STRATOVARIUS

Visions

1997 - Noise Records

A CURA DI
CHRISTIAN RUBINO
25/11/2022
TEMPO DI LETTURA:
9,2

Introduzione Recensione

"L'album Visions può essere considerato ragionevolmente come un classico lavoro di metal melodico" (intervista a Timo Kotipelto da parte di chaoszine.net) 

A chi non piacerebbe prevedere o sapere che cosa succederà nel futuro? Penso proprio a tutti perché questo immenso potere vuol dire essenzialmente dominare qualunque scena ed esercitare i necessari cambiamenti per trarne un enorme e proficuo profitto dopo. Uscendo dai propri egoismi personali, questa capacità tornerebbe fortemente utile in altri campi di attività, come per esempio nei gravi problemi ambientali del nostro pianeta, nella cura di malattie, nei problemi economici e militari. Nella musica, i lungimiranti nel corso della storia sono stati veramente tanti e in particolare nel metal settantiano e ottantiano. Ma, alla fine degli anni '90, si scommette su una band, formata da cinque finlandesi, chiamata Stratovarius che nel lontano 1997 si chiude in studio per progettare la definitiva consacrazione artistica confermando in pieno, con l'incisione di Visions, tutte le previsioni di un dirompente trionfo artistico dopo l'ottimo e superbo Episode dell'anno prima. Secondo la critica ma soprattutto secondo il portafoglio dei fans e degli amanti del power, la nuova fatica artistica è considerata un capolavoro assoluto dei finnici e una pietra miliare nel panorama del metal internazionale. L'apice è finalmente raggiunto con questo acclamato sesto disco in studio, pubblicato proprio nel 1997 dalla Noise Records e prodotto dal virtuosissimo chitarrista e mente della band Timo Tolkki. Questo è anche il lavoro eseguito dalla stessa formazione che ha reso questo combo uno dei gruppi tecnicamente più competenti e più popolari del metal melodico dei nineteen. Oltre al guitar hero Timo Tolkki troviamo tra questi cinque veggenti: Timo Kotipelto alla voce, Jari Kainulainen al basso, Jörg Michael alla batteria e Jens Johansson (ex Yngwie Malmsteen) alla tastiera. Il platter è il miglior lavoro degli Stratovarius perché l'abile Timo si distingue per i suoi autorevoli riff e per i suoi incantevoli assoli chitarristici. Quest'uomo ha le abilità necessarie per portare la sua band ad un livello superiore grazie alle sue straordinarie capacità soliste, dimostrando tutta la sua tecnica e tutta la sua padronanza nel suonare il suo strumento; Jari è sempre presente e udibile con il suo precisissimo e battente basso; Jens è un eccellente tastierista in grado di decorare con la sua melodia tutte le canzoni del disco ma anche insieme a Timo, capace di duellare in combattuti e prolungati assoli strumentali che fanno venire la pelle d'oca in tutto il corpo; Jörg è un batterista possente e particolare, con una bravura e uno stile molto riconoscibile mentre Timo Kotipelto è un eccellente cantante che si consolida con la sua ottima e acuta voce ad essere uno dei migliori vocalist a livello mondiale. Insomma, gli ingredienti ci sono tutti per raccogliere i frutti di una meritata gavetta con un sound di purissimo e veloce power metal melodico dall'influenza neoclassica, già emersa nel debutto del 1989 Fright Night. Dalla penultima fatica, Episode, la band passa quindi ad un livello successivo alzando poi di molto l'asticella con questa straordinaria opera e rafforzando così la propria personalità con venature neoclassiche, che vedono in prima fila l'indiscusso maestro della chitarra elettrica Yngwie Malmsteen della vicina Svezia. Nonostante tutto siamo di fronte ad una evoluzione di questo peculiare stile, che da lì a poco porterà gli Stratovarius ad ispirare e ad essere seguiti e imitati da altre band nordiche guidate dalla scia dei quattro vichinghi. Tolkki, in stato di grazia, scrive tutta la musica dell'album imbottendola di puro neoclassicismo mentre la spalla, Kotipelto, scrive ancora molte liriche con passione e sincerità, incoraggiato dall'allegra e melodica keyboard di Johansson, che lo rendono uno dei più importanti componenti del quintetto. Nonostante quest'album non sia perfetto, è comunque un grande capolavoro di power metal perché tutte le song insieme sono una vera e propria forza trainante ma prese singolarmente, alcune non colpiscono affatto per fantasia o per pulizia dei suoni. La chitarra a volte è stranamente contenuta, come se si accontentasse, senza forzare la mano, di quella sufficiente pesantezza sonora sviluppata. La quattro corde di Jari è impercettibile e quasi trascurata nel mixaggio ma quando si ascolta il disco nel suo insieme ci si rende conto di essere davanti a qualcosa di sorprendente e senza limiti di tempo. La miscela di classico barocco, power, speed e metal è interessante ma non originale. Il connubio tra robustezza, rapidità e qualche linea sperimentale di prog metal porta un po' di sale in un genere un po' troppo stereotipato ma che propone anche gruppi alternativi come gli Angra o i Rhapsody Of Fire capaci di uscire dai rigidi schemi del genere. 

