SLAYER
Live Intrusion
1995 - American Recordings
MICHELE MET ALLUIGI
13/01/2016
Introduzione Recensione
Con l'arrivare degli anni Novanta sembra che l'opzione del realizzare cover nel proprio stile stesse già fluttuando nella testa di diversi musicisti del panorama Thrash Metal; gli Anthrax furono infatti tra i primi a lanciarsi sul palco con la riproposizione di "Got The Time" (brano originariamente scritto da Joe Jackson), seguiti immediatamente dai Megadeth con il bonus EP "Hidden Treasures", (allegato all'album "Youthanasia" del 1994, dove compare la rivisitazione di "No More Mr Nice Guy" di Alice Cooper) mentre per quanto riguarda i Four Horsemen, dovremo aspettare il 1998 per vedere sugli scaffali l'ambizioso progetto di quell'album completamente costituito da brani altrui rivisti chiamato "Garage Inc.". Al centro di questa sfilata di nomi illustri non potevano mancare gli Slayer, che con il singolo "Live Intrusion" colsero la palla al balzo per far sentire ai loro fan anche un piccolo assaggio di quanto sarebbe successivamente sopraggiunto con il titolo di "Undisputed Attitude", la raccolta di cover ed altri estratti succulenti per tutti i collezionisti della band che vedrà la luce appena un anno dopo. Ma occorre comunque non bruciare le tappe; come già ampiamente dimostrato, i quattro thrasher californiani sono una band che in un lasso di tempo relativamente breve come possono essere due anni è perfettamente in grado di sfornare abbastanza materiale inedito da consentire alle nostre teste di roteare in maniera forsennata per 730 giorni consecutivi. "Live Intrusion" fu infatti concepito e pubblicato come prodotto di lancio per il successivo video omonimo, un live album su videocassetta grazie al quale possiamo perfettamente goderci la performance che gli Slayer al Mesa Amphitheater, in Arizona, il 12 marzo del 1995. All'interno della setlist di quel particolare show troviamo infatti una setlist che definire accattivante sarebbe comunque riduttivo: oltre agli immancabili classici come "Angel Of Death", "Reign In Blood" (straordinariamente posta come devastante opener), "Mandatory Suicide" e "War Ensemble", compaiono anche brani più freschi come "Dittohead" e "Divine Intervention", ma a rappresentare la vera ciliegina sulla torta è la cover di "Witching Hour" dei Venom, eseguita dal vivo per omaggiare la leggendaria band di Cronos. In attesa della pubblicazione ufficiale di questo video assolutamente gustoso per tutti i fan della band, Tom Araya e soci decidono intanto di immettere sul mercato questo singolo di sole tre tracce, giusto per innescare nei propri seguaci la giusta brama e suspense per quello che sarebbe stato il lavoro definitivo. Ancora una volta dunque, il gruppo californiano si dimostra notevolmente arguto nel realizzare i propri singoli promozionali, includendovi poco materiale che però già di per sé era in grado di dare un'idea ben definita del risultato che avrebbe avuto la pubblicazione successiva. Vengono fatti scelte la cover dei Venom, "Divine Intervention" e "Dittohead", tutte canzoni eseguite live durante l'esibizione tenuta dalla band; chiaramente la priorità viene data alle canzoni più recenti contenute in "Divine Intervention", dato che la sua pubblicazione è ancora recente, ma oltre a pubblicizzare quanto scritto dagli Slayer appena l'anno prima, questo singolo ha inoltre il compito di testimoniare di che cosa fossero capaci