TEARS FOR FEARS
Call Me Mellow
2004 - New Door Records
ANDREA CAMPANA
05/04/2023
Introduzione recensione
2000. Qualcuno ancora si ricorda di una band chiamata Tears For Fears, ma per tanti, anzi per quasi tutti, è ormai solo un sbiadito ricordo del passato. Uno dei tanti nomi della new wave e del pop rock che avevano spopolato negli anni '80, ormai vent'anni prima o quasi, grazie a videoclip azzeccati su MTV e a qualche brano rock da stadio dal ritornello corale indovinato. In pochi si domandano che fine hanno fatto: qualcuno probabilmente pensa che si siano sciolti; altri ricordano che erano in due e che ad un certo punto, una decina di anni prima, si erano separati per quelle che spesso in questi casi vengono definite "ragioni artistiche". Di certo solo i fan sfegatati e fedeli ricordano che l'ultimo album, "Raoul and the Kings of Spain", è stato pubblicato solo cinque anni prima ma con poco successo e un'accoglienza molto tiepida, per non dire fredda, anche da parte dei critici. Così l'eredità di quel gruppo si è dissolta nel nulla e mentre i due componenti, Roland Orzabal e Curt Smith, si sono dedicati a progetti da solisti intimi e personali, il mondo della musica è andato avanti senza di loro. Ed in effetti in quell'anno 2000, alla svolta del millennio, accadono davvero tante cose e quello dei Tears For Fears è certo l'ultimo dei nomi i quali un appassionato di musica potrebbe pensare. Per cominciare i Radiohead pubblicano il loro criptico e imperscrutabile "Kid A", un disco la cui immensa influenza si può cogliere appieno solo oggi (nel 2023) e che all'epoca lascia tutti basiti e interdetti. Ma nel 2000 esordiscono anche i Coldplay, inaugurando una nuova era nel brit rock e ponendo piano le basi di quello che anni dopo sarà (impropriamente) chiamato indie pop. Sempre in quell'anno, su un versante completamente opposto, arrivano i Linkin Park a definire l'ultima e più popolare versione del genere definito nu metal; un genere che sempre nel 2000 tocca i suoi apici assoluti in album come "White Pony" dei Deftones ed "L.D. 50" dei Mudvayne, e viene proposto in varianti più rap e pretestuose (ma, ciò non di meno, popolari) da band come gli amatissimi / odiatissimi Limp Bizkit nel blockbuster "Chocolate Starfish and the Hot Dog Flavored Water". Vanno molto anche le band post-grunge, come i Nickelback, i Foo Fighters e i Creed, mentre sulla scena si affacciano nuovi nomi influenti dell'alternative come Muse e Placebo. Su MTV impera ovviamente il pop, con l'era delle boyband e girlband che si affaccia sui suoi ultimi anni d'oro ma conquista comunque il pubblico con nuove formazioni quali Sugababes, N'SYNC (la band di Justin Timberlake), All Saints e, molto popolari in Italia, i Blue. Completano il quadro i nuovi artisti rap che riscrivono le regole del genere: uno su tutti, Eminem, sempre nel 2000 sconvolge il pubblico e i fan, sia chi lo conosce sia chi ancora no, con il controverso "The Marshall Mathers LP". Insomma, un panorama vigoroso e cangiante, una superficie musicale che ribolle di novità tutte accarezzate da MTV e spinte dagli influenti magazine musicali come Rolling Stone. In tutto questo, come si può ben capire e come si diceva, dei Tears For Fears non importa più niente a nessuno. E neanche a loro due importa, in effetti. Questo finché un giorno Orzabal e Smith non si devono incontrare di nuovo per via di noiose circostanze burocratiche. Non si vedono da anni e si ritrovano, quasi controvoglia, in Inghilterra. E lì, forse il tempo trascorso o forse il fatto che il nome del progetto che li legava non sia più circondato da interesse, in qualche modo operano il miracolo: i due cenano insieme, rinsaldano la loro amicizia prima ancora che il loro rapporto professionale, e decidono di tornare a suonare in duo. E ovviamente il nome scelto è sempre quello: Tears For Fears. Organizzano sessioni di produzione e songwriting e nel giro di sei mesi si ritrovano in mano ben quattordici canzoni inedite. L'energia è quella di un'amicizia ritrovata e la scoperta felice di un'ispirazione che, il tempo lo confermerà, nel loro caso funziona solo alla presenza di entrambi. Il primo singolo, "Call Me Mellow", arriva nel 2004 e anticipa la pubblicazione di un nuovo album, il primo dal 1995 e il primo in duo fin dal 1989, che già dal titolo sembra voler ironizzare sull'accaduto ma promette anche che questa riconciliazione non sarà occasionale: "Everybody Loves a Happy Ending".
