SLAYER
Seasons In The Abyss
1990 - Def American Recordings
MARCO PALMACCI
16/03/2016
Introduzione Recensione
9 Ottobre 1990: la Storia degli Slayer stava proseguendo a dir poco spedita, senza conoscere intoppi di sorta. Sembravano passati secoli da quei debutti acidi ed indiavolati, quel duo di dischi che permise a quattro giovanissimi Metallari di farsi largo in un panorama affollato e pieno di concorrenza (a dir poco agguerrita): "Show Now Mercy" era la rabbia, "Hell Awaits" l'oscurità.. "Reign in Blood" fu entrambe, contemporaneamente. Un mix letale destinato a cambiare le sorti del nostro genere preferito. Il 1986 fu di fatto l'anno di definitiva ascesa dell'Assassino; i nomi di Jeff Hanneman, Kerry King, Tom Araya e Dave Lombardo furono da allora accostati ad uno degli album più importanti della storia del Thrash e del Metal in generale. Un disco che cambiò per sempre il modo di intendere il concetto di "estremo musicale", la svolta, l'inizio di tutta una serie di assalti sonori che di lì a poco avrebbero trovato la loro definitiva codificazione. A "Reign in Blood" seguì dunque il buon "South of Heaven", non totalmente ai livelli dell'illustre predecessore ma comunque in grado di esaltare i fan (certificato disco d'oro esattamente come "Reign.."). Un disco che mostrò una sorta di "rimaneggiamento" generale del sound: proprio perché impossibilitati a creare un album che per stile fosse superiore a "Reign..", i quattro decisero saggiamente di adottare uno piglio "diverso" dal solito, non certo mutando completamente la loro attitudine violenta, ma cercando nuove soluzioni derivanti da tutta una serie di predilezioni per i rallentamenti e le atmosfere opprimenti. Non si poteva donare alle stampe una "fotocopia" (che si sarebbe rivelata sicuramente scialba, per altro) del loro capolavoro assoluto. "South.." fu dunque un prodotto decisamente violento ma comunque "ragionato", non certo una tempesta di rasoiate in pieno volto come il suo predecessore ma sicuramente un bel macigno con il quale avere a che fare. Giungiamo dunque -come detto in apertura- al 1990: anno che segna l'inizio di un decennio di grandi cambiamenti, importantissimi ed imprescindibili. Decennio che gli Slayer decidono di inaugurare -per l'appunto- con la pubblicazione di "Seasons in the Abyss", disco che confermò lo stato di grazia del combo americano e consegnò alla Storia un'altra perla di Thrash grezzo e sulfureo, dominato da atmosfere opprimenti ed anche dalla tanto amata ultraviolenza, ma senza "esagerare", così come successe in "South..". La genesi di "Seasons.." ebbe inizio nel Marzo del '90, quando tutto il combo (seguito dall'ormai inseparabile produttore Rick Rubin) si trasferì negli "Hit City West" per iniziare le registrazioni, le quali terminarono in Giugno presso un altro studio di registrazione, ovvero i "Record Plant" di Los Angeles. Autentica "Mecca" del Rock e del Metal, in quanto proprio nei "..Plant" molte leggende della musica pesante registrarono diversi loro capolavori. Si pensi ai Black Sabbath di "Vol.4", ai KISS di "Creatures of The Night" o al Malmsteen di "Rising Force", per intenderci. Insomma, una location senza dubbio ispiratrice, che permise dunque agli Slayer di concretizzare quello che, in fin dei conti, fu una sorta di "mix" letale di quanto già udito in "Reign.." e "South..". Violenza ed Atmosfera furono le parole d'ordine, il tutto ben tenuto assieme da un guitar work decisamente complesso e particolare. Letali alternanze di sfuriate sonore e rallentamenti violenti, come testimoniato del resto dagli estremi del disco: "War Ensemble" e la titletrack, poste rispettivamente come opener e closer. Qualche critico ha giustamente visto in questo nuovo episodio di casa Slayer forse l'episodio più maturo dei Nostri thrashers. Un disco che può fregiarsi di soluzioni interessanti, che non risulta solamente "fracassone" ma anzi, porge il fianco a diversi frangenti per nulla banali o scontati. L'ennesimo (e riuscito) tentativo dell'Assassino di risultare, dunque, interessante e mai noioso o fotocopia di sé stesso. Se squadra che vince non si cambia (la presenza del pigmalione Rubin affiancato sempre dal "fratello" Andy Wallace in sede di produzione; l'artwork oscuro ed allucinante sempre ad opera di Larry Carrol come fu da "Reign.."), a mutare fu solamente l'etichetta discografica. Gli Slayer, infatti, ruppero definitivamente con la "Def Jam" in seguito ad un'accesa discussione che Rubin ebbe con il suo rivale di sempre Lyor Cohen. Di tutta risposta, il produttore degli Slayer fondò la "Def American Records", in seguito denominata semplicemente "American Recordings" e divenuta famosa per le sue collaborazioni con gruppi sia "classici" (gli stessi Slayer, gli ZZ Top) sia alternative (System of A Down su tutti). Cambio di etichetta, ma successo pronto nuovamente a bussare, presentandosi all'uscio con le braccia cariche di doni. "Seasons.." fu certificato disco d'oro e raggiunse ben presto alte posizioni nelle classifiche americane e britanniche, senza contare il grande apprezzamento ricevuto sia dai colleghi "anziani" sia dai più giovani. I S.O.D. di Scott Ian omaggiarono il disco parodiandone il titolo in un loro singolo del '99, denominato "Seasoning the Obese", mentre il bassista dei Children of Bodom, Henkka T. Blacksmith lo definì addirittura il miglior album Metal di sempre. Ancora una volta, la carne al fuoco è tanta: possiamo dunque calarci appieno in questo viaggio nell'Abisso, calandoci nelle profondità più recondite del Male e dell'animo umano. Let's Play!
