SLAYER
Live Undead
1984 - Metal Blade Records
DAVE CILLO
30/03/2014
Recensione
Se dovessimo pensare alle metal bands che hanno scritto la storia, ci verrebbero in mente diversi nomi: la nostra testa partirebbe probabilmente dall'heavy metal classico, pensando ai grandi pionieri del genere, proseguendo pian piano verso sonorità sempre più estreme. Ma, innanzitutto, occorre chiederci: come si scrive la storia? Ci sono tantissime grandi band, che ogni volta che vengono ascoltate ci lasciano dentro un qualcosa di unico, eppure, non tutte sono considerate fra quelle davvero degne di nota della musica heavy. Per cosa, dunque, possiamo dire che si distingue una band storica? La risposta è questa: per aver lasciato un qualcosa di unico. Per aver creato un nuovo canone musicale, magari. Per degli show dal vivo agghiaccianti, forse. Insomma, ciò che rende una grande band una "band storica" è l'aver messo in mostra, per primi, un qualcosa di nuovo e talvolta pazzesco. Prendiamo band come Kiss o W.A.S.P.: le loro esibizioni dal vivo non erano semplicemente delle esibizioni , ma un vero e proprio spettacolo. Del resto una band, per scalare verso il successo, deve far parlare di sé. Più sarai presente sulla bocca delle persone, più probabilità avrai di diventare un big della musica, è matematico. Ad alcuni potrà sembrare assurdo leggerlo, ma il successo si raggiunge tramite l'attitudine, ancora prima della musica suonata. L'attitudine è ciò che ci spinge a fare determinate cose, o la voglia di successo talvolta quasi "cattiva", la coerenza tra la persona e il palco, tra l'essere umano e il personaggio, tra il proprio strumento e il genere che si suona e il rapporto con le sue tendenze perché, parliamoci chiaro, ogni genere possiede le sue tendenze, e il seguirle o lo stravolgerle è una mattonella indispensabile a diventare fra i grandi della musica. Chi è diventato un grande del proprio genere è sicuramente diventato conosciuto in tutto il mondo, chi ha stravolto e creato un qualcosa di nuovo lo è diventato, non di rado, ancor più. Probabilmente, vi sono a questo punto tornati in mente i quattro ragazzi protagonisti di questa recensione, ragazzi che sono poi diventati celebri vendendo milioni di copie nel pianeta. Il metal estremo deve molto agli Slayer: la combinazione fra il sound crudo e tagliente di Kerry King, i memorabili standard batteristici di Dave Lombardo e le sue martellanti ritmiche, lo stile vocale di Araya che costituisce un vero e proprio trademark (marchio di fabbrica) del quartetto e, soprattutto, perché permettetemi é la cosa fra tutte più importante, il genio creativo di Jeff Hanneman: non siamo qui al "classico" onore riservato all'artista deceduto, ma al riconoscimento di un vero e proprio guitar hero che ha saputo letteralmente scrivere un genere e influenzare migliaia di band in tutto il mondo con il suo stile unico e inconfondibile. Quell'ibrido creato tra i suoi due grandi amori, quello per l'heavy metal e quello per l'hardcore punk ritratto nei suoi lati più estremi, ha rappresentato un qualcosa di nuovo divenendo un vero e proprio punto di partenza per la maggioranza delle band che presentavano un sound molto spinto, e la sua genialità nella scrittura dei riff è riconosciuta da tutti. Tutto cominciò nel 1981 ad Huntington Park, un sobborgo di Los Angeles, quando Hanneman e King provarono delle cover di Iron Maiden e Judas Priest insieme, e lo stesso King propose di formare una band. Si unirono presto Tom Araya, bassista con cui King aveva suonato, che fu assoldato poco dopo anche come cantante del quartetto, e Dave Lombardo, batterista che si era messo in mostra in un paio di band locali, gli Escape e i Sabotage (omonimi della band italiana). Nell'82 fecero così varie date in diversi locali californiani, proponendo le cover di alcune storiche heavy metal band, come quelle già citate in precedenza, che tanto amavano. Durante la primavera dell'anno seguente gli Slayer pubblicarono così la loro prima demo, contenente tre tracce (fra cui la celebre Black Magic) e, pochi mesi più tardi, furono notati durante un live show dal titolare della Metal Blade Records per cui pubblicarono, nel dicembre del 1983, il loro debutto discografico "Show No Mercy", da cui emersero già tutti gli aspetti che renderanno poi la band celebre: molti brani trattavano di satanismo, anche a causa della passione della band per la musica dei Venom, e il sound estremo proposto dai ragazzi costituirà un vero e proprio apripista a tutte le thrash bands del filone più spinto che nasceranno in futuro, rappresentando insieme a "Kill'Em All" dei Metallica un vero e proprio punto di partenza per il genere nel suo complesso. Nel 1984 i ragazzi si occuparono dunque, fra qualche problema (economico e di spazio) tipico per dei ragazzi che possedevano appena vent'anni, del tour promozionale del disco, dove presentarono make-up horrorifici ed uno spettacolo di stampo fortemente satanico, caratteristiche che come ben sappiamo abbandoneranno presto. Quell'anno la Metal Blade Records rilasciò il loro album dal vivo "Live Undead", che andrò oggi a recensire: il lavoro è, in realtà, un "live in studio" registrato a New York in una stanza davanti ad alcuni dei fans più stretti, per cui non è in realtà una vera esibizione dal vivo come inizialmente si poteva pensare, visto che anche lo stesso booklet del lavoro riporta che la provenienza del materiale sia un vero e proprio live show avvenuto a New York. Il lavoro sarà dunque da me valutato come ciò che realmente è: sette brani registrati in uno studio, niente di più niente di meno, anche se questo discorso lo affronteremo nel dettaglio più avanti.
