SLAYER

Seasons In the Abyss

1990 - Def American Recordings

A CURA DI
MICHELE MET ALLUIGI
04/01/2016
TEMPO DI LETTURA:
7

Introduzione Recensione

Conclusi gli anni Ottanta, da molti ancora oggi ritenuti la migliore decade per il Metal, alle band si presentò la necessità di continuare il loro cammino artistico e si giunse ad un bivio: evolversi e cambiare il proprio sound oppure continuare imperterriti per la propria strada, senza curarsi delle esigenze dei fan dal nasino all'insù? Gli Slayer non sono mai stati, né sono tutt'ora, un gruppo incline a scendere a compromessi. Nel 1988 pubblicarono "South Of Heaven", il disco che insieme al predecessore "Reign In Blood" sigilla definitivamente la crescita dell'Assassino avvenuta durante la seconda metà del decennio, che li condusse al primo gradino della loro evoluzione sonora a partire dalle loro radici prettamente underground. Il 1990 è arrivato, ed a mano a mano che ci si avvicina al nuovo millennio si avverte sempre di più una maggiore necessità di cambiamento; Tom Araya e soci decisero così, seguendo fedelmente il loro modus operandi commerciale, di offrire ai propri fan un assaggio di quanto stesse bollendo in pentola in attesa della nuova pubblicazione: il singolo di "Seasons In The Abyss" venne infatti lanciato sul mercato come provvisorio "trailer" in attesa dell'album omonimo che sarebbe uscito nell'ottobre dello stesso anno. Il gruppo originario di Huntington Park non è mai stato uno di quelli a cui piace stare con le mani in mano, anzi, con la media di due anni di distanza fra un lavoro e l'altro, i seguaci della band uscito un disco potevano quasi permettersi, a grandi linee ovviamente, di prevedere quando gli Slayer avrebbero sfornato un nuovo capitolo; un aspetto scontato forse, ma vista la qualità dei lavori pubblicati un po' di prevedibilità ci poteva anche stare. La tracklist di questo singolo è studiata appositamente per i collezionisti, le tre canzoni contenute in questo cd (perché con l'avvento degli anni Novanta il Compact Disc sostituì il vinile come formato discografico di punta) mirano infatti a suscitare la curiosità non del fan medio, al quale, grossolanamente, va bene qualsiasi cosa la sua band preferita gli proponga, ma all'ascoltatore dal palato più raffinato, quello che in un singolo ricerca il prodotto collezionabile da poter esporre in bella vista sulla propria mensola e da mostrare agli amici maneggiandolo quasi come una reliquia. Oltre alla titletrack "Seasons In The Abyss", brano che da solo era già in grado di riassumere il potenziale del disco a cui avrebbe dato il titolo, la versione originale di "Aggressive Perfector", apparentemente divenuta il must irrinunciabile per i singoli degli Slayer, ed un mixaggio sperimentale della stessa traccia d'apertura. Per quanto riguarda l'artwork, il gruppo americano opta per una scelta che non solo eleva il rango di prestigio dell'Assassino ma che ne ribadisce l'assoluta noncuranza delle opinioni dei ben pensanti in merito: uno sfondo totalmente nero, volutamente oscuro per avvolgere nelle tenebre più malvagie il nome di uno dei gruppi più violenti di sempre, ed al centro il logo della band in rosso vivo, al fine di spiccare immediatamente al primo colpo d'occhio. È ad avvolgere la scritta però che troviamo la vera novità: il famoso pentacolo di spade è contenuto all'interno della nicchia di una statua raffigurante un'aquila con la testa rivolta alla sua destra. Lo stile classico ed austero della figura e la sua marcata somiglianza con il volatile presente sui simboli della Wehrmacht (il nome assunto dalle forze armate tedesche durante la Seconda Guerra Mondiale) portò nuovamente a Kerry King e soci delle nuove accuse di nazismo, alle quali ormai i quattro statunitensi erano più che abituati. Astutamente infatti, essi sfruttarono queste maldicenze a loro vantaggio, utilizzando più volte l'iconografia del Terzo Reich come simboli per esprimere ancora più marcatamente l'idea della violenza della loro musica. Sul merito o meno di questa scelta artistica ognuno tragga da sé le proprie opinioni, quello che conta è che grazie agli Slayer noi oggi possiamo goderci la stragrande maggioranza dell'Extreme Metal attuale: se non fosse stato per questi audaci tentativi compiuti da Tom Araya, Kerry King, Dave Lombardo e Jeff Hanneman, probabilmente non sapremmo nemmeno cosa siano non solo il Thrash ma anche il Black ed il Death Metal; lasciamo dunque gli altri eventuali sofismi al di fuori della questione per addentrarci più approfonditamente nel singolo con il quale la band si affacciava sull'ultimo decennio del ventesimo secolo: con i due dischi precedenti gli Slayer ribadirono la loro intenzione di evolversi e di rinnovarsi, con "Seasons In The Abyss" avrebbero ulteriormente approfondito il discorso compiendo il nuovo passo di una marcia che ci spalanca le porte dell'Inferno uscita dopo uscita.

