SLAYER
God Send Death
2001 - American Recordings
MARCO PALMACCI
08/04/2016
Introduzione Recensione
"Volevo che i testi di queste canzoni suonassero più realistici possibili, un qualcosa in cui tutti potessero rivedersi.. piuttosto che 'Satana di là', 'Satana di qua' e tutte le stronzate alla 'Dungeons&Dragons' presenti negli scorsi dischi. Voglio dire: un giorno vivi la tua vita.. e vieni improvvisamente investito da un'auto, o il tuo cane muore, e pensi: 'oggi Dio deve odiarmi veramente molto' ". Neanche il nuovo millennio, da poco iniziato, riuscì a fare in modo che Kerry King tenesse a freno la sua lingua. Il nerboruto chitarrista, diretto come pochi nel panorama Metal (e forse troppo, in molti casi), utilizzò esattamente le parole riportate nell'incipit, per fare in modo di presentare in maniera eloquente quello che sarebbe stato il nono (ottavo, se escludiamo "Undisputed Attitude") album di casa Slayer. Un album accompagnato da un titolo forte, apparentemente semplice ma incredibilmente diretto e violento, a livello di significato. "God Hates Us All", "Dio ci odia tutti". Un disco che sarebbe dunque suonato, a detta di King, come vero e reale, pregno di testi incentrati sulla violenza e sulle difficoltà di ogni giorno. Sfortuna, malasorte, assurdità, avvenimenti inspiegabili.. tutto poteva far brodo, tutto quel che si poteva ricondurre alla sostanziale sfiducia provata dall'uomo nei confronti della propria divinità; in teoria benevola e sempre presente, in pratica assente ed a tratti quasi sorda e cieca. Credere in un qualsivoglia Dio significa votarsi ad una fede incrollabile, della quale non si dovrebbe mai dubitare. Cosa succede, quindi, quando l'uomo rivolge il suo sguardo esausto contro il cielo, provato da mille fatiche e dispiaceri? Semplice, si ritrova stranamente ad odiare la volta celeste, a maledire quel Dio che -per qualche strana ragione- predica benevolenza ma dispensa dolore come se questo fosse un prodotto da smerciare gratis, al più presto possibile. Non riusciamo più a trattenerci, a fermarci, a desistere dal pensare che, se qualcuno veramente esiste, lassù.. ebbene, deve proprio odiarci a morte. Povertà, carestie, guerre, malattie.. niente di tutto questo è assimilabile all'amor che move il sole e l'altre stelle. Il 2001 degli Slayer, dunque, cominciava all'insegna della violenza e della disillusione, un po' la stessa che permeò leggermente gli animi dei nostri condottieri durante la realizzazione dell'intero "God..". A cominciare dalle rogne in sede di produzione, dovute ad un Rick Rubin stanco e privo di idee, che non avrebbe -questa volta- potuto seguire gli Slayer come sarebbe convenuto, aiutandoli a sviluppare il tipo di sound più adatto al concept avanzato. Il gruppo risentì abbastanza di questo momentaneo "auto ostracismo" da parte del loro storico pigmalione, il quale (comunque) cercò di rattoppare i buchi presentando ai suoi pupilli altri collaboratori con i quali poter instaurare un rapporto proficuo e duraturo. Il primo suggerimento si rivelò un fiasco totale, in quanto le esigenze del combo erano più che mai alte ed importante. Lo stesso King ammise di volere un produttore capace di impegnarlo, di tenerlo sulle spine, di spingerlo verso il massimo delle sue possibilità. La scelta ricadde dunque sul secondo candidato presentato da Rubin, tal Matt Hyde, il quale fu subito messo alla prova su di un pezzo del futuro album, ovvero "Bloodline". Il lavoro svolto soddisfò finalmente gli Slayer, i quali chiesero ad Hyde di produrre l'intero platter. Rick, dal canto suo, sarebbe comunque stato il produttore esecutivo. Trovata dopo diversi problemi un'importante sinergia con questa nuova figura, il gruppo dovette in seguito affrontare un'altra serie di vicissitudini, legate al cambio di studio di registrazione. Si pensò ad Hollywood, ma ben presto la band decise