Tom Araya, Kerry King, Jeff Hanneman e Paul Bostaph non appena salissero su un palco. La nuova filosofia dei quattro è dunque quella che non punta più sulle registrazioni inedite in studio (come i remix e mix alternativi utilizzati a fine anni ottanta), ma è ora sull'impatto dal vivo che l'Assassino punta come nuovo cavallo di battaglia per vendere il nuovo prodotto. Se si è soliti dire "anno nuovo, vita nuova", con l'arrivare della nuova decade i quattro thrasher statunitensi non modificarono solo il loro modo di comporre e suonare, ma cambiarono anche il metodo con cui essi si proponevano al pubblico; un'evoluzione quindi radicale e netta sotto ogni aspetto, che ancora una volta, come se ce ne fosse bisogno, testimonia la grandezza di un nome che a più di trent'anni dalla propria nascita continua a rappresentare una pietra basilare dell'intera scena Hard N'Heavy. Anche per quanto riguarda l'aspetto grafico, la band californiana opta per un nuovo artwork: la copertina è infatti dominata dal nero e da diverse tinte di blue; un muro di pietra funge da sfondo e texture complessiva, al cui centro compare una voragine tra le pietre; immancabile, dall'altra parte del buco, spicca un teschio rudimentalmente stilizzato, sopra gli occhi del quale titaneggia inoltre il logo della band inciso e pitturato con un color rosso sangue senza però il celebre pentacolo di spade. Oltre alla scritta in stampatello del titolo, in mezzo alle due serie di caratteri compare anche una precisazione in bianco che recita "Selections From The First Home Video Ever" (Trad. "Selezioni dal primo video casalingo mai realizzato"). Gli Slayer sono quindi ben consapevoli di utilizzare per il loro business non il materiale "ufficiale" ma il materiale inedito, estrapolato dal dietro le quinte della loro immensa opera estrema, non resta dunque che addentrarci più nel dettaglio in questo nuovo esperimento sonoro della band.
Witching Hour
In prima posizione troviamo appunto la cover di "Witching Hour" (trad. "L'Ora Della Stregoneria"), brano originariamente composto da Conrad Thomas Lant, noto ai più come Cronos e comparso all'interno dell'album "Welcome To Hell" del 1981. Trattandosi di un estratto live, l'audio non poteva non aprirsi col pubblico in delirio, immediatamente "zittito" dalla voce imperiosa e malvagia di Tom Araya che annuncia con fare diabolico quale sarà il prossimo pezzo. Le chitarre partono immediatamente serratissime ed affilate, Kerry King e Jeff Hannemn eseguono infatti il main riff nel pieno rispetto dell'attitudine underground ed old school con cui in origine fu suonato da Mantas dei Venom. Il tiro del pezzo è indiscutibilmente devastante; sembrerà strano, ma la stessa canzone eseguita ben diciannove anni dopo ne guadagna sotto tutti i punti di vista. La vera novità di questa esecuzione è la presenza di Rob Fynn dei Machine Head in veste di guest, che si unisce agli Slayer nel ruolo di chitarra e voce per omaggiare insieme ai compagni di tour dell'epoca uno dei gruppi cardine del Metal estremo. Tom Araya si limita quindi al ruolo di seconda voce, ma è fuori questione che questo improvvisato ensemble regali alla traccia una potenza che non lascia prigionieri. Per Paul Bostaph, il drumming lineare della composizione originale si presenta come un vero e proprio parco giochi nel quale divertirsi a tutto spiano, infarcendo l'immancabile tupa tupa thrash metal con le sue proverbiale