Seasons In The Abyss

Fin dall'apertura, "Seasons In The Abyss" (trad. "Stagioni Negli Abissi")si presenta come una canzone estremamente sinistra e sulfurea: la batteria di Dave Lombardo procede marziale e cadenzata, mentre le chitarre eseguono un fraseggio pesante e ricco di note in bending che richiama all'orecchio lo stile doom di Toni Yommi dei Black Sabbath. Il rinnovamento artistico del gruppo emerge lampante fin dai primi secondi: alle sferzate thrash con cui i quattro americani erano soliti martellarci i timpani fin dall'inizio dei loro brani si sostituisce ora una godibilissima suite strumentale, sapientemente modellata per ricreare quell'atmosfera sinistra ed infernale che ci scagli nell'abisso nel vero senso del termine. Giunti al break, la batteria ed il basso si fermano per lasciare la scena esclusivamente alle chitarre, l'arpeggio eseguito da King ed Hanneman in pulito esprime di per sé più malvagità di mille brani black metal messi assieme, proprio perché non è sulla furia che puntano i californiani, bensì sulla quiete che susciti attesa ed ansia durante l'ascolto a conti fatti, gli Slayer hanno intuito che è proprio la calma apparente a lasciare l'ascoltatore spaesato, continuamente dubbioso su quanto succederà di lì a poco e con queste poche note la band coglie pienamente nel segno. Il pulito leggermente riverberato ricrea quel senso di enorme vuoto dentro al quale si propaga il suono, come se i due axemen stessero suonando all'interno di una enorme cattedrale abbandonata, ed il gong che dà l'avvio al successivo sviluppo ritmico conferisce al tutto un tono decisamente solenne. Tuttavia, dopo un passaggio sui fusti di Lombardo, non è ancora il momento del lancio definitivo, la struttura prosegue infatti ancora sulle coordinate direttrici di una canzone doom in tutto e per tutto, con i power chord imponenti ed aperti che ci accompagnano negli ultimi passi di una marcia verso il baratro. È dopo un minuto e quarantasette secondi di traccia che arriva lo stop vero e proprio, dove la chitarra si lancia in un riff old school grazie al quale abbiamo modo di ritrovare gli Slayer ai quali ormai siamo abituati. Ad accompagnare la sei corde troviamo gli immancabili stacchi di batteria, precisi e secchi come sempre, che contribuiscono allo sviluppo di un brano il cui ritmo si mantiene marziale grazie ad un tempo in ottavi; l'ostinato sulla campana del ride è ormai uno dei disegni ritmici preferiti dal batterista originario di L'Avana, che lo sfrutta per creare un avvio più disteso e meno claustrofobico rispetto ai primi lavori del gruppo: il main riff di chitarra si muove infatti su una serie di pennate terzinate in puro stile cavalcata a cui fanno immediato seguito degli accordi aperti; strofa e ritornello giocano così su un'alternanza che, seppur meno marcata rispetto allo standard della band, conferisce alla canzone un buon dinamismo di fronte al quale non si può fare a meno di scuotere la testa. Anche nella parte solista il tempo si mantiene costantemente più scandito e lento rispetto al celebre quattro quarti, King ed Hanneman hanno così modo di eseguire i rispettivi