di spostarsi a Vancouver, in uno studio raccomandato da Hyde e molto più economico di quello situato invece nella "terra dei sogni". Il "Warehouse Studio", di proprietà di Bryan Adams , fu dunque pronto ad accogliere i Nostri, che rimasero non poco "stupiti" dal fatto di doversi accasare presso il "covo" di un cantautore pop canadese. King fu sin da subito il più perplesso di tutti, e proprio per ovviare al problema di ambientamento, lo studio venne decorato "a misura di Slayer": luci soffuse per dare al tutto una parvenza di oscurità, candele, incenso e poster di donne nude sulle pareti. Con l'aggiunta di due bandiere raffiguranti due eloquenti "gesti del dito medio". L'ambiente, quindi, fu thrashizzato a dovere. "L'ambiente fu subito reso consono a quel che eravamo. Avevamo piazzato la testa di un diavolo su di un amplificatore, ed un teschio su di un'altra. Era il tipo di roba che ci piaceva.. sai, quelle cose spaventose che ti fanno sentire a casa!", queste le parole di Tom Araya in merito alle decorazioni. I problemi, tuttavia, sorsero quando Hyde cominciò a manifestare la ferrea volontà di "ripassare" i brani al computer, lavorando con "Pro Tools" e cercando di abbondare in quanto a rimaneggiamenti. Il secco rifiuto degli Slayer fu subito palese, ed alla fine si giunse ad un compromesso: suono lasciato intatto e solo un piccolo innalzamento dei quantitativi di distorsione e delay. Questo, dunque, il clima generale nel quale "God Hates Us All" venne registrato e realizzato. Prima di immettere sul mercato il prodotto finito, però, gli Slayer pensarono bene di presentarlo a dovere con un singolo di lancio, datato 2001 e sempre uscito per la "American Recordings", ormai divenuta la casa definitiva del combo statunitense. "God Send Death", quindi, venne incaricato di fungere da apripista, presentandoci l'omonima track più due bonus presenti unicamente nella versione limited edition di "God..", ovvero "Addict" e "Scarstruck". Andiamo quindi a goderci questa chicca dell'Assassino più famoso della storia del Thrash, prima di gettarci a capofitto nell'intero disco. Let's Play!
God Send Death
Si parte in quarta con la titletrack, "God Send Death (Dio dispensa Morte)", dalla durata non importantissima ma dai chiari intenti belligeranti. Ad aprire le danze è una sorta di "intro" fatta da chitarre massicce e plumbee, pesantissime e stranianti, le quali emettono note lunghe, decisamente cupe. Un qualcosa di incredibilmente asfissiante, che ci mette a dura prova e crea la suspance tipica di un Thriller ben riuscito. E' ben presto Bostaph a suonare la carica, mediante stacchi precisi ed una doppia cassa a dir poco chirurgica, un ensemble sul quale ben si staglia un altro sound di chitarra, diverso dal precedente. Quest'ultimo è molto effettato ma non al punto tale da farci storcere il naso, ed è ben presto Araya a fare la sua comparsa, con le asce che tornano ad emettere note più "da Slayer" ed a riprendere il mood iniziale. Non si indugia in velocità, anzi, si decide di rimanere fermi su atmosfere oscure e pesantissime, sulle quali il nostro Tom può declamare i versi del brano. Il battere preciso di Paul è il degno compagno di questo insieme, calibrato alla perfezione; stiamo parlando degli Slayer, e ben presto si comincia quindi a correre, anche se Kerry e Jeff mantengono comunque quella sorta di flavour "drammatico" e "buio" del quale i loro strumenti sembrano essere profondamente intrisi. Tempi più cadenzati solo in successivamente al refrain, ed il brano, dopo il ritornello e "frenata" ad esso conseguente, riprende quindi appieno la struttura appena delineata: strofa perentoria e nera come la notte, accelerazione improvvisa e particolare cadenza ritmica in sede di post refrain. Minuto 2:00, udiamo nuovamente una chitarra effettata mentre il brano sembra acquisire stilemi tipici dei brani più "lenti" di "Seasons in the Abyss" ("Skeletons of Society" su tutti, anche per via del cantato di Araya), e si continua su questa falsariga sino a che, di lì a poco, non avvenga una vera e propria esplosione dal flavour vagamente "moderno". Minuto 2:20, i pesanti effetti e la pesantezza generale farebbero quasi pensare ad un qualcosa di alternative, almeno fin quando non fa capolino degli assoli da manuale, aggressivi e devastanti, come solo Kerry e Jeff sanno fare. Dialoghi d'alta scuola, note dilanianti e distruttive, potenti, una vera e propria raffica di pugni che sfociano quindi in un ultimo ritornello, suonato con foga e ferocia. Un brano che si conclude dunque in un tripudio di aggressività, che forse suona in alcuni momenti un po' "piatto" per via di una produzione non propriamente illuminata ma che, sicuramente, sa come esaltare e lasciarsi apprezzare. Il testo, perfettamente in linea con gli intenti dichiarati da Kerry King, si concentra su tutto quel male compiuto gratuitamente, al quale non riusciamo a trovare spiegazione alcuna. Dov'è Dio? E perché concede tutto questo? Sembra quasi che la mistica entità goda nel vederci soffrire, e che risulti totalmente indifferente alle nostre suppliche. Genocidi, omicidi, barbarie perenne ai danni degli innocenti. Guerre e carestie, distruzione, voglia di bagnare il terreno con sangue sempre fresco. La violenza è il credo del nuovo millennio, lo dimostrano tutte le atrocità perpetrate dalla razza umana ai danni dei propri stessi fratelli o delle altre creature del mondo. Siamo destinati, dunque, ad annegare nel nostro stesso odio, schiacciati da un Dio dispensatore di morte, il quale testa sadicamente la nostra fede facendocene capitare letteralmente di ogni. E' proprio in quel caso che ci convinciamo della sua non esistenza.. o altrimenti del suo essere un despota tiranno. Dio ci odia, noi odiamo lui. Un circolo vizioso, un cane che si morde la coda, un vicolo cieco dal quale è impossibile uscire. Siamo dunque intrappolati in questa spirale d'odio, sperando di poter sopravvivere almeno un altro giorno. Ringraziando solamente le nostre forze, e non certo un dio che ci ha abbandonati a noi stessi.
Addict
Precisi colpi di piatto da parte di Paul e può dunque avere il via anche "Addict (Drogato)", la quale si fregia di un inizio a dir poco sui generis, fatto di suoni oscuri e melodici, i quali si trascinano per una manciata di secondi, prima che Araya faccia la sua comparsa e, come successo per il brano precedente, rechi seco la pesantezza tipica dell'Assassino. Le chitarre di Hanneman e King suonano quindi violente ma ben stabili su tempi contenuti, cercando di creare un'atmosfera claustrofobica piuttosto che dilaniarci a suon di velocità. Tom morde rabbioso ogni singola parola del testo, mentre in sottofondo i tamburi di Bostaph battono perentori e precisi. Si comincia ad accelerare leggerissimamente verso il secondo 00:42. Breve stacco di Paul ed il pezzo aumenta i giri, con il "solito" inasprimento in sede di refrain, momento in cui si deflagra in una bel mood ruvido e grezzo, con un Araya che dà letteralmente il meglio di se. Concluso questo frangente, udiamo il suono iniziale anche se per poco; una nuova strofa viene infatti introdotta, anche se viene eseguita in maniera molto più rabbiosa e violenta. Refrain "assassino" ed inaspettato "break down" al minuto 2:04, momento che calma gli animi e fa decelerare il brano in maniera importante. Il clima diviene quasi "Alternative", con un Araya che sussurra pian piano e le chitarre lievemente effettate.. prima che, proseguendo in climax, l'ensemble torni a re-infuocarsi sfociando in una nuova splendida aggressione. Minuto 3:00, nuovo break down che riprende la formula del climax ed inasprisce il contesto a poco a poco, con Araya che duetta con sé stesso in uno splendido gioco di incisioni e sovra