Si parte con la storica "Black Magic": la canzone è uno dei capolavori di culto del quartetto statunitense, e il suo riff d'apertura è degno di essere nella storia, è infatti questo uno dei brani con cui la band ha creato un vero e proprio standard musicale. Sui massicci ritmi di plettrata di King e Hanneman si erge la voce di Araya, che segue le note della chitarra con una linea vocale a dir poco spettacolare. La parte solista, suddivisa tra i due chitarristi, è in questa versione live estremamente cruda e scarna, caratteristica tipica delle esibizioni live degli Slayer specie del primo periodo, dove emergevano anche lacune tecniche su cui è comprensibile chiudere un occhio, considerando lo stile della band nella riproduzione dei loro brani e la loro giovanissima età. Il suono è ottimo, e ci dà la possibilità di apprezzare appieno tutto il lavoro delle taglienti ritmiche chitarristiche e del lavoro di un giovanissimo Dave Lombardo, all'epoca neanche vent'enne, che percuote le pelli con precisione e assiduità. Una pagina a parte meritano le urla del pubblico, che superano spesso il volume degli strumenti e, con il senno di poi, è estremamente facile comprendere come siano state costruite in studio almeno in parte, anche a causa della loro monotonia che ci lascia pensare che siano stati utilizzati suoni campionati. La versione di questa canzone è abbastanza fedele a quella apprezzata in studio sul loro album di debutto, il brano è come di consueto eseguito in maniera più rapida sebbene la differenza non sia eclatante ed entrambe le versioni si mostrano accomunabili ed efficaci, in quanto l'unica differente caratteristica degna di nota è proprio quella riguardante l'esecuzione negli assoli, che nella riproduzione di un disco live mostrano qualche già citata lacuna tecnica. Le lyrics come quelle di questo brano rappresentano un vero e proprio marchio di fabbrica della filosofia Slayeriana: non sono, infatti, semplicemente un testo scritto per essere cantato nella canzone, ma un vero e proprio elemento integrante della band che li ha caratterizzati e distinti in tutto il mondo. Senza culti macabri, richiami al satanismo, violenza anche tratta da eventi storici, non avremmo certamente la band che oggi tutti quanti conosciamo. Analizziamo dunque il testo nel dettaglio: la tentazione del diavolo viene descritta come un'autentica potenza a cui è impossibile resistere, e il protagonista del brano appare come la vittima che cerca di resistere, in maniera fallimentare, al richiamo del male, rappresentato da una magia in grado di accecarci gli occhi e piegarci la mente, rendendoci vittima del peccato e della lussuria e trascinarci tramite la maledizione in un inferno da cui è impossibile fuggire. Come è impossibile fuggire dall'inferno è, allo stesso modo, a mio parere impossibile non apprezzare testi come questo, qualunque siano i vostri ideali sociali e religiosi, perché ad un'opera di culto come questa non sarebbe mai e poi mai possibile negare il nostro apprezzamento: ritengo che la storia della musica, anche quando si manifesta in lyrics come queste, abbia un fascino unico e irresistibile. Con "Black Magic" assistiamo dunque ad una visione di chiave assolutamente religiosa dell'uomo, in quanto sia nel Cristianesimo che nel Satanismo è riconosciuto, come ben sappiamo, quanto l'uomo sia tendente al peccato, con la differenza che nella dottrina Cristiana si tende alla comprensione e al perdono, guardando ciò che c'é di positivo in ogni persona (e ce n'è, suvvia!). Sotto l'urlo soddisfatto di Araya parte poi, martellante più che mai, "Die By The Sword". Nessuna introduzione studiata stavolta ma subito la prorompente e spettacolare voce del frontman cantante e bassista della band, facendoci apprezzare al massimo la strofa in tutta la sua carica, con le sue tipiche urla che saranno l'ennesima chicca a caratterizzare gli Slayer nella storia. Il ritornello è una vera e propria bomba esplosiva, a mio parere uno dei più sottovalutati all'interno della loro spettacolare carriera: il groove del riff suonato in palm seguito da quei quattro accordi che ritengo semplicemente da 10 e lode è una vera e propria carica energetica, e si conciliano perfettamente con il malvagio Araya che afferma soddisfatto "Die By The Sword!" rappresentando, dal mio punto di vista, un vero e proprio pezzo di storia. Una volta concluso il ritornello, è obbligatorio per noi assaporare un'altra perla che ha reso i quattro noti in tutto il mondo: spazio ad un grande Dave Lombardo, che con un violento stacco di batteria introduce