assoli costruendoli con una maggiore attenzione nell'arrangiamento, ponendo più cura alla melodia e puntando non più sulla cascata di scale cromatiche eseguite in maniera funambolica ma a pennate più incisive e d'effetto per la resa complessiva delle loro parti. "Seasons in The Abyss" sembra quindi essere una "ballad" se confrontata con i consueti stilemi della band californiana, ma in fin dei conti, essa risulta essere una delle migliori composizioni del gruppo, che ha finalmente trovato una nuova direttiva regalandoci una composizione più fresca e matura sotto tutti i punti di vista. Anche dal punto di vista lirico, il songwriting emerge chiaramente più "sofisticato" rispetto ai precedenti testi cantata da Araya; le strofe non sono organizzate meglio solamente dal punto di vista concettuale ma anche da quello espressamente metrico: il frontman di origine cilena distribuisce infatti le varie frasi con maggiore omogeneità, non dovendosi più preoccupare di cantare su parti i cui bpm viaggiavano sempre altissimi. La tematica di questa canzone verte sul classico ultimo passo che si compie prima di cadere nel baratro, gli Slayer lasciano comunque un alone di dubbio se si tratti dell'abisso della follia, della morte oppure di entrambe, dove l'impazzire precede immediatamente il morire. I rimorsi si incidono nella carne ormai morta del nostro cervello come delle lame di rasoio e l'incisione nella nostra testa anticipa così quello che sarà il vero e proprio colpo di grazia; prima del definitivo trapasso però, abbiamo ancora un ultimo istante per poter chiudere gli occhi e guardarci dentro, una sorte di ultima autoanalisi prima del buio eterno in cui ripercorrere la nostra esistenza alla ricerca di gioie e dolori di cui fare cernita nel nostro viaggio nell'Aldilà. Chiuderemo gli occhi per l'ultima volta per poi abbandonare noi stessi e lasciarci cadere nell'abisso; come se fossimo in cima ad un grattacielo e trovato il coraggio di farla finita apriamo le braccia e ci lasciamo cadere nel vuoto, allo stesso modo abbandoniamo definitivamente quell'ultimo bagliore di ragione insito in noi per morire definitivamente come esseri razionali e rinascere così come entità completamente votate all'insanità mentale. La pazzia e la morte si intrecciano così come un tutt'uno metafora della decadenza umana, dall'essere due condanne separate esse confluiscono ora in un tutt'uno che ci faciliterà il declino, segnando così la fine dell'uno ed il suo successivo disgregarsi nel tutto del più denso buio esistenziale. La nostra mente è ora lasciata libera di andare via, di liberarsi per sempre dalla sudicia prigione che era la sua anima ed abbandonare gli ultimi pensieri ormai congelati a scorrere via nell'immenso fiume del tempo come foglie autunnali portate via dal vento e posate dolcemente sulla superficie dell'acqua. L'immaginario demoniaco tipico delle liriche slayeriane passa quindi in secondo piano in favore di un'indagine introspettiva destinata a fare ritorno più volte nelle future canzoni dell'Assassino, un pezzo differente sotto molti aspetti dunque, ma indubbiamente il più affascinante del singolo.

