SIX FEET UNDER
Torment
2017 - Metal Blade Records

PAOLO FERRANTE
03/05/2017











Introduzione recensione
"Crypt of the Devil" è stato convincente, il quarto episodio dell'infame serie Graveyard Classics è stato un fallimento annunciato (una tassa da pagare ogni cinque anni), adesso vediamo cosa ha tirato fuori il progetto di Chris Barnes, Six Feet Under, con "Torment" (2017) pubblicato dalla Metal Blade Records. Come di consueto, abbiamo la versione in CD, digipak, alcune edizioni colorate in vinile limitate (rispettivamente: 200 arancioni esclusiva del catalogo EMP; 200 bianche; 300 nere; 420 verde cannabis). Va subito precisato un punto fondamentale: gli ultimi due lavori, citati in apertura, vedevano Chris Barnes come unico membro ufficiale, mentre gli altri musicisti erano da considerarsi come session o ospiti; nel presente lavoro le cose cambiano. Ad affiancare il frontman abbiamo: Jeff Hughell che si occupa di chitarra e basso (ha preso parte ad "Unborn", album molto riuscito) e Marco Pitruzzella alla batteria (nuovo nei Six Feet Under). I nuovi arrivati sono accomunati da un elemento principale: tecnica mostruosa. Entrambi i musicisti, tra l'altro, hanno fatto parte dei Brain Drill, fino al primo album (incluso). Lo stesso Pitruzzella ha dichiarato (sul proprio profilo Facebook: "Ho registrato tutti i brani del prossimo album dei Six Feet Under intitolato 'Torment' in una sola take. Solo batteria acustica, niente trigger, niente editing, niente quantizzazione. Volevo catturare il suono più genuino possibile, a differenza della maggior parte della musica che viene prodotta al giorno d'oggi. In questo modo, quando vedete i Six Feet Under suonare dal vivo, suoneremo esattamente come nell'album, se non addirittura meglio che nell'audio del CD! Nessun trucco, nessun inganno qui, solo grezzo e vero Death Metal Americano." La cosa davvero particolare, in questo album, è il fatto che il songwriting sia stato affidato a Hughell, che chiaramente ha lavorato in sintonia con gli altri ponendosi da ponte di collegamento più che da cardine; quindi abbiamo alla sezione strumentale due vecchie conoscenze, che hanno già suonato assieme musica ad alto livello tecnico, che si uniscono ad un mostro del Death Metal del calibro di Barnes. Negli ultimi anni la componente più tecnica e Brutal è emersa sempre di più, a discapito del Death'n'Roll cafone e strafottente; la scelta di questi due musicisti sembra proprio voler confermare questa tendenza al tecnico. Il fatto di affidare a Hughell un ruolo importante nella composizione, invece, è un qualcosa di assolutamente inedito ed inaspettato: specie se si considera che fino a poco tempo prima Barnes preferiva figurare come unico membro ufficiale dei Six Feet Under... quindi si passa da un "dominio assoluto" ad un passo indietro, nel giro di qualche anno. Quanto alla grafica abbiamo un soggetto, che sembra essere un modello 3D poi rimaneggiato, realizzato da Septian Devenum; nella versione standard è piazzato su sfondo bianco, ma rende meglio in vinile dove anche lo sfondo rispecchia il tema. Il soggetto è un abominio umano (?), si vedono due corpi, ormai irriconoscibili, fusi uno nell'altro; evidenti i segni delle innumerevoli e dolorose operazioni chirurgiche che hanno portato a questo risultato. La pelle si stacca, come se si stesse sciogliendo, ossa e muscoli in bella vista, sangue che gocciola, arti che si contorcono nella sofferenza seppur costretti da catene.