una sezione di chitarra solista estremamente grezza dal punto di vista esecutivo e basata sul loro classico e sconsiderato utilizzo del tremolo; potremmo dire che gli Slayer fossero scarsi tecnicamente, che non abbiano mai saputo scrivere assoli come si deve ma, parliamoci chiaro, sarebbero loro senza queste caratteristiche? Di band che scrivono sezioni soliste da paura ne conosciamo a migliaia dopotutto, se stessimo per esempio ascoltando i Megadeth saremmo liberissimi di criticarli per un assolo sbagliato o scritto male, ma nel sound Slayeriano la solista "grezza" è un vero e proprio tutt'uno con i riff di matrice violenta presenti all'interno dei brani, permettendoci di apprezzare al massimo gli stessi. Personalmente, dunque, non criticherò mai la band più di tanto per questo loro aspetto, perché lo ritengo parte integrante di quella filosofia che li ha resi ciò che sono. Una volta conclusa la sezione solista, su cui è poi presente la voce di Araya con le sue sprezzanti sentenze di morte, parte un più lento e letale riff concepito per reintrodurre in modo molto riuscito il ritornello del duetto di chitarra solista tra King e Hanneman, scarno ma bello, e il ritorno allo stupendo ritornello per quello che è. per i miei gusti personali, uno dei brani spettacolari di questa band. Le lyrics del brano sono altrettanto leggendarie, rappresentando però stavolta uno dei molti marchi di fabbrica della musica heavy metal in generale: ci ritroviamo stavolta infatti in quella sorta di scenario dai caratteri fantasy, presente però sotto un'interpretazione tipicamente targata Slayer e dai forti caratteri macabri, tra vergini rapite e vite poste al termine tramite la lama della propria spada, che è l'elemento carico di gloria a cui è onorato l'intero brano: i cavalieri neri, fedeli servi di Satana, otterranno il trionfo, mentre la saggezza degli stregoni è solo una menzogna. Passiamo dunque a "Captor of Sin", primo brano di questo live che non è presente in "Show No Mercy": la traccia è infatti parte dell'EP "Haunting the Chapel" del 1984, insieme a "Chemical Warfare" e appunto la title track "Haunting the Chapel", non presenti però all'interno di questo live. Sotto gli applausi del pubblico si apre quindi il brano, e lo fa in maniera estremamente violenta e rapida con sin da subito un assolo di chitarra, che dopo qualche secondo lascerà spazio ad un riff di media velocità che introdurrà la rapida strofa e la voce di Araya: vero e proprio elemento di riuscita del brano è il riff presente dopo il ritornello, ideale per gli show dal vivo ed un pubblico che ha voglia di divertirsi. Dopo un minuto e cinquanta di questa traccia possiamo apprezzare infatti per la prima volta di questo live una delle stupendi parti composte da Jeff Hanneman che caratterizzeranno gli Slayer in futuro, in quanto i brani del primo album sono nella loro spettacolarità ancora non del tutto rappresentativi del loro stile. Terminato il riff, passiamo ad un semplice bridge che su otto accordi introduce il rapido duetto tra i due chitarristi, anche stavolta spettacolare nella sua caratterizzazione nonostante notiamo quanto il suono sia effettivamente scarno, che introduce poi la strofa, che condurrà questo brano al finale con tanto di applauso del pubblico. Per quanto riguarda il testo del brano non dobbiamo aspettarci il massimo dell'originalità, in quanto trovo giusto che da una band come loro non sia giusto pretendere testi sulla cultura o che contribuiscano all'arricchimento della società, ma materiale fortemente conforme alla loro espressione artistica: anche questa canzone è infatti incentrata sul satanismo e, all'interno di uno scenario infernale che descrive Dio come indifeso, la vittima verrà trascinata giù all'inferno per opera di un "catturatore di peccati". Terminata "Captor of Sin", possiamo proseguire con uno dei pezzi forti del loro primo album, ovvero la celebre "The Antichrist", una delle prime espressioni emerse dal genio artistico di Jeff: parte il riff d'apertura, amalgamato perfettamente con la voce di Araya che inizia, seppur sensibilmente, a conoscere un calo di voce dovuto alle prestazioni nei precedenti brani, con urla prive di tecnica diaframmatica ma ricche di quel mero e puro ruolo di volgarità e crudeltà che ci si aspetta da una band come loro, e che in contesti come questo abbiamo la possibilità di apprezzare particolarmente. Il riff di Jeff e la incalzante metrica vocale di Tom sono più energetici di un torrente in piena, più incisivi di un cazzotto sui denti, e l'ingresso dell'assolo dopo un