War Ensemble
Un riff pregno di dichiarati e per nulla velati rimandi al periodo "Reign in Blood" apre dunque il primo brano del lotto, "War Ensemble (Ensemble di Guerra)", anche se notiamo sostanziali differenze fra il piglio dominante del capolavoro dell'86 ed il pezzo in questione. La produzione, infatti, sembra proseguire sulla scia del "supporto al massiccio" tracciata da "South of Heaven", tralasciando la fredda e gelida crudeltà di "Reign..", il quale suonava senza dubbio più "secco" e sferragliante, proprio per questo più cattivo che mai. Pesantezza sulfurea e paludosa, dunque, in questo inizio di brano, che comunque riprende i tempi di "Angel of Death" e si scaglia contro le nostre orecchie violento come una rasoiata (..un rasoio dalla lama meno affilata e più spuntata, che volendo potrebbe anche far più male. Questione di gusti). Ottimo lavoro della coppia King / Hanneman e dell'instancabile Lombardo, maestro dei tempi concitati e del drumming di sicuro effetto. Il drum kit del cubano è la solita arma letale, il batterista emette la solita raffica precisa al millimetro, sulla quale l'interno ensemble può stagliarsi per donare vita ad una magnifica e violenta cavalcata. Araya suona divinamente sguaiato ed urlante, andando ad adattarsi a quello che il contesto generale richiede. Velocità, pestare duro, dunque il bravo frontman si adegua senza neanche bisogno che glielo si chieda. Cantato dunque più che mai azzeccato, abbiamo in seguito (dopo appena 1:34) il primo assolo eseguito da Hanneman: un tripudio di velocità, un sound meravigliosamente cupo, quasi proveniente da chissà quali tetri abissi, note strozzate che implorano pietà e si susseguono in un incessante quanto allucinante ricorrersi. Subito dopo Araya si esibisce in un refrain particolarmente efficace, il quale prelude ad una breve sezione strumentale la quale dà dunque il "benvenuto" ad una fase meno concitata, scandita da tempi più quadrati e precisi. Un momento assai apprezzabile, una decelerazione sensibile che comunque non disperde neanche un grammo della violenza che abbiamo udito sino ad ora. Preciso battere al minuto 3:25, il tempo viene tenuto in maniera assai più marziale; possiamo udire le urla di Araya e sempre su questa base ritmica si avvicenda lesto l'assolo di King. Al contrario dell'esecuzione di Hanneman, il momento solista del buon Kerry risulta essere di più ampio respiro e può dunque ritagliarsi un ruolo più importante: dapprima l'esecuzione si configura come una cupa melodia, un susseguirsi di note nere che comunque non sembrano troppo scalpitanti. Viceversa, nella seconda parte la velocità d'esecuzione aumenta ed ogni nota sembra acquisire velleità molto più pungenti, acri, quasi urticanti. Emessi a gran velocità, i suoni di King hanno dunque il compito di riportarci verso i ritmi spaccaossa caratterizzanti dell'intero brano: si ritorna dunque ad agitare la testa, il cantato di Araya è splendidamente sofferto ed a chiudere definitivamente l'episodio è un bel dialogo chitarristico fra i due axemen, seguito da una bella rullata finale di Lombardo. Il primo testo della release, come facilmente intuibile dal mood strumentale e dal titolo, tratta dunque la guerra; situazione della quale gli Slayer vogliono sottolineare la forte negatività, denunciandone gli orrori a suon di immagini forti e shockanti. Parliamo di bombe e di plotoni di soldati fatti saltare in aria, parliamo di uomini che si uccidono l'un l'altro senza rendersi conto di star ferendo mortalmente un proprio fratello. Parliamo degli innocenti massacrati, delle città devastate, delle famiglie distrutte. Delle morti nel fango e nel sangue, degli arti amputati, dei proiettili, dei bombardamenti a tappeto. Tutta una serie di immagini allucinanti che ben si sposano con i ritmi frenetici e che sottolineano l'attitudine anti-bellica di un gruppo che, per metterci dinnanzi alla negatività del contesto cantato, sceglie la via della terapia d'urto. Molto spesso, noi comuni "borghesi" non abbiamo l'esatta dimensione di cosa sia un conflitto. Scegliamo di sostenerlo o meno a seconda di ciò che dice il giornale, maturando la nostra visione delle cose dinnanzi ad una tazza di the.. mentre migliaia di soldati muoiono per cosa, ancora, non ci è dato saperlo. King e soci dipingono dinnanzi ai nostri occhi l'atrocità di un conflitto bellico, condannando i media e l'informazione nonché la politica. Organi rei, secondo gli Slayer, di aver "spettacolarizzato" le varie guerre rendendole unicamente un elemento di propaganda. Sostenere un conflitto o meno è ormai elemento di campagna elettorale, un mero espediente accumula-consensi. Nulla importa, ad un politico, cosa succeda su di un campo di battaglia. Quanti soldati, quanti civili muoiano.. per il potere è importante che il tutto continui esattamente così. Spargimenti di sangue mascherati da "missioni di pace", non è certo difficile scorgere in queste liriche anche un attacco alla scellerata politica estera statunitense, da sempre volta all'arrembaggio privo di vergogna nei riguardi di tante potenze definite per lo più "scomode" dalla Casa Bianca.
Blood Red
Prima decelerazione importante con l'avvicendarsi di "Blood Red (Rosso Sangue)", il quale viene aperto da un battere ipnotico e tribale di Lombardo, sul quale la coppia chitarristica può dar vita ad un riff inquietante e sicuramente di grande atmosfera. L'oscurità si dipana presto nell'ambiente ed in questo senso possiamo intuire come l'intento degli Slayer, questa volta, non sia quello di farci male correndo a folle velocità. Dopo un preciso battere di charleston abbiamo dunque lo scandirsi del riff d'apertura, il quale suona contenuto e pesante, per nulla furioso o d'attitudine belluina. Un espediente che comunque funziona, riuscendo a mostrare quanto gli Slayer sappiano risultare accattivanti anche quando non corrono a mille all'ora. Il ritmo così come le chitarre sono infatti intenti più ad incalzare che a travolgere, mostrandoci un insieme compatto intento a cavalcare, con passo pesante e preciso. Anche il cantato di Araya risulta meno ruvido e sguaiato, andando a prediligere linee vocali ben più adatte ad un contesto si incedente ma comunque buio e perentorio. Si continua su quest'ottima andatura senza andare a sfociare in nulla di particolarmente violento: anche il primo assolo, quello di Hanneman, rusulta caratterizzato da un'andatura assai melodica, particolarissima. Niente spigoli o rovi, anzi, un momento solista che segna l'inizio di un meraviglioso inizio di dialogo col collega King, dialogo che si dipana lungo una considerevole quantità di tempo. Dialoghi oscuri fatti di melodia "occulta" e catacombale, quasi il tutto provenisse dalle profondità di una tomba scoperta. Impossibile non farsi rapire da questi infernali carrilon, note certamente più "ariose" e rilassate di quelle presenti nei soli di "War.." ma comunque altrettanto cattive ed inquisitorie nel loro essere. Forse uno dei momenti più belli dell'intero disco, un frangente che ci mostra quanto l'intesa fra i due chitarristi fosse al suo apice. Affiatamento totale che permette dunque di codificare appieno il sound "lento" degli Slayer. Quello che non sceglie la via della bastonata, ma che al contrario decide di inquietarci montando un'atmosfera tetra la quale riesce sempre a mantenerci su di un costante "chi va là". Il brano ha in sé una durata esigua e si chiude così com'era iniziato.. in maniera decisa, ordinata ma con un tanto di funereo intrinseco ed ancestrale. Le liriche, a discapito dell'andatura musicale, sembrano sempre improntate su di un mood anti militaristico già intrapreso in "War Ensemble", di fatto collegando almeno testualmente le due tracks. In questa determinata occasione gli Slayer accendono definitivamente i riflettori circa la loro idea di "missione di pace", da loro definitivamente esplicata lungo queste liriche. Il gruppo pensa, come già sostenuto nell'analisi testuale del brano precedente, quanto la parola "Pace" stoni nel mezzo di una campagna militare atta ad annichilire totalmente il nemico a suon di proiettili e bombe. Ben strano cercare di evitare una guerra spargendo il sangue, quel liquido cremisi che di fatto tinge troppi terreni in troppe nazioni. "Sostieni la LORO verità con un'arma", questo il duro attacco degli Slayer alle potenze mondiali, le quali come già detto amano inventare storie pretestuose atte a circuire il popolino ignorante. Storie che affondano le loro radici in xenofobia di bassa lega, storie che millantano "presunti" attacchi alle grandi potenze mondiali da parte di nazioni infinitamente più piccole.. insomma, invenzioni e compilation di yarballe atte solamente a fomentare il militarismo più cieco. Cosa si nasconde, dietro tutto ciò? Naturalmente, interessi politici ed economici. Guerre condotte per accaparrarsi preziosi giacimenti di materie prime, guerre intraprese per scalzare governanti ritenuti "scomodi" dai poteri forti.. tutto può far brodo. Quando sei seduto dietro la scrivania più importante del mondo, puoi dichiarare guerra a chiunque. Si possono chiamare certi conflitti in mille modi: "esportazioni di democrazia", "missioni di pacificazione".. la verità è solo una; ed il suo volto corrisponde a quello di un teschio incappucciato e brandente una falce. La guerra è compagna della morte, e questa è il fine ultimo di qualsiasi conflitto. Gli Slayer dunque squarciano il velo di maya, chiedendosi come possa la libertà essere così sporca di sangue. Domanda le cui risposte, purtroppo, sembrano essere tutt'oggi perse dietro il paravento della menzogna (e sono passati la bellezza di ventisei anni, dal concepimento di queste liriche). Trivia: si pensa che per il concepimento della tematica e delle liriche, gli Slayer si siano ispirati ai tragici fatti di Piazza Tienanmen, svoltisi fra l'Aprile ed il Giugno dell'89. Un gruppo di studenti, intellettuali e dimostranti d'ogni ceto, durante quei mesi, si ritrovò nella piazza principale di Pechino per protestare a gran voce contro i soprusi della tirannia del governo cinese. Inutile dirlo, la rivolta venne lavata col sangue. Celebre è rimasta, nella Storia, la foto che ritrae uno studente ignoto stagliarsi stoicamente e disarmato contro l'avanzata dei carri armati dell'esercito.