Aggressive Perfector

 In seconda posizione della tracklist troviamo nuovamente "Aggressive Perfector" (trad. "Perfezionatore Aggressivo"), un dejavue nelle uscite singole della band di Tom Araya e soci, dato che è già comparsa precedentemente nell'EP "Haunting The Chapel" e nel successivo "Live Undead" per poi riapparire sia nel singolo di "Postmortem" che di "Criminally Insane", di cui abbiamo già avuto modo di parlare. La sua ulteriore presenza anche nel singolo di "Seasons In The Abyss" può dunque ipoteticamente essere considerata il filo conduttore che lega le varie uscite promozionali degli Slayer nel periodo 1984-1987, anche se non è da escludere che per i fan collezionisti sfegatati che abbiano preso tutto il materiale della band disponibile in catalogo, trovarsi nuovamente di fronte a questo brano potesse essere comunque un già visto ormai appurato. Come già accennato nelle precedenti recensioni, il pezzo si presenta subito come una mazzata di thrash metal old school schietta e diretta, dove la batteria martella incessantemente i nostri timpani con un tupa tupa in quattro quarti serrato ed incalzante da cui si distacca solo in vista dei rapidi ed incisivi passaggi sui tom di Dave Lombardo. È il riff di chitarra il vero protagonista indiscusso del brano, che dopo un'introduzione rapidissima e tagliente parte in quarta a mitragliare note in shredding quasi fosse la catena dentata di una motosega impazzita intenta a dilaniare le carni di qualche povero malcapitato. Essendo una delle prime tracce composte dagli Slayer nel corso della carriera, il songwriting risulta quindi molto standard: ad eccezione del medley centrale prima della parte solista di chitarra, l'unica ad uscire un po' dal coro, la struttura si mantiene sempre rigida sull'alternanza di strofa e ritornello, dove troviamo le chitarre impegnate a conferire l'adeguato stacco attraverso l'alternanza di una ritmica più serrata per la strofa con una parte più aperta e distesa sui powerchord per il ritornello. Per non propinare ai fan proprio la stessa identica canzone, che precedentemente appariva con la dicitura "fast version", ovvero "versione veloce", indicata tra parentesi, in questa pubblicazione essa compare senza didascalie esplicative nel titolo e con un ritocco più approfondito nei suoni; a differenza della versione apparsa in precedenza infatti, il pezzo generale suona più lento, anche se di pochi bpm, e con una produzione in studio nettamente migliore. Generalmente i suoni emergono più limpidi e curati; ciò si percepisce specialmente nella strofa, dove il riff di chitarra, senza fortunatamente aver perso l'attitudine thrash old school dell'esecuzione, esce maggiormente nitida e scandita a differenza del "pastone" della versione accelerata. Un ulteriore ritocco è stato dato inoltre ai suoni della batteria, che risultano più amalgamati con gli altri strumenti ed è stata inoltre applicata la distribuzione dei primi due assoli rispettivamente a destra e sinistra dell'immagine stereo grazie al panning, che consente di sentire le mitragliate soliste dei due axemen ora da un lato ora dall'altro del nostro impianto come se avessimo la band che suona proprio di fronte a noi. Stiamo comunque parlando di un singolo del 1990, quando le tecnologie di audio recording non erano certamente sviluppate come quelle odierne, ma tutto sommato questi lievi ma efficaci ritocchi limano ulteriormente la qualità di un brano che non ha mai mancato di far sbattere la testa al fan degli Slayer, inoltre rende questa proposta ancora più succulenta per i sopra citati collezionisti maniacali. Il testo della canzone vede sempre Tom Araya rivestire i panni del guru intento a formare giovani nuovi assassini il cui fine sarà quello di ripulire il mondo da tutti i deboli. Come ogni percorso che conduce ad una metamorfosi dell'essere, anche la via per diventare dei killer esperti si presenta lunga, tortuosa ma soprattutto piena di pericoli, primi tra tutti quelli portati dalla nostra coscienza, che all'inizio ci blocca e ci fa metabolizzare gli atti di violenza come un qualcosa di sbagliato ed obsoleto, in quanto legato ancora a delle convenzioni umane ormai decadute in un mondo crudele come quello attuale. L'io di ogni aspirante si trova quindi di fronte ad un bivio e la sua scelta non presenta alcuna possibilità di redenzione: o si resta schiavi del perbenismo umano oppure si abbandona immediatamente ogni preconcetto per intraprendere una nuova istruzione, che fornisca tutti gli elementi necessari per sopravvivere in una realtà sempre più dominata dalla legge della giungla; chi accetta di sottostare a questo gioco fatale le cui regole non vanno rispettate ma subite, si prepari dunque ad affrontare la sfida a cui il maestro Araya lo sottoporrà e durante la quale farà ricorso anche ai metodi coercitivi per tenere in riga tutti gli adepti di questo nuovo culto dell'Assassino. Basterà prendere la mano benevola che il nostro formatore ci tende per intraprendere immediatamente un cammino all'interno dei meandri più reconditi della nostra anima, alla ricerca di quella furia che per troppo tempo abbiamo spinto sempre più a fondo, coprendola poi con una gettata di gentilezza porgendo l'altra guancia. L'odio però non è sparito del tutto, ma è sempre rimasto là, immagazzinato dove era stato lasciato proprio per poter essere recuperato nell'estremo bisogno; lo scopo di Araya è dunque quello di fornire i giusti precetti per recuperarlo e saperlo controllare come arma contro tutti gli oppositori che la vita di tutti i giorni ci porrà davanti.