minuto e quindici, considerando il tipo di sonorità innovative per quell'epoca, doveva essere puramente delirante. Ottimo lo scambio di assoli, o più precisamente la base ritmica che lo sostiene dato che la grandiosa riuscita della parte proviene principalmente da quello. Il brano, breve e che si chiude in meno di tre minuti, è estremamente vicino alla versione studio, ma è di obbligo ascoltando il finale del brano tornare sulle urla del pubblico, a mia opinione al limite del ridicolo perché ben lontane dal rappresentare i suoni provenienti da un vero pubblico. Se Brian Slagel, leader della Metal Blade Records, aveva dichiarato, interrogato sul realismo di questo live "non posso rivelare nulla, ma non sono questi d'altronde i segreti delle grandi produzioni discografiche? " lasciatemi dire che il risultato è tutt'altro che soddisfacente, visto che siamo palesemente ben lontani da ciò che dovrebbe essere il reale. Tuttavia, bisogna riconoscere anche i lati positivi di questo lavoro, ammettendo che comunque per l'epoca doveva succedendo qualcosa di grosso, specie con lavori come quelli di questo brano che sono eccellenti soprattutto nella composizione e che davvero farebbero scatenare il pubblico; perché, parliamoci chiaro, se una band sia pure valida ma non "top class" facesse una finta produzione live con tanto di urla montate in studio, sarebbe così criticata che difficilmente si riprenderebbe dallo scoop. Al contrario, il letale quartetto californiano protagonista di questa recensione, in un certo senso se lo può permettere: sappiamo infatti benissimo che, sia pure falsa questa produzione, loro il pubblico lo fanno scatenare davvero, e lo fanno scatenare come nessuno: stiamo parlando degli Slayer, famosi per i Circle Pit e per i Wall of Death (letteralmente muro della morte) durante i loro live show, in cui il pubblico diviso in due fazioni prende la rincorsa e ci si scaglia l'uno contro l'altro; c'è persino gente che si cicatrizza il nome della loro band sulla carne, con tanto di sangue in una pratica alquanto macabra. Normale dunque capire: come potrebbero loro non far lanciare qualche urletto al pubblico? Sì, si potrebbe dire che all'epoca non avevano la fama che possiedono ora, indubbiamente, ma quella realtà era dal punto di vista musicale così culturalmente prolifica che ogni sala era ricca di gente appassionata, scatenata e con voglia di divertirsi e di dare fiducia alla tua musica, sia che tu fossi un nome importante sia che si fosse ragazzini al debutto. Una realtà fantastica, e che probabilmente non tornerà mai indietro, almeno non nel nostro paese: la cultura del suonare uno strumento è diventata, con gli anni, sempre più diffusa tra i ragazzi all'interno di ogni ambito musicale, tanto per incominciare: sempre più persone sognano infatti di diventare musicisti e di seguire le orme dei loro idoli, alcuni sanno farlo bene, altri ovviamente meno, ma la conseguenza è anche questa: un aumento di rivalità, purtroppo, almeno nella mentalità italiana perché, ahimè, ho potuto assistere a ciò in prima persona occupandomi di organizzazione di eventi o alle esibizioni della mia band. Si termina, talvolta, in un circolo orribile, in cui un certo range di persone è presente solo al concerto della propria band, rivolgendo il proprio sguardo dall'alto verso il basso nei confronti di chi vedono non come un amico con la stessa passione per la musica o per lo strumento, o un complesso della tua città e del tuo genere che propone musica valida e che andrebbe supportato, ma come un rivale che ti sta sottraendo in qualche modo dello spazio: ed è proprio così che, effettivamente, ci si sottrae lo spazio in quanto, se mentalità come queste non esistessero, ogni concerto farebbe il pienone come spesso tutt'oggi accade in Germania o negli Stati Uniti e di spazio ce ne sarebbe per tutti. Torniamo dunque al brano e più precisamente alle liriche, che trattano dello storico (musicalmente parlando) tema dell'anticristo, ereditato da band come i già citati Venom da cui ragazzi come gli Slayer hanno preso tanto: il protagonista del brano è infatti proprio lui, l'anticristo, il cui futuro è nelle mani di Satana, da cui lui dipende; l'intera canzone è un omaggio al Satanismo, Cristo non è arrivato e si attende con intrepido desiderio il momento finale, che sarà la nascita del figlio di Satana. Interessante anche il punto di vista interiore del personaggio, consapevole della sua posizione da cui comunque traspare una velata sensazione di soddisfazione piuttosto che di disperazione, all'interno di quello