rullate precise e potenti quanto una mitragliatrice in azione. Nonostante Kerry King e lo stesso Fynn compaiono un po' fuori genere sul piano del look, data il loro stile rap oriented fatto di maglie e pantaloni larghi, è altrettanto vero che l'abito non fa il monaco ed i puristi possono quindi stare tranquilli, questo grande classico del Thrash/Black Metal viene omaggiato con tutto il dovuto rispetto da una band che ha scritto altrettante pagine di storia. La struttura lineare della composizione, che alterna strofa e ritornello senza particolari varianti, potrà sembrare monotona, ma la ripetitività viene compensata dall'incedere di un gruppo che si presentava live con una vera e propria muraglia di amplificatori e che eseguiva i pezzi facendoli uscire come un unico e mastodontico muro sonoro. La differenza tra il songwriting dei Venom e quello degli Slayer emerge lampante nell'analisi del testo: se i testi del vocalist di origine cilena si presentavano come una serie di strofe e ritornelli serrati ma al tempo stesso comunque suddivisi per mezzo di una scansione metrica, il testo di Cronos appare invece come un'unica colonna di frasi priva di pause, che viene letteralmente rovesciato sul pubblico a forza di urla forsennate scagliate da un cantante totalmente posseduto dal demonio. L'immaginario è per l'appunto quello di un rito di magia nera, svolto all'interno di uno scenario apocalittico a tutti gli effetti, dove le fauci dell'Inferno si spalancano d'innanzi ai nostri occhi e dove scorgiamo, in un cielo ormai invaso dalle fiamme, la solenne cavalcata dei quattro cavalieri dell'Apocalisse; in lontananza, la campana di un villaggio ormai destinato alla distruzione scandisce i rintocchi dell'ora della stregoneria: l'altare è stato allestito per il rito e la vergine destinata al sacrificio giace incatenata in preda al panico; le sue urla non serviranno a nulla, ormai è destinata a morire e mentre ancora si divincola in preda a delle urla isteriche, ecco il signore delle tenebre fare il suo sontuoso ingresso in scena. Il pentacolo viene finalmente tracciato e tutto è pronto per il sacrificio blasfemo. Il sangue ormai scorre ed ogni possibile rifiuto verso il Dio rinnegato è ormai compiuto, Satana prende la sua nuova sposa mentre lei ancora agonizza per le pugnalate inferte e l'offerta agli Inferi può finalmente ritenersi rispettata; ora l'Inferno gioisce, rafforzato dal nuovo omaggio appena ricevuto, mentre l'umanità fugge impotente ed in preda al panico di fronte alla potenza di quel Male che di lì a poco conquisterà tutta la terra. Il brano va quindi a concludersi con un epica cavalcata finale, dove le chitarre armonizzate di King ed Hanneman eseguono un fraseggio in pieno stile maideniano; per rendere ancora più sulfureo il tutto, sul finale letteralmente lasciato alla tipica caciara thrash metal dove ogni strumento viene martellato all'inverosimile, i due cantanti si lanciano in una serie di urla, in particolare Rob Fynn, che dà prova di tutto il suo talento in materia di growl, congedandosi con il proverbiale comandamento dei Venom "Lay Down Your Soul To The Gods Rock n'Roll" (trad. "Prostrate la vostra anima agli dei Rock n'Roll") e chiudendo così un tributo alla band inglese che da cosa nata lì per lì, una volta sentita in registrazione, si dimostra molto più efficace in sede live di qualsiasi versione ri arrangiata a tavolino e registrata in studio.