Seasons In The Abyss (Experimental Mix)

 La tracklist del singolo si chiude con "Seasons In The Abyss (Experimental Mix)" (trad. "Stagione Nell'Abisso" mix sperimentale). Strutturalmente parlando la canzone è infatti identica alla versione posta in apertura, la differenza sostanziale consiste unicamente nel missaggio generale dei suoni ed in qualche piccola variante d'autore posta nelle parti pulite e negli assoli, il che lascia ipotizzare che questo esperimento, come il precedente fatto con "Criminally Insane Remix", sia una fase di lavorazione intermedia a cui sono giunti gli Slayer durante la composizione della canzone. Ad emergere immediatamente sono le sinistre voci acute inserite all'interno della parte arpeggiata iniziale in corrispondenza degli accenti e nel finale del pezzo, poi rimosse in seguito alla decisione dei quattro musicisti americani; assieme alle note delle chitarre, caratterizzate da un ricco uso dei semitoni per conferire alla parte un'atmosfera più sinistra, i cori arricchiscono l'intero sviluppo con un espediente molto in voga nei film horror, dove le voci dei bambini ormai vengono utilizzate come effetto terrorizzante per antonomasia. La melodia orecchiabile di questi coretti ricrea perfettamente l'ansia di una sorte di ninnananna macabra, il canto notturno di una madre psicopatica che tiene in mano il corpicino esanime del figlio che ha appena martoriato ma che continua tuttavia a cullare con un agghiacciante amore materno. Per quanto riguarda il mixing generale, la diversità si nota nei suoni di batteria, dove i pezzi del set di Dave Lombardo appaiono più secchi e scarni dell'originale, e nelle chitarre, le quali, godono di un'equalizzazione differente che le rende più ovattate rispetto alla lavorazione che subiranno in vista dell'album. Sul piano compositivo, come accennato, non ci sono altre differenze se non negli assoli di Kerry King e Jeff Hanneman, che qui ci offrono all'ascolto delle parti soliste diverse dalle "originali", a testimonianza del lavoro di rifinitura compiuto dai due axeman in fase di composizione prima delle registrazioni ufficiali del loro quinto disco. Ciò ci lascia liberi di ipotizzare che i due chitarristi abbiano eseguito diverse take durante le fasi di pre produzione del disco, dove i rispettivi assoli sono stati eseguiti in parte seguendo quella sorta di canovaccio composto a tavolino in sala prove, aggiungendo di volta in volta poi le diverse variazioni portate dall'istinto per poi scegliere nei vari ascolti quella più convincente; di sicuro un simile processo di realizzazione offrirebbe un giusto compromesso tra la composizione "scolastica" e la componente emotiva, quella che lascia al pathos del musicista quella libertà di concedersi di volta in volta le licenze "poetiche" a vantaggio dell'assoluta autenticità del proprio prodotto. Un altro elemento del tutto nuovo nel songwriting degli Slayer, che nella versione originale resta un po' in disparte ma emerge più nettamente in questo missaggio sperimentale, è l'utilizzo delle voci armonizzate, una soluzione compositiva del tutto innovativa per i quattro americani che trova qui la sua prima prova su strada con un risultato assolutamente positivo. La prima locazione delle doppie voci la troviamo nel pre ritornello per poi estendersi anche nel ritornello immediatamente seguente; l'utilizzo delle parti vocali da parte di Araya qui risulta concettualmente semplicissimo, ma talvolta è nella semplicità che si nascondono le rese più sorprendenti: all'inizio di questa sessione, il vocalist di origine cilena esegue due parti in tandem (chiaramente registrate una di seguito all'altra in studio), una bassa di tonalità, molto simile al parlato, una invece più alta, che sfocerà poi in un urlo disperato arricchito con l'eco nelle due frasi conclusive dei rispettivi capoversi ("Frozen eyes stare deep in your mind as you die" trad. "Occhi congelati fissano in profondità la tua mente appena muori" e "As you go insane...go insane" trad. "appena impazzisci... impazzisci") ed il risultato si rivela essere ad hoc per esprimere metaforicamente il salto nel baratro raccontato nelle liriche. Se questa chicca canora avesse avuto lo stesso risalto anche nella versione confluita nell'album omonimo, "Seasons In The Abyss" avrebbe reso ulteriore giustizia sia del gruppo in toto sia anche alla sperimentazione artistica di Araya nel ruolo di cantante, aspetto che, data la prevaricante potenza della band, molte volte resta troppo schematicamente bollata come un insieme di urla folli.

