SLIDHR/REBIRTH OF NEFAST

Ex Nihilio

2008 - End All Life Productions

A CURA DI
DAVIDE PAPPALARDO
19/01/2022
TEMPO DI LETTURA:
7

Introduzione Recensione

Il nostro viaggio nella discografia dei Rebirth Of Nefast, progetto black metal del musicista e produttore irlandese Wann al secolo Stephen Lockhart, prosegue con un'opera particolare uscita nel 2008 per l'etichetta francese End All Life Productions, di proprietà della mente dei Deathspell Omega Hasjarl (Christian Bouche). Si tratta dello split a cinque tracce "Ex Nihilio" dove il Nostro condivide lo spazio con i conterranei Slidhr, band per la quale in futuro Lockhart suonerà come chitarrista in sede live e per la quale ha prodotto diversi album. Due tracce per i Rebirth Of Nefast e tre per i Slidhr, in un disco di circa trenta minuti intriso di sonorità black metal che si muovono dall'epico e più elaborato a territori più misantropi e oscuri, in un'atmosfera comunque sempre tetra e infernale. Siamo nel 2008, periodo ancora "embrionale" per entrambi i progetti che in futuro si trasferiranno in Islanda contribuendo allo sviluppo della scena locale caratterizzata da un black metal claustrofobico e dissonante con inflessioni moderne. Per ora i due gruppi rimangono legati alla non famosissima, ma abbastanza attiva, scena irlandese; i Slidhr hanno debuttato da poco con un demo e un EP a due tracce omonimo alla band, mentre Rebirth Of Nefast ha all'attivo solo un demo chiamato "Only Death". Due realtà quindi ancora marginali rispetto a progetti più famosi e con una carriera all'epoca già avviata, ma che mostrano già qui i semi che in futuro porteranno a due stili diversi e personali che si tradurranno in dischi che, se pur rimanendo più nelle retrovie rispetto ad altre uscite, faranno circolare il nome dei due gruppi anche al di fuori di una cerchia ristretta. Wann contribuisce con due tracce abbastanza lunghe, già foriere di quel black metal elaborato e contaminato da suggestioni progressive e doom che caratterizzerà "Tabernaculum", ma qui più ruvido e meno smussato, una versione se vogliamo ancora in fase di rifinitura e studio di quanto l'artista voleva ottenere. Si tratta oggettivamente dei due momenti più intressanti di tutta l'opera, dotati di strutture accattivanti e capacità di intrattenere l'ascoltatore nonostante la loro durata; Joseph Deegan (allora unico titolare dei Slidhr) presenta invece tre episodi di black metal misantropo e violento, ma allo stesso tempo accattivante e non scevro di melodie gelide dai muri di chitarra figli della seconda ondata del metallo oscuro e vocals sgolate non certo fatte per i palati più fini. In realtà le tracce vere e proprie sono due, mentre la terza è una sorta di esperimento sonoro non del tutto riuscito.Ci troviamo in questo caso davanti a canzoni di minor impatto rispetto a quelle del collega, funzionali e anche piacevoli all'ascolto, ma di caratura ben diversa. Due declinazioni quindi di quell'universo sonoro mutevole e mutante chiamato black metal dove quella che sulla carta doveva essere fonte di intransigenza sonora si è trasformata in poco tempo in uno dei generi più sperimentali del mondo della musica. In entrambi i casi il contenuto tematico si allinea al così detto orthodox black metal, mantenendo una certa corrente tematica dai connotati religiosi e mistico/satanici legati a una concezione spirituale e teistica della figura di Satana, anche quando non nominato esplicitamente ed evocato in scenari decadenti e di morte. Elemento questo che collega quanto qui sentito con molte delle uscite del periodo capitanate da Funeral Mist, Deathspell Omega e compagnia varia. Abbiamo quindi comprova di un underground florido che, partendo dalle innovazioni e rivoluzioni avvenute in campo black metal durante la prima metà degli anni duemila, reclama la natura sacrale, indomita, oscura del metallo nero, genere che alla fine dello scorso millennio è stato assorbito dalla cultura mainstream a discapito delle vicende di cronaca nera, attachi alle chiese, blasfemia e dichiarazioni antisociali che avevano lanciato la seconda ondata nell'immaginario collettivo del mondo metal e non solo. Passati gli anni, smussati gli angoli e fatto intendere ai protagonisti di quella stagione del black metal che c'era il potenziale per tirare su molti soldi, le varie etichette sono infatti riuscite a rendere anche questo attacco a tutto ciò che è caro alla cultura occidentale moderna una delle tante categorie da inserire nei negozi di dischi. Ecco quindi l'esplosione di emuli vari dai connotati sinfonici e melodici, e dall'estetica più legata a vampiri o grossolane blasfemie, piuttosto che all'occultismo e satanismo seriamente intesi, e ancor meno alle istanze politicamente nere che a volte avevano alzato la loro testa in alcuni gruppi. Un prodotto vendibile per una ribellione controllata e che non esce dai solchi dei dischi, che ha creato vere e proprie rockstar dai pantaloni in pelle e conti in banca molto corposi (si vedano le figure di Satyr e Frost dei Satyricon, spesso bersaglio preferito degli irriducibili del black metal, o le battaglie legali legate al nome Immortal foriere di vere e proprie telenovelas giudiziarie). Fine quindi del fuoco nero? In realtà no. Come successe decenni prima con il punk, il lato più intransigente del genere accenderà nuovi focolai nascosti dall'occhio delle grandi distribuzioni, creando durante i due decenni del nuovo millennio una serie di scene che ripartendo dalle premesse del genere rifiniranno in maniera ancora più seria e pensata i suoi dettami, prestando anche il fianco a un'innovazione che invece di snaturare ha rinforzato ulteriormente il black metal rendendolo un universo a sè con le sue galassie e pianeti musicali. L'uscita qui analizzata entra in questo contesto,figlia di un mondo che ha le sue etichette, collaborazioni, modus operandi, tutti elementi che ritroviamo in queste tracce. 