Spirit in Black
Di contro, si torna a correre con il sopraggiungere di "Spirit in Black (L'Anima in Nero)", brano che non mostra certo la potenza di "War Ensemble" ma che comunque alza non poco l'asticella dell'aggressività. Riffing sostenuto e manesco quanto basta, massiccio e ben calibrato, il contesto generale risulta sicuramente più concitato e selvaggio di quello udibile nel brano precedente; le chitarre di King ed Hanneman riacquisiscono notevole pesantezza ed abbandonano (anche se non del tutto) la volontà di colpire con sensazioni troppo complesse da afferrare. In poche parole, gli Slayer vogliono tornare a farci muovere la testa, e lo fanno con grande maestria. Anche Araya torna più rabbioso, e gli unici momenti più "ragionati" si hanno in fase di refrain, momento che diviene senza dubbio più incline a ritmiche precise e meno belluine. Lombardo è in questo senso un maestro, riuscendo ad adattarsi ad ogni tipo di situazione in maniera a dir poco egregia. Primo ritornello andato e si riprende con una strofa sempre sostenuta e crudele, fino all'arrivo di un nuovo ritornello che smorza leggermente i tempi, proprio come in precedenza. Dopo l'ultimo refrain può dunque entrare in scena Jeff Hanneman, il quale parte spedito con la solita pioggia di note taglienti ma in seguito si diverte a rivestire il suo solo di apprezzabilissime velleità Heavy, degno tributo al genere che lo ha formato. Notiamo come le sue note lunghe e sibilanti si intersechino meravigliosamente con Tom Araya che sopraggiunge di lì a poco, attaccando un nuovo ritornello questa volta fregiato anche dai tremolanti sibili emessi da Jeff oltre che del cantare oscuro ma rabbioso del bassista. Minuto 2:13, i tempi divengono stavolta concitati e gli Slayer sembrano tornare ad essere quelli di "Reign in Blood". Se aspettavate una sfuriata alla "Piece By Piece", beh, verrete accontentati di sicuro! Fra un Dave Lombardo che preme sull'acceleratore trascinandosi tutto il gruppo dietro, i rugginosi e sferraglianti dialoghi fra Jeff e King, il cantare veloce e serrato di Tom.. letteralmente, c'è da sfregarsi le mani, facendosi al contempo travolgere da questa decisa e terribile impennata. Il contesto è dunque perfetto per Kerry King, il quale può mostrarci il suo stile ben più violento e "spaccone" di quello del compagno di sezione. L'assolo di Kerry è una bella pioggia di fulmini meravigliosamente supportata dalla pesantissima ascia di Jeff. Melodia trafiggente, note sparate al fulmicotone che sembrano quasi squarciare i nostri padiglioni auricolari, l'intero momento solista è un dipanarsi tempestivo e celerissimo di spilli. L'Estremo è dunque prepotentemente richiamato in causa, così come possiamo udire dalle battute conclusive, le quali continuano a stagliarsi sul drum work di un Lombardo ispiratissimo e decisamente infuriato. Improvviso finale "a sfumare" e possiamo dunque terminare qui la nostra avventura. Graditissima sorpresa, questo improvviso cambio di rotta a brano più che inoltrato! Dall'antimilitarismo sbandierato nei primi due testi, si torna ad affrontare nelle liriche qui presenti tematiche legate all'immaginario occulto-satanista che tanto fece la fortuna della gioventù dei Nostri. Sembra proprio di essere tornati ai tempi di "Show No Mercy", leggendo versi come "spiriti condannati a marcire fra lingue di fuoco e zolfo"; se non è abbastanza chiaro si sta parlando dell'Inferno, il luogo simbolo dell'eterna dannazione, luogo ove tutte le "anime in nero" possono trovare una casa -per così dire- confortevole. Chi ha tanto amato il Male in vita si troverà a subirlo sulla propria pelle in questa dimensione maledetta, ove l'odore è irrespirabile ed il fuoco divora tutto ciò che gli viene dato in pasto. Lingue roventi bruciano la nostra pelle, i nostri polmoni esplodono a causa dell'aria irrespirabile.. e lui, l'Arcidemone, è divertito nel porci questo particolare benvenuto, ridendo sadicamente dall'alto del suo trono blasfemo. Dinnanzi a Minosse non si può mentire e Satana lo sa bene. Siamo condotti dinnanzi al giudice assoldato dall'Angelo Caduto, e nonostante cerchiamo di negare le nostre colpe, veniamo inesorabilmente messi dinnanzi ad esse. Non c'è cosa che il Diavolo ami di più nello scorgere il terrore cieco e madido di sudore / pianto negli occhi di chi viene a sapere d'essere destinato alle profondità infernali: le urla di chi viene scaraventato nell'abisso del fuoco divoratore suonano come dolci violini alle orecchie dell'arcidemone, il quale si bea del numero crescente di anime che si trova ad ospitare, giorno dopo giorno. Or dunque, nelle strofe finali, il Monarca Blasfemo ci porge la mano, invitando quasi tutto il genere umano a far propria la morale dell'Inferno. Siamo esseri programmati per odiare, in un modo o nell'altro la nostra attitudine propende sempre verso il nero. Cosa aspettiamo ad accettarci, divenendo così vassalli dell'Oscurità? Satana ci promette l'immortalità.. ma sappiamo tutti qual è il prezzo da pagare, se si scende a patti col maligno.