incisioni. Pestaggio finale, senza quartiere, violento e sguaiato.. sino a che il tutto viene terminato con un urlo che molto sa di Corey Taylor. Pezzo convincente e senza dubbio particolare, che (parlando a posteriori) non avrebbe certo sfigurato come brano della tracklist effettiva. Sempre parlando di violenza gratuita, nelle lyrics qui presenti gli Slayer sembrano riprendere un tema a loro molto caro, quello del serial killer. Il protagonista del testo, difatti, è letteralmente un pazzo psicopatico, il quale si dichiara assuefatto ad un qualcosa che egli stesso non sa spiegare. Egli ama la violenza, ed il bisogno di vederla / perpetrarla ai danni di un innocente arriva direttamente dagli angoli più bui del subconscio. Non sa perché lo fa né tanto meno perché lo vuole, egli ha solo bisogno di uccidere e di terrorizzare a morte le sue vittime. Il brivido del sudore freddo, il prendersi l'ultimo sospiro di una persona innocente.. un vero e proprio incubo del quale lui è il padrone e del quale solo lui potrà sancire la fine. Vorremmo con tutto il cuore svegliarci e fare in modo di renderci conto che si è trattato solamente di una tetra fantasia, un brutto sogno.. ma siamo lì, in balia di uno scellerato pronto a farci qualunque cosa. La sua sete di violenza deve essere appagata, la sua fame di morte saziata. Egli vuole tutto questo, è la sua "parte nera" a dominarlo, la sua metà oscura. Egli lo sa, ed in un impeto di lucida follia arriva ad ammettere di essere letteralmente dipendente da tutto quell'insieme di sensazioni ed emozioni riconducibili alla violenza. Il caos pervade la sua anima, e quando esso avrà dominato anche il suo cuore.. quello sarà il momento di dare inizio alla definitiva carneficina. Proprio per rimarcare il tema della crudeltà di Dio, gli Slayer, sul finire, fanno in modo che il pazzo si paragoni ad una divinità tanto è il senso di onnipotenza che lo assale quando si rende conto di poter decidere della vita di chiunque.
Scarstruck
Chiudiamo dunque il discorso apprestandoci ad ascoltare l'ultimo brano di questo singolo, "Scarstruck (Sfregiato)", il quale viene aperto da un riffing generale dal flavour assai moderno, particolarmente fedele ai dettami Alternative dei 2000. Possiamo percepire moltissimo l'esperienza degli Slipknot in particolar modo, quel particolare modo di incedere oscuro ed arrabbiato, claustrofobico, quasi pregno di pessimismo e disfattismo. L'andatura generale risulta quindi lineare e diretta, senza variazioni significative o sostanziose "inversioni di marcia". Una canzone che è tutta un gioco di tempi sostenuti e rallentamenti più o meno importanti; un dipanarsi che ci mostra degli Slayer intenti a picchiare duro ma al contempo ad optare per una veste che li faccia risultare moderni, sempre al passo coi tempi e mai ridotti a caricatura di loro stessi. Proprio perché, alla fin fine, i Nostri son pur sempre i Nostri, con i loro tanti volti e le loro trovate, più o meno vincenti che siano. Una forte coerenza di base aperta a tante sfaccettature. Nessuno potrà mai cambiare l'attitudine selvaggia dell'Assassino e nessuno potrà mai indurli a cambiare totalmente il loro stile. Anche quando quest'ultimo è mutuato attraverso gli importanti cambiamenti apportati dalle rivoluzioni musicali e dal tempo che scorre, implacabile Riconoscibili, sempre e comunque. Magari qualche purista potrebbe storcere il naso.. ma dinnanzi ad un brano così ben riuscito, dotato di un ritornello efficacissimo e di un impianto generale pesante e massiccio quant'altri mai, tutti dovremmo essere concordi sul trovarci dinnanzi ad un qualcosa di riuscito "a prescindere". Non abbiamo soli ispiratissimi e nemmeno tempeste sonore alla "Reign in Blood".. ma questi sono gli Slayer del 2001, e non potevamo certo pretendere che rimanessero confinati in un limbo avvilente ed imbarazzante, che