Call Me Mellow
In "Call Me Mellow" (Chiamami Dolcezza), sembra subito ripartire la magia. La canzone sa molto di Beatles, richiamando le glorie dei tempi di "The Seeds of Love", ma si sente bene anche l'influenza della ormai trascorsa era britpop, con uno spiccato accento Oasis e il ritornello che richiama alla mente quello della celebre" There She Goes" di The La's, una delle band di culto del genere, risalente al 1990. La canzone è scritta in coppia da Orzabal e Smith assieme al nuovo tastierista, Charlton Pettus, che è anche co-autore di buona parte degli altri brani nel disco. Il pop rock del primo singolo è semplice e immediato, e in qualche modo risulta subito convincente rispetto alle produzioni metà anni '90 del solo Orzabal; forse perché, finalmente, viene superato il solito problema del suo songwriting da "solista": un refrain debole con una strofa forte, oppure viceversa. Qui, invece, evidentemente si recupera il pezzo mancante. Difficile dire se sia la presenza stessa di Smith a rimettere il treno sui binari, o se si tratti di un suo contributo attivo in fase compositiva. Fatto sta che questa "Call Me Mellow", seppur brano d'amore di certo non originale né innovativo, segna un momento nel quale la band trova un modo migliore di ricollocarsi nella scena musicale in costante cambiamento. Svaniti gli echi della new wave anni '80 e finita la parentesi alternative rock anni '90, i due sembrano quasi involontariamente inserirsi nella risma di band post-britpop che proprio attorno al 2003-2004 spopolano alquanto: non tanto i Coldplay, quanto piuttosto i Travis, i Razorlight, i Keane. Che sia loro intenzione, che assorbano queste influenze consapevolmente o che semplicemente si facciano ancora una volta interpreti particolari delle tendenze del loro tempo, non è dato di sapere. Oltre alla gradevole composizione musicale abbiamo anche come spesso accade nella musica del duo un'intuizione lirica forse un po' ingenua ma interessante: le usuali tribolazioni d'amore vengono filtrate da una metafora che associa la passione alla licantropia, che quindi va e viene come una maledizione e sembra sopraffare l'amata quasi contro la sua volontà: "Riempi il cielo d'amore / Non mi importerebbe ma lei è appena apparsa sulla soglia / Desiderosa e cinerea, un po' inzaccherata / L'ultima volta che l'ho vista stava ululando alla luna / Girando per la foresta, lupesca e rabbiosa / Oh, è selvaggia? / Può vedere il mio bambino interiore?" Così cantano Orzabal e Smith, le voci riunite come a fine anni '80: "Ma poi lei lo sa che è come una maledizione / Trovare i nostri ruoli scelti invertiti / Unificare il mio universo / Chiamarmi dolcezza". Più criptica la seconda strofa, che sembra associare quest'amore selvaggio ad un ricordo Freudiano di maternità, forse per metà colpevole e per metà inconscio: "Se solo avessi metà della mia età e lei fosse più vecchia / Vivremmo di gelato a Coney Island / Pensavo che fosse la gravità a far scendere in basso il mio palloncino / Lei rimane in orbita fin dopo la mezzanotte". Il tema sembra legarsi a quello del "bambino interiore" citato nella prima strofa, e che simboleggia nell'amore la riscoperta di una purezza e di un'innocenza in effetti più proprie dell'infanzia. Come sempre una poetica non precisissima e che risponde più a idee estemporanee che alla costruzione di un concept. Ma, in ogni caso, neanche uno dei loro testi peggiori.
Conclusioni
Con "Call Me Mellow" la carriera dei Tears For Fears riparte inaspettatamente, e l'arrivo di un nuovo album a più di vent'anni dall'uscita del loro primo lavoro (nel 1983) segna un punto della loro carriera nel quale i due si possono ufficialmente affacciare alla storia della musica, non solo rock, da una posizione privilegiata. Di più: la loro reunion inattesa e che sembrava anzi impossibile solo fino a qualche anno prima compie un po' il miracolo perché anche se l'album, "Everybody Loves a Happy Ending", non andrà benissimo e non farà esattamente l'entusiasmo di critica e pubblico, riuscirà comunque a trascinare Orzabal e Smith fuori dalla "fanghiglia" produttiva confusa che per anni aveva trovato entrambi, di fatto, in crisi creativa. E anche per questo la band si riprenderà, poi, togliendosi con fatica dalla lista di band rimaste "incastrate" negli anni '80, come gli Smiths ma anche per esempio di Def Leppard, gli UB40 o i Simply Red, i Culture Club o gli INXS, cercando di adattarsi alla nuova scena musicale ma senza rinunciare al proprio passato. E la musica infatti è sempre la loro, con quelle ispirazioni (e aspirazioni) Beatlesiane che non sono solo musicali e quell'approccio al songwriting che li ritrova a metà strada tra musica leggera e rock da stadio. Certo, il ritorno della coppia fa sentire bene la differenza anche già in questo primo singolo e del resto nell'album Orzabal lascerà anche spazio per una canzone del solo Smith (scritta con Pettus). Ora ultra-quarantenni, i due possono mettere da parte la loro lite passata e godersi l'affetto di un pubblico che li ritrova, certo invogliato però sempre, dal vivo, ad ascoltare più le vecchie hit che i pezzi nuovi. E in effetti nei lavori inediti di metà anni '00 manca certo l'urgenza e l'importanza di quelli anni '80, che per i due rimangono tuttora insuperabili. Ma è normale: non stiamo più parlando di due giovani ex-punk con capigliature improbabili affascinati dalle nuove tecnologie e dai suoni synth introdotti da Gary Numan e che, in quel primi anni '80, sembravano annunciare l'arrivo di un futuro inimmaginabile. Né tantomeno abbiamo più la coppia ambiziosa di aspiranti psicologi per l'infanzia, che costruiscono le loro canzoni attorni al tema dei traumi infantili. Anzi, c'è da dire che queste nuove canzoni tradiscono un spirito speranzoso a suo modo del tutto inedito per loro. Ed è perché, se non abbiamo tutto quanto elencato sopra, abbiamo invece due rockstar/ex-rockstar navigate che hanno visto e provato tutto, i fasti del successo e dei concerti con il pienone e le crisi artistiche e le liti in studio di registrazione; trionfi e fallimenti li hanno faticosamente portati dove sono ora e il nuovo album che stanno producendo ne è la somma e la negazione insieme. Un nuovo inizio, ma allo stesso tempo un lavoro che non può non essere debitore a tutto ciò che hanno fatto in vent'anni di carriera.