che è un pieno e lucido modo di ragionare che porta alla consapevolezza che la propria anima é destinata alla dannazione, e qui é necessario citare parola per parola il testo per rendere al massimo l'idea: " I am the Antichrist, all love is lost, insanity is what I am, eternally my soul will rot ". Tramite questo pensiero, il personaggio non è altro che un puro devoto di Satana, che si erge come un qualcosa di straordinario e superiore e meritevole di ogni tipo di servitù, e si sacrifica tutto ciò che è della propria vita e ciò che ne sarà dopo la morte per essere al suo servizio, in un estremo gesto degno solo di un folle, come è appunto sostenuto dal testo. Terminato il brano, proseguiamo con "Evil Has No Boundaries", ovvero niente di meno che il brano che apre la loro discografia, dato che porta il fardello di aprire il loro primo album. Anche in questo caso dal titolo ci ricolleghiamo inevitabilmente alla musica dei Venom, come detto maggiore ispirazione per gli Slayer degli esordi: il brano si apre con il violento riff con tanto di raddoppio della seconda chitarra sugli accordi, e con il classico urlo di Araya, noto per essere protagonista in capolavori come "Angel of Death" e vero e proprio marchio di fabbrica della filosofia Slayeriana. Con l'urlo di Araya parte il violento assolo, e il tutto introduce in meno di 25 secondi il violento riff della strofa con tanto di canto e di consuete stangate sulle pelli di Dave Lombardo che con quei ritmi serratissimi è diventato una vera e propria icona per molti batteristi che si cimentano nell'ambito heavy. La strofa è divisa da un altro breve assolo, per poi introdurre il memorabile ritornello con tanto di cori. Spazio dunque ai fraseggi alternati tra Hanneman e King, retti prima da ritmiche chitarriste molto rapide e serrate, poi da semplici ma estremamente godibili accordi che sono un elemento fondamentale di questo brano. Una volta conclusi gli scambi di assoli, spazio al riff portante con tanto di sottofondo del pubblico che non regge a cotanta violenza, in un amalgama che vuole essere estremo e che riesce ad esserlo alla perfezione, anche grazie alla differenza con la versione assaporata in studio che in questo caso conta nella maggiore velocità, in quando l'esecuzione più rapida del brano ci fornisce la possibilità di assaporarne al massimo alcune delle peculiari caratteristiche, come appunto la ritmica che sostiene lo scambio di assoli sicuramente è: ho sempre pensato che quando nel thrash c'é un bell'assolo, talvolta anche di matrice hard rock, è sempre molto piacevole gustarlo, ma il vero passo in avanti avviene quando la solista é sostenuta da delle ritmiche che ce lo fanno assaporare in maniera davvero gustosa, sia che si parli di una parte che vuole essere piacevole che si parli della ricerca di violenza sonora, e questa è un'altra caratteristica degli Slayer impossibile da non citare, visto che la violenza nella scrittura dei brani e precisamente in ciò che sostiene un assolo è un elemento essenziale del loro modo di suonare, nonché una delle caratteristiche per cui si fanno maggiormente apprezzare. Le lyrics del brano sono in questo caso una sorta di omaggio al male e a ciò che comporta, ma il tutto viene descritto in maniera particolarmente attenta, e il titolo del brano (trad. il male non ha confini) ce ne da già una chiara idea: nei confini dell'inferno, richiamo appunto al nome della canzone, nessuno può fermare chi incoraggia il portare odio interiore, odio che come sappiamo è nelle sue peculiari caratteristiche un elemento contrapposto a valori alla base del Cristianesimo come amore e perdono ed è un elemento caratteristico e assolutamente emblematico del pensiero di chi segue Satana, nel caso che esista qualcuno che in Satana ci creda davvero e non solo per ragioni sceniche come nel caso della stragrande maggioranza delle band, e qui dico "fortunatamente"; leggiamo poi un richiamo alla guerra, con quella sottile venatura fantasy di cui abbiamo parlato durante la descrizione di "Die By The Sword", in quanto si tratta delle vite poste al termine da coloro che provengono dal regno dei morti, che sono protagonisti della canzone come spesso avviene all'interno dei testi della band. Il ritornello è dunque la chiave del pensiero trasmesso all'interno della stesura di questo testo, in quanto si omaggia il male descrivendolo, in un autentico paradosso, come onesto, in quanto è tale e quale a come si manifesta e non possiede alcun travestimento pregno di ipocrisia, in una sorta di sfida a quello che è il Cristianesimo che, al