Swallowing the Sun

"Swallowing the Sun" si apre con effetti estranianti e minimali, con un effetto sperimentale e dai connotati drone/dark ambient che configurano istanze spettrali e maligne. All'improvviso maestose chitarre altisonanti e cori sacrali creano una lenta marcia epica che introduce il suono evocativo dei Rebirth Of Nefast, con arie rallentate e monolitiche su cui vocals quasi nascoste sotto alla musica ringhiano il testo, muovendosi tra riff ossessivi e spunti melodici striduli. Viene evocato il portatore di luce, preservatore del fiume della vita, chiedendogli quanti sono i giorni che rimangono e chiamandolo la stella più vile dell'universo (non è difficile intuire che parliamo di Lucifero). Una catastrofe simbolo di sei miliardi di deformità catalogate e sparse per i quattro venti (evidente riferimento in questo caso all'umanità, vista non certo in modo benevolo in chiara chiave misantropa di stampo black metal). Lo strato sonoro prosegue con i suoi riff in loop, lenti e quasi meccanici, fino al terzo minuto e ventitré circa: ecco che all'improvviso il registro cambia con vocals in screaming rauco e chitarre dal tempo più veloce, assumendo connotati black metal più classici arricchiti di anti-melodie frost-bitten e batteria secca, cadenzata. Evolviamo in un grande stato di fuoco accecante, dentro la bocca di ogni uomo, donna, bambino, riempiendo i cieli con una canzone di agonia non armoniosa e facendola arrivare fino all'orecchio di dio, rendendo i suoi figli una massa di carne scricchiolante. Non ci saranno oceani di lacrime per spegnere la fiamma, perché non possono esserci lacrime negli occhi squamati. Un tripudio satanico con le classiche visioni di rovina dell'umanità e di sconfitta divina, a metà strada tra i testi standard del genere e le future elaborazioni più metafisiche del gruppo. Il passo cadenzato attraverso epicità notturne in corridori quasi orchestrali nelle loro dissonanze ipnotiche, mentre le grida demoniache proseguono con la loro nera lezione. Incontriamo una cesura dove una doppia cassa martellante si lancia in una cavalcata da tregenda che accelera il passo tra caos neri e fiumi in piena che saturano l'etere con imponente possanza. A causa della nascita dello Splendente, la fiamma brucia in eterno, e la bestia dalle ceneri si desta in modo diabolico, così come diavolerie da un corso nero. Queste ultime oscure visioni si accompagnano al suono martellante di colpi pestati e cimbali combattivi, sorretto da magistrali melodie e loop di chitarra destinati a consumarsi all'improvviso in un fraseggio dai tratti progressivi, sotto cui si muove un crescendo fatto di pelli cadenzate e falcate distorte di chitarra. Un connubio di elementi che anticipa molto dello stile futuro della band, cesellato da un finale che sprofonda nuovamente negli effetti iniziali della traccia.