"La regola principale degli Stratovarius, che molto probabilmente non verrà mai infranta è che le canzoni saranno sempre melodiche. Penso che se facessimo qualcosa di diverso da questo non dovremmo chiamarci Stratovarius. Il 99% delle persone che acquista i nostri dischi si aspetta chitarre, batteria e tracce molto melodiche. Probabilmente si arrabbierebbero molto se facessimo un disco sgangherato o qualcosa del genere" (intervista a Jens Johanson da parte di Chris per Metalbite.com) 

The Kiss Of Judas

La cupa apertura del mid-tempo The Kiss Of Judas (Il bacio di Giuda), affascina sin dalle prime note con la sua sovradimensionata atmosfera e le sue fantastiche melodie, che può essere paragonato a una serie di famose canzoni di Malmsteen della fine degli anni '80 e dei primi anni '90. L'accattivante refrain è il marchio di fabbrica degli Stratovarius, dove dopo i primi pacati secondi prende slancio con un ritmo molto sostenuto e con ottimi assoli di chitarra nella parte centrale del pezzo. L'esecuzione chitarristica è diretta verso riff melodici e meno elaborati ma sempre tecnici soprattutto nell'assolo e con un'ambientazione generale molto simile al famosissimo cugino svedese. Timo Kotipelto è in gran spolvero dietro il microfono e riesce con la sua bassa e tranquillizzante voce a fare immergere l'ascoltatore in questa sorprendente atmosfera, che sembra semplice ma in realtà con il passare del tempo diventa maledettamente profonda e piacevole. L'inizio battente della batteria è molto groove mentre la graffiante chitarra elettrica, dopo un primo slancio, rallenta introducendo l'ugola melodica del vocalist che poco dopo viene travolto da pregevoli e ammalianti cori. La chitarra rimane per un po' stranamente in sottofondo perché dominata da una possente sezione ritmica e da un trascinante ritornello che sembra il preludio di quello che succederà da lì a qualche anno con l'abbandono o la cacciata (le versioni sono contrastanti) di Timo Tolkki: "Sento dei passi che si stanno avvicinando, che riconosco già dai primi giorni. Sento le sue labbra sulla mia guancia; il bacio di Giuda mi perseguita ancora una volta". Il testo è proprio un presagio del tradimento del guitar hero che all'apice del successo cade schiavo dell'alcolismo e delle menzogne, come quella clamorosa che lo vede accoltellato mentre si trova in Spagna nel 2004. In seguito, si scopre la bugia e il chitarrista rimane a lungo ricoverato in seguito alla tremenda depressione che lo colpisce, caratterizzata da forti tendenze suicide dovute al suo disturbo bipolare. Da qui nasce la crisi all'interno del gruppo e il tradimento di Timo che nel 2008, dopo l'omonimo e deludente album della band, va via accusando i suoi ex compagni di avidità, che allora volta riportano al mittente le calunniose accuse davanti ad un tribunale: "Le meritate monete d'argento cadono sul pavimento, la fiamma della candela riflette i movimenti sul muro e i tuoi occhi pieni di colpa continuano a fissare la porta". Degno di nota è poi il lungo, lento e vorticoso assolo chitarristico e la parte finale della composizione che si conclude ripetendo più volte e di nuovo l'ipnotico e sdolcinato ritornello. Chiusura anomala e atipica per il compositore e chitarrista Tolkki che crea anche un ponte con la successiva traccia dove i tempi sono diversi ma lo stile rimane sempre lo stesso. 