li avrebbe senza dubbio portati ad esaurire idee e voglia di suonare nel giro di pochissimo. Quasi fossero effettivamente collegate al testo precedente, anche le lyrics di "Starstruck" ci parlano di un drogato di violenza, il quale si dichiara tale proprio perché il nostro mondo è dominato dalla brama di far del male. In un mondo violento è impossibile mantenere intatte purezza d'animo e lucidità; si arriva così ad imbarbarirsi, a divenire degli spietati sanguinari, proprio come il dio che "veglia" sulle nostre teste. Il sadico dichiara che per lui, far violenza, è come vivere in uno splendido paradiso. Ci invita, di conseguenza, a calarci nel suo mondo per farci assaggiare una porzione di tutta quella crudeltà, per farci capire in toto cosa intende e magari trasformarci in suoi adepti. Odio cieco, furia, rabbia: questo è tutto quel che scorgiamo nei suoi occhi, nel suo sguardo bramoso di assistere ad olocausti perpetui, a genocidi senza fine. La Morte è una sua vecchia amica, nella sua mente sta già pregustando il momento in cui si bagnerà nel nostro sangue, appositamente raccolto dopo averci sgozzati. Dunque, nulla da aggiungere alla figura presentataci nel precedente testo. Essa risulta la medesima, ed ancora una volta viene presentata una "frecciata" al dio cattolico, proprio nel momento in cui il killer sta per sferrare il colpo di grazia alla sua vittima. Egli, difatti, consiglia al malcapitato di recitare le sue ultime preghiere, proprio perché a breve raggiungerà il suo padre eterno.. quello stesso padreterno che lo ha lasciato morire, non muovendo nemmeno un muscolo per salvarlo.
Conclusioni
Arrivati dunque alla fine di questo breve percorso, possiamo senza dubbio dire di avere materiale a sufficienza per (quanto meno) provare a farci un'idea generale circa "God Hates Us All". Un singolo di lancio che senza dubbio si presenta valido ed ascoltabile, non particolarmente innovativo salvo qualche eccezione mostrata nel corso dell'analisi. Un brano diretto ed efficace quel tanto che basta ad acquietare i fan più "vecchi", i quali possono, lungo quei solchi, scorgere sempre e comunque la longa manus della premiata ditta King / Hanneman / Araya, con Bostaph che non sarà mai stato un Dave Lombardo.. ma diamine, se pesta duro e bene. La vera particolarità sta nei pezzi in seguito riciclati a mo' di bonus tracks. Due pezzi che fondono l'anima più tradizionalista degli Slayer con le nuove tendenze Alternative molto in voga nel 2000. Soprattutto "Scarstruck" sembra un vero e proprio mix di suggestioni vecchie e nuove. Gli Slayer nel 2000, un gruppo che non perde un colpo ma che, al contrario, acquista fascino proprio perché non rimane ancorato al suo passato. Proprio come fu nell'era post "Reign..", quando il combo decise di virare su di un tipo di sound diverso per non rischiare di donare ai propri seguaci una copia sbiadita e mal riproposta. La voglia di rinnovarsi e di risultare sempre al passo con i tempi c'era tutta, ragion per cui non possiamo far altro che lodare questa piccola anticipazione, la quale ci presenta tre pezzi perfettamente riusciti, coinvolgenti ed aggressivi. Per di più, perfettamente in linea circa la volontà della band di fornire agli ascoltatori un qualcosa da poter allacciare al pessimismo d'ogni giorno, quello che ci porta, come Cristo in croce, a chiedere a Dio come mai ci abbia abbandonati. O perché ci odi. Certi tipi di suoni sono perfetti per sfogare un momento no, una tragica delusione. La colonna sonora perfetta di chi ha bisogno di un qualcosa comprima il dolore in una sorta di ammasso energetico, pronto da scagliare in aria a suon di grida e sputi intrisi di sangue. Questo King voleva, e questo dunque parrebbe essere. Promozione piena senza esame di riparazione. L'Assassino colpisce ancora, e le sue coltellate sono più letali che mai.
2) Addict
3) Scarstruck