Drink of the Black Chalice

"Drink of the Black Chalice" ci investe subito con colpi veloci in doppia cassa e maestose dissonanze black metal, creando un torrente sonoro combattivo e pestato. Anche le vocals di Wann sono da subito aggressive e sgolate, pregne di una furia che ben si adatta all'animosità del comparto sonoro. Egli celebra la Nera Madre, simbolo della morte, per sempre ricoperta da un manto nero, mentre taglia attraverso strati di pelle epurando la maledetta divinità dal corpo, tenendo la carne rovinata e l'umanità violata. Viene chiesto alla terribile entità di versare le sue vestigia terrene nelle nostre coppe, gridando, mentre la volontà del diavolo decreta la nascita di un abominio da una nera consanguinea. La violenza sonora rimane costante e dai tratti sinfonici, chiamando in causa uno stile vicino a quello della scuola svedese, declinato in alcuni frangenti da parti più cadenzate e incalzanti di batteria. Tratti capaci quindi di catturare l'ascoltatore con sequenze esaltanti, prima di cadere in una cesura ritmata dove si organizzano riff di chitarra dal sapore progressivo. Riprende la doppia cassa su questo movimento, tornando poi alle parti quasi rock che mostrano una struttura melliflua antesignana dello stile particolare e ibrido dei Rebirth Of Nefast. Largo quindi nuovamente alle corse più serrate e caotiche in un muro di chitarra e batteria glorioso e distruttivo. Una cavalcata continua che ci porta a oasi sonore dove tornano i tratti sospesi dove è la batteria a farla da padrona e dove i riff si fanno più sparsi. Qui vocals cinematiche ci consegnano momenti sacrali dalla nera spiritualità. Un bambino distorto nell'immagine amorevole del padre, oltre la portata della luce di dio, vede senza occhi il percorso e non sente la vita che grida. L'infante si spezza, un tempo idolo immacolato della speranza e della gloria, ora dall'esteriore corrotto. Una creatura stanca che sanguina nello sporco, vorrebbe che il nostro sangue riempisse il terreno, bruciando tutta la Terra. Il suo unico proposito è una grande aberrazione, è il Distruttore di Dio, della sua luce salvifica e del suo grande fallimento. Le arie musicali si fanno sempre più epiche, collimando poi in una coda dissonante fatta di chitarre e colpi sparsi di tamburo. Segue una digressione dark ambient presto scolpita da bordate di chitarre. Ci ritroviamo in una suite lenta ed elegante dai tratti jazz, non scevra di scale squillanti in un gioco di rallentamenti improvvisi arricchiti da vocals maligne tra il cavernoso e lo shriek. Riprendiamo quindi con una cavalcata cadenzata tornando su territori più movimentati, e anche le doppie casse spaccaossa non si fanno attendere creando nuovi viaggi in picchiata nell'abisso, naturalmente pronti a incontrare alcune breve variazioni prima di riprendere con il tripudio di cimbali e colpi veloci. Siamo davanti alla fine senza pietà del desiderio materno, mentre l'entità femminile viene esiliata nella sua gioventù e fatta strisciare nello sporco dell'Abisso, lamentandosi ai piedi del Signore, vuota del contenuto del calice nero l'umanità viene premiata dall'infertilità, il sangue saturo è mischiato con la cenere e la creatura stanca sanguina nello sporco, in una preghiera verso la morte. Il finale prevede rallentamenti epici dalle costruzioni appassionanti, che lascia poi spazio a un fraseggio spettrale che va a perdersi nell'oblio.