Expendable Youth
I tempi si fanno più precisi ed ancor più perentori con l'arrivo della quarta traccia, "Expendable Youth (Gioventù Bruciata)". Battere ossessivo di Lombardo sormontato da un riff grosso ed incombente, perfettamente reso tale dai nostri King ed Hanneman, in questo senso nuovamente orientati verso l'uso di un guitar work meno tagliente ma molto più pregno di atmosfere marziali ed oscure al contempo. Il ritmo sfruttato da Dave non cambia poi molto lungo tutto il pezzo e si staglia su di un mood essenziale ma efficace: possiamo udire un largo uso dei piatti e significativi giri di tamburi, mentre Tom Araya è intento a declamare i versi del brano con piglio dittatoriale. Jeff e Kerry non cambiano nemmeno loro, preferendo mantenere intatta l'atmosfera marziale, cupa e quadrata promossa sin da inizio brano. I tempi sembrano tuttavia inasprirsi con l'arrivo del primo assolo, il quale giunge al minuto 2:33. Sempre ad opera di Jeff, notiamo come questo momento così violento e ruggente sarebbe stato perfetto su tempi ben più veloci, anche se con il suo sopraggiungere il tutto sembra procedere verso un climax abbastanza marcato. Il contesto diviene più intenso e sofferto, dunque anche King può dire la sua, andando a ricamare nuovamente un qualcosa che avrebbe sicuramente beneficiato di un'atmosfera diversa, più violenta e veloce, meno cadenzata. Non si sta assolutamente disprezzando questa parentesi solista, anzi; solo che -e viene quasi spontaneo- non si può fare a meno di pensare a come questi soli avrebbero potuto rendere se inseriti in un contesto alla "Spirit in Black", nella sua accezione più letale. Rapido giro di tamburi ed è dunque tempo per Araya di rifare la sua comparsa; in concomitanza, il tutto diviene di nuovo maggiormente preciso e meno potente, procedendo in tal guisa sino alla fine del brano. Un buon pezzo, in linea di massima, che sicuramente si lascia apprezzare per la sua andatura particolare.. che, diciamocelo, in alcuni frangenti sembra quasi spingerci a mangiare. Bella, molto bella, inoltre, la parentesi chitarristica del finale. Ci discostiamo dal crasso (seppur meravigliosamente fomentante) "occultosatanismo" del brano precedente per affondare senza preavviso nel mondo della delinquenza giovanile. Oggetto di queste liriche, difatti, è il fenomeno delle gang da strada.. non certo trattate nello stesso modo in cui lo furono in pellicole come "The Warriors". Al contrario, gli Slayer sembrano voler riaccendere i riflettori sui lati più crudi e diretti delle risse fra bande, riaccendendo il loro spirito di polemisti ed andando nuovamente a parlare di società / loro attualità. Una società che non crede nei giovani e che anzi fa di tutto per spingerli verso la delinquenza, salvo poi lamentarsi dei costumi decadenti e della cosiddetta "gioventù bruciata" o comunque sprecata fra droghe, risse ed alcool. I giovani, soprattutto quelli dei quartieri più poveri, non hanno spesso altra scelta che buttarsi a capofitto nel mondo del crimine organizzato, per guadagnare quei soldi che dovrebbero invece cercare di racimolare lavorando onestamente. Per curare i propri interessi, però, la politica sorda e cieca non sembra minimamente interessarsi della moria dei posti di lavoro, facendo dunque salire il tasso di disoccupazione alle stelle, imponendo tasse onerose e castigando duramente i piccoli imprenditori. La disperazione, l'alienazione, il senso di impotenza, la solitudine.. fattori che spingono i giovani delle famiglie afflitte dalla crisi economica ad indossare il tirapugni, ad imbracciare la pistola o a sfoderare il coltello. In America soprattutto, il fenomeno delle gang giovanili è ormai caratterizzante dell' "urbanistica" di ogni grande città: Boston, Los Angeles, New York soprattutto. Città in cui ragazzi neanche maggiorenni amano accorparsi per poter gestire a loro piacimento intere zone, nelle quali spacciare droga ed armi. Per nulla rari, poi, sono i confronti a fuoco fra le varie bande rivali. Regolamenti di conti di stampo quasi mafioso, nei quali muoiono migliaia di giovanissimi a cui è stato negato il diritto d'essere, di fatto, ragazzi. Teenager pronti a sacrificare la loro giovinezza per una causa persa in partenza. Spararsi, accoltellarsi.. per che cosa? Per l'egemonia del territorio, per i soldi, per "il potere". Quella sensazione di fittizia onnipotenza che, come una dose di eroina, fa scordare ai criminali in erba di essere delle persone sole e fragili, con una famiglia a pezzi o magari anche senza un padre ed una madre. Condannare è facile.. aiutare, è difficile. Se venissero date delle opportunità concrete, se la politica tornasse ad occuparsi del popolo, nessuno sentirebbe più il desiderio di unirsi ad una banda / cosca per tirare avanti o cercare un senso alla propria esistenza.
Dead Skin Mask
Si arriva al giro di boa, con la quinta traccia "Dead Skin Mask (Maschera di Pelle Morta)", la quale durante le primissime battute abbassa e di molto i ritmi uditi sino ad ora. Se anche nei pezzi più lenti la volontà di risultare violenti era comunque stata preservata, da parte degli Slayer, in questo preciso frangente udiamo invece una virata significativa. Ad aprire le danze, chitarre cantilenanti quasi dal vago sapore sabbathiano, il cui ritmo viene scandito dal leggero tintinnio della campana del ride. Lombardo comincia presto a battere sul timpano, mentre le chitarre divengono leggermente più massicce ed una voce inquietante ci introduce definitivamente al brano. Una voce che di estremo non ha nulla: scura, in sottofondo, clean, sussurrante quasi. Il doppio pedale di Dave, sfoderato in seguito, risulta quasi mai violento ma anzi chirurgico al millimetro, mentre l'andatura generale non sembra subire impennate di sorta. I ritmi non sono "marzialissimi" ma anzi propendono per una sostanziale dilatazione, rallentando di molto un contesto che riesce comunque a risultare opprimente in virtù di queste precise peculiarità. Il cantato di Araya risulta comunque molto ispirato ed abrasivo, e giunge al minuto 2:18, dopo un urlo del singer, il primo assolo. E' stavolta King ad aprire le danze, adagiandosi per bene sui tempi sviluppati da Lombardo e ben supportato da Hanneman. Al solito, Kerry opta per una sostanziale velocità di esecuzione pur non strafacendo, mantenendosi su di un tipo di melodia tagliente e scambiandosi battute con l'inseparabile Jeff, il quale gli subentra spesso in fase solista riuscendo a sviluppare anch'egli dei momenti incredibilmente validi. I due chitarristi giocano con lo sporco e con la melodia, quasi stessero divertendo a rincorrersi in un pantano od una palude, per quanto il sound voglia si risultare melodico ma al contempo rallentato da una colata di fango, che rende colloso e scuro tutto ciò che le due asce riescono a partorire. Altro buon momento, proprio come accaduto nel secondo brano del platter. Un ottimo dialogo che prelude una ripresa della cantilena iniziale, alla quale subentra di nuovo una maggiore pesantezza. Araya può dunque tornare a cantare, possiamo udire in sottofondo i rapidi giri di Lombardo intervallati, ben più frenetici del tempo essenziale che il nostro decide di tenere. L'atmosfera si fa più inquietante quando, verso la fine, il tutto sembra procedere verso direzioni più pesanti, acquisendo un flavour molto più "picchiante" che "atmosferico". Il tempo diviene più asfissiante ed una voce femminile nel background rende al meglio l'idea di "pezzo costruito per raccontare le gesta folli di una mente perversa". L'urlo strozzato della ragazza lascia il posto ad una lunga e sibilante nota di chitarra, la quale sfumando chiude quindi un brano molto intenso e particolare. Protesta sociale nuovamente accantonata per far spazio ad una tematica che sembra venir fuori direttamente da "Hell Awaits": come fu per "Kill Again", infatti, anche in questo brano è presente la storia di un serial killer. A differenza della hit presente in "Hell..", però, questa volta il nome ed il cognome del carnefice sono veri. Uno dei criminali più efferati della storia, una delle personalità più deviate che abbiano mai messo piede sulla faccia della terra. Assassino, trafugatore di tombe, amante dei cadaveri.. ispiratore del celeberrimo "Leatherface", protagonista indiscusso della saga di films consegnatasi agli annali col nome di "Texas Chainsaw Massacre"; se non lo avete ancora capito, stiamo proprio parlando di Ed Gein, altrimenti noto come "il Macellaio di Planfield". Le lyrics raccontano dunque le gesta di questo pazzo scatenato, personalità disturbata sotto ogni aspetto e sin dall'infanzia predisposto alla violenza. Ed cominciò ad uccidere sin da piccolo, torturando piccoli animali come uccelli o roditori; il rendimento scolastico era pessimo, ed a detta degli insegnanti il suo comportamento era volutamente scostante e provocatorio, nonché del tutto non avvezzo all'apprendimento. Pare che il giovane Ed avesse perpetuamente dipinto sulla faccia un ghigno sardonico, con il quale affrontava il prossimo a mo' di sfida. Le cose non miglioravano di certo in casa, vittima com'era di una madre fanatica cattolica e folle interprete di versetti biblici. La travisata ed estrema concezione che la donna aveva delle sacre scritture, difatti, la portava non di rado a commettere angherie nei riguardi dei figli, come immergere i loro genitali nell'acqua bollente qualora li avesse scoperti a masturbarsi. Tuttavia, Ed sviluppò una strana sindrome di Stoccolma nei riguardi della tiranna genitrice, arrivando ad amarla più di ogni altra cosa. Fu difficile per lui accettarne il trapasso.. talmente tanto che, dopo la morte della donna, il suo cervello andò totalmente in tilt e lo spinse a trafugare cadaveri con i quali ricavare una sorta di "maschera" femminile, da indossare per cercare di rievocare la madre. Ed diventò abilissimo nel trafugare cadaveri e nel lavorare i corpi: oltre il "vestito" di pelle umana che indossava per "sentirsi una donna", aveva avuto modo di creare tante altre "maschere" nonché suppellettili (posaceneri, tazze ecc.) con i quali era solito ornare la sua casa. Prese anche ad uccidere, gettando nel panico la tranquilla Planfield, sua città natale: venne incolpato di sei omicidi ed altrettante sparizioni misteriose, a cominciare da quella del fratello maggiore. Due dei delitti vennero accertati quando la polizia fece irruzione nella sua casa, il giorno in cui una testimonianza lo incastrò definitivamente. Si dice che, dinnanzi a quello spettacolo, due agenti vomitarono immediatamente dal disgusto, visto anche il terribile odore che proveniva dall'abitazione. Gein, che era sino ad allora ritenuto soltanto bizzarro ma innocuo (tanto che poteva liberamente insegnare il catechismo ai bambini della parrocchia), fu così incarcerato e passò alla storia con il soprannome di "macellaio di Planfield". Il titolo della canzone è dunque ispirato proprio alla pratica che Ed svolgeva, "il cucito con la pelle umana". Pratica con la quale amava ricavare maschere dai cadaveri trafugati, da indossare per sentirsi ogni volta una persona differente.
