SLAYER

Postmortem

1986 - Def Jam Recordings

A CURA DI
MICHELE MET ALLUIGI
30/12/2015
TEMPO DI LETTURA:
7,5

Introduzione Recensione

Con il recente "Repentless", gli Slayer hanno dato prova di essere ancora loro i signori supremi della malvagità sonora, regalandoci un disco che li vede rinnovati sotto tutti i punti di vista, a partire dalla line up, rinfrescata dall'ingresso ufficiale di Gary Holt degli Exodus alla chitarra e di Paul Bostaph (ex Testament e Forbidden) alla batteria, fino ad arrivare al sonwriting stesso, che pur non allontanandosi dalla grande coerenza che ha da sempre contraddistinto la band californiana ha comunque subìto un rinnovamento stilistico totale che rende gli Slayer dei giorni nostri una macchina da guerra ancora più letale. Ma andiamo ad analizzare ora le radici di questa suprema belva del Metal: siamo nel 1986, a soli cinque anni dalla nascita del gruppo; il mercato discografico metallico ha già visto arrivare sugli scaffali i primi due lavori della band, "Show No Mercy" ed "Hell Awaits" ed il nome dell'Assassino si è affermato enormemente nell'underground della Bay Area per iniziare poi il proprio cammino verso l'olimpo del Thrash Metal. Los Angeles divenne infatti la città madre dei grandi nomi del genere, ma per quanto riguarda gli Slayer, essi seppero subito intraprendere il proprio viaggio verso un universo marcatamente più oscuro e demoniaco dei propri colleghi; il sound si presentò come qualcosa di immediatamente più crudo e diretto rispetto agli standard classici del Thrash, vi erano si i tempi in quattro quarti serrati ed i riff taglienti, ma quello che suonavano Kerry King e soci si presentò subito come il ponte verso qualcosa di nuovo ed estremo a 360 gradi, delle sonorità maligne sotto tutti i punti di vista, che dalla aggressività (ormai fine a se stessa) del punk tendeva ora verso un orizzonte ancora più votato al male. Non è certo un caso infatti, che la maggior parte dei gruppi black metal citi i primi lavori degli Slayer come proprie muse ispiratrici nel creare canzoni dedite al male in tutto e per tutto, chiunque, dai Mayhem, ai Marduk, ai Bathory e via dicendo, annovera le prime due pubblicazioni della band di Los Angeles fra la propria collezione di dischi o, per essere più precisi, di vinili. Siamo ancora ben lontani dalla diffusione del compact disc ed il vinile era infatti il formato principe dell'epoca, formato, peraltro, che sembra stia tornando di moda (o forse non ha mai smesso di esserlo) fra i veri e propri cultori del genere proprio per il suo uscire dagli impianti così crudo e grezzo ma al tempo stesso così naturale. Il singolo di "Postmortem" venne pubblicato nell'86 dalla Def Jam Recordings, poco prima dell'uscita del terzo full lenght "Reign In Blood", ci troviamo quindi di fronte ad un punto di svolta fondamentale per la carriera della band, che dalla "grezzura" delle pubblicazioni precedenti iniziava ora la propria crescita verso un nuovo passo avanti nella storia del Thrash Metal. Lo scopo di questo vinile fu quindi quello di preparare i fan a questa svolta stilistica: se i seguaci della band si erano abituati alle sonorità dei primi due album dovevano ora iniziare a metabolizzare quanto di lì a poco l'Assassino avrebbe regalato loro; canzoni sempre aggressive certamente ma con un songwriting meglio calibrato, studiato ed eseguito, un miglioramento che oltre al lato squisitamente artistico evolve gli Slayer anche sotto l'aspetto tecnico; ad iniziare dal drumming di Lombardo, più preciso e fluido, fino ad arrivare alle parti di chitarra di Hanneman e King, che dalle sfuriate scale cromatiche sporche ed "aleatorie" delle prime composizione iniziano ora a guardare "dove mettono le mani" sulla tastiera della chitarra suonando qualcosa di più elaborato. L'artwork del lavoro è semplice e di impatto, come la musica del gruppo che la propone del resto: al centro di uno sfondo completamente nero, atto a ricreare le tenebre più oscure, troviamo il simbolo ormai assodato della band, il celebre pentacolo di spade con il logo in rosso vivo del gruppo al centro, sul quale troneggia la scritta del titolo realizzata con lo stesso carattere del moniker ma con una tridimensionalità maggiormente evidenziata grazie ad un uso più marcato del bianco sul lato sinistro delle lettere. Alla base della copertina troviamo invece una tomba realizzata con uno stile quasi fumettistico: sul terreno bluastro, spicca una fossa vuota con la terra ancora smossa, quasi come se dopo il decesso l'inquilino avesse ripreso vita per andarsene; la presenza di un teschio e di altre ossa stilizzate lasciano intuire un ritorno in vita repentino e fulmineo e sulla lapide, oltre alla consueta sigla R.I.P ("Rest in Peace" trad. "Riposa in Pace") si notano dei simboli scritti con in sangue ed un pugnale conficcato nel marmo quasi come sinistro presagio di vendetta del defunto. La tracklist è composta da solo tre tracce, ma ognuna di esse offre agli ascoltatori un pacchetto completo che va dalla titletrack fino alle chicche per i collezionisti; oltre a "Postmortem" troviamo infatti "Criminally Insane (Remix)" e "Aggressive Perfector (Fast Version)", non resta dunque che addentrarsi in questa Cadillac del Thrash Metal.