Through the Roots

"Through the Roots" è la prima traccia dei Slidhr contenuta nel lavoro, un episodio che sin dalle prime battute mette in chiaro la natura caotica e trionfalmente violenta del progetto: ecco infatti che dopo una declamazione iniziale sgolata, parte un muro di chitarre gelide e distorte, scolpite dai colpi della doppia cassa. Un black metal militante e senza fronzoli, che incontra cesure altrettanto sature sopra cui si stagliano le vocals torturate e folli del cantante. Egli descrive scenari di morte e desolazione in un testo molo breve e dal sapore descrittivo, una sorta di paesaggistica decadente simbolo della caducità dell'esistenza e implicita glorificazione della morte che regna su ogni cosa. Camminando sul suolo putrido egli vede la carne dei morti sparse in lungo e largo, tanto da passare tramite le radici, mentre le ossa sono distribuite tra le rocce e i denti piantati come semi. Parole desolate che ben sposano il suono senza compromessi della band, contornato da drammatiche inflessioni di chitarra che regalano al tutto toni quasi orchestrali. Cascate di blast beat e giri distorti continuano fino al raggiungimento di una pausa seguita da un trotto cadenzato vecchia scuola che ci porta ai modi canonici dello stile norvegese del metallo oscuro. Osservando con la coda dell'occhio e sentendo un indigente sotto i suoi piedi, il narratore si aggira in un rifugio fatto di polvere e piombo, erbacce appassite e icone. Poche parole che creano sensazioni più che narrazioni complete o coerenti, sorrette dal comparto sonoro che è vero centro della composizione. La cavalcata nera prosegue tra i guaiti del cantato, mentre troviamo anche riff ipnotici che eruttano in corse folli in doppia cassa che mantengono alta la tensione con alternanze improvvise che donano un certo dinamismo al' altrimenti lineare struttura. Una coda celebrativa offre una grande epicità generata da bordate pregne di una melodia fredda, ripetuta nei suoi modi fino al finale improvvise che conclude il viaggio sonoro.

The Paupers' Bones

"The Paupers' Bones" parte con un suono spettrale di tastiera sottolineato da chitarre distorte in un fiume in piena che scorre potente insieme al passo cadenzato della batteria; inflessioni squillanti rallentano il passo mentre il cantato si manifesta sotto forma di versi sgolati, quasi ululanti. Ancora una volta ritroviamo parole che tessono immagini di decadimento del corpo e di putrefazione, in una sorta di evocazione di elementi guidata da un flusso di coscienza. Vediamo ratti nell'utero, pidocchi, bolle e il giudizio lanciato come le ossa del indigente, mentre la sabbia della clessidra è nei nostri occhi, rotta sulla nostra faccia, e gli escrementi riempiono le nostre ferite mentre nelle nostre vene si trovano le spine della corona del piedistallo. Parole che potrebbero anche essere una dissacrazione della figura di Cristo, pratica abbastanza standard per il mondo tematico del black metal, indissolubilmente legato alla blasfemia e all'attacco verso i cristianesimo. Musicalmente troviamo un loop continuo di chitarre distorte, base per i ruggiti del cantante e per il drumming ossessivo, alternato con le parti più cadenzate seguendo un songwriting abbastanza semplice, ma non privo di un certo piglio grazie all'intrusione di fredde melodie dal sapore frost-bitten. Una marcia oscura che prosegue decisa fino a una cesura preparatoria. Largo quindi a cascate di blast, riff ultra-distorti e grida infernali in un tripudio di caos primordiale che richiama alcuni tratti dello stile orthodox senza però usarne le complicanze tecniche spesso imputate al genere. Ed è così che prosegue il tutto fino alla conclusione, segnando un'altra traccia che mostra come in questa fase gli Slidhr siano in una fase embrionale non molto sfaccettata, ma dove il gusto per le atmosfere trionfali è già ben presente.

Deepest Gaze

"Deepest Gaze" è il momento conclusivo dello split, traccia priva di un testo ufficiale per volontà dell'autore e dai suoni molto sgraziati, tanto da sembrare più un demo rispetto alle altre due presentate dal progetto Slidhr. Questa volta il movimento è lento, potremmo dire quasi meccanico, e non sarebbe improprio parlare di influenze doom, mentre le chitarre sono costantemente fonte di feedback assordanti in un'atmosfera acida e malsana, dove si percepiscono alcune vocals tra il sospirato e il malevolo. Il mantra ossessivo prosegue in un'onda malsana che tocca territori in qualche modo più sperimentali, non tanto per perizia tecnica, ma anzi al contrario per il primitivismo sonoro e la scarsità minimale di elementi. Addirittura, dal secondo minuto in poi i tutto si traduce in un effetto statico continuo, entrando in territorio puramente noise e abbandonando qualsiasi valenza musical fino alla chiusura della traccia. Un momento enigmatico che lascia un po' in bocca il sapore del riempitivo, abbastanza diverso da quanto sentito nel resto dell'opera e un distacco dallo stile solito del progetto di Deegan e sinceramente non foriero di un grande interesse; qualcosa che sarebbe potuto stare benissimo al di fuori della pubblicazione, ma che per motivi che non ci è dato conoscere fa parte dello split, forse come compimento tematico del lato degli Slidhr.