Hallowed Point
La seconda metà del disco è dunque aperta da "Hallowed Point (Luogo Sacro)", la quale torna immediatamente a proporci ritmi forsennati e violenti, facendoci dimenticare in un lampo tutto quel che abbiamo sentito nella traccia precedente. Il drumming di Lombardo torna scalpitante ed incontenibile, possiamo giovare di quest'atmosfera così selvaggia mentre la coppia d'asce si adegua al lavoro del batterista, finalmente decidendo di profondere nella causa una grande dose di ultraviolenza. Che si dica, è sempre un piacere ascoltare gli Slayer mentre cercano di infrangere il contachilometri: non che episodi come "Blood Red" o "Dead Skin Mask" siano stati da buttare, per carità. E' solamente una questione di.. chiamiamolo pure principio. Ci siamo fatti rapire da questo gruppo per la sua attitudine "in your face" e per nulla avvezza ai compromessi, è dunque giusto apprezzarli maggiormente in questo frangente. Non passa molto tempo che subito veniamo investiti dal primo assolo del pezzo (ad opera di Hanneman), momento solista che richiama a gran voce le espressioni in solitaria già presenti in "Reign..". Frangente tosto e veloce, note taglienti ed urticanti, le quali sono degne introduttrici di una nuova sezione in cui il cantato di Araya è sempre più concitato e violento. Il grande protagonista dell'opera è senza dubbio Dave Lombardo, che con i suoi ritmi riesce praticamente a sostenere sulle sue spalle l'intero mondo del gruppo (come un novello Atlante), dettando i fraseggi e soprattutto concedendo a tutto il resto della band di poter letteralmente esagerare. Ce lo dimostra il successivo assolo di King, il quale sfoggia piacevolmente qualche tendenza Heavy niente male nel ricamo della dura melodia qui proposta. Assolo che dunque fa ripartire in quarta un Araya più indiavolato che mai, fino al sopraggiungere di una sostanziale decelerazione la quale si palesa verso il minuto 2:16. Rapidi giri di tamburi di Dave e così Hanneman può risalire in cattedra adeguandosi al cambio di atmosfera e prediligendo questa volta un'espressione in solitaria basata su di una melodia si trascinante ma per nulla forsennata o violenta. Idem Kerry King che gli subentra qualche battuta dopo, occupando meno spazio ma anch'egli muovendosi mediante lo stesso modus operandi. Il brano può dunque concludersi dopo un altro, ennesimo bello scambio fra i due axemen. Un po' di potenza era quel che ci voleva, decisamente! Ed il fatto che sia saggiamente giunta al momento giusto, non risultando per nulla inflazionata o ripetitiva, quadruplica il suo valore. Con il solito potpourri di immagini forti e truculente ("un proiettile sparato a distanza ravvicinata può distruggerti il testa, sfracellare il tuo cranio, spappolare il tuo cervello, recidere la tua spina dorsale" - "Emozioni violente.. convulsioni spasmiche") presentatoci senza ritegno alcuno (son pur sempre gli Slayer!), i nostri ancora una volta sembrano voler riportare le liriche su binari decisamente molto più "veritieri" che romanzati (per quanto la vicenda di Ed Gein avesse comunque fatto "centro", nell'intento di mostrarci la follia umana in tutto il suo atroce splendore). Si parla infatti di armi e di come queste vengano utilizzate in maniera a dir poco gratuita, praticamente sfoderate per qualsiasi motivo; dal più futile al più "serio". Un intento dunque, ancora una volta, di forte denuncia dietro delle liriche solo apparentemente violente. Non è un caso che gli Slayer abbiano voluto denunciare l'uso-abuso che molti fanno delle loro armi, seppur regolarmente possedute e denunciate. La pistola od il fucile, come ben sappiamo prendendo atto del secondo emendamento della costituzione degli Stati Uniti, sono quasi un vero e proprio diritto del cittadino, il quale può (naturalmente dopo essere risultato idoneo, in seguito ad una lunga trafila fatta di test attitudinali e verifica della fedina penale) liberamente comprare un'arma da fuoco da detenere nella propria abitazione, a scopo di caccia o difensivo. Il dramma è che la politica delle armi sembra essere, da troppo tempo, deregolamentata e "selvaggia". I crimini legati ai proiettili, negli U.S.A., sono tutt'oggi numerosissimi e non sono rari i casi in cui si arriva con facilità estrema ad appropriarsi di una pistola, saltando la normale trafila. Il crimine si impenna, dilaga, e dunque gli Slayer sembrano voler denunciare tutto questo, andando ad attaccare una politica troppo scellerata ed accondiscendente, la quale fa finta di non vedere cosa stia effettivamente succedendo. Uccisioni volontarie o meno, sparatorie iniziate per un nonnulla, normali liti col vicinato sfociate in un proiettile nello stomaco, stragi nelle scuole.. un insieme di cose che, di certo non portano ad essere ottimisti. La descrizione minuziosa di cosa accade quando un proiettile ci trafigge, dunque, serve a questo: Tom Araya ha voluto precisare quanto egli ritenga pericolose le armi e quanto questo brano non sia assolutamente pro armi. comunque voluto precisare di non essere un "anti armi" ad ogni costo. Il testo, sempre a quanto detto dal frontman, ha solo la pretesa di mostrare cosa può fare un'arma ad una persona, con l'aggravante di un uso scellerato e la conseguente denuncia della violenza. Araya ha anche volto spiegare, comunque, che egli non è da intendersi come un "anti-armi" ad ogni costo e che anzi, anch'egli possiede una pistola. Tutto sta nell'uso che qualcuno fa di quel che impugna. Dalle pistole alla Bibbia.