Black Diamond

La seconda traccia Black Diamond (Diamante nero) mette subito in chiaro una cosa importante: gli Stratovarius sono una di quelle rock band degli anni '90 che intelligentemente suona un power collaudato con alcune modifiche e aggiunte stilistiche, che per certi versi fanno la differenza. Infatti, l'impetuoso giro di clavicembalo iniziale catapulta la mente alle corti barocche dei primi decenni del XVII secolo, quando i clavicembalisti, con le loro zuccherose melodie, sono i protagonisti assoluti nei palazzi dei "nobili". Il ritmo forsennato della sezione ritmica e l'ossessiva tastiera lanciano l'attacco delle determinate corde vocali di Kotipelto che ancora una volta ci delizia con i suoi perfetti acuti ma che a tratti arriva quasi al punto di urlare mantenendo comunque e sempre la sua voce fortemente seducente. Timo Tolkki sembra inarrestabile specialmente nel prolungato e tagliente assolo che alterna con quello tastieristico dell'amico Jens Johansson, circa a metà della traccia, quando entrambi si scatenano in un duetto strumentale assolutamente fenomenale e dirompente. Il testo sembra il racconto stupito di un uomo per gli occhi della persona amata alla quale confida la paura di perderla perché non potrà stare per sempre al suo fianco: "Il tuo sguardo fisso e questi occhi mi stanno apertamente tormentando, invitandomi a starti vicino. Cerco di combattere questo forte sentimento. Ma non c'è possibilità di fuggire da questa tentazione". Insomma, un amore quasi lacerato e in senso lato, formalmente verso un patner che si teme di perdere ma a sorpresa si scopre addirittura, da una soffiata di Jens Johansson, che quest'amante è il cane dello stravagante e spiritoso Tolkki. Al contrario la musica di questa composizione, dalla piacevolissima atmosfera classica è immediatamente amabile e riconoscibile dai timpani di qualunque ascoltatore, emergendo dall'intera opera, come uno dei migliori inni per eccellenza degli scandinavi. Il merito maggiore va sicuramente alla keyboard di Jens che guida la melodia dalla prima all'ultima nota, facendo letteralmente sprofondare il cuore in questa stupenda canzone, anche grazie al cantato sentimentale ed emotivo del singer finlandese. Forse, gli assoli spettacolari di Timo e Jens fanno evadere per un momento da questa ambientazione barocca che trova solo in questo frangente una breve interruzione, per poi fortunatamente ritornare fino alla fine con un altro e terminale ritornello. "Black Diamond" è una di quelle canzoni epiche dove occorre obbligatoriamente alzare il volume durante l'ascolto, per godersela poi fino in fondo.  Traccia in definitiva, musicalmente molto robusta, orecchiabile, dal senso anche equivoco e particolarmente adrenalinica: "So che non posso stare per sempre al tuo fianco ma so che non vorrò dimenticare la tua bellezza, mio diamante nero"!

Forever Free

La successiva e metal Forever Free (Per sempre libero) alterna tempi più veloci e ritmati rispetto alla classica melodia tipica del gruppo. La song ha comunque un grande refrain e le consuete e intriganti atmosfere guidate dalla sovrapposizione di cori e dalla calda tonalità vocale dell'affidabile Kotipelto. Quest'ultimo nei versi parla della libertà in generale ma soprattutto del libero arbitrio di fare ciò che si vuole senza essere vincolati da regole discutibili che a volte non hanno assolutamente senso: "Possono cercare di legare le nostre braccia, ma non possono incatenare i nostri pensieri o i nostri cuori. Manterremo la nostra fede dentro alle nostre anime e mai la perderemo. Noi siamo per sempre liberi"! La lirica è pure un attacco ai mass media che confondono il pubblico con storie false e pilotate.  Utopisticamente, in una società veramente "libera", le persone possono esprimersi senza avere le braccia incatenate: "Cercano di darmi una risposta a domande che non ho mai posto. Non avrò alcuna parte nella loro cospirazione". Questo spirito di indipendenza o di ribellione è cantato da Timo a squarciagola, sostenuto dal suono mitragliante della doppia cassa supersonica di Michael o dagli assoli tecnicissimi e rapidissimi di Johansson e Tolkki, che raggiungono quasi la velocità della luce. Se si vuole trovare il pelo nell'uovo, l'unica cosa negativa sono le troppe note sparate sui timpani durante gli assoli, un po' alla Malmsteen ed seguendo così la filosofia del guitar hero svedese fatta essenzialmente da melodie influenzate dalla musica classica. La forza del pezzo sta comunque nel ritmo forsennato e nel ritornello accompagnato dai tanti riff chitarristici e dagli impetuosi e infuocati arazzi tastieristici, pronti a distruggere quella velata democrazia delle nostre società occidentali: "I media sono la nuova illusione e creano maggior confusione ma io so che presto spariranno"! Purtroppo, Timo, voglia o non voglia, fa parte del sistema e conosce benissimo la schiavitù delle TV, delle radio e dei giornali che a seconda di chi li gestisce economicamente, seguono una determinata direzione. Basti pensare a chi si è costruito una carriera politica e un'immagine su questi mezzi di comunicazione facendo il lavaggio del cervello ai creduloni spettatori. L'ispirazione artistica di Tolkki, in questa song, è semplice e senza sussulti particolari ma in definitiva molto efficace e solida, tanto da sfociare in un ritornello edificante e in un sound di speed/power metal tanto in voga in questi conclusivi e avvincenti nineties. 