Divine Intervention
Veniamo ora alle novità di casa Slayer con "Divine Intervention" (trad. "Intervento Divino"); l'album omonimo è uscito da appena un anno (poiché pubblicato il 27 settembre del 1994), ma i fan hanno già avuto modo di apprezzare (o meno, a seconda dei casi) il notevole cambiamento stilistico intrapreso dal gruppo californiano. L'ingrediente principale della titletrack del disco è senza dubbio la marzialità: le ritmiche serratissime al fulmicotone sono ora sostituite da un tempo di batteria più cadenzato e pesante, dove Paul Bostaph ha modo di far emergere tutta la potenza del suo drumming in ogni singolo colpo di cassa, rullante e charleston. Sul classico tempo ostinato, le chitarre sfoderano un terzinato che dalle note gravi va ad eseguire degli incisi sulle tonalità più acute, l'effetto è quindi dissonante ma dinamico al tempo stesso e dopo essersi ulteriormente contratto si conclude in un break che avvia la sessione successiva. Mentre una delle due asce esegue il proprio fraseggio solista, l'altra la segue fedelmente assieme al basso ed alla batteria attraverso una serie di accenti; tutto è pronto dunque per l'ingresso della voce di Araya, che si dimostra, vuoi per la sua malvagità ma anche per la probabile stanchezza del live, immediatamente roca ed acida che quasi tendono al growl spento. A colpire immediatamente è la precisa coincidenza degli accenti vocali con quelli di batteria, che rendono anche la strofa uno sviluppo martellante ed inarrestabile. A tenere inoltre sempre alto il tachimetro è la batteria, che passa dai sedicesimi ai trentaduesimi con la cassa offrendo così un mantello di doppio pedale solido su cui si possono susseguire le parti soliste di King ed Hanneman; ancora una volta emerge la maggiore precisione del biondo axeman rispetto a quella del collega non ancora barbuto all'epoca. Lo stacco nelle varie parti della canzone è anche dato dalla parte in pulito leggermente effettato che interviene tra i vari cambi, questo provvisorio "calo" di potenza al contrario lascia aumentare l'attesa per lo sviluppo successivo, che gli Slayer non mancano di farci arrivare addosso come un treno in corsa; la parte seguente ci accompagna con una strofa decisiva che alla potenza funambolica delle sei corde fa da contraltare un Tom Araya vocalmente ridotto ai minimo termini, che sul proferire le ultime parti di testo quasi sembra gioire una volta giunto al finale. Salvo una parte vocale un po' spenta, ma assolutamente autentica nel riportarci la forma della band dal vivo, anche qui i californiani non si sottraggono dal mettere in mostra tutta l'aggressività che avevano a metà anni Novanta. Il centro tematico delle liriche di questo brano punta tutto sulla condizione di prigionia dell'individuo all'interno del mondo reale: la sua condizione è infatti descritta come quella di un ostaggio, interpretato dal vocalist della band in prima persona, che si risveglia intrappolato in una rete che non gli lascia alcuna via di scampo ed immediatamente lo relega in un Inferno totalmente attuale; la prima cosa che gli viene spontanea da fare e chiedersi come ci sia arrivato in quell'antro oscuro ma soprattutto come possa egli evaderne in cerca di libertà, ma ogni tentativo di trovare un varco lo conduce sempre di più a dedurre l'assoluta impossibilità di fuga; sente che qualcuno sta arrivando a prenderlo in quelle tenebre, sono più creature, ma il buio è talmente fitto che il prigioniero non riesce nemmeno a capire come orientarsi verso l'alto con lo sguardo in cerca del volto di Dio. Finalmente, un improvviso bagliore gli illumina per un attimo lo spiraglio attraverso il quale liberarsi ed immediata inizia la fuga, vorrebbe urlare in cerca di aiuto ma la paura lo attanaglia e gli impedisce di parlare, ed il volto del Signore resta sempre impossibile da vedere. Rapidamente, il fuggitivo si sente afferrare alle spalle ed imbavagliare, immediato il senso di impotenza di fronte ad un qualcosa più grande di lui che non si può affrontare nemmeno con tutto il coraggio di questo mondo; ormai privo di difesa, al malcapitato non resta che sperare in un intervento divino che lo salvi da quel supplizio che lo fa sentire vittimizzato, schiavo di una tortura atroce che non avrà mai fine poiché la morte è irraggiungibile. Immediati davanti agli occhi gli scorrono tutti gli istanti della sua esistenza come in un rapido film, finalmente prova quindi un provvisorio sollievo, intuendo la fine di quella barbarie ormai prossima, ma proprio quando tutto giunge all'apice, la situazione viene bruscamente resettata per catapultarlo alla prigionia di partenza, che rinchiude la vittima in un ciclo di dannazione senza fine. A caratterizzare questo testo rispetto a tanti altri degli Slayer è il passaggio dall'essere carnefice (come nella stragrande maggioranza delle liriche di Araya e soci) all'essere vittima; il frontman della band si presenta ora come assolutamente passivo alle torture che magari lui stesso ha infierito in tanti altri brani; tale espediente si dimostra una nuova metafora per ribadire tuttavia l'assoluta inutilità di un Dio, del quale, per quanto ne si possa bramare fortemente l'aiuto, non si manifesterà mai in nostro soccorso.
Dittohead
In conclusione della scaletta del singolo troviamo "Dittohead" (sostantivo che in inglese indica la persona che segue incondizionatamente un'idea senza assolutamente porsi alcun interrogativo riguardo ad essa, in italiano potremo renderlo metaforicamente con "marionetta"), brano anch'esso estrapolato da "Divine Intervention" e posto all'interno di esso in quarta posizione nella tracklist immediatamente prima della titletrack. Con questo pezzo, i fan degli Slayer più legati alla tradizione possono finalmente tirare un sospiro di sollievo, in quanto la struttura ci rimanda, per la sua schiettezza e linearità, ai fasti della band raggiunti negli anni Ottanta. A condurre il tutto sono nuovamente le chitarre, le cui parti in shredding vengono letteralmente sparate in faccia al pubblico senza alcuna pietà; la batteria di Bostaph viaggia con un quattro quarti linearissimo e serrato che non concede nemmeno un secondo di respiro e la struttura dritta ed inarrestabile rende questo pezzo una vera e propria macina per le ossa dei fan che si lanceranno nel pogo sotto il palco, rendendo l'evento un'orgia di sangue sotto tutti i punti di vista. Lo stile complessivo dello sviluppo ricorda molto la parte finale di "Postmortem": veloce, serrato e senza nemmeno l'ombra di un cambio ritmico; l'unico stacco si rivela essere il break a metà della canzone, dove la batteria dimezza il proprio tempo per eseguire la ritmica dell'assolo che, anche se più lenta della strofa, non manca di spaccare tutto come un qualsiasi brano della band. Conclusa questa parte "più leggera" ecco che le chitarre si lanciano in un fraseggio armonizzato dalle tonalità ascendenti, scelta che si rivela ideale per ricreare l'atmosfera funambolica e claustrofobica per la ripartenza della strofa conclusiva, che come la prima ricomincia a martoriare teste a colpi di Thrash Metal. In soli due minuti e quarantuno secondi di durata del brano, gli Slayer condensano tutta la furia verso un sistema che disprezzano sempre di più, anno dopo anno. Il testo infatti si presenta subito come un'accusa perentoria verso il governo degli Stati Uniti, cinicamente descritto come uno stato che ha ormai perso il suo smalto politico ed all'interno del quale gli abitanti sono ormai letteralmente abbandonati al sonno della ragione ed in preda al totale subconscio, del tutto privi di una giustizia forte che riesca a governarli. L'ignoranza ormai regna sovrana e l'assoluta pigrizia mentale degli individui lascia il campo libero ai vari intrighi e giochi di potere messi su dai politici. I dittoheads sono per l'appunto tutti coloro che si adeguano alla corrente, seguendo l'ideologia che va di moda all'interno per la massa; mettersi a ragionare su cosa sia giusto e cosa invece sia dannoso per il benessere comune è un procedimento che richiede raziocinio, buonsenso ma soprattutto anche quel minimo di cultura personale che non renda i cataloghi dei megastore le uniche letture presenti nel nostro bagaglio. All'interno di questa massa di ignoranti, lo stesso sistema giace inerme ormai privo di ogni spina dorsale: i criminali operano imperterriti senza essere perseguiti o, nella migliore delle ipotesi, vengono catturati e processati per poi uscire dal carcere per buona condotta, potendo tornare comodamente a piede libero. In passato come oggi (che all'epoca della canzone era il 1994), Araya nota come gli ideali degli Americani siano gli stessi di un tempo: ci si professa buoni e perbenisti ma allo stesso tempo siamo i primi a gioire in tripudio di fronte alla violenza, ma non una violenza qualunque, quella che ci eccita quasi sessualmente quando vediamo torturare un criminale ma che ci disgusta non appena vediamo quest'ultimo applicarla ai nostri concittadini. Ermeticamente ci limitiamo a constatare che "occhio per occhio, dente per dente", ma questo motto diventa giusto solo se l'aggressione fisica da noi ritenuta "giusta" viene preceduta da un atto di indicibile cattiveria verso un innocente. Distruzione ed anarchia ora non sono più un qualcosa di ribelle, ma sono ormai divenuti aspetti assolutamente normali di una società che invece di condannare la violenza a priori aspetta che essa funzioni da deterrente per potersi scatenare in una furia cieca, che da bigotti giudici ci trasformi immediatamente in giustizieri. Dove si trovi il limite tra giusto e sbagliato dunque non è dato saperlo, ormai l'essenza della realtà attuale è assolutamente relativa; ogni moralismo o sofismo in merito va infatti a perdersi nell'immenso oceano di parole proferito ogni giorno dai soliti tuttologi, agli Slayer non interessa nulla, loro si limitano semplicemente a denunciare il disgusto che provano verso il mondo attraverso una canzone che per quanto breve, grezza ed istintiva si dimostra assai più veritiera di mille trattati di politologia.
Conclusioni
Il singolo di "Live Intrusion" dunque ha solo un difetto: quello di essere troppo breve. Dato l'impatto assolutamente travolgente di queste tre tracce i fan degli Slayer ne avrebbero volute ancora, ma è troppo presto per accontentare questo desiderio; come un bambino che mangiata la caramella prima del pasto ne vorrebbe ancora una ma deve aspettare l'ora adeguata, allo stesso modo i thrashers amanti della band californiana avrebbero voluto ancora qualche altra mazzata da godersi dal loro impianto stereo. Col senno di poi, fortunatamente l'attesa sarebbe stata ripagata con la pubblicazione dell'intero live in formato video, così da potersi sparare in vena non solo l'audio di quello show a dir poco devastante ma potendosi anche godere la presenza scenica di una band che, seppur non famosa per il "movimento" sul palco, si dimostra sempre coinvolgente concerto dopo concerto. Lo scopo di questo singolo è dunque semplicemente quello di far venire l'acquolina in bocca e la missione non può si può far altro che definire perfettamente compiuta. In un periodo come la prima metà degli anni Novanta dove il Grunge la faceva da padrone, occorreva che le grandi band metal trovassero dei nuovi espedienti per non restare indietro sul percorso: come già sottolineato gli Slayer si rinnovarono commercialmente parlando puntando ora sul versante live come serbatoio da cui estrarre il nuovo materiale promozionale; pubblicandone solo tre estratti, Tom Araya e soci poterono così testare la risposta del pubblico in merito, ed una volta visto il successo di questo esperimento, con la pubblicazione del video live completo dello show in Arizona sfondarono una porta aperta. A rendere questo singolo assolutamente fruibile ed appetibile, oltre alla scelta dei brani e di come essi siano stati suonati dal vivo, è sicuramente l'ottima post produzione del materiale audio registrato per l'occasione: il missaggio successivo, eseguito da Thom Panunzio, mette perfettamente in risalto la cruda e diretta attitudine della band dal vivo; i suoni sono perfettamente ripuliti da ogni rientro o frequenza cacofonica ed ulteriormente pompati (come se fosse necessario) per far uscire le canzoni con tutta la potenza possibile. Per gli standard dell'epoca, siamo di fronte ad un livello assolutamente al di sopra delle righe, il meglio della tecnologia allora disponibile offre a quanto composto e suonato dagli Slayer on stage tutta la pulizia e la precisione che si potessero auspicare per un prodotto di assoluto prestigio; se non avete ancora avuto modo di vedere questo video per intero, peraltro disponibile in streaming in rete, consiglio questo singolo come piccolo antipasto in attesa della portata non plus ultra di un pasto assolutamente thrash metal.
2) Divine Intervention
3) Dittohead