Skeletons of Society
Una nuova decelerazione è lì pronta ad incombere: è il tempo di "Skeletons of Society (Gli Scheletri della Società)", brano che si basa nuovamente sul battere preciso ed incalzante di Dave Lombardo e sul riffing incombente, quadrato e massiccio della coppia di chitarristi. Araya torna più calmo anch'egli e possiamo dunque godere di questa nuova "marcia", la quale si dipana con piglio militaresco e dittatoriale, perentorio, spingendoci a marciare in tempo (salvo qualche piccolo tentativo da parte di Jeff di ricamare brevi e turbinanti melodie stabilite su di un climax ascendente e discendente). Si continua così fino al sopraggiungere del primo assolo, il quale viene anticipato da una bella sezione nella quale possiamo Tom supportato da una voci oscura e mantrica, declamante, inquietante. Clean vocals particolarmente efficaci, subito dopo le quali abbiamo una sezione strumentale nella quale, appunto, possiamo udire Hanneman esibirsi nel suo primo assolo. Sembra quasi che il chitarrista abbia scelto di "dilatare" i suoni per rendere meno drastico il tempo altrimenti eccessivamente spigoloso di Dave, il quale in questo senso ha molta meno voglia di scalmanarsi di quanta ne aveva in "Hallowed..". Non è affatto un problema, visto che il connubio assolo ispirato / ritmica incalzante riesce a pennello, aumentando la forte atmosfera opprimente e plumbea di un pezzo che fa dei colori scuri ed angoscianti il suo carattere. Si prosegue, dopo l'assolo, col battere assassino e le chitarre massicce. Tutto prosegue meravigliosamente a tempo, sembra quasi di vedere dinnanzi ai nostri occhi un esercito marciare a passo; nuovo refrain e di nuovo i cori di voci basse e terrificanti che tornano a supportare Araya; subito dopo, piccola sezione strumentale la quale ha il merito di presentarci un nuovo assolo, questa volta eseguito da Kerry King. Come il suo compare, il chitarrista cerca di rendere il suo sound più dilatato e meno serrato possibile, passando dunque la palla al buon Hanneman il quale eccede benissimo in melodia disturbante. Assoli magari meno lunghi ed articolati di altri, ma ugualmente apprezzabili. Ritorna Araya ed il gruppo ci conduce quindi ad un nuovo refrain, ritorna la voce impostata "à la Vincent Price", mentre il finale è totale appannaggio della poderosa batteria di Lombardo sopraggiunto dalla coppia d'asce, la quale non vuole strafare e dunque ci concede di godere appieno di un gran lavoro batteristico. La conclusione risulta comunque molto anomala, in quanto il pezzo sembra collegato al brano successivo. Il testo di "Skeletons.." sembra in questo preciso momento virare l'attenzione del gruppo circa un futuro distopico o comunque "post apocalittico". La descrizione fatta di un mondo in rovina, da parte degli Slayer, è in questo senso macabramente perfetta: palazzi distrutti, piogge acide, totale stravolgimento dell'ordine naturale, nubi infuocate e desolazione. Tanta, tanta desolazione, la quale sfigura il paesaggio una volta rigoglioso ed affonda i suoi secchi rovi nel cuore del protagonista, il quale si trova (verrebbe da dire "suo malgrado") sopravvissuto a quello che sembra -quasi- un olocausto nucleare. Tutto è perduto, i ricchi sono divenuti mendicanti e nessuno sembra possedere più alcunché: ci si ucciderebbe per un bicchiere d'acqua e ci si riduce a bere dalle pozzanghere, senza dimenticarsi di chi si è dato alla barbarie per poter sopravvivere, infliggendo violenze su violenze ai propri simili. C'è chi si affida ai predicatori che millantano di conoscere "terre promesse" situate ad Ovest e non pochi sono quelli che, pur di appigliarsi ad un ideale o ad un sogno, arrivano a credere alle parole del primo ciarlatano che passa. Persino il sole si è stancato di sorgere, la follia domina ed il protagonista si sente una pedina in mano ad un perverso giocatore; come se la Morte lo stesse muovendo a sfregio su di una scacchiera, non volendo ancora prenderlo, per farlo soffrire quanto più possibile. Morte a destra, Morte a sinistra.. non c'è nulla di peggio che sopravvivere vedendo morire i propri cari. Ombre ed oscurità, venti caldi e zaffate roventi.. "i minuti sembrano giorni", inseriti in questo contesto di atroce desolazione. Al Nostro non resta dunque altro da fare che augurarsi di perir presto, per essere definitivamente strappato a quell'oblio inerte ed apatico.
Temptation
Quasi come un enjambement, dunque, fa il suo ingresso "Temptation (Tentazione)", la quale potrebbe tranquillamente considerarsi come un'appendice estrema di "Skeletons of Society", un'improvvisa accelerazione di un brano che dunque sarebbe durato all'incirca otto minuti. Le chitarre ruggiscono immediatamente, imponendo a Lombardo di sostenere un tempo concitato; il Nostro non si fa pregare e dà vita ad un ritmo di certo non velocissimo ma comunque piuttosto sugli scudi, che permette al brano di filare in maniera molto più fluente e diretta del suo predecessore, facendoci dunque riassaporare la vera natura degli Slayer, la loro attitudine tosta e veloce. Una cadenza meno selvaggia e ritmicamente più interessante viene adottata solamente in fase di refrain, momento in cui sostanzialmente si decelera abbastanza. Possiamo poi notare come nelle strofe, questa volta, Tom abbia voluto adoperare un effetto molto particolare, "sdoppiando" la sua voce e facendo dunque ripetere ogni singolo verso al "sé stesso" che lo aiuta in fase di cori. Decisamente una trovata a dir poco accattivante, che dona al contesto particolarità e personalità. I tempi ri-divengono concitati dopo il secondo ritornello, momento che dunque può far "correre" King sul filo del rasoio, portandolo ad eseguire un assolo particolarmente melodico e scorrevole. E' come se il chitarrista volesse andar veloce ma comunque conservare una sorta di "contenutezza", proprio per non strafare e non accelerando un contesto che si è ben stagliato su tempi si dinamici ma non propriamente roboanti e prevaricanti. Sezione strumentale sul finire dell'assolo che conduce ad una significativa decelerazione e di conseguenza all'adozione di una cadenza ancor più marcata ed evidente di quella del refrain. Si decelera ancora, l'andatura è particolarmente massiccia anche se il tutto è solo un pretesto per farci apprezzare ancor di più una successiva accelerazione, la quale ci propone nuovamente il ritorno di Araya. Incredibilmente, però, si decelera ancora. Cadenze ritmatissime e marziali, ma il ringhio finale di Tom ci riporta alla ripresa del riff iniziale e dunque alla conclusione di un bel brano, non lunghissimo ma comunque efficace. Le liriche di questa traccia sembrano riprendere le tematiche già affrontate in "Spirit in Black", andando a ripescare direttamente dal repertorio più "orrorifico" dei nostri e presentandoci le dirette conseguenze di un patto col demonio. Come già detto nell'analisi della terza traccia, tutti noi nasciamo in qualche modo predisposti al Male. C'è chi riesce a far in modo che la componente "buona" abbia il sopravvento.. ma come la Storia ci insegna, non è cosa comune a moltissimi. Chi dunque nasce battezzato dalla fiamma nera trova nel Diavolo un preziosissimo alleato, una spalla sulla quale poter contare, un sostegno importantissimo da poter sfruttare liberamente. L'Arcidemone, infatti, sin da subito si rivela essere un padre accondiscendente e prodigo di regali. Qualsiasi cosa gli chiediamo ci viene automaticamente regalata, qualsiasi nostra "tentazione" viene soddisfatta, qualsiasi nostro capriccio è incoraggiato a suon di premi ed abbondanza. Cosa succede, però, quando quest'ultimo inizierà a reclamare una ricompensa per il suo "interessamento" alla nostra causa? Grazie ai suoi poteri ce la siamo a dir poco spassata.. ed ora è arrivato il momento che sia lui a divertirsi. Non abbiamo saputo resistere alle tentazioni, abbiamo voluto sempre di più, ed ora la nostra anima è sua. "Nessuno ha mai vinto al mio gioco, sono tutti finiti crocifissi sul rogo!!", urla Satana, mostrandoci una sfilza di cadaveri putrescenti e costantemente fustigati dalle fiamme. Ribellarci è fuori questione, i suoi poteri sono illimitati. Non ci resta altro da fare che inginocchiarci e fronteggiare il nostro definitivo destino, fatto di eterna dannazione.. il prezzo per l'estinzione di un debito pressappoco incolmabile.