Conclusioni

Il singolo di lancio di "Seasons In The Abyss" è dunque un prodotto mirato verso chi già conosce e segue la band, dato che in esso, salvo la titletrack del lavoro venturo, non sono presenti altre novità. Anche le differenze dei suoni nei missaggi si possono cogliere solo se si ha già avuto modo di ascoltare e metabolizzare in toto le versioni precedenti, in modo da essere in grado di fare i dovuti confronti similmente ad un lavoro filologico compiuto sulle varie tradizioni di un'opera testuale. Quel che è certo, è che gli Slayer si apprestavano ad avvisare i fan che di lì a poco la loro evoluzione artistica sarebbe continuata verso nuovi orizzonti, rendendoli in grado di sperimentare soluzioni artistiche nuove che li svincolassero dagli stilemi dell'old school per catapultarli verso una metamorfosi che, col senno di poi, li rese una delle band più longeve e fondamentali del panorama metallico. In un certo qual modo dunque, anche Tom Araya e soci si apprestavano a compiere il proverbiale cambio stilistico che coinvolse gli altri loro colleghi della scena thrash statunitense alla soglia degli anni Novanta (Metallica e Megadeth in primis), con la sostanziale differenza di resa nel risultato: se infatti i Four Horsemen si avviavano verso il periodo meno roseo della loro carriera, paradossalmente gli Slayer si apprestavano a realizzare alcuni dei migliori capitoli della loro discografia e la fama di cui poterono godere i quattro thrasher di Huntington Park fu ottenuta certamente grazie al supporto di sostenitori accaniti, ai quali non bastavano più i prodotti "da banco" dell'Assassino per saziare la propria fame di violenza sonora, ma necessitavano di qualche chicca più sfiziosa. Queste tre canzoni infatti mirano a colpire il fan più accanito laddove egli abbia il proprio punto debole, nei dettagli. È nelle piccole grandi cose infatti che questo singolo risulta efficace per essere appetibile dall'ascoltatore maniacale, in quella serie di piccole minuzie che distinguono di poco la titletrack ed il suo rispettivo missaggio sperimentale e la versione di "Aggressive Perfector" qui presente dalle precedenti; quest'ultima traccia in particolare sembra ormai essere diventata una specie di punto di riferimento per chiunque si voglia cimentare nella caccia al tesoro del materiale degli Slayer, in quanto presente solo nelle pubblicazioni più ricercate del gruppo, ergo, essa funziona quindi come una sorta di timbro di qualità per il disco che la contiene. Al thrasher medio questo singolo potrà apparire una pubblicazione quasi inutile nel catalogo della band americana, ma ad un'analisi ulteriore si nota come questo possa essere un altro colpo d'astuzia di Tom Araya e soci: capita raramente che un artista concepisca una pubblicazione appositamente per i propri collezionisti a discapito della maggioranza di fan "normali", che sono poi la grande fetta di vendite commerciali; la filosofia dietro questo prodotto dunque è semplice ed innovativa allo stesso tempo: i dischi degli Slayer si possono acquistare ovunque e tutti li possono avere, ma è solo la vera dedizione che rende i fan meritevoli di godersi appieno questo singolo di appena tre tracce. Prima del grande passo verso il nuovo album che la lancerà negli anni novanta, la band si sofferma a premiare i suoi seguaci accaniti con tre canzoni le cui differenze nascondono al loro interno un piccolo enigma che solo i più dediti sapranno risolvere dopo un longo ed approfondito ascolto.

1) Seasons In The Abyss
2) Aggressive Perfector
3) Seasons In The Abyss (Experimental Mix)
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