Before The Winter

Dopo aver profuso tantissima energia gli Stratovarius fanno una pausa, rallentando il ritmo a favore di una ballata dagli accordi suggestivi, affascinanti e incantevoli. Before The Winter (Prima dell'inverno) rasenta l'impeccabilità artistica perché è un lento metal, dolce ed epico, il cui testo, scritto interamente da Tolkki, racconta una storia d'amore, questa volta non verso un cane ma verso una donna, riallacciandosi poi alla nona traccia in scaletta: "Coming Home". In poche parole, il chitarrista finlandese scrive e il connazionale singer canta su qualcuno che sta lasciando la propria compagna per intraprendere un lungo viaggio, rassicurandola che tornerà entro la prossima estate tra le sue braccia: "Prima che l'estate diventi inverno, Prima che i sogni diventeranno neve, vedendo le foglie gialle cadere capirò che devo andare". Più ci si addentra nella composizione e più si nota come il fenomenale Yngwie Malmsteen sia l'ispirazione e l'ascendente principale del modo di suonare la chitarra del bravissimo Tolkki, ma anche del modo di sviluppare, da parte di Jens Johansson, delle tonalità tastieristiche uguali a quelle dei dischi ottantiani proprio dell'amico Yngwie, dove il tastierista fu protagonista facendo parte della formazione del maestro scandinavo. L'arpeggio acustico e i rintocchi melodici, continuamente ripetuti della tastiera, sono le fondamenta di una song che accelera e decelera d'intensità dalla partenza alla conclusione. Un altro aspetto da non trascurare è poi il minimo approccio della band verso il prog rock settantiano che da qui a breve verrà riproposto negli album successivi ma senza raggiungere il successo di Visions. La voce divina di Timo Kotipelto funziona benissimo, sia quando è sussurrata all'inizio, sia dopo un minuto quando prende slancio con vigore e forza, esprimendo malinconia e rabbia per la perdita momentanea del proprio amore. Naturalmente "Before The Winter" è un pezzo molto lento rispetto alle altre tracce del platter ma anche uno dei più belli perché il ritornello orecchiabile entra immediatamente in testa senza uscirne più. E poi ha un sound e un testo pieno di speranza: "Tornerò prima dell'estate e l'anno prossimo sarai ancora tra le mie braccia. La strada verso casa è lunga e tortuosa ma ti mostrerò che i sogni sono veri solo se li lasci esistere". 

Legions

Oltre a tanta fiducia la band emana ancora tantissima carica e positività, come nella quinta song in scaletta intitolata Legions (Legioni), che apre la parte centrale dell'album. Ricomincia così la calata dei vichinghi con riff chitarristici abbastanza pesanti, per un power possente e veloce che è un sincero omaggio ai supporters dei finlandesi, la maggior parte sparpagliati in tutto il vecchio continente e chiamati simpaticamente dai cinque musicisti: "Legions Of Twilight". Come con il suo cadenzato strumento così come nella scrittura, l'eccellente Tolkki si scatena: "Lontano, nel cuore della terra, prima che questa fosse nata, abbiamo udito la chiamata e abbiamo lasciato le tracce per il prossimo futuro". Lo stesso vale per Kotipelto che non tira certo indietro le sue portentose e acutissime corde vocali, coperto nelle retrovie da una batteria martellante e da un basso arrembante. Questa melodicissima cavalcata è poi impreziosita da un superbo assolo di chitarra e da un ritornello battagliero e orecchiabile: "Più veloci della luce, più alti del cielo, stasera siamo ancora insieme. Non abbandoniamo mai e non ci arrendiamo mai, più forti del metallo. Siamo le legioni del crepuscolo. We´re the legions of the Twilight"! La velocità e l'aggressività la fanno da padrone, su una struttura metal arricchita dai classici cori e dagli indovinati ritornelli del combo nordico. Insomma, la formula sembra uguale alla precedente "Forever Free", per via dei semplici e progressivi accordi di base, ma la cosa non dispiace se si ascolta il risultato finale di entrambe. Quello che colpisce e l'ottima coesione tra i componenti del gruppo, dove spicca ancora una volta la fenomenale e incredibile voce di Timo, che si esibisce su un refrain molto potente e trascinante con un testo di ringraziamento agli irriducibili fans presenti ai loro numerosissimi concerti: "Correte come il vento, cantate dal cuore. Ora siamo qui e insieme canteremo"! "Legions" ha in poche parole una forza molto più ribelle rispetto ai primi brani della raccolta e non offre elementi innovativi o particolari al genere ma la cosa non dispiace affatto perché alla fine piace da morire per la sua prerogativa di puro heavy metal.