Born Of Fire
Un attacco deciso scandito a suon di rullate e riff turbinanti segna l'inizio della penultima track, "Born Of Fire (Nato dal Fuoco)", la quale sin da subito si caratterizza per essere un brano veloce ed aggressivo, tirato ed estremo quanto basta a farci dimenticare per un attimo i rallentamenti o le atmosfere opprimenti; gli Slayer tornano infatti più classicheggianti che mai, aderendo in pieno a quello che fu lo stile dei brani più aggressivi ad "Hell Awaits", seppur "Born.." possa beneficiare di una produzione assai migliore di quella dell'illustre fratello minore. Una durata esigua (tre minuti) nella quale le chitarre di King ed Hanneman si divertono a rincorrersi, superarsi, doppiarsi, a suon di assoli al fulmicotone ed un sound che di certo non crea od evoca atmosfere oscure. Quel che percepiamo è violenza allo stato puro, un bell'assalto marchiato a fuoco dall'inconfondibile pugnalata dell'Assassino. Si ha una sensibile decelerazione verso il minuto 1:48, frangente in cui la batteria scandisce tempi più ragionati e meno forsennati, ed il tutto assume un'andatura sempre concitata ma ben più chirurgica ed accattivante della precedente. La precisione incalza, l'assolo finale di King beneficia di questo "rilassamento" generale ed abbiamo così una bella prova del nerboruto chitarrista, il quale ci dimostra di sapersela ben cavare anche se i tempi non sono forsennati. Forse non avrà l'orecchio e la tecnica del compagno Hanneman, ma quel che stiamo ascoltando sicuramente non dispiacerà a nessuno. Si riprende a correre in maniera perentoria verso il finale: Lombardo scalpita e tutto il gruppo viene trascinato dalla foga del batterista, con la chitarra di King che sembra emettere un lunghissimo grido acuto, mentre Araya ritorna prepotente a ruggire. Abbiamo dunque un altro assolo del chitarrista, il quale spinge stavolta sull'acceleratore e di fatto chiude una traccia che farà sicuramente la gioia dei più nostalgici. I quali avranno di che gioire anche per il contenuto lirico del pezzo, il quale sembra richiamare ancora una volta i fasti degli esordi. Ancora una tematica à la Venom, la quale ci parla ancora una volta del principe delle Tenebre, descritto in tutto il suo fiammeggiante splendore. Consacrarsi alla sua potenza significa ricevere un battesimo particolare, il cosiddetto "battesimo del fuoco". Un rituale che prevede la rinuncia in toto di tutti i valori cristiani e cattolici, un'iniziazione che avviene direttamente nel regno degli Inferi, a suon di nubi di zolfo e Fiamme. Siamo potenziali macchine per uccidere, possediamo in noi una metà oscura pronta a venir fuori in ogni momento, a prescindere dai motivi. Anche nelle situazioni più innocue, molto spesso non riusciamo a farci passare la rabbia semplicemente urlando o sfogandoci. Sentiamo il Male crescere nel nostro cuore, la sete di sangue si acuisce, la voglia di sbranare vivo qualuno diviene più che mai vivida ed incontrollabile; è proprio di questo che il Demonio vuole nutrirsi, ed è dunque prontissimo a ghermirci nel buio, incatenandoci a quello che sarà il suo volere. Diverremo pupazzi nelle sue mani.. ma pupazzi potenti. Abbracciare il lato oscuro significa poter sondare attentamente ogni abisso della psiche umana, potersi concedere ad ogni comportamento o peccato, dai più superficiali ai più gravi. Niente sensi di colpa, solo piacere personale anteposto ai sentimenti di chiunque. No dovremo più preoccuparci di nulla, se sceglieremo di far parte dell'esercito demoniaco. Se sceglieremo di rinascere dal fuoco, il quale porrà sulle nostre schiene l'ustione sacra, la bruciatura che da quel momento in poi ci identificherà per sempre come servitori dell'Arcidemone. Uccidere, distruggere, fare a pezzi: siamo i figli di Satana e nulla ci è precluso. Chi non vorrà inginocchiarsi a noi dovrà soccombere, perire fra mille frustate e gettato in pasto ai segugi infernali. Le mandibole di Cerbero accoglieranno i nostri avversari, mentre noi rideremo di gusto, godendoci mutilazioni e pene eterne dall'alto del nostro Trono, quello donatoci dal Diavolo.
Seasons in the Abyss
Arriva il tempo di congedarci dall'ennesima grande avventura nella quale questi pazzi Thrashers hanno saputo coinvolgerci, ancora una volta: il commiato ideale è perfettamente rappresentato dalla monolitica titletrack, "Seasons in the Abyss (Stagioni nell'Abisso)", la quale cambia radicalmente le carte in tavola presentandoci un'andatura quasi doom nel suo incedere. I richiami ai Black Sabbath e a Tony Iommi si fanno palesi, mentre gli Slayer sono intenti a dipingere dinnanzi ai nostri occhi un qualcosa di allucinante, alienante a tratti, inquietante ed oscuro come la notte più nera che possiate mai immaginare. Ascoltate questo inizio brano guardando attentamente l'artwork, e capirete cosa può aver ispirato un disegno tanto estremo e visionario, lisergico e macabramente affascinante. L'incedere è di quelli bui, tetri, i nostri non lesinano melodie stranianti ed ecco subentrare al quarantacinquesimo secondo un arpeggio infernale, cantilenante; un sinistro carrilon il quale ha il compito di aumentare ancora di più i livelli di oscurità, mentre Lombardo è intento a scandire un ritmo preciso e mai invadente. Ben presto l'altra ascia, elettrica, massiccia e rugginosa, fa la sua comparsa, doppiando la sinistra melodia dell'arpeggio ed andando a sostenere il tutto a meraviglia, rendendo il momento ben più pregno di crudeltà che di inquietitudine. E' tempo di riacquisire velleità estreme, e proprio di lì a poco i ritmo divengono più "importanti" ed aggressivi: stop melodia, le chitarre tornano all'unisono a graffiare, anche se l'andatura generale non sfocia in una corsa forsennata. I tempi sono incalzanti ma non aggressivi, crudeli ma non violentissimi. Un bell'espediente che sicuramente riesce a conquistare e continua in qualche modo a proporci degli Slayer abili a suscitare svariati tipi di sensazioni che non siano solo legate al picchiare come se non ci fosse un domani. Al contrario, li sentiamo (soprattutto nel cantato di Araya) più tetri e "disillusi" che mai, intenti nel dipanarsi di un brano che non conosce sosta e continua la sua marcia maledetta, sino al sopraggiungere di un bell'assolo firmato a turno da King ed Hanneman. Complici i tempi più ragionati, i Nostri possono tornare a sfoderare velleità Heavy e soprattutto tirare nuovamente fuori un po' di melodia, sempre oscura ed inquietante, la quale non guasta di certo all'interno del contesto tutto. La coppia dialoga in maniera eccellente, andando a recuperare più di qualcosa dei loro vecchi studi a tema Mercyful Fate (quelli svolti per la composizione di "Hell Awaits"), stupendoci per l'estrema semplicità con la quale riescono a mettere in piedi uno "scambio" di note letteralmente da manuale. Un tocco di Heavy che prelude