Sacrificial Kill
L'album inizia con "Sacrificial Kill (Uccisione sacrificale)", in cui tempi lenti, stoppate, plettrate ben marcate si alternano a vibrati malefici di scuola Brutal; c'è anche molto Groove nell'aria. Tempi molto lenti e cavernosi, crescendo e poi arriva la voce di Barnes: un growl ben articolato, ma non proprio gutturale, che segue gli accenti della chitarra e si esprime in una metrica che sembra voler mimare delle pugnalate. In effetti il testo inizia descrivendo tagli all'arteria femorale, lasciando alle vittime poco tempo per morire dopo averle sorprese nella notte; non c'è scampo. Un altro bel taglio alla trachea e quindi anche i respiri affannosi vengono messi a tacere, un'altra vittima catturata per soddisfare il sadico piacere omicida. Tutti loro sono condannati alla tomba, nessuna pietà: moriranno tutti e la loro anima sarà strappata via dai loro corpi. Una musica molto semplice, quasi basilare, ancora molto lenta negli accordi aperti che si susseguono con un certo gusto Doom, passaggi ai tom mentre invece il basso si limita a sottolineare gli accenti. Come brano di apertura è un po' spento e sicuramente non soddisfa le aspettative; un'altra variazione chitarristica ci porta delle tendenze Brutal con dei tremolo che sembrano plagiare i Cannibal Corpse primo periodo, la fantasia è ancora molto lontana. Il basso sferraglia malevolo, la voce prosegue col solito stile, poi a sorpresa uno scatto in stile Thrash/Death, tutto accelera e parte una carica devastante; la batteria diventa una mitragliatrice di colpi, effettivamente si sente il tocco genuino alle pelli, i piatti vengono pestati mentre il rullante è in pausa. Raffica di bestialità, la voce resta incisiva con degli interventi stoppati e veloci, poi colpi ritmici che pian piano rallentano il pezzo mentre la chitarra si concede qualche malefica melodia, la voce sembra strozzarsi e fatica a prolungarsi per più di un attimo. Di nuovo le forti influenze Cannibal Corpse e quindi si giunge al finale. Continuando, il testo, sembra anch'esso riprendere i temi tipici che Barnes trattava nei primi Cannibal Corpse: ecco la descrizione di tutta la tortura con l'immancabile pugnale che cava gli occhi della vittima, sbudella e sprizza interiora ad ogni colpo, viene infilzato nel corpo martoriato del malcapitato di turno. La pelle martoriata da una raffica di stoccate che infilzano la carne producendo un suono insistente, questo viene mimato alla perfezione dal rullante in velocità; ogni pugnalata è fonte di gioia ed orgoglio per il sadico, che osserva tutto compiaciuto la propria opera d'arte: la propria vittima sacrificale. Un brano ben eseguito, con qualche incertezza tecnica alla voce, ma davvero privo di fantasia: inizio all'insegna del nulla e prosecuzione che approfitta un po' troppo dell'influenza Cannibal Corpse, tanto da rasentare il plagio.

Exploratory Homicide
Ma vediamo un po' che succede con "Exploratory Homicide (Omicidio esplorativo)", un pezzo che parte vivace sin dall'inizio con stoppate veloci, un retrogusto Thrash e poi una devastazione alla batteria seguita da tecnicismi al basso, la voce segue una metrica molto simile a quella del brano precedente. In questo pezzo la tecnica è messa in bella mostra: mentre nel precedente il gruppo adottava gli stilemi tipici dei Six Feet Under (con poca fantasia), adesso i due neoarrivati musicisti ci mettono più del loro, realizzando un Technical Brutal impostato sulla velocità e le sorprese. Riffing veloce, passaggi frenetici, variazioni a plettrata alternata che riescono ad aumentare ulteriormente la velocità; la voce, in tutto questo, fa poco e niente. Vene ed arterie ora sono aperte ed il loro dolce succo può sgorgare, il respiro varia rapidamente e si fa sempre più debole fino a quando il corpo non perde conoscenza. Cala la temperatura corporea, è un'uccisione continua perpetrata nell'impeto di una rabbia inarrestabile. Si riparte dall'inizio con tutto quanto (inclusa l'apertura) che si ripete esattamente come prima, testo incluso; si apprezzano influenze Grindgore specie nelle parti più veloci. Ancora una volta si ripete tutto, stacchi e quindi tutto il massacro che ne segue: il corpo viene lacerato e poi gettato in una tomba di escrementi. Viene aperto il corpo, vivisezionato questo dissangua, i morti diventano i suoi schiavi da torturare per sempre. A sorpresa una stoppata e quindi si rallenta, le chitarre si sovrappongono e danno il via ad una variazione più massiccia, con tempo medio e ben marcato, la voce di Barnes stenta, manca di pasta e sembra scomparire rispetto al resto. Questo pezzo è breve ma ci mostra tutto quel che c'è da sapere: a volte i musicisti cercano di riprendere gli stereotipi classici della storia del gruppo, altre invece ci mettono del loro ma - in entrambi i casi - Barnes appare incapace di stargli dietro!