contrario, viene implicitamente descritto dai ragazzi come falso. Sotto la guida di Satana e le lame delle proprie asce, dunque, i protagonisti del brano si scontreranno con gli angeli di Dio e conquisteranno nuove anime da consumare. Terminato il pezzo d'apertura del primo disco, spazio alla title track, ovvero "Show No Mercy", che al contrario chiude il primo album: il brano si apre all'insegna di un martellante Dave Lombardo che, tramite l'uso della doppia cassa e del percuotere le pelli apre gli accordi dei due chitarristi che fungono da apripista alla celebre scarica di plettrate alla base della strofa della canzone. Durante questo brano, presumibilmente perché si tratta della title track, le urla del pubblico si fanno particolarmente forti e scatenate, al punto che durante la stessa strofa assistiamo anche ad un sostenuto incitamento "Slayer! Slayer! Slayer!", che si fa quasi disperato. A dir poco spettacolare la calzante ritmica vocale di Tom, che è sicuramente una delle più riuscite all'interno del loro primo disco, ed è pura fonte di energia per un pubblico che è lì per non desiderare altro: altrettanto spettacolare è, a mia opinione, la scarica di plettrate che divide la linea vocale in due sezioni mentre assistiamo al fatto che, al termine della seconda, parte il violento assolo di Jeff, in quello che è un altro punto importante degli Slayer nel modo di proporre la loro musica: mentre siamo infatti abituati all'interno del thrash ad un uso pressoché ordinato degli assoli, per la band sono un vero e proprio elemento integrante del brano, indispensabile per preparare la loro magica pozione distruttiva, in quanto spesso ci sono almeno due o tre assoli all'interno dello stesso brano che hanno la funzione di rinnovare l'ascolto e di prepararlo ad una nuova scarica ritmica che, altrimenti, sarebbe devastante anche per un ascoltatore estremo. Il brano è una vera e propria bomba energetica, ed è protagonista con la sua costante alternanza fra accordi godibili e scanditi e ritmiche quasi ossessive, con i ragazzi che si divertono sul finale del brano con le loro chitarre con tanto di pubblico che li incoraggia ad alto, altissimo, volume. Come da routine, andiamo ad analizzare le lyrics del brano come meritano, visto che in questo caso é d'obbligo fare uno studio ancora più approfondito in quanto si parla della canzone che da il nome all'intero album che ha introdotto la carriera dei quattro acquisendo, così, un ruolo dal rilievo assolutamente centrale. Innanzitutto, nella lettura notiamo come il testo sia nella scia di altri che abbiamo già analizzato come le già citate "Die By The Sword" e "Evil Has no Boundaries": ci troviamo nella notte, come spesso (come i fan della band sapranno) spesso accade quando si parla degli Slayer. Coloro che sono degli accaniti assoluti di questo genere, sapranno anche probabilmente che in testi come "Silent Scream" (che si chiude con la frase "in The Night", appunto) i quattro hanno introdotto quasi una convenzione all'interno del thrash, ovvero quella di inserire la notte nelle lyrics dei brani. I protagonisti sono dei guerrieri provenienti dalle porte dell'inferno: loro vengono per regnare nella notte, e per portare alto il nome di Satana, il maestro che seguono. Sempre nell'oscurità notturna, il guerriero/protagonista osserva tutto, depredando chiunque della vita senza mostrare alcuna pietà, come appunto cita il titolo della canzone. Coloro che non conoscono la forza del seguace di Satana, saranno dunque attaccati e uccisi; sembra quasi ironico leggere "Our legions we must save" dopo aver letto molti dei loro testi, perché ci si chiede se dietro quel salvataggio ci sia un briciolo di sentimento o no. I guerrieri uccidono nella notte per portare a compimento la loro missione eterna, che è un po' ciò che leggiamo all'interno di tutti i testi del loro primo lavoro discografico, ovvero la sconfitta di Dio, che come cita la canzone non salverà mai la vittima in tempo, mentre il guerriero non è altro che la minaccia negli occhi della vittima, colui da cui non puoi scappare, dato che la preghiera non aiuterà. Spesso, nelle lyrics dell'album, si passa spesso dal punto di vista dell'assassino al punto di vista della vittima, solitamente inerme, e così avviene anche in questo caso: dalla descrizione dell'omicida si passa infatti, nella seconda parte del brano, all'analisi della vittima e delle sue sensazioni: infatti, emerge evidente la disperazione del fedele di Dio che, scosso dall'inefficacia della sua preghiera, si accorge che è spacciato quando