ad una ripresa dell'andatura generale e ad una ripetizione del refrain; il finale è affidato all'arpeggio udito verso l'inizio, il quale torna a cantilenare ben presto stagliandosi su ogni altro strumento. E si finisce così, fra i rulli di crash di Lombardo ed un'ultima, sinistra nota di chitarra la quale ruggisce per una manciata di secondi salvo sfumare pian piano, man mano che l'inesorabile fine avanza. Le liriche di questo brano finale sembrano configurarsi come un autentico viaggio nei meandri della follia, quasi il testo fosse una sorta di sunto di tutto il disco, o meglio una chiave di volta atta a farci comprendere il significato intrinseco di ogni storia presente in "Seasons..". Guerra, genocidi, sparatorie, criminalità, l'onnipresente Diavolo pronto in ogni momento a godersi lo spettacolo, serial killer, pazzi maniaci.. cos'è tutto questo, se non un parto di menti deviate? Menti che da troppo tempo stanno trascorrendo lunghissime vacanze in quell'Abisso? Un luogo oscuro ove tutto vale, ed ognuno può essere / fare / dire ciò che vuole. Si ha voglia di uccidere? Basta premere un grilletto. Si ha voglia di dissacrare tombe? Basta recarsi in un cimitero. Si ha voglia di conquistare un'intera nazione? Basta organizzare un esercito e convincere il popolo che quella guerra sia giustissima e legittimata da milleuno scusanti. L'Abisso.. ovvero la Follia. Quella zona morta della nostra mente la quale ogni tanto risucchia prepotente il nostro mondo affettivo; trascina nel suo buco nero quanto di buono abbiamo, quanto di bello e felice ci sia nella nostra vita. Improvvisamente tutto si tinge di nero, diveniamo ciechi e sordi, non riuscendo neanche a percepire le nostre grida. Siamo intrappolati, la pazzia avanza inesorabile divorandoci dall'interno. Da lì a ritrovarsi sporchi di sangue, giacenti su di un cadavere orribilmente straziato, il passo è breve. Cosa fare? Correre all'impazzata, urlare, gridare, uccidersi.. non si può sfuggire all'Abisso, quando esso decide di farci suo. Possiamo provarle tutte, non riusciremo mai ad annientarlo totalmente. Quel che bisogna fare è (purtroppo) rassegnarsi.. una volta compiuto il passo fatale, una volta caduti nella fossa, allora non ci sarà più modo di riemergere. Saremo prigionieri del nostro stesso Inferno, e solo la Morte potrà giungere a liberarci; ovviamente, quando Lei ne avrà voglia.
Conclusioni
Arrivati dunque alla fine di questa grande avventura, possiamo tirare le consuete somme circa quanto abbiamo avuto modo di sentire ed ascoltare. Si può dire che un album come "Seasons.." sia giunto al momento giusto nel posto giusto, e che ci abbia presentato una band decisamente in salute. Compositivamente, musicalmente, a livello di attitudine e di voglia di fare, di propositività.. insomma, gli Slayer stavano realmente passando uno stato di grazia ben percepibile lungo i solchi di questo disco. Il quale segna forse l'apogeo del combo statunitense, il suo acme, la sua apoteosi; un periodo che a sua volta era costellato di apprezzamenti e successi provenienti da ogni dove, persino dalle emittenti commerciali. Il videoclip della titletrack viaggiava a vele spiegate su MTV ed il gruppo diveniva dunque famoso anche presso persone non totalmente avvezze al Thrash Metal. Gli Slayer stavano divenendo un fenomeno di costume, grazie alla loro attitudine estrema e sanguinaria, degli autentici personaggi "contro" che tuttavia non suscitavano scalpore o scandali, anzi. Ad esserne terrorizzati erano solo i seguaci bigotti di Tipper Gore o i genitori troppo apprensivi, per quel che riguardava i giovanissimi, il gruppo risultava esercitare su di loro un fascino quasi morboso. Morte, sangue, violenza, demoni.. tematiche che non potevi certo trovare nei dischi dei Duran Duran o degli Spandau Ballet; gli Slayer erano lì per fornire una buona dose di trasgressione, la quale veniva richiesta ormai a gran voce anche da chi non si considerava "metallaro", ma desiderava fortemente un qualcosa che non fosse scontato o troppo accomodante. Dunque, grazie a "Seasons.." il successo divenne quasi planetario, l'album che consacrò definitivamente il nome Slayer nell'olimpo del Metal, dopo che "Reign in Blood" ebbe l'arduo compito di incidere sulla sacra lastra di pietra il logo dell'Assassino. Una band in forma, un 1990 iniziato col cosiddetto botto; un "botto" che forse non si ripeterà mai più, in futuro. Da dopo "Seasons.." cominciò in fatti la (naturale, purtroppo e che dir si voglia..) fase discendente, la quale porterà Araya e soci in una sorta di pantano fatto di dischi "così e così" e di idee non del tutto brillanti o ben sviluppate. La coerenza, quella rimase. Fortunatamente. Tuttavia non è in questa sede che dobbiamo discutere di quanto la carriera degli Slayer post '90 sia stata più o meno insoddisfacente. Abbiamo avuto la fortuna di ascoltare l'album definitivo della discografia dei Nostri, l'album che unisce i rallentamenti perentori di "South.." alle sfuriate di "Reign..", un album ragionato e calibrato al millimetro, studiato, pensato, concepito con intelligenza e voglia di presentare al pubblico un qualcosa di bello, incalzante ed onesto. Per molti non sarà il capolavoro definitivo dei Nostri, per molti non sarà forse un qualcosa di estremamente esaltante.. sta di fatto che "Seasons in the Abyss" è comunque un trionfo di onestà. Una perfetta dimostrazione di quel che gli Slayer più ispirati riuscivano a fare. Molti brani di questo disco divennero automaticamente dei classici, richiesti a gran voce dai fan durante le setlist di IERI ED OGGI. Se determinati brani hanno superato persino la durissima prova del tempo, direi che una promozione è assolutamente fuori discussione. Magari non indugiando in valutazioni a due cifre, ma sicuramente rimarcando il carattere sincero e schietto di un disco capace di arrivare realmente a tutti. Heavy Metallers, appassionati di Thrash, di Hard Rock.. nessuno si è mai tirato indietro, ogni qual volta c'era da apprezzare "Seasons in the Abyss". Ed a ragione, perché quest'album è la perfetta sintesi di tutto ciò che l'Assassino è stato in grado di fare. Giocare coi rallentamenti o con la velocità estrema, creare atmosfere plumbee o violentissime.. qualsiasi espediente da sfruttare, gli Slayer lo hanno ampiamente preso in considerazione proprio con "Seasons..". Che, personalmente, mi sentirei di consigliare ad un "novizio" o a qualsiasi persona la quale volesse approcciarsi per la prima volta al mondo grondante sangue di Jeff Hanneman, Kerry King, Dave Lombardo e Tom Araya. Perché che si dica o sostenga e col massimo rispetto per tutti.. per me, gli SLAYER, saranno sempre e solo loro.
2) Blood Red
3) Spirit in Black
4) Expendable Youth
5) Dead Skin Mask
6) Hallowed Point
7) Skeletons of Society
8) Temptation
9) Born Of Fire
10) Seasons in the Abyss