The Separation of Flesh from Bone
Si prosegue con "The Separation of Flesh from Bone (La separazione della carne dall'osso)", ove il growl si fa sentire sin dall'inizio accompagnato da lente plettrate, in un crescendo gutturale. Stoppata, e quindi un ritmo lento in cui il basso è protagonista, la voce ancora non convince, poi delle idee strumentali con armonici maligni, l'incedere è ancora lento e ben scandito. Poi si arriva a quello che dovrebbe essere il ritornello: stoppate con pause lunghissime, la voce alza la tonalità ma sembra ancora debole, il groove aumenta a dismisura. Anche questo testo non rende giustizia alla famosa fantasia malata di Barnes: ancora sangue, ancora frasi sulla voglia di uccidere ma nulla di eclatante. C'è un altro corpo che resta appeso nella notte, è ancora caldo e non è marcio; si tratta di un corpo fresco da prendere per divertirsi ancora, per mandare avanti le torture, per separare la carne dall'osso. Questo pezzo sembra proprio quello che ha ispirato la copertina ed il titolo dell'album: si parla di un abominio umano, la separazione dell'anima dal corpo dilaniato, usa un machete affilato come un rasoio e c'è già una tomba scavata per ospitare i resti del corpo, dopo che si sarà divertito. Ogni parte si ripete molte volte prima che arrivi una variazione, tutto diventa molto pesante ed estenuante, ci cala bene nella sensazione di un tormento infinito; poi si accelera con una versione velocizzata dei primi accordi, la chitarra si fa frenetica, il basso pulsa sempre di più mentre la batteria aumenta il tempo ad ogni riff. A metà pezzo gli strumentisti tirano fuori tutta una lunga serie di assoli impiantati nello stesso riff, mentre la voce continua ad inveire; il testo racconta del carnefice che guarda la vittima contorcersi, che taglia i nervi, apre la cassa toracica ed espone i polmoni, affonda le unghia sulla milza, mastica l'aorta. Si prende la sua vita, annulla la sua esistenza, una gamba è già stata privata di tutta la carne, mentre la pelle è rimasta penzolante; taglia tutte le dita e lascia solo i tendini ai polsi. Ogni angolo della pelle è stato straziato e torturato, recide la testa dalle spalle in su e quindi infilza il corpo su una lancia per farlo stare in piedi, tutta la pelle dietro al collo si lascia andare per via del fatto che la colonna vertebrale è stata frantumata. A parte i preziosismi che a volte vengono proposti dai musicisti, ogni parte è semplice fino a diventare banale. Altre stoppate e si riprende col ritornello, poi si sale di tonalità in un crescendo di violenza scandito da numerose stoppate; così fino al finale. Un pezzo che non è male, ma è comunque poco: mediocrità allungata ed infarcita di qualche bella trovata strumentale.

Schizomaniac
"Schizomaniac (Schizomane)" parte in modo frenetico, proprio come ci si aspetterebbe considerato il titolo. Abbiamo ancora stoppate ma anche tanti stacchi alla batteria, mentre la voce non ha nulla di nuovo: ancora aggressioni con growl veloci e brevi, che puntano sull'incisività e meno sui gutturali prolungati. La batteria è un pestaggio continuo, il basso si fa sentire molto specie nel tocco delle corde, il ritornello è inaspettatamente Death'n'Roll, con delle melodie catchy. I Six Feet Under non rinunciano alla componente Groove: da quando Barnes ha scoperto i vantaggi della semplicità il gruppo non ha mai smesso di cercare soluzioni coinvolgenti, anche a discapito della tecnica e della velocità. In questo caso è interessante notare come parti veloci e frenetiche vengano poi alternate a questa parte più semplice e facile da leggere, con tanto di melodia "acchiappona". C'è un sentimento che prevale sugli altri, nella sua mente scivolosa si crea una pendenza che lo porta all'omicidio. È una malformazione cerebrale, una degradazione seppellita in un labirinto che lo costringe ad accanirsi sulla carne e sulle ossa. Ancora una volta, proprio quando sembrava che Barnes avesse ritrovato la fantasia sadica, ecco che torna lo stesso tema; da un lato si potrebbe apprezzare come volontà di introdurre un concept ben preciso, dall'altro lato - considerando quanto sono stati importanti i testi che, nel passato, hanno salvato più di un album - questa mancanza appare intollerabile. Questo schizomane è un abominio che gli dèi hanno mandato in terra, un corpo marcio senza braccia né mani, né lingua; una turbolenza scuote le sue catene fottendo via la vita. Si torna alla velocità aggressiva, la chitarra macina riff pesanti, il basso segue a ruota, stacchi di batteria poi l'accordo si prolunga e la chitarra resta da sola ad iniziare un lento passaggio melodico cui si aggiunge la voce e la batteria con profusione di piatti. Crescendo ritmico, altra pausa e quindi un riff che sa molto di Sludge, con tanto di vibrato in stile Southern, poi la marcia può riprendere, ci si mette anche il doppio pedale ed il pezzo sembra voler decollare, a sorpresa si torna nella palude e rallenta. Un pezzo straziante, cavernoso, con scariche di velocità improvvisa. Dalla radice del suo essere, alla catena del controllo, un incubo che diventa realtà. Presto la vittima vedrà cosa c'è oltre la vita. Un pezzo che interpreta molto bene il tema prescelto: lentezza angosciante ed improvvisi scatti di frenesia omicida. Brano indovinato che fa ben sperare per la riuscita dell'album!