ormai ha di fronte esclusivamente la tangibile realtà, ovvero quella che la propria vita è prossima a terminare. La vittima viene così affettata, depredata della sua anima e ridotta tra le fiamme in una agonia che gli appare infinita, in un invito finale da parte dell'assassino a fargli comprendere, in punto di morte, la superiorità di Satana, a cui d'ora in poi apparterrà ciò che resta della sua anima. Spazio dunque all'ultimo brano, che conclude questo breve (23 minuti) ma devastante live: "Aggressive Perfector" si apre con un velocissimo riff che è pura espressione del tipico stile chitarristico di Jeff, per poi lasciare alla strofa e all'urlo di Araya, mentre l'esecuzione è retta come sempre dai martellanti ritmi che ben conosciamo come caratteristica di questa band. Apprezzabilissime sono, invece, parti come quelle a cui assistiamo a metà canzone: dei semplici accordi sostenuti da uno stile batteristico rapidissimo, stile compositivo pienamente ereditato poi nel thrash europeo e precisamente tedesco, in cui band come i Sodom hanno fatto di quello stile un loro marchio di fabbrica. Parte così un rapidissimo riff, che apre il consueto duetto fra i due chitarristi e ad un secondo urlo del vocalist Tom, con la rapidissima parte finale che conduce il pubblico, in preda all'entusiasmo, al termine del brano. Le lyrics non sono altro che un continuo, seducente invito ad unirti a Satana, in una proposta che cerca di sembrare il più possibile come allettante. Accettando, sostiene il brano, ti verrà mostrata la via e le proprie paure scompariranno, in una realtà in cui non vi sono né timori né paura alcuna, mai più lacrime o sofferenza, ma solo realizzare le fantasie di una realtà che ti tiene in vita, che soddisferà ogni tuo bisogno trasformandoti in una persona completamente differente: mai più infatti, in un'espressione che altro non é che una sorta di invitante avvertimento, potrai essere lo stesso.
Per arrivare al mio giudizio finale, che sarà come potete osservare un 7, ci sono diverse considerazioni da fare: potremmo considerare il problema del "falso live", cosa che va sicuramente fatta e messa in conto, il valore storico e l'effettivo valore musicale di questo lavoro. Tanto per incominciare, sarebbe dunque possibile dare un giudizio superiore ad un lavoro che si mostra come ciò che non è? Certo, fosse un vero show dal vivo i contenuti per sfondare a livello di giudizio ci sarebbero tutti, ma cosa si sta realmente discutendo in questo caso? Come anticipato, null'altro che delle registrazioni avvenute in una stanza con qualche amico e spacciate per un vero show: ciò rende il voto attribuibile a questo live una causa estremamente soggettiva e la mia una sentenza certamente opinabile in quanto vista da un punto di vista esclusivamente personale. Il mio parere è dunque questo, non me la sento di dare un voto maggiore in quanto, detto in un'espressione estremamente gergale, "così saremmo buoni tutti": dal punto di vista esecutivo, oltre le considerazione già fatte precedentemente, è chiaro infatti che non ci sia nulla da rimproverare, gli assoli crudi e scarni presenti in questo live sono infatti una scelta puramente volontaria e, se la produzione li avesse ritenuti fuori luogo, certamente non sarebbero stati lì ma avremmo ascoltato qualcosa di diverso. Per quanto riguarda le urla del pubblico, bisogna ammettere che queste abbassano inevitabilmente il livello di apprezzamento dell'ascoltatore, almeno nel mio caso, perché è come se mi venisse in continuazione ricordato "guarda che stai ascoltando delle urla campionate di un prodotto costruito in studio": non vorrei essere severo ma, sinceramente, non mi sembra proprio una cosa da poco, considerando che si parla di un lavoro di culto proveniente dagli anni '80 che di affascinante dovrebbe avere proprio quello, quella genuinità e quell'appeal che solamente una produzione thrash old school può possedere, essendo in grado di rievocare tempi passati come poche cose potrebbero fare meglio di uno dei live del primo periodo degli Slayer, e indispensabile è dunque lasciare un giudizio complessivo sulle sensazioni che l'ascolto di Live Undead vi trasmetterà nella sua breve ma violenta durata: per quanto riguarda il fascino del prodotto, questo non è compromesso del tutto ma solo in parte, in quanto comunque possiede delle piacevoli chicche che durante l'ascolto ci lasceranno scappare un sorriso, se la nostra passione è quella di rivivere i buoni vecchi tempi del thrash metal di una volta. Emerge infatti il background storico del lavoro, che comunque