The Abyss Of Your Eyes

Una intermittente e distorta chitarra elettrica fa partire la ritmata The Abyss Of Your Eyes (L'abisso dei tuoi occhi), che nei primi secondi vede come protagonista la melodicissima e vorticosa sei corde di Tolkki e le pelli martellanti di Jörg Michael. L'ugola del singer è questa volta sofferente e sentimentale perché Timo interpreta benissimo una song d'amore in cui un uomo dichiara di essersi perdutamente innamorato e di essere stato ipnotizzato dagli occhi della sua bellissima donna: "Sento che sto affogando, provo a respirare ma non so cosa sta succedendo. Non ho il senso del tempo. Dentro di me, nel profondo, sento il dolore. Ascolta il mio pianto? Affogo dentro te, non posso resistere, non so perché. La mia vita sta cambiando, non riesco a ricordare? L'abisso dei tuoi occhi significa così tanto, sto impazzendo"? L'amore è quindi sempre dolore? Follia? Anche quello della propria vita? Per gli autori l'amore è accecante e annulla l'essere umano ma se si trova la persona giusta è difficile, nel corso della vita, uscire fuori strada e perdersi nella solitudine più profonda: "Per così tanto tempo il mio cuore è stato alla deriva, ha vagabondato? Oggi non è il sole che sta brillando, ma i tuoi occhi che sono la mia luce. Ho trovato quello che stavo cercando, il mio amore non cambierà strada". Il sound del pezzo è un roboante e monumentale power metal dal sapore cupo, specialmente quando rallenta in brevi e riflessive atmosfere che impregnano l'intera composizione. "The Abyss Of Your Eyes", è sulla stessa lunghezza d'onda della prima canzone dell'opera: la bella "The Kiss Of Judas" soprattutto in termini di velocità, ma rimanendo comunque nella sufficienza senza quel groove mastodontico e coinvolgente del singolo iniziale in cui la tastiera è molto più protagonista. Ad essere sinceri la traccia sembra una song che non ha trovato posto nel precedente Episode e che i cinque artisti ripropongono con interessanti e pesanti riff, rinforzati dalle efficaci linee di basso di Jari Kainulainen. L'intervallo tra la voce del vocalist e i cori, in particolare nel ritornello sono la parte migliore del brano, poggiandosi su una base armonica caratterizzata da spaventosi assoli di chitarra e parti più tranquille che riportano ad un suono settantiano e ottantiano, tipico dei mitici Black Sabbat. Lentezza e robustezza sono le chiavi di qualcosa in cui gli Stratovarius, con logica e lucidità, puntano ancora anche se in forma ridotta perché il resto della set list è un puro speed/power metal senza rimpianti e compromessi: "The abyss of your eyes, meaning so much more, am I losing my mind"? 

Holy Light

"Suono la chitarra da tantissimi anni, e questo mi suona un po' strano ma non mi sono mai considerato un chitarrista. Mai! Mi considero un compositore. Basti pensare a Beethoven, che anche se ha suonato molti strumenti, era un compositore. Nessuno lo chiamava pianista" (intervista a Timo Tolkki da parte di JYRKI.com)

Holy Light (Luce sacra) è una canzone strumentale complessa ma interessante molto simile alle creazioni neoclassiche e barocche dell'indiscusso e inimitabile maestro Yngwie Malmsteen. Che Timo Tolkki sia influenzato stilisticamente dal cugino e collega svedese non ci sono praticamente dubbi, dimostrando con tutta la sua classe il livello raggiunto con la sua fedelissima sei corde elettrica. Il pezzo è, dall'inizio alla fine, un purissimo e velocissimo refrain neoclassico e power metal, indirizzato e sostenuto dalle contrazioni tastieristiche del pirotecnico Johansson e dalla sua sempre e melodica keyboard. Armonia inizialmente settecentesca e poi metal con una melodia trascinante e gradevole che racchiude nelle note tutto il genio di Timo Tolkki; la sua grandissima bravura e la ricerca di sé stesso nelle parti più lente, riflessive e quasi psichedeliche che all'improvviso cambiano di umore aumentando vertiginosamente il ritmo, grazie al già citato Jens e alle quattro corde di Kainulainen. L'introverso Tolkki da qui il massimo suonando magnificamente; concentrando tutti i suoi sforzi su questo pezzo strumentale e portando tutta la sua classe sopraffina e la sua intelligenza compositiva. Il guitar hero non è un clone di Malmsteen perché riesce a metterci del suo e specialmente evita di appiattirsi a suonare veloci scale solo per il gusto di dimostrare la sua tecnica e la sua velocità esecutiva. Quindi, una destrezza elargita non per celebrare la sua ottima preparazione ma un virtuosismo messo a disposizione degli Stratovarius. Questo è in poche parole il punto di forza di questa band e in particolare di questi elementi che si trovano in perfetta sintonia l'uno con l'altro, sviluppando un'alchimia spaventosa e irripetibile.  Il capolavoro "Holy Light" è il ritratto dello stato di grazia di questi ragazzi e di come questi amici siano uniti dall'obbiettivo primario di raggiungere il successo e la fama internazionale, ma sempre divertendosi e amando alla follia questo mestiere.  Il tutto si riflette meravigliosamente sul resto del disco per una chicca compositiva appariscente come un dispotico e forte temporale, che vale il costo dell'album, realizzando anche un assist sonoro alla successiva "Paradise" e alla bellissima conclusione del platter.