Conclusioni

In definitiva "Ex Nihilio" è uno split dove i due progetti coinvolti si trovano in diverse fasi della loro storia e dove sono le due tracce dei Rebirth Of Nefast a presentare il maggior punto d'interesse rispetto a quanto proposto dai Slidhr. Con i primi troviamo infatti una maggior padronanza dei mezzi e una visione artistica già orientata verso il futuro del progetto, con un black metal feroce, ma anche tecnicamente ben formulato e dalle interessanti commistioni portate avanti con perizia e coerenza. A onor del devo, c'è da dire che qui troviamo le primissime tracce dei secondi, e che per l'arrivo del loro primo album ci vorranno altri cinque anni dopo i quali verrà pubblicato il debutto "Deluge". La band di Joseph Deegan correggerà sempre di più i tiro fondendo le suggestioni tradizionali del black metal della seconda ondata con dissonanze e sessioni più ragionate che guardano con favore ai Deathspell Omega, ottenendo tra vari split e con il secondo album "The Futile Fires Of Man" un suono che non farà mai gridare al miracolo, ma che offrirà un black metal moderno e competente allineato alla scuola islandese (isola dove anche lui si trasferirà come il collega qui presente) per gli amanti del genere. Wann aveva invece avuto modo di esternare i suoi primi lavori con il demo "Only Death", dal sapore decisamente più lineare rispetto a quanto proposto qui e soprattutto rispetto al futuro "Tabernaculum", ma dove già il poli-strumentista e produttore aveva mostrato le sue competenze. Un'opera quindi che non rappresenta il punto più lato per nessuno degli artisti coinvolti, ma dove inevitabilmente brilla più la prima parte grazie alle due tracce di black metal elaborato, moderno, dai tratti ora epici, ora violenti, ora sperimentali ed emotivi. Un elemento sicuramente unificante è dato dal comparto tematico, almeno nello spirito, legato dai sottintesi orthodox dove tramite l'esaltazione della caducità della vita e del trionfo della morte, e le blasfemie contro la religione cristiana, viene adorato il Diavolo visto come reale entità spirituale. Anche in questo caso però è il primo ospite a elaborare di più le sue parole, la dove i testi del secondo rimangono brevi accenni fatti di descrizioni che lasciano molta dell'interpretazione al lettore. Troviamo qui volendo anche una fotografia del mondo black metal a fine del primo decennio degli anni duemila, passata l'ondata orthodox e pronto a ricevere tra qualche anno le novità dello stile islandese e i rigurgiti di alcuni ritorni ai dettami del black metal più oltranzista. Un universo sonoro sempre più frastagliato e internazionale, anche grazie a internet, con in seno a sé diversi particolarismi, fazioni, scene nazionali. Se per alcuni irriducibili ormai l'essenza del genere è morta dopo il successo commerciale della seconda ondata, in realtà un occhio attento non può non osservare come ormai convivano tratti più legati ai circuiti commerciali, sia un underground che per tutta risposta si fa più intransigente a livello sonoro e tematico (si veda lo sviluppo, nonostante le ovvie opposizioni e censure, della scena NSBM legata alle ideologie di estrema destra e/o conservatrici, o la sopravvivenza della Finlandia come roccaforte per una certa concezione del black metal come realtà antisociale e slegata da logiche di mercato, o il mondo a metà della Polonia dove i Behemoth hanno raggiunto il successo planetario con il loro ibrido di black e death, i MGLA sono diventati sempre più conosciuti, ma altre band rimangono legate a correnti più sotterranei arricchendo un vasto underground). Qui troviamo tanto alcuni elementi tradizionali mutuati dal modello della scuola norvegese, tanto quanto i semi gettati da Lockhart di quei sincretismi che porterà con lui in Islanda permettendo lo sviluppo di una scena molto legata alla dissonanza e alla sperimentazione sonora; in fin dei conti il suono del black metal si è sempre sviluppato tramite influenze e conoscenze comuni, nell'epoca pre-internet sviluppata grazie al tape-trading, le lettere e gli incontri presso i concerti. Insomma, che si voglia o meno la vita del metallo oscuro è destinata a proseguire nel decennio che seguirà, ed entrambi i partecipanti dello split ne faranno parte.

1) Swallowing the Sun
2) Drink of the Black Chalice
3) Through the Roots
4) The Paupers' Bones
5) Deepest Gaze
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