possiede il suo fascino nonostante qualsiasi considerazione negativa messa in conto: quel sound energetico, portato da quattro ragazzi appassionati di musica e con tanta voglia di farsi notare, che stavano proponendo per l'epoca qualcosa di assolutamente innovativo: chi prima di loro aveva infatti suonato in quella maniera? Nessuno chiaramente, e rievocare quei tempi non può che essere spaventosamente piacevole, quei begli anni '80 che non torneranno più indietro, in cui si dava il sangue passando pomeriggi interi chiusi negli scantinati a suonare, si andava avanti puramente grazie alla propria musica e non per il possedere la copertina di un autore famoso, la produzione potente ottenuta con i soldi di papà e dei brani scritti su un computer. Il valore storico di quest'opera, dunque, lo ritengo compromesso in buona parte (per gli ovvi motivi di cui abbiamo parlato) ma non del tutto, in quanto il suo ascolto comunque ci lascia immergere in una realtà che non vorremmo mai dimenticare: ci verrà da pensare a ciò che potevano essere gli Slayer all'epoca, pensate un Dave Lombardo neanche vent'enne, la partenza per il tour con i soldi ricavati a malapena e con sacrificio, i problemi presentati in tour a causa della leggerezza dei giovani che tanto sa di anni '80: i ragazzi infatti ebbero grandi difficoltà a girare, terminato il denaro pernottarono a casa di alcuni dei loro spettatori e il tour fu problematico, anche a causa delle loro spese per cibo e alcolici (come lamentato dalla stessa Metal Blade Records, che non ricevette più il denaro che, come pattuito, doveva essergli restituito dai ragazzi). Dedichiamoci dunque ora a dare un giudizio complessivo sulle liriche, parte che amo particolarmente e che lascio come di consueto al termine di ogni recensione. Della passione per la band per Judas Priest, Iron Maiden, Mercyful Fate e Venom si era già parlato: sono infatti proprio queste due ultime band ad aver influenzato enormemente i ragazzi in fase di scrittura dei testi dei brani, più di quanto chiunque altro abbia fatto. Non considererei la mancanza d'originalità come un peccato, perché so bene che quando c'è la passione per determinate tematiche non c'è alcuna voglia di voler essere originali anzi, al contrario, più si affrontano e più aumenta la voglia di affrontarle. Se dovessimo poi discutere di come le hanno trattate, allora lì potremmo dire che scrivere testi violenti e sul satanismo non richieda alcuna competenza o sensibilità particolare, e nell'affermare ciò ci sarebbero tutte le ragioni del mondo perché oltre che una conoscenza in campo religioso "estremamente limitata" non è richiesto null'altro, ma d'altronde è il metal forse cultura? Certo che no, può esserlo ma non vi è alcun tipo di regola precisa: questa musica la amiamo anche perché è in grado di affrontare un qualcosa di diverso in ognuna delle sue decine di sfaccettature, e ognuno butta giù ciò che sente dentro di voler esprimere senza essere sottoposto ad alcuna pressione: se, questi ragazzi, con voglia di divertirsi, avere successo e vivere la propria gioventù e le proprie passioni hanno ritenuto di voler trattare di Satanismo io per primo, come chiunque altro che possiede idee differenti, non stiamo lì a criticarli per quello, ed anche questo è il bello di questa musica in quanto ognuno cerca, tendenzialmente, di apprezzare il lato buono piuttosto che quello cattivo, la comprensione piuttosto che l'irragionevolezza. Leggendo le liriche, ci siamo resi conto di come spesso le tematiche più macabre si concilino con quelle fantasy, in quanto ci siamo ritrovati ad ambientarci molte volte in battaglie fra guerrieri e angeli, spade sguainate e la carne sanguinante, richieste di pietà non concesse. Se poi notiamo come sette brani su sette all'interno di questo concerto trattino esclusivamente di tematiche anticristiane, ciò ci lascia immaginare che i quattro non avessero molto altro da dire quindi chapeau a chi non si cimenta in discorsi in cui non si sente rappresentato, meglio essere monotematici e narrare di qualcosa di cui ci si sente pienamente parte che uniformarci, in maniera spesso non efficace, ed imbatterci in discorsi che non ci appartengono. Live Undead, in conclusione, non è uno di quei lavori intramontabili che continueranno a girare ogni settimana sul vostro stereo a trent'anni dall'uscita ma, talvolta, un ascolto piacevole e saltuario sicuramente non potrà che guastare.
1) Black Magic
2) Die By The Sword
3) Captor of Sin
4) The Antichrist
5) Evil Has No Boundaries
6) Show No Mercy
7) Aggressive Perfector