Paradise

Neanche il tempo di prendere fiato e si riparte in quarta con un'altra meraviglia dei vichinghi dal titolo: Paradise (Paradiso), song dalla struttura insolitamente semplice ma efficace con un refrain melodicamente irresistibile e adorabile al primo ascolto. Inno metal itinerante per l'eternità e dal ritornello perfetto e super orecchiabile che apre le danze con l'ugola profonda e bassa di Mister Kotipelto, il quale prende la rincorsa per galoppare dopo qualche secondo verso tonalità più alte e acute. La sei corde elettrica lo accompagna e lo influenza energicamente per tutto il pezzo, anche nei momenti più malinconici, nel raggiungimento delle sue solite altezze vocali. Qui la sensibilità della musica e della lirica scritta da Tolkki sono un grido disperato di salvezza per una natura destinata alla distruzione: "Mi trovo a farmi domande guardando la TV. Non riesco a credere a quello che trasmettono per qualcosa che non vorrei vedere. Molte specie rare si estingueranno presto. Perché dobbiamo essere così egoisti? Dobbiamo cambiare atteggiamento. So di non essere l'unico a preoccuparsi. Perché non ci svegliamo e lo capiamo? Il tema sulla natura che viene distrutta dall'uomo accresce il valore della canzone e la stima per la band che in questa occasione diminuisce la sua robustezza strumentale concentrandosi di più sull'impatto emotivo e melodico tanto è vero che diventa obbligatoria suonarla in tutti i concerti della band scandinava, per un canto di sostegno alla natura e di disapprovazione alla follia distruttiva dell'uomo: "Non importa a nessuno, è sempre la stessa cosa. Madre natura sta piangendo per il dolore e so che siamo noi quelli da incolpare". La grinta e la vivacità dei cinque giovani culminano in un un groove allegro, un ritmo martellante ed in un fantastico e indovinato ritornello grazie alla vena compositiva dell'egregio compositore e musicista Timo Tolkki. Se il basso sembra latitare per la sufficiente produzione, non si può dire lo stesso dei potenti ritmi tellurici di Jorg dietro le sue incandescenti pelli. "Paradise" è un accattivante lavoro di speed metal che rallenta a tratti in un rock scandito da degli ottimi tocchi di tastiera che alleggeriscono e trattengono la tipica e inconfondibile robustezza metal del combo nordico. L'egocentrico e riservato Tolkki fa centro non solo creativamente ma sollevando anche un argomento di urgente attualità e di profonda meditazione: "Come gli uccelli nel cielo voliamo alti, senza fare alcun sacrificio. Abbiamo così poco tempo per vanificare questo crimine o perderemo il nostro paradiso". L'egoismo e la cattiveria umana devono finire perché stanno mettendo irrimediabilmente e seriamente in pericolo il pianeta con la conseguente estinzione della razza umana.

Coming Home

Coming Home (Tornando a casa) è un'altra ballata degna erede e continuo testuale del precedente e stupefacente lento "Before The Winter". Arriva finalmente l'estate ed è arrivato quasi il momento di ritornare a casa dalla propria amata dopo un lunghissimo anno fatto di sofferenti chiamate, di sbiaditi ricordi e di una mesta malinconia che avvolge nel profondo l'anima: "Mi sveglio la mattina così lontano da casa cercando di far passare la giornata. Molte miglia ci separano, ti mando il mio amore da questa cabina telefonica. Abbiamo vagabondato attraverso le tempeste, abbiamo scalato molte montagne ma tutti i brutti momenti sono alle spalle. La strada è libera. Sto arrivando a casa"! La lontananza allontana nell'amore? Per gli artisti finlandesi e in particolar modo per Timo Tolkki, solo fisicamente ma non a livello cerebrale! La distanza rafforza il legame e così questa sua creatura è introdotta da un dolce e acustico arpeggio chitarristico, con Kotipelto ancora una volta impegnato a tirar fuori le sue calde tonalità vocali, creando con Tolkki un'atmosfera sconsolatamente tangibile che rende questa canzone assolutamente sentimentale. Senza la sua amante quest'uomo non si sente lo stesso: "Senza di te sono come, una nave senza le sue vele. Sto chiamando il vento per salvarmi e rivedere il tuo sorriso". Il desiderio e il coraggio reciproco sono le chiavi per ritornare felicemente a casa e sono entrambe rappresentate sonoramente dalla crescente e celestiale melodia profusa dalla guitar. Questa passa poi dall'acustico all'elettrico, trascinando l'inerme e rapito ascoltatore, dopo il primo sconforto della separazione, verso una dimensione di contentezza e felicità: "Ad ogni passo sono sempre più vicino a casa. quando sarò ritornato non sarai più da sola. Presto vedrò la porta di casa davanti ai miei occhi, e poi vedrò te". Naturalmente, gli ispirati musicisti scandinavi stampano sonoramente un altro grandioso ritornello con la sovrapposizione di cori e un lunghissimo e mirato assolo chitarristico, dando così ancora un altro tocco di estrema raffinatezza a questo sdolcinato brano. "Coming Home" è in conclusione piena di sentimento e di vero amore anche nei confronti della musica stessa. L'eccellente frontman, Kotipelto, dimostra tutta la sua innata classe emotiva insieme allo straordinario lavoro di pianoforte e tastiera di Johansson. Lo stesso si può affermare sulla batteria leggermente delicata di Jorg e dei piccoli ma incisivi sfarfallii di Tolkki che aiutano a dare una vera identità alla canzone senza portare a nessun confronto con altri artisti e band del genere.

