoluzione e rinnovamento. Un passaggio quindi spesso ignorato, magari messo in ombra da canzoni ben più celebri come Mad World, ma che va riconsiderato proprio alla luce di quel che i Tears for Fears faranno qualche anno più tardi, con dischi come Songs from the Big Chair ma soprattutto con Seeds of Love, del 1989. In qualche modo, ascoltando Change ed apprezzandone le sottigliezze stilistiche e liriche, si può vedere come la strada dei Tears for Fears sia in qualche modo già tracciata.

2) The Conflict