Skeleton
"Skeleton (Scheletro)" ci presenta, un po' presto considerando che non siamo neanche a metà tracklist, quello che rimane di ogni vittima che subisce i tormenti descritti in questo album. Non c'è ritorno dall'oscurità, dal vuoto, dalle ombre che stanno oltre la vita; essa scorre via dopo che il laccio emostatico si slaccia, e si affaccia alla mente quella sensazione sconvolgente della morte che si avvicina: resterà solo uno scheletro. Il carnefice è spinto da una pressione, la sua filosofia si fonda sull'eradicazione della vita umana, non riesce a sopportare la sua vittima, le sue bugie e la sua fottuta pazzia. Quella vittima è tutto ciò che disprezza, ne rimarranno solo le ossa una volta che avrà finito, ossa in una gabbia dopo che gli arti sono stati intagliati. strappata la pelle, scavata via la carne, ucciderà di nuovo per soddisfare ancora la sua fame di omicidio. Il brano inizia col rullante che sembra eseguire una marcia militare, il basso entra ed esce alternando, la voce inneggia al massacro ed il pezzo resta una marcia vera e propria dando inizio ad un crescendo di intensità, arricchendosi poi di lunghe plettrate alla chitarra. Il rullante tace, lascia spazio alle plettrate, poi stacca, quindi stoppate feroci ed inizia una veloce parte che approfitta delle influenze Thrash e poi si sposta in territorio Groove, mentre varianti tecniche portano ad influenze Technical Brutal; in quasi un minuto ci è passata davanti una carrellata di stili, peculiarità che non accenna a calmarsi. Blast di cassa, poi pestaggio sul rullante, il ritmo si accende e si spegne alternando pause e sfuriate; i musicisti sono aggressivi e precisi, la voce è espressiva ma tecnicamente sgonfia. Purtroppo la stessa parte si ripete per tre volte, senza variazioni particolarmente rilevanti. Insomma, in questo pezzo ci sono un sacco di idee che vengono raggruppate e spese nel giro di un minuto e poi ripetute... per fortuna con un po' di fantasia e mescolando un po' le carte; ancora una volta la voce di Barnes arranca appena si ripete la marcia col rullante sul finale. Un pezzo che esalta, che apre nuove strade in casa Six Feet Under, o - per meglio dire - nuovi modi di percorrere le solite strade! Questa cosa di alternare velocemente tanti stili, mescolandoli ed integrandoli nello stesso brano, è una propensione tipica del Metal contemporaneo che, per rinfrescarsi, ha bisogno di nuovi stimoli, e quindi i confini dei diversi generi si fanno sempre meno netti, consentendo nuove soluzioni.

Knife Through the Skull
La tortura prosegue con "Knife Through the Skull (Pugnale attraverso il teschio)", un pezzo che apparentemente sviluppa quelle sfumature Sludge incontrate nel precedente brano: lente melodie vibrate inserite in un contesto che marcia cupo e ben articolato. Il rullante pesta vigoroso, la chitarra graffia e ruggisce, poi il growl - con la solita metrica a stoppate incisive - ci riporta in ambito Groove Death Metal. Riff monolitico che prosegue senza alcuna variazione e voce che continua a scandire con precisione le parole, anche se con una tecnica un po' stentata ed evidente fatica. Si descrive un pugnale che si fa strada attraverso il teschio della vittima, gli attraversa la faccia, va dagli occhi al cervello portando la morte al corpo e all'anima. Il cadavere è freddo mentre il carnefice infila ancora la lama nella sua carne, il sangue continua a sgorgare dalle ferite; non c'è scampo da questa condizione e riesce a vedere gli incubi che appaiono nella mente della vittima, in un omicidio che non ha fine, un assassinio ed un tormento che si ripetono mentre il carnefice non ha altro intento che quello di eliminare tutta la vita dalla faccia della terra. Insomma, torna lo stesso tema: la tortura come dimostrazione di disprezzo nei confronti della vita umana; infierire sui corpi delle vittime simboleggia l'astio che non si placa con la mera uccisione. Non è chiaro cosa spinga il carnefice a commettere le atrocità; in un brano precedente questo si giustificava con una schizomania. Accenti molto marcati, la voce prosegue cattiva e stentorea quasi manifestando una sofferenza malata, chitarra e basso mostrano una bella compattezza (anche perché suonati dalla stessa persona) mentre la batteria cerca di non essere invadente, sottolineando l'indispensabile con buon gusto. Il tempo rallenta, il timbro si fa più cupo, la chitarra prende tonalità basse, poi variazioni con melodie oppressive, la batteria prende velocità e si ritaglia spazio spingendo con forza sul doppio pedale. Si torna al tempo tranquillo, con accenti in bella vista, poi la batteria raddoppia ed il basso si fa prepotente, si prosegue così fino al finale. Taglia via lo scalpo, si accanisce sulla carne strappandone via brandelli, poi macella e sminuzza tutti i resti per darli ai porci, apre il teschio per mettere le mani sulle cervella.

Slaughtered as They Slept
La violenza non diminuisce affatto con "Slaughtered as They Slept (Macellati mentre dormivano)", anzi si fa più esplicita, a partire dall'inizio del testo in cui si descrive una scena terribile: sudore sulla pelle e sangue che inzuppa le lenzuola, la famiglia viene svegliata da un pugnale che li infilza a ripetizione, sulla gola e sulla faccia. Accanto al marito viene tirata fuori la moglie, per riservarle lo stesso trattamento, i genitori sono consapevoli del fatto che i figli - rispettivamente nel lettino e nella culla - sono stati già massacrati. Lui infila il pugnale tra le labbra di lei, separando in due la lingua, strappa le vestaglia della donna mentre sente il pianto disperato del marito, le taglia quindi il naso e poi squarcia il collo, lasciando la testa attaccata a penzoloni mentre il corpo è in preda alle spasmodiche convulsioni che precedono la morte. Tutto questo viene raccontato con un riff iniziale lento ed oppressivo, l'atmosfera è dannatamente Doom e marcia, melodie distorte ed acide, una lunga presentazione che sembra voler descrivere la fragile tranquillità notturna che sta per essere violata dal carnefice depravato. Stacco, riff di chitarra, poi raptus omicida con una voce sporca e cavernosa, la musica si mantiene statica e si concede le influenze Death'n'Roll che prevalgono; il rullante pesta deciso e puntuale, i piatti appaiono a tratti e la voce accelera nella furia. Il sound si apre, c'è un qualcosa di disturbante nell'apertura gloriosa in cui si racconta il massacro, poi il ritmo si accende a la voce incalza maggiormente, si descrive ogni taglio ed ogni mutilazione con sadica gioia e partecipazione. Siamo a metà brano, ed il pezzo cambia gli accenti mantenendo il resto costante, la voce racconta ancora di come tutta la famiglia sia stata massacrata mentre dormiva, con un risveglio violento; adesso arriva il momento preferito: il vilipendio dei cadaveri! La struttura ossea dei corpi collassa per effetto dei ripetuti colpi del depravato assassino che non la smette di infierire, la tortura continua e non si arresta neanche quando ormai la vita è lontana da quei corpi devastati; nessuna pietà neanche per i corpicini degli infanti che ricevono lo stesso trattamento. La frenesia dell'atto è rappresentata dal gioco di basso e batteria, che volentieri concedono stacchi coi quali accelerano momentaneamente, poi via con cavalcate lunghe durante le quali si descrivono le efferatezze. Si rallenta di colpo e si torna alla lentezza che ha aperto il brano, la furia omicida ed il sadismo sembrano aver trovato - momentaneamente - soddisfazione, quindi l'assassino può tornare nell'ombra a pianificare la sua prossima, turpe impresa.

In the Process of Decomposing
Il caro vecchio Barnes non si smentisce e vuole dedicare almeno un brano ad un tema che, fino ad ora, era stato trascurato in modo imperdonabile: la decomposizione. Lo fa con "In the Process of Decomposing (Nel processo della decomposizione)", un pezzo che inizia con incedere prepotente e si alterna a scatti di voce mentre le chitarre proseguono imperterrite in riff pesanti e monolitici. Serie di riff serrati, lenti e compatti, articolazione netta e pulita, note ribassate e basso in bella vista, poi si macinano raffiche di brutalità con la doppia cassa che si unisce. Un brano all'insegna del Groove più accattivante, a partire dalla melodia di chitarra che tradisce influenze Deathcore, continuando per la batteria che - senza strafare - regala stacchi molto interessanti. La voce ha una parte monotona e ripetitiva per tutto il tempo, scandisce breve frasi senza neanche sforzarsi di interpretare la metrica in modo più espressivo: è una violenza atona. Il corpo è in decomposizione, sta a terra tutto rigonfio di marciume, una carcassa vittima di overdose, un suicidio: si è tagliato le vene e poi ha puntato una pistola alla testa. È diventato pazzo, non vivrà mai più, resterà morto per sempre. Il pus gorgogliante assieme alla bile emerge dai tagli operati sulla carcassa dopo la morte, colpi di accetta hanno devastato la carne lasciandola esposta al lento lavoro dei vermi che si cibano avidi, gli avvoltoi spolpano le ossa soddisfatti mentre il corpo si decompone in un olezzo disgustoso, attirando ulteriori bestie affamate al banchetto. Scariche di cassa, la chitarra non si scompone e continua nel suo incedere lento ed imperioso, alternato a scatti precisi: poi resta sola, e plettrate marcate si avvicendano al lavoro di cassa e rullante. Tutto è basilare, semplice e d'effetto, la voce si strozza nel descrivere il marciume che sgorga dal corpo marcio infestato di parassiti disgustosi. La carne si squaglia, gli occhi sono bruciati, le dita si atteggiano ad aggrappare qualcosa che non c'è, rigide ed immobili, il sangue inzuppa i vestiti ed è ormai incrostato. Nessuna pietà nei riff di chitarra che mimano l'inevitabile ed inarrestabile processo di decomposizione cui è oggetto il corpo esposto agli elementi naturali, le influenze Death'n'Roll non tardano ad arrivare alla chitarra, poi stacchi ed il pezzo si conclude.

Funeral Mask
"Funeral Mask (Maschera funeraria)" ci fa sentire riff lenti in cui c'è solo la chitarra, poi una batteria basilare e quindi il basso a pompare lento, appena prima dell'ingresso della voce che mantiene tutto lo stile già descritto in precedenza, questa volta concedendosi prolungamenti più lunghi che mettono in luce tutte le difficoltà tecniche che sconta la voce di Barnes, un po' fiacca. Un pezzo che dovrebbe essere compatto e forte di groove, ma risulta abbastanza mediocre e povero di idee. Altro rallentamento, colpi alla batteria, quindi si cerca di salvare tutti ravvivando il ritmo che però non decolla, il doppio pedale scorre regolare, la voce ha un incedere più veloce e diminuisce i problemi al timbro, diventando un po' più pastosa. A metà brano la chitarra fa qualcosa per spezzare la monotonia e quindi butta giù delle melodie che offrono un'apprezzata variazione, mentre la voce spezza l'incantesimo con intrusioni ricolme di cattiveria ed un timbro più acuto del solito. Il testo sembra voler rievocare quelle atmosfere horror degli esordi del gruppo, quindi si parla di una notte con una luna di sangue nel cielo, una maledizione è ricaduta su qualcuno e questi non ha scampo alla lenta morte che lo attende. Adesso chiude gli occhi ed osserva l'oscurità che lo acceca, sangue sgorga dalle sue ombre mentre lui muore, un rantolo di morte sfugge al cadavere mentre lo stucco lo ricopre e cattura l'espressione di sgomento, paura ed orrore che si dipinge sul suo volto. Quell'opera di arte, il terrore viene catturato e rappresentato per l'eternità; la maschera funeraria che avvolge il corpo mentre muore cattura ogni particolare dell'espressione di quel morente, consapevole di star esalando il suo ultimo respiro. Appena l'artista rimuove la maschera, la tomba attende il corpo ormai morto, che continua a sanguinare. La lentezza del pezzo ben si collega alla lentezza con la quale lo stucco liquido cola sul volto terrorizzato della vittima che ha quindi tutto il tempo di atteggiare il proprio viso nell'espressione di autentico terrore, l'espressione ricercata dall'artista sadico che desidera collezionare quelle maschere di terrore per poter ammirare in eterno la sofferenza che ha inflitto alle proprie vittime. Paradossalmente i limiti vocali di Barnes rendono la sua voce ideale a rappresentare il soffocamento cui sono sottoposte le vittime, il pezzo si conclude di colpo.

Obsidian
Lo stesso immaginario quasi horror pervade "Obsidian (Ossidiana)", plettrate lente e cariche di groove, si ripete e ci sono dei colpi di batteria che propongono variazioni, poco dopo incombe la voce che non si discosta da quello che ha fatto negli altri brani. Lo stile è quel Death'n'Roll che classicamente si associa ai Six Feet Under, lento, ben scandito, solo che in questo caso il fattore Doom è più in vista; la voce, al contrario, non è bassa come ci si aspetterebbe e viaggia più sui medi per avere più presenza e sopperire alle difficoltà tecniche di Barnes. La luce svanisce, c'è un freddo che fa tremare le ossa, l'oscurità incombe ed il nero è tutto ciò che si riesce a vedere. Il terrore colpisce ancora, nessun luogo è sicuro quando cala la notte, non c'è protezione dall'attacco e tutti si sottomettono in preda al panico; di colpo sette ferite sulla faccia e l'orrore si manifesta: Ossidiana. Incedere lento, cadenzato, stoppate e ritmi ben pestati, stacchi di batteria che aumentano la malvagità e quindi si accelera. C'è un'oscura paura dentro, un urlo che non smette mai, prende forma quell'essere mostruoso che trasuda odio, adesso l'essere imperversa nel mondo portando morte e distruzione. Il caos arriva anche alla musica e diventa una batteria distruttiva che esegue stacchi uno dietro l'altro, il mostro uccide nella notte, le vittime alzano le mani per proteggersi e lui gliele mozza senza pietà, lo fa lentamente per gustarsi il loro dolore. La voce si alterna alla chitarra che pesta vigorosa, il basso esce fuori bello carico di malvagità, cupo, stoppata e quindi si riprende con uno straziante tempo lento che si arricchisce di melodie vagamente mediorientali, la parte procede, strumentale, e poi viene aiutata da un lento growl strozzato. Attraverso la tragedia delle vittime si manifesta l'esistenza del mostro, questo afferma la propria esistenza oscurando la vita altrui. Infine il sangue scorre, un rosso profondo, una notte di sangue ed oscurità che non finirà mai, il sole non risorgerà più. Tutto questo mentre si susseguono riff lenti, il basso sferraglia nelle note acute che fanno da contrasto alla melodia principale che lentamente sfuma assieme al doppio pedale.

Bloody Underwear
Proseguiamo il massacro con "Bloody Underwear (Biancheria intima insanguinata)", un titolo che promette bene, ed infatti il testo non delude: il macabro genio perverso di Barnes ne sforna un altro dei suoi! Lei è la prossima vittima designata ed infatti il pugnale invade i suoi genitali lacerando ogni cosa nel suo percorso, la sofferenza di lei imprime nel carnefice un piacere ed una soddisfazione senza eguali, che gli si stampano in mente. Lentamente la strozza e poi la libera, gioca con la vittima infilzandole il pugnale nella carne, prima era viva ed ora è un cadavere, lui è eccitato e le viene addosso alla vagina insanguinata, lasciando tutta la biancheria intima impregnata di sangue, proprio un grazioso souvenir da portarsi a casa. Un ricordo della vita cessata, della morte violenta sopraggiunta per mano sua, tutta quella biancheria intima insanguinata, la usava anche per strozzarla... quando era ancora viva. Una volta morta la sua figa ha acquisito un odore più buono, ora che inizia a marcire esala un odore dolciastro, mentre le gambe restano divaricate nel rigor mortis. Nel testo si ripete più e più volte questo malato desiderio di voler trarre un souvenir dalla macabra impresa, si ripete molte volte di seguito, in modo quasi sconnesso, questo fatto di voler trarre per se la biancheria intima inzuppata di sangue, simbolo della vita violata. Musicalmente si traduce in plettrate vigorose, colpi di piatti aprono l'atmosfera, la voce incede con fare brutale e poi nelle stoppate si fa ancora più incisiva; è un pestaggio continuo che ispira violenza carnale. Poi il pezzo riprende nel riff iniziale, forte di influenze Rock, quindi nuovo pestaggio con scariche precise di cassa, ancora piatti e stoppate continue, il pestaggio prende sempre più ritmo, è precisione e massacro. La melodia sopraggiunge con malinconici accordi, atmosfera opprimente, tempi lenti e trascinati, ripartenza in stile Southern, quindi si va a pieno regime raccontando quanto sia bello avere questo ricordo, quella biancheria piena di sangue. Infierire sul corpo privo di vita glielo fa venire duro, guardare il sangue colare da quegli occhi sbarrati, privi di vita; occhi vuoti, come la testa che ospita un cervello ormai incapace di pensare, morto. Adesso non è rimasto niente di tutta quell'esperienza, tutta l'adrenalina, il brivido della mortale trasgressione, quel gioco sadico è finito e dunque sente il bisogno di portarsi a casa un ricordo (come fosse andato in vacanza!) di quei bei momenti, ricordo che individua proprio in quella biancheria intima. Brutalità senza fine, parti semplici, al limite del banale, si pesta con violenza e poi si alterna con melodie tristi quasi a voler evocare la tristezza del carnefice che - finito il divertimento - vuole estrarre un souvenir per ricordarsi i bei momenti passati con la propria vittima designata. Quelle mutande impregnate di sangue e fluidi vaginali, quelle gambe divaricate ormai rigide, sono una tentazione troppo forte e quindi aspira a pieni polmoni il puzzo di decomposizione, misto a sangue e fluidi vaginali, e si porta a casa un ricordo. Un testo malsano, una musica mediocre.

Roots of Evil
Completiamo l'ascolto con "Roots of Evil (Radici del male)". Plettrate lente, due chitarre sovraincise, una voce sussurrata che recita il titolo, poi si pesta forte mantenendo in primo piano la melodia; belle raffiche di cassa e la voce ruggisce senza sosta accentuando i tempi forti della chitarra, sui quali pesta il rullante. Il pezzo va avanti in modo trascinante, regolare e continuo, senza stoppate, forte della sua melodia acchiappona; nel testo si parla delle radici del male, che ha dentro, prega che la sua anima mossa resistere per l'eternità e per tutto il tempo che esisterà sarà costretto a servire il diavolo, al quale ha consacrato la propria anima. Poi il testo diventa un rituale: "Questo sangue io verso. Questa carne io offro. Il fuoco divampa. Le radici del male!", si ripete, come una litania, come un rituale per evocare il male. La musica trasmette la stessa impressione di litania, una marcia incessante che si ripete in modo ostinato, tempi forti e ritmo estenuante. Uno spazio per la melodia, funestata dalla voce gutturale che pronuncia il titolo del brano, nel ripetere ancora una volta il ritornello. Una variazione ci porta il basso in primo piano, che si fa apprezzare per la sua cupa malvagità; ancora raffiche di colpi e frasi che vanno una dietro l'altra; di nuovo la malefica melodia mentre la batteria colpisce fuori dagli schemi per emergere. Si rallenta, crescendo di batteria e quindi il groove si fa ancora più travolgente, invoca il male, gli chiede di risvegliarsi dal suo torpore e risogere dai morti. Tutto questo si ripete un'altra volta, con brutalità e cattiveria, il testo è abbastanza banale e la musica non è da meno. Un pezzo sprecato, messo all'ultimo forse perché fiacco. C'è poco da apprezzare in un brano del genere.

Conclusioni
Volendo trarre delle conclusioni, si può iniziare col dire che questo album ha deluso: ci si poteva attendere un guizzo di creatività come quello avvenuto in "Undead" ed "Unborn", ma così non è stato. Barnes ha tirato in ballo musicisti dalle indubbie qualità tecniche, ma queste qualità non sono emerse: neanche un briciolo di assolo alla chitarra, la distruttiva velocità del batterista non si è sentita neanche una volta, il basso ha fatto il suo compitino senza nulla aggiungere. Insomma, Barnes ha preso dei musicisti giovani, talentuosi e freschi, magari anche carichi di idee, però - o per timore di questi o per imposizione di Barnes - la musica che ne è uscita fuori è la pallida imitazione di precedenti lavori dei Six Feet Under. A questo aggiungiamo anche il fatto che il growl di Barnes è ormai irrimediabilmente fiacco, povero di toni bassi, stentoreo nelle parti prolungate e soffocato in tutto il resto. C'è tanta musica in questo album, non si può accusare nemmeno di aver infilato troppi riempitivi (che non mi pare ci siano), ma semplicemente la musica risulta essere un compitino svolto in maniera mediocre. Inizio fiacco, parte centrale che ha riservato delle belle sorprese, finale di nuovo fiacco. Questa volta Barnes ha toppato anche coi testi: specie nella prima parte erano ripetitivi, banali, erano le solite cose rimescolate. Per fortuna, si è degnamente ripreso col testo che descrive il massacro della famiglia, e successivamente con quello - assolutamente perverso - della biancheria intima. Un lavoro che delude, sembra essere stato fatto con sufficienza ma ogni cosa, specie l'entusiasmo dimostrato dai musicisti, fa pensare che l'entusiasmo c'era, ma purtroppo non è stato speso bene: nella parte centrale abbiamo ascoltato bei pezzi, freschi, che ben si inseriscono nel panorama Metal contemporaneo. Il resto oscilla tra plagio e mediocrità, