SLAYER
Haunting the Chapel
1984 - Metal Blade Records
DAVIDE CILLO
01/04/2016
Introduzione Recensione
Gli Slayer avevano recentemente rilasciato Show No Mercy, un full di successo che con il suo sound rivoluzionario aveva saputo conquistare una notevole cerchia di fan. La collaborazione con Brian Slagel e la sua Metal Blade Records era stata di successo, e venne rinnovata negli anni a seguire. L'uscita di "Live Undead", di cui abbiamo approfonditamente narrato, arrivò l'anno successivo. Questa fu accompagnata da un altro lavoro che non solo riscosse maggior successo, ma che era destinato ad essere ricordato per sempre dai fan. Un "vinyl & cassette" intitolato Haunting the Chapel, formato da tre canzoni, si mostrava più diretto e sincero di "Live Undead", buon lavoro, ma che possedeva quei difetti di cui abbiamo detto, specie considerando la cultura a cui faceva riferimento e il target d'ascoltatori prettamente "purista" che ha sempre seguito la band. Questi due lavori, rispetto al full-length di debutto, già mostravano un cambiamento di sound per il complesso, che si apprestava a diventare sempre più aggressivo e vicino a quelle sonorità che diverranno poi tipiche della scena metal estrema. L'intenso uso della doppia cassa, introdotta pochi anni prima ("Overkill" dei Motorhead ne è esempio storico), venne intensificato, al punto che il lavoro di Dave Lombardo dietro le pelli divenne un vero e proprio trademark di questo quartetto. Un quartetto che, partendo da questo e altri elementi, ha saputo rivoluzionare il mondo musicale, raggiungendo ciò che per la stragrande maggioranza degli artisti è assolutamente proibitivo. Questo lavoro, ancora oggi amatissimo da noi amanti di questo genere di sound, venne poi riproposto proprio visto il grande successo che aveva saputo riscuotere. Le canzoni di questo lavoro sono celebri anche per essere contenute negli album dal vivo del gruppo, che ancora oggi segnano la discografia Slayeriana come una delle più complete e amate. Alle tre tracce, intitolate "Chemical Warfare", "Captor of Sin" e appunto "Haunting the Chapel" ne fu aggiunta una quarta, "Aggressive Perfector", che fu proposta nella versione rimasterizzata e che si affiancò come allegato a "Live Undead". Questa traccia era già presente nella raccolta "Metal Massacre Vol. III" che, ai tempi, permise a molte band di diffondere il proprio nome e farsi conoscere. Prodotta dalla Metal Blade stessa, la cosiddetta "Massacre" consta di 13 volumi, l'ultimo dei quali uscito nel 2006; è stata resa celebre per aver ospitato, nel primo disco del 1982, la grande Hit The Lights dei Metallica, divenuto un vero e proprio oggetto di culto. Nel capitolo invece in cui compaiono gli Slayer, essi sono al fianco di band come Warlord, Virgin Steele e Tyrant. La cultura di quei tempi passava spesso infatti proprio per queste "raccolte musicali", uno dei principali mezzi che si avevano a disposizione per conoscere nuovi complessi del genere che tanto si amava. La traccia piacque così tanto da essere poi aggiunta all'album più celebre dell'intera carriera della band, "Reign in Blood"; tuttavia, è possibile ritrovare "Aggressive Perfector" anche in altri lavori della discografia degli Slayer: nei singoli "Postmortem", "Criminally Insane (Remix)" e "Seasons in the Abyss" essa è infatti presente come b-side. Detto di Jeff Hanneman, forse il componente più indispensabile degli Slayer e che stava maturando uno stile musicale del tutto unico, è importante dire come anche i progressi di Lombardo in quegli anni stavano davvero diventando importanti. Il batterista degli Slayer aveva una grande amicizia con Gene Hoglan, mostro sacro della batteria metallara e bandiera dei contemporanei Dark Angel, e si dice che proprio quest'ultimo con qualche consiglio abbia saputo ancor più indirizzare gli straordinari progressi di Lombardo. Una piccola curiosità: proprio Hoglan, durante la registrazione di "Chemical Warfare", tenne ferma la batteria mentre Lombardo registrava, dal momento che non c'era il tappetino che tenesse ferma la cassa. Per quanto riguarda la produzione, questa è stata ovviamente ad opera di Brian Slagel, il padre della Metal Blade Records, colui che per primo ebbe fiducia negli Slayer e li lanciò verso un pubblico di grandi ascoltatori, proponendo l'uscita di questo lavoro. Un autentico perfezionista e conoscitore delle più avanzate tecniche produttive dell'epoca, seppe dare alla band statunitense un tocco unito che ancora oggi è in grado di contraddistinguerla per l'intero mondo degli ascoltatori. In quegli anni fu quasi un "padrino" per il marchio Slayer, su cui poneva incredibile fiducia, occupandosi della carriera della band e proponendo agli stessi componenti il percorso da seguire per farsi conoscere in tutto il mondo. Questo EP, ad esempio, svolgeva il compito di fare da riempitivo, ma è più corretto dire da ponte di collegamento alla carriera della band fra l'uscita di "Show No Mercy" e quella di "Hell Awaits"; Slagel pensò che sarebbe stata un'ottima idea far uscire un EP a cavallo dei due album. Una scelta tutt'altro che unica, dal momento che fu adottata anche fra le altre storiche band appartenenti a quella scena, prima fra tutte i Metallica del primo periodo. La fase di mixaggio fu curata da Bill Metroyer, quella di mastering a cura di Eddy Schreyer. Un team di eccellenza, pronto a valorizzare questo lavoro come pochi a quei tempi avrebbero potuto fare. Quest'uscita, come da ideale per i fan e collezionisti del genere, conobbe varie forme e varie uscite nel corso degli anni. La prima versione, quella del Giugno 1984, uscì su 12 pollici tramite Metal Blade Records. Lo stesso formato fu rilasciato anche su Roadrunner Records e Banzai Records, label canadese e che permise a molti nel paese di conoscere il quartetto. Fu rilasciata anche una versione su cassetta, questa tramite Enigma e Banzai Records. La versione su CD arrivò nell'89, per poi essere sempre tramite Metal Blade rimasterizzata e nuovamente rilasciata nel 1993. L'anno successivo la versione rimasterizzata arrivò anche (sempre tramite la label di Brian Slagel) nel Sol Levante, nella grande maggioranza dei negozi di musica giapponesi. Fu in queste versioni che fu aggiunta la traccia "Aggressive Perfector", già presente in "Live Undead", che si aggiunse alle tre che già avevamo avuto modo di conoscere sin dalle prime release. Una successiva uscita fu quella del 2007, su CD, arrivata tramite Icarus Music. Una chicca è però certamente la versione "Red Splatter Vinyl", una pensata commerciale dell'immancabile Brian Slagel che con la sua Metal Blade rilasciò questa particolare versione del lavoro nella speranza di stregare i fan più vecchia scuola della band. La stessa label si occupò di altre uscite in Giappone, terra a cui il produttore aveva sempre prestato particolare attenzione: nel 2004 e 2009 abbiamo infatti altre due release limitate giapponesi. Per concludere, nel Gennaio 2016 la Metal Blade ha voluto dare al lavoro altre due nuove forme: un nuovo "Red Splatter Vinyl" e un "Marbled Red/Black Vinyl", arrivati a tutti e liberamente acquistabili presso il negozio online della label. Una grande pluralità di uscite, a testimonianza di un lavoro storico e che ancora oggi riscalda i cuori degli amanti della band. Impossibile non dare attenzioni allo spettacolare artwork dell'EP, che è in grado sin dal primo istante di catturare ogni attenzione, ponendosi in maniera estremamente diretta e efficace agli occhi dell'osservatore. Il logo della band, con tanto di spade insanguinate, cola lo stesso fluido sanguigno su un'altra spada, subito in basso rispetto al simbolo degli Slayer. I colori scelti, il nero, un rosso acceso e il rosso-sangue, forniscono un carattere e un carisma unico al concept. Ciò che risalta all'attenzione è ovviamente la grossa scritta che porta il titolo dell'uscita, ovvero "Haunting the Chapel", nella parte alta del lavoro. Di un rosso acceso, si contraddistingue per la sua immediata visibilità, ideale per captare l'attenzione di chiunque stesse sfogliando le copertine delle varie uscite. Ideata da Jeff Hanneman e Kerry King, questa cover fu poi realizzata da Vince Gutierrez, che proprio nello stesso anno lavorò su "Battle Cry" degli Omen, altro stupendo artwork per l'uscita della storica power metal band californiana. Tutti questi nomi, tutte queste band, ci raccontano di una scena davvero rigogliosa, un terreno fertile dove ragazzi e produttori furono in grado di coltivare materiale che ancora oggi, dopo decenni, è in grado di stregarci ad ogni ascolto. Non è infatti un mistero che, a partire dalla pre-esistente scena Heavy Metal, le evoluzioni del genere, prime fra tutti il Thrash, siano proprio nate in quest'epoca e in queste ambienti, con la California che è a buon ragione da ritenere l'assoluta terra madre di questo splendido e inimitabile filone artistico, probabilmente l'evoluzione della scena Heavy più amata e seguita nel mondo. Prepariamoci dunque ad ascoltare questo pezzo di storia, uno dei primi esempi di quel sound che prima rivoluzionò il Thrash Metal poi la scena Heavy Metal intera.
Chemical Warfare
La traccia d'apertura, Chemical Warfare (Guerra Chimica), si apre con un serrato riff che alterna down e alternate picking. Presto a coadiuvare il tutto subentra la voce di Araya, che con l'espressione più rauca tipica delle prime fasi della sua carriera colora una strofa di fattura rapida e macabra. Qui il brano, mantenendo costanti ritmi, ci immerge in un racconto di guerra e malvagità: milioni di innocenti vengono infatti spazzati via da una guerra chimica, che porta la vittoria sulla terra della bramosia e dell'arroganza. Si da così il via ad un rapido annientamento su livello globale, che deve essere rapido e non lasciare alcuna traccia ("destroy without destruction"). Gli dei del trono guardano dall'inferno, godendo di questo genocidio di massa, mentre un numero non contabile di corpi giace sconfitto e senza vita. I demoni non sono pronti a morire, e porteranno nel baratro più esistenze possibili. Così, diverse regioni del globo vengono ridotte in polvere tanto da apparire come mummificate, i corpi sono come pietrificati e in preda alla ruggine, le anime perdute presto si uniranno all'inferno dove Satana, ansioso, attende. Il primo ritornello si conclude con il più classico degli acuti di Araya che recita "chemical warfare", innescando un devastante rallentamento che propone una serie di micidiali riff che, calzanti e perfetti, si susseguono, prima di fare ritorno alle ritmiche veloci su cui regge uno dei grezzi assoli che tanto amiamo di questa band. Micidiale come un pesante mattone che ci piomba sulla testa da decine di metri, questo brano alterna parti cantate a parti di rapidi assoli, proponendoci scambi che poi ci riaccompagnano all'ultima strofa. I riff, che riprendono gli schemi classici del genere, vengono elaborati con una capacità unica, una fantasia compositiva che introdusse un nuovo modo di concepire il concetto di "estremo" all'interno del mondo della musica. Tutta la maestria di Hanneman nel songwriting emerge più che mai nell'ultimo minuto del brano, dove è possibile al massimo delle potenzialità, percepire le prime grandi similitudini di quello che poi sarà da noi tutti conosciuto come "Reign in Blood", il celebre full uscito due anni più tardi, nel 1986, anno considerato quello "d'eccellenza" per la storia della scena Thrash Metal. Una delle incredibili capacità di questo complesso risiede nel saper proporre canzoni immediate e serrate, specie in sede di live, cosa che porta ad esibizioni robuste e che non lasciano scampo alcuno, dal momento che, per l'appunto, i pezzi si susseguono rapidamente uno dopo l'altro. Questa scelta avviene anche in fase di studio, dove non ascoltiamo grandi "variazioni" per placare la furia musicale ma, anzi, le tracce vengono a noi proposte proprio come se fossero uniche.
Captor of Sin
Il secondo brano di questo storico EP apre il Side B e si intitola Captor of Sin (Catturatore del Peccato): introdotta da uno sferzante assolo, a tratti stranamente musicale date le caratteristiche della band, la canzone presto mostra tutte le sue qualità. Il riff elaborato da Hanneman è roccioso come una pietra, la voce di Araya feroce e violenta, la doppia cassa di Lombardo procede in maniera incredibilmente serrata; nonostante ciò, non raggiungiamo qui elevate velocità ma, al contrario, la band sceglie di evolversi su ritmi medi facendo leva sulla melodia della traccia, nonostante il grezzo e spietato Thrash Metal portato avanti (ovviamente, anche all'interno della "Captor of Sin" stessa). A mio giudizio, ciò che rende questa traccia davvero straordinaria, risiede nella linea vocale composta dal frontman, che in alcuni accenti si dimostra unicamente coinvolgente e gustosa; questo accade principalmente in quei rallentamenti dove ad esempio il vocalist minaccia (I'll take you down into the fire - trad. ti porterò giù nel fuoco). La capacità di comporre melodie accattivanti appartiene a poche band, ma chi sarebbe in grado di coniugare questo fattore ad un Thrash Metal talmente violento e spietato? Questa e altre qualità rendono gli Slayer una band davvero unica per noi che ci ritroviamo ad ascoltarli. Il rapido assolo viene intervallato in due sezioni (altra caratteristica tipica, dove spesso i due axeman si alternano) e il riff conclusivo propone una stupenda serie di slide nella più pura delle chiavi Old School. Una traccia furiosa e tagliente come un vetro, una trivella pronta a perforare i timpani e lasciare a bocca aperta coloro che non potevano, all'epoca, aspettarsi di ascoltare qualcosa di questo genere. Le liriche ci introducono gli inferi, un luogo perduto dove vengono riunite le anime perse, perse nel fuoco che brucia e provoca infinite sofferenze. Satana libera suo figlio, nato da un seme demoniaco, mandandolo sulla Terra dove si aggirerà in cerca di vittime. Coloro che ignorano Dio saranno puniti, nel più tremendo e inimmaginabile dei modi. Dall'inferno non vi è scampo, al punto che sparire per sempre diviene un incessante desiderio per coloro che fanno accesso in questo luogo. Un luogo dove la pelle delle vittime si trasformerà in cuoio, al sangue sarà dato fuoco, un tocco letale accenderà patemi indescrivibili per la concezione di realtà che noi conosciamo. Di seguito, l'anima della vittima verrà afferrata e trascinata nel più profondo fuoco. L'incredibile scarica musicale propostaci da questo brano, emblema delle capacità degli Slayer che andavano sempre più prendendo forma, non accennerà a placarsi. Se poi consideriamo che già nei full-length le tracce non venivano divise da pausa o variazione alcuna, figuriamoci in un più breve EP, che a maggior ragione deve dare il massimo in una minore durata.
Haunting the Chapel
Infatti, il brano successivo è nientemeno che Haunting the Chapel (Tormentando La Cappella), la title track di questo lavoro. Ultima traccia, si apre con una delle migliori combinazioni di riff della band composte in quel periodo, cosa che in realtà già lascia immaginare tutto. Ancora una volta è però importante sottolineare come la musicalità espressa in questi frangenti riconduca sempre più a quello che sarà il futuro della band, giacché il debutto "Show No Mercy" era meno indirizzato da questo punto di vista. Il brano, con una serie di allucinanti stop and go, catapulta l'ascoltatore da frangenti su tempi medi e con maggiore groove a sezioni dove un serratissimo alternate picking e brusche accelerazioni di batteria conducono all'aumento del nostro battito cardiaco. Queste variazioni, continue, sono la vera e propria base della canzone, il pezzo su cui poi regge l'intero muro. Ed è proprio su una delle riprese che poggia l'assolo, diviso in due parti da una breve interruzione, che davvero in questo pezzo raggiunge l'apice in quanto a grezzume: acuto e privo di una e propria vera musicalità, questo sferza per più di un minuto su un tema stridulo e nervoso. Un tema che non incanta, ma propone scale che si ripetono ossessivamente e mono tematicamente. Sarebbe una critica, se non fosse che ci ritroviamo a parlare degli Slayer, una band in cui questo tipo di composizione non solo è opportuna, ma valorizza al massimo l'andamento generale delle tracce. Quello che stupisce realmente di questa traccia, al di là della sua struttura non propriamente complessa, ma anzi, infusa della vetrosa cattiveria dei primi anni della band, è proprio questo. L'enorme apporto malvagio che i nostri riescono a dare ad ogni canzone su cui posano lo sguardo; il riff portante, i soli, e la stessa voce di Araya, ogni elemento è macchiato di una malvagità unica nel suo genere, che poi negli anni diverrà forse l'arma più vincente della formazione, e che le permetterà di influenzare folte schiere di band estreme. Del resto, la musica altro non è che un'alchimia, gli elementi devono essere in sintonia fra di loro, non importa quali essi siano. Questo è quello che i nostri ragazzi fanno, e ciò è importante per capire che le critiche di una frangia di ascoltatori, anche metallari, non hanno senso: se gli Slayer "non facessero assoli brutti", i loro brani sarebbero davvero così diretti, efficaci e gustosi? Questa è la corretta domanda da porsi, perché analizzare e criticare elementi presi singolarmente davvero, per la mia personale opinione, non può portare da alcuna parte. Il racconto di queste liriche non può far sorridere, e probabilmente questo è anche uno degli intenti che la band talvolta si poneva in fase di scrittura. Preti e sacerdoti, per aver creato la bugia del Cristianesimo e aver cercato di portare sempre più gente a credere a una menzogna, saranno corrosi dal rimorso e da un profondo senso di peccato. Così, i fantasmi del peccato saranno evocati, e questi distruggeranno l'altare e conquisteranno la chiesa. Arriverà quindi il regno di Lucifero, i fantasmi provenienti dagli inferi conquisteranno il Paradiso, i soldati di Satana avanzeranno con canti di lussuria... il regno di Dio così cadrà. Tematiche che i nostri riprenderanno sempre più frequentemente nella loro carriera; oscurità, satanismo, presenze demoniache, e denunce più o meno forti verso il piano clericale del mondo, faranno la gioia degli appassionati, e le viscere profonde dei testi del gruppo. Una tecnica che anche in ambienti molto più underground verrà adottata (si pensi ai testi del primo album firmato Onslaught, per citarne uno).
Aggressive Perfector
A questa traccia, che come ben sappiamo nella versione originale era l'ultima, si aggiunge Aggressive Perfector (Perfezionista Aggressivo), inserita nella versione rimasterizzata del '93: aperta da un semplice intro dove emerge in primo piano la batteria dello straordinario Lombardo, la canzone ci propone un rapidissimo riff di matrice estremamente classica, molto vicina alle musicalità proposteci dagli altri esponenti storici del Thrash californiano, piuttosto che a quelle estreme che spesso ci hanno donato gli Slayer. La linea vocale è qui dotata di una vera e propria linea melodica e musicale, mentre dal punto di vista musicale un'altra vaga somiglianza che è possibile percepire è quella con i contemporanei Overkill, storica band che operava nella parte opposta degli States. Grande elemento sono sempre gli acuti di Araya, che colorano l'avanzata ritmica nella maniera più spettacolare possibile. L'utilizzo di semplici power chords per portare avanti il brano, oltre che essere come ben sappiamo di matrice classica, si adatta perfettamente alla più acuta e aggressiva voce del vocalist che dona un carisma unico alle parti. L'assolo qui manterrà gli accenti tipici della band, ma si adatterà alle esigenze della traccia mostrandosi comunque più movimentato e chiaramente più musicale; come anche lo è il ritornello di Araya, che in uno dei rari casi per questa band intrattiene non per la robustezza dei riff per la melodia catchy composta ed eseguita. Una scelta magari strana, quella di proporre un brano come questo, ma certamente azzeccata e sensata se si pensa alla scena di quel momento: le ispirazioni vanno valorizzate, questo devono aver pensato i ragazzi quando hanno deciso di dimostrare che si sarebbero potuti adattare anche a stili di Thrash differenti dal proprio. Uno stile certamente molto più vicino alla scena Heavy/Speed, riportato in chiave macabra in primo luogo dai Venom, poi da tante band italiane e straniere. Le lyrics raccontano di un continuo, seducente invito a unirsi a Satana. Nel racconto la proposta avanzata si pone di sembrare più accattivante possibile, per affascinare la vittima che dovrà giungere al punto di sacrificare se stessa e, ovviamente, stupire l'ascoltatore nella maniera più incredibile possibile. Se l'invito verrà accettato, viene assicurato dalla malvagia voce, tutte le paure scompariranno e la via sarà mostrata, verso una realtà dove non esistono timori né paure e ogni bisogno viene soddisfatto. La realtà che viviamo è perfetta per Satana, che ha modo di assecondare ogni sua fantasia. Colui che si unirà a Satana non sarà mai più lo stesso, assicura la voce, affermazione certamente criptica e invitante che volge ad accentuare con fermezza quella che può essere l'avvenuta unione della vittima con il demonio.
Conclusioni
Quello di cui abbiamo parlato è un EP importantissimo per lo sviluppo della band, da prendere come un ponte di transizione per quello che gli Slayer erano e ciò che presto sarebbero stati. Ad un orecchio poco attento potrebbe in realtà sembrare che la differenza stilistica sia effettivamente poca, ma l'introduzione nel feroce Thrash Metal della band di un trademark unico e dotato di un caratteristico sound (e corrispettiva musicalità) è avvenuto proprio nello sviluppo di lavori come questo. Una perla da ascoltare e riascoltare, un lavoro unico e indimenticabile che ogni vero fan del Thrash Metal Old School tornerà a voler vivere passato un certo lasso di tempo. Le motivazioni del mio voto, un "9", non risiedono solo nella bellezza del lavoro, ma anche nella sua importanza storica, come anche nell'incredibile genuinità e appeal che questo possiede. Un appeal unico, e che solo i maestri di un genere, qualunque esso sia, possono possedere. Ciò passa da ogni elemento, specialmente da quei tanto criticati assoli crudi e scarni, che con i loro caratteri grezzi, come abbiamo detto, donano un tocco unico al lavoro oltre che alla carriera della band. Qui ogni componente svolge un lavoro unico, e i progressi di Lombardo divengono tangibili. Se dovessimo paragonare questo lavoro al contemporaneo "Live Undead", da me recensito, questo si mostra certamente più efficace. In primo luogo, per la sincerità che esprime. Tutto ha accenti più veri e diretti, elemento che ricopre un ruolo assolutamente di prim'ordine se consideriamo ciò per cui si contraddistingue questo complesso. In secondo luogo, certamente il modo in cui quel "Live" è stato costruito ne macchia senz'altro il senso artistico. A differenza di quel lavoro, quindi, Haunting The Chapel possiede un valore storico incommensurabile, una pietra miliare unica per gli amanti non solo della band, ma della scena Heavy Metal intera. Un lavoro che, senza esagerazioni, rappresenta uno dei passi più importanti della carriera degli Slayer e un frangente importante del loro straordinario percorso artistico. Nota dopo nota, assolo dopo assolo, il quartetto ruggisce con tutta la furia e cattiveria di quegli anni, senza porsi dinanzi alcun limite artistico (esempio la stessa Aggressive Perfector), cosa che invece avviene praticamente sempre una volta che una band raggiunge la fama. In 13 minuti divisi per tre tracce, ci è possibile rivivere tutto il genio artistico di Jeff Hanneman, una perdita fra le più preziose per il mondo della musica intera. Un artista in grado di creare una chiave creativa propria, ereditando i tanto amati Heavy Metal e Hardcore Punk e unendoli come un'anima unica, che forma un nuovo colore, l'arancione, dall'unione del giallo e del rosso: chi, pensandoci, può dire come artista di aver fatto questo? I nomi certamente non sono molti. Per quanto riguarda le lyrics proposte dalla band, questo sono perfettamente lo specchio di ciò che abbiamo detto per la parte musicale. I temi macabri e anticristiani, miscelati come sempre a quel leggero tocco fantasy, sono portati avanti con grande convinzione e fedeltà, al punto che ogni traccia tratta di tale argomento. E' chiaro, si è parlato molto del fatto che gli Slayer non fossero una band satanista. Semplicemente, i testi inseriti nei lavori sono immagine perfetta per quella che è la musicalità, violenta, e che non intende concedere riflessione alcuna all'ascoltatore. Trattare di una certa tematica come ha fatto questo complesso, semplicemente conferma quei discorsi di attitudine e coerenza Old School di cui abbiamo tanto tenuto a parlare, in quanto rispecchiano non solo questa band ma una importante frangia dei suoi followers. Lo straordinario artwork, per concludere, cattura e strega visivamente sin dal primo momento grazie alla sua straordinaria semplicità, il modo diretto e sensazionale con qui si pone. L'ennesima scelta di coerenza che rispecchia le scelte della band, ma allo stesso tempo sin dal primo momento è in grado di incantare per la sua diversità da quelli che erano gli standard dell'epoca, che certamente non avevano mai visto una vena talmente estrema nei negozi musicali. Siamo nel 1984, non ci vorrà molta fantasia per capire quanto rivoluzionaria potesse essere un'uscita di questo genere. La capacità di essere unici nel proprio genere, di proporre e sperimentare qualcosa per primi, di portare una ventata di innovazione e di freschezza all'interno di una scena, di essere se stessi e non il proprio artista preferito quando ci si rapporta con il proprio strumento. E' grazie a questi e altri elementi che gli Slayer, in seguito, sarebbero riusciti a diventare meritatamente una delle più grandi band di cui la storia della musica abbia mai goduto.
2) Captor of Sin
3) Haunting the Chapel
4) Aggressive Perfector