Visions

Proprio così, gli Stratovarius sono riusciti a perfezionare il proprio sound perché le influenze barocche e classiche sono mescolate con grandiose strutture melodiche di power metal, cori stratosferici e piccole venature prog, che culminano nella maestosa e articolata ultima canzone che dà il titolo al disco: Visions (Visioni). La title track è ispirata alle centurie dell'astrologo, scrittore, farmacista e speziale francese Nostradamus vissuto nel '500. La copertina dell'opera è proprio un'anteprima per parlare in questa song delle predizioni di quest'uomo che scrisse il libro: "Le profezie", composto da quartine in rima, raccolte in gruppi di cento, nel libro "Centuries et prophéties" del 1555. Sebbene alcuni sostenitori del veggente affermino che quest'ultimo abbia previsto degli eventi catastrofici, in realtà le poesie sono scritte in un modo così ambiguo che chiunque, a posteriori, può leggere o interpretare in esse ciò che meglio crede: "Sarà udito nel cielo il fragore delle armi. E nello stesso anno gli Dei saranno nemici. Abbatteranno ingiustamente le leggi sante, e con i tuoni e le guerre morranno i veri credenti." (Nostradamus: Centuria IV:43). Gli Stratovarius non prendono nessuna posizione, limitandosi ad introdurre durante il brano alcuni spezzoni parlati, dove si ode un lettore che legge alcune quartine del transalpino e con in sottofondo un suono veloce e frenetico che cala a mano a mano si arrivi al magnifico finale, caratterizzato da un toccante e immenso coro in linea con la magia dell'intero album: "Per quaranta anni l'arcobaleno non apparirà, per quaranta anni si vedrà questo: la terra bruciata diverrà arida ogni giorno di più e vi sarà un grande diluvio quando apparirà." (Nostradamus: Centuria I:17). Invece l'autore, Timo Tolkki, nei suoi versi, impone e predice facilmente la prossima fine del mondo per via dell'egoismo dell'uomo nei confronti dei suoi simili e soprattutto nei raffronti di una natura violentata e quasi distrutta dalla mano degli umani: "Centinaia di anni sono passati, cosa abbiamo fatto? Danni inimmaginabili sotto il sole. Penso che sia troppo tardi per cambiare l'uomo. Noi siamo gli ultimi"! Timo Kotipelto canta con tantissima passione e determinazione per circa dieci affascinanti minuti, immerso in turbinosi riff, in prestigiosi cori e soprattutto nei più belli ed epici assoli chitarristici dell'intero album. Questa gemma è anche sfaccettata da alcune parti acustiche, da sezioni di power metal estremamente celeri e da atmosfere eccentriche e più tranquille che portano a riflettere sul disastro ambientale in corso: "Il Mondo continua a girare mentre le persone bramano sempre di più. Madre Natura implora un cambiamento. Arriverà il tempo in cui tutti noi dovremo pagare per quello che abbiamo fatto. Siete preparati per questo"? Praticamente Mr Tolkki amalgama sapientemente e concretamente tutto quello che si è udito nelle nove tracce precedenti in un'unica e trionfale canzone, aggiungendo un pizzico di prog metal che sinceramente non guasta. Il ritmo martellante dei primi minuti è molto interessante per via di una apocalittica tastiera, una rapida e convulsa sezione ritmica a cui seguono a ruota delle robuste deflagrazioni chitarristiche, che si spengono in altalenanti cambi di tempo e ambientazioni abbastanza soft. "Visions" è probabilmente la song più lontana dal repertorio del gruppo ma in definitiva è il modo completo per concludere un disco riuscitissimo e mastodontico come questo. Praticamente un vulcano sonoro dove i musicisti si esibiscono abilmente con i loro strumenti, tranne che per il povero Jari Kainulainen penalizzato da un mixaggio assurdo, dimostrando di saper andare quasi oltre alla loro collaudata e confortevole formula armonica. Il profetico chitarrista finlandese riesce quindi a realizzare un'ambiziosa miscela di suoni sinfonici e metal, facendo riflettere sulle strane e indecifrabili rivelazioni di Nostradamus e sull'immane inquinamento della nostra Terra. Il tutto è legato alla splendida copertina dell'album ad opera di Andreas Marshall e all'aiuto di un narratore esterno che offre una voce tenebrosa e meno drammatica di quella del singer finlandese Timo Kotipelto. Canzone lunga e coraggiosa che rientra in un clima di più ampie novità che culmina, in questa raccolta, nella presentazione del nuovo logo della band sull'artwork degli Stratovarius, simile al giglio simbolo della città di Firenze.

Conclusioni

"Non uso il cervello quando compongo... Non è un processo intellettuale. A volte ho in testa delle canzoni complete: vado su una tastiera e il brano arriva. Non posso spiegarlo, e non devo, perché non voglio parlare di questa dote, qualunque essa sia. Penso che sia un regalo per me". (intervista a Timo Tolkki da parte di Peter Hodgson per guitarworld.com)

A voler essere cattivi, nonostante alcuni elementi innovativi inseriti nell'album, Visions rimarca vistosamente, in alcune canzoni, un glorioso amarcord di influenze sonore prese dai famosi Helloween e soprattutto da band metal scandinave provenienti dai mitici anni '80 con in testa la classe indiscussa del maestro Yngwie Malmsteen. Ma l'opera, nonostante queste interferenze, è sicuramente una delle pietre miliari del genere perché c'è molto degli Stratovarius, che con stile e personalità rendono questa set list preziosa e gradevolissima all'ascolto. Oltretutto, da qui comincia la gigantesca ondata di giovanissime band nordiche e non solo, orientate verso il magnifico suono dei cinque ragazzi finlandesi. Quindi con obiettività bisogna ammettere che questo platter è quello della consacrazione definitiva e del meritato trionfo. Tutto concorre a questo exploit di prim'ordine: dalla semplicità delle strutture delle canzoni, ai deflagranti e trascinanti refrain o alla sciorinata e spaventosa tecnica strumentale che purtroppo, a volte, non sempre è valorizzata bene dalla sufficiente produzione. Tanta varietà e classe in un periodo in cui il power metal vola alto senza timore di nulla, per una straordinaria rivelazione internazionale che esalta e fa riprendere quota al genere stesso. Non si sa se Nostradamus abbia previsto queste bellissime armonie, spesso copiate e mai raggiunte che fanno di questo disco un vero e proprio capolavoro di cui vantarsi ed essere orgogliosi, ma il futuro sorride ed è dalla parte di questi ambiziosi musicisti che sembrano incontenibili.  Basti pensare che nel giro di tre anni dal '96 al '98 pubblicano tre eccellenti lavori discografici (Episode, Visions e Destinity). Siamo quindi all'apice di una band ricca di talento, di pregevoli virtuosismi, di sincera passione e tantissima energia che fuoriesce, in particolar modo, dalla voce inconfondibile di Kotipelto, che nonostante le diffidenze iniziali rafforza la sua posizione di frontman nei live e la sua padronanza vocale dietro al microfono, spazzando via i timori dei supporters: "Abbiamo fatto molti tour e ci siamo fusi insieme in questa straordinaria formazione. Poi tutto è andato sorprendentemente bene" (Timo Kotipelto). Lo stesso ardore esce dalla magica sei corde di Tolkki e dall'estroverso e fenomenale tastierista Jens Johansson che mette le sue vellutate impronte dappertutto. Quest'opera di fine anni '90, è melodicissima e non si presta a passaggi radiofonici nonostante l'enormità di armonie sopraffine sfornate prevalentemente da un elemento di punta come Timo, che con la sua elettric guitar fa strage di pseudo chitarristi o presunti tali. Tolkki è innalzato, dalla critica e dai fans, a genio della chitarra; magari anche incompreso per via del suo carattere chiuso, riservato e a tratti burrascoso che lo porta ad una crescente depressione culminante, a distanza di qualche anno, in forti pulsioni suicide: "Amo fare ciò che adoro fare, non quello che la gente vuole che io faccia. Ma la musica è sempre stata una sorta di rifugio sicuro per me, mi ha aiutato a sopravvivere. Ho riversato tutti i miei problemi e le mie sofferenze nella musica e nelle mie canzoni. Sono il mio canale per togliermi tutti i pensieri dalla testa. Una chitarra per me è molto più di un semplice pezzo di legno. È un pezzo di legno a cui ho saputo raccontare tutti i miei segreti più profondi" (intervista a Timo Tolkki da parte di JYRKI.com). Probabilmente la parabola discendente della band si innesca lentamente alla fine del tour mondiale di supporto al disco per arrivare all'omonimo e deludente cd del 2005 che segna la fine di un sogno e della veggenza di un combo fondamentale e influente. Le liti e i momentanei split sono dietro l'angolo e rallentano la crescita e la stabilità artistica degli osannati Stratovarius che rischiano di chiudere per sempre bottega ma che resistono fino al 2008, quando l'infelice e malato guitar hero va via una volta per tutte, lasciando parecchi debiti ai suoi ex amici, dedicandosi ad altri progetti. Questa comunque è un'altra storia di cui un giorno scriveremo ma prima che ciò accada ascoltate in silenzio e ad occhi chiusi questo entusiasmante capolavoro degli anni '90 che ha segnato un'epoca ed ha marchiato per sempre il nome degli Stratovarius tra i grandi del power metal mondiale.

"Ovviamente non ci aspettavamo che il disco portasse a tutto questo grande clamore. Episode ci ha portato avanti, ma Visions ha permesso tour più lunghi, luoghi più grandi e folle più grandi. Improvvisamente tutti conoscevano tutte le nostre canzoni. Se qualcuno all'epoca avesse detto che la gente l'avesse ricordato ancora, non ci avrei creduto". (intervista a Timo Kotipelto da parte di chaoszine.net)

1) The Kiss Of Judas
2) Black Diamond
3) Forever Free
4) Before The Winter
5) Legions
6) The Abyss Of Your Eyes
7) Holy Light
8) Paradise
9) Coming Home
10) Visions
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