Postmortem

Ad aprire il singolo troviamo "Postmortem" (trad. "Dopo il Decesso"), una traccia che ormai forma un dittico a tutti gli effetti con la titletrack di "Reign In Blood", tanto che il gruppo è solito talvolta eseguirle unite anche in sede live. Senza nessuna introduzione ecco arrivarci dritti nei denti degli stacchi di batteria netti, eseguiti da Dave Lombardo prima sui piatti e poi sui fusti, che sostengono un riff di chitarra marziale ed incalzante. Gli accenti cadono sempre sui powerchord aperti, scanditi a loro volta da alcune pennate più serrate il cui scopo è conferire al tutto il tempo di una vera e propria marcia verso gli Inferi. Dopo due giri di introduzione, ecco partire il pezzo con un tempo ostinato suonato con cassa, rullante e campana del ride; il tiro dello sviluppo aumenta inevitabilmente mentre le chitarre ed il basso continuano ad eseguire il main riff, sorretti questa volta da una batteria a tempo raddoppiato. La voce di Araya si scaglia grintosa ed energica, distribuendo i propri accenti sui colpi dei cimbali e cantando le altre parti di testo con un cantato deciso e marcato. È però sulle chitarre che si basa tutta l'energia di questa prima parte del testo: pur eseguendo sempre lo stesso giro di accordi, intervallato poi ad un intermezzo più dinamico, le chitarre di King ed Hanneman si pongono qui a motori indiscussi della strofa; le loro plettrate sono infatti sempre decise e pesanti sulle corde; grazie a questo espediente si crea quindi quel muro sonoro che esce compatto ed uniforme ad ogni ascolto. Se al giorno d'oggi tale impatto può essere ricreato grazie alle varie possibilità digitali, negli anni ottanta si poteva contare solo sull'analogico, ecco quindi che erano le mani dei musicisti in primis a far uscire tutta la malvagità dagli strumenti. A due minuti e quattro secondi di pezzo, dopo la prima porzione di pura marcia da guerra, ecco riprendere la sessione di accordi dell'introduzione prima del break, si giunge così al colpo di coda della struttura che finora è scivolata via lineare ed inarrestabile: un rapido passaggio di chitarra, scandito dagli accenti di batteria, per poi partire con la parte corrosiva in puro stile old school: un tupa tupa lineare e martellante che non può fare altro che litigarci a scuotere la testa. Il contrasto fra tempo lineare e stacchi di cassa offre quel provvisorio senso di disorientamento che mantiene sempre viva l'attenzione ma è con la seconda pausa che il pezzo entra letteralmente nel vivo. Nonostante la conclusione sia ormai vicina, ecco che gli Slayer cambiano drasticamente sviluppo: la chitarra si lancia nell'esecuzione di un riff totalmente diverso che verrà immediatamente seguito dalla batteria di Lombardo con un nuovo tempo in quattro quarti ancora più serrato del precedente, sembrerebbe una parte buttata lì giusto come filler ma in realtà essa funziona da collegamento per quella che in "Reign In Blood" sarà la traccia successiva a "Postmotem" nella tracklist del full lenght. La canzone infatti si chiude con un finale in sospeso, dato che nella pubblicazione successiva subentrerà immediatamente la sua continuazione che sfocerà nella pioggia di sangue, per i fan che all'epoca acquistarono questo singolo, questa chiusura aperta lasciava ben presagire ad un qualcosa di ancora più devastante che doveva arrivare, ma se le premesse erano queste l'attesa sarebbe stata sicuramente ripagata. Centro focale del testo di questo pezzo è la morte come punto di passaggio tra un'esistenza vuota e priva di ogni dimensione esoterica ed una nuova vita in cui, liberatisi delle spoglie e delle convenzioni mortali, il nostro io potrà finalmente raggiungere la sua vera espressione primigenia. Fin dalla nascita infatti, viviamo in una realtà che per quanto possa decantare la bellezza della libertà si rivela essere la prima e più atroce delle prigioni, quella priva di mura o di sbarre ma che tuttavia ci relega all'interno di un insieme di convenzioni che non potranno mai dar modo al nostro essere di esprimersi pienamente. Se al catechismo ci insegnano i Dieci Comandamenti, le basi grazie alle quali condurre una vita esemplare votata alla carità ed alla benevolenza, ecco però spegnersi definitivamente quella parte irrazionale di noi che ci farà arrivare alla fine dei nostri giorni dopo una lunga esistenza passata nel bene; ma non esiste Yin senza Yang. L'aver seguito le condizioni ci ha fatto trascorrere la vita come perennemente incompleti, mutilati di quella parte oscura e malvagia che, per quanto virulenta sia, costituisce comunque una pare complementare del nostro animo. Ecco dunque che la morte e la tomba diventano il punto di passaggio varcato il quale la nostra vera essenza potrà finalmente trovare espressione, quella quiete eterna che si raggiunge solo dopo aver superato quella deprimente serie di regole che l'umano si auto impone per nascondersi da se stesso. Lo stesso suicidio, bollato immediatamente come peccato in quanto rifiuto del dono della vita che Dio fa agli uomini, altro non è che una scorciatoia per dare modo alla nostra parte più nascosta di potersi finalmente rivelare. In uno scenario apocalittico che vede la terra inondarsi di sangue e di violenza, ecco che il desiderio della morte si rivela immediatamente come un volersi liberar dall'oppressione, la celebre metafora di Ungaretti secondo cui "la morte si sconta vivendo" viene ora arricchita con il raggiungimento di ciò che si è davvero e che davvero si desidera solo nell'Oltretomba ("What I am, what I want, I'm only after death" trad. "Che cosa sono, che cosa desidero, lo sono solo dopo la morte").

Criminally Insane (Remix)

La successiva "Criminally Insane (Remix)" (trad. "Criminalmente Folle") si presenta qui come continuazione sostitutiva del finale della precedente; la calma sembra essere tornata dopo il primo passaggio di un ciclone sonoro che ha letteralmente devastato tutto al suo passaggio, ma sappiamo benissimo essere il proverbiale occhio all'interno del quale l'intero paesaggio viene avvolto da una sinistra quiete prima che si scateni una nuova apocalisse. A creare l'atmosfera restano solo dei fischi di chitarra, strasaturati dai riverberi in modo da rendere lo sviluppo ancora più malvagio. I fan che conoscono a menadito gli Slayer si aspetterebbero ora di sentire la poc'anzi citata pioggia di sangue, ma ecco invece partire la batteria di Dave Lombardo con un tempo ostinato che dopo poche battute in solitaria darà l'avvio alla traccia. Quella che su "Reign In Blood" comparirà come sesta traccia della tracklist, viene qui riproposta con un mixaggio diverso, una versione alternativa di un brano che sarà ulteriormente lavorato in vista dell'album successivo. La chitarra entra subito sontuosa ed incalzante, con una ritmica che subito accompagna una prima parte solista. La prima strofa, a differenza di quella che sarà poi la versione originale, viene eseguita sul tempo ostinato dell'introduzione invece del quattro quarti che diventerà poi lo scheletro ritmico effettivo. Questo cambio rende quindi la versione più cadenzata di quella canonica, per poi accelerare solo nell'ultima porzione di strofa prima del finale; la struttura resta quindi molto lineare e fruibile, ma ciò che davvero rende differente la "Criminally Insane" contenuta in questo singolo sono il diverso mixaggio e bilanciamento dei suoni: la batteria predomina infatti sui restanti strumenti, il set di Lombardo resta incessantemente a farla da padrone rendendo ben riconoscibile ogni sviluppo ritmico del batterista di l'Avana ma le varie componenti suonano comunque secche e fredde, come se sulle tracce prese dai microfoni vi fosse solo stato aggiunto un riverbero per creare quel senso di dilatazione del suono che faccia sembrare la batteria suonata in un enorme stanzone vuoto. A giudicare poi dalla marcata supremazia di determinati pezzi, si può ipotizzare che i microfoni fossero posti solo su cassa, rullante, charleston e su ognuno dei fusti, lasciando ai piatti la classica microfonazione panoramica. Le chitarre ed il basso restano bassissimi di volume nelle parti ritmiche per poi far emergere in modo netto gli assoli di chitarra e le parti vocali di Araya, viene dunque da pensare, sempre ad intuito, che la canzone sia stata registrata in presa diretta con giusto qualche microfono panoramico per poi sovraincidere le voci e gli assoli delle sei corde. Questo remix dunque, più che una versione alternativa realizzata come nuova proposta da accostare all'originale, lascia supporre che si tratti invece di una pre produzione in vista della futura realizzazione dell'album, la classica demo con cui il gruppo si esercita e si prepara ad entrare in studio, il risultato è ancora dunque molto secco e basilare ma considerando il nome della band in questione e l'epoca in cui questo remix fu realizzato possiamo comunque concludere con fierezza di trovarci di fronte ad un work in progress di un pezzo di storia del Thrash Metal. Il testo racconta di un serial killer pronto ad entrare in azione: con il calare delle tenebre eccolo infatti prepararsi alla prossima mattanza, quegli efferati omicidi unica risorsa per soddisfare questo malsano appetito; non c'è nulla di personale nelle uccisioni, come chi ha fame si appresta a mangiare e chi ha sete non esita a bere, chi è attratto dal sangue non può far altro che soddisfare questo suo bisogno uccidendo chiunque gli capiti a tiro; questo criminale è già stato riconosciuto pazzo da una sentenza giuridica che lo cataloga come "criminalmente folle", eppure, grazie ad un sistema giuridico del tutto discutibile, egli è tuttavia a piede libero e pronto ad uccidere nuovamente. Il patto che ha siglato con se stesso lo accompagnerà fino alla tomba, il suo macabro rituale è infatti destinato a protrarsi lungo tutto l'arco della sua vita, ormai il suo essere costantemente braccato è diventato un aspetto abituale della sua esistenza ed il fuggire dalle autorità impotenti altro non è che una delle parti più divertenti di questo gioco malato. La sua è un'esistenza al di fuori del comune in tutto e per tutto, la sua follia farà si che lui uccida un numero altissimo di persone pur rimanendo nell'anonimato di un sistema che ha sempre altro a cui pensare: dopo la sua scomparsa infatti, il tempo farà si che l'eco dei suoi delitti si protragga solo per un lasso limitato di tempo prima di cadere nell'oblio eterno; ecco dunque perché ogni assassinio deve essere memorabile in ogni suo dettaglio: ogni sua pugnalata, bastonata, sparo o altro inferto alle vittime non è altro che l'inizio del suo più esteso progetto per impossessarsi delle nostre maledette ed inutili vite, verrà anche il nostro turno e la nostra morte non sarà altro che una piccola goccia in un fiume di violenza in piena destinato a stagliarsi sul mondo.

Aggressive Perfector

Il singolo si conclude con "Aggressive Perfector (Fast Version)" (trad. "Perfezionatore Aggressivo" Versione Veloce), versione alternativa dell'originale contenuta sia nella ristampa dell'EP "Hunting The Chapel" che in "Live Undead", il live album realizzato dalla band ai Track Record Studios di fronte ad una ristretta cerchia di fan. Come si può intuire dal titolo, l'esecuzione si caratterizza per una maggiore velocità in toto, il gruppo infatti suona il pezzo a bpm più elevati rispetto alla versione originale ed il tiro non può far altro che aumentare. Il riff di chitarra inizia subito a tritare ossa grazie ad uno shredding che rende le mani dei due axemen delle vere motoseghe che ripercuotono le loro lame sulle corde, la batteria di Lombardo marcia inarrestabile con un tupa tupa marcatamente old school, semplice e dritto nei denti come una mazzata tirataci da un giocatore di baseball, nulla di meglio per chi fa del Thrash Metal il proprio pane quotidiano; la struttura del pezzo rimane molto lineare, siamo del resto di fronte alle prime composizioni di una band destinata a diventare una belva leggendaria del Metal, di cui queste tracce rappresentano solo i primi vagiti. Il main riff continua a rovesciarsi imperterrito, offrendo un'ottima base ritmica alla battaglia solista che vede fronteggiarsi i due chitarristi in una lotta senza esclusione di note. L'unica apertura si ha nel pre ritornello, dove dal riff serratissimo si passa ai powerchord aperti, il reso della traccia invece viaggia sempre compressa e claustrofobica, rendendo tutta la canzone una colonna sonora ideale per un massacro sotto il palco. La velocità maggiore, seppur non troppo superiore all'originale, fa sì che questo pezzo scorra via nel lettore compatto e devastante, anche se alcuni passaggi come il medley prima degli assoli, composti originariamente per essere eseguiti leggermente più lenti, risultano un po' troppo caotici ed approssimativi in questa registrazione in studio, tuttavia, gli Slayer ci offrono qui un estratto di come loro l'avrebbero sempre eseguita in sul palco, dato che, tendenzialmente, dal vivo si tende ad andare sempre leggermente più veloci rispetto a come si suona in studio. Nelle parole di "Aggressive Perfector" ecco Tom Araya diventare il nostro maestro in un percorso formativo che ci farà diventare dei veri e propri assassini, le liriche si aprono infatti con il suo invito a seguirlo senza esitazioni, tutte le nostre paure saranno superate e ciò che ci aspetta è un duro cammino ma le lacrime di sconforto ed i singhiozzi di paura dovranno essere nascosti nel nostro profondo, altrimenti saranno puniti con una raffica di mazzate violenta e formativa allo stesso tempo, a mantenerci vivi sarà solo la convinzione dell'esistenza di una forza omicida insita in noi che, nascosta troppo a lungo, farà di noi delle macchine da guerra inarrestabili una volta sprigionatala del tutto. Non dobbiamo far altro che lasciar scorrere tutto questo odio dentro di noi e lasciare che esso guidi la nostra mano, staremo al suo gioco fatale ma ogni nostro desiderio sarà presto soddisfatto senza alcun rimorso e noi non saremo più gli stessi, ma saremo trasformati in una creatura imbattibile che non temerà i rivali sul proprio cammino. Il nostro guru ci prenderà la mano e ci mostrerà la retta via da seguire in questa nostra rinascita, abbiamo una sola vita da vivere e questa strada ci condurrà dritti all'Inferno per farci poi rinascere come entità pura ed ancestrale, liberandoci da ogni debolezza che l'esistenza umana possa nascondere. Terminato questo duro viaggio all'interno delle tenebre del nostro subconscio, saremo finalmente in grado di abbattere ogni eventuale nemico che ci si presenti davanti, basta con le convenzioni del dialogo o del saper porgere l'altra guancia, la vita è una giungla nella quale o si diventa predatori o si muore da prede. Un testo quindi particolarmente cinico e drastico ma che comunque risulta attualissimo anche al giorno d'oggi nonostante sia stato scritto ben ventinove anni fa, che ci viene qui offerto in una versione ancora più veloce e funambolica, in modo da rendere queste parole ulteriormente più aggressive.

Conclusioni

Il singolo di "Postmortem" si presenta quindi come il primo tassello di un mosaico artistico più vasto che condurrà gli Slayer verso l'evoluzione definitiva, quel processo di crescita artistica che dalla prima fase più underground della loro carriera li porterà, con il successivo album "Reign In Blood", a scalare i vertici del successo mondiale in ambito Thrash Metal. Pur trovandoci di fronte ad un diamante ancora grezzo, abbiamo tutto sommato modo di intuire quale direzione la band di Kerry King e Tom Araya avrebbe intrapreso nell'immediato futuro, un enorme passo avanti che avrebbe fatto uscire dei dischi più maturi ma sempre votati a portare avanti il verbo della violenza sonora. La qualità dell'audio è ancora quella dei primi anni ottanta, ma gli Slayer e la Def Jam Recordings optarono comunque per una scelta di brani che fa di questo singolo il proverbiale must per i collezionisti: mentre il gruppo era intento a comporre il terzo disco della loro carriera (forse, col senno di poi, il più importante ancora oggi), ai fan veniva offerta la possibilità di vivere attivamente la crescita dei propri idoli, prima di tutto ascoltando in anteprima una canzone nuova, successivamente potendosi godere una fase intermedia della lavorazione di un altro pezzo per poi arrivare a spararsi uno dei pezzi di punta del repertorio dell'epoca registrato in studio in maniera fedele allo stile di come gli Slayer lo suonavano (e lo suonano dal vivo tuttora). Potrà sembrare banale adesso, ma nel 1986 una scelta così oculata del materiale da includere nel singolo dava grande prova di arguzia da parte della band, che omaggiava i propri seguaci di un qualcosa di assolutamente unico e mai visto prima all'interno della loro discografia. Se al giorno d'oggi il singolo non è altro che un prodotto in più con cui arricchire il catalogo di alcuni artisti, all'interno della scena underground del Thrash della Bay Area esso era invece un qualcosa di collezionabile e da avere allo stesso modo di un disco. Proprio perché si parla di un vinile contenente giusto tre canzoni, bisogna che esse siano talmente rare o comunque interessanti da far sì che il fan spenda il proprio denaro anche per una pubblicazione "minore". Per noi ascoltatori moderni che ci godiamo queste canzoni a quasi trent'anni di distanza, "Postmortem" rappresenta un piacevole tuffo nel passato, ma a chi lo acquistò all'epoca, questo singolo non solo diede piena soddisfazione per quanto appena messo nel lettore ma illuminava gli occhi di stupore in attesa di quello che sarebbe arrivato, a qualche mese di distanza; come uno degli album thrash metal più grandi di sempre.

1) Postmortem
2) Criminally Insane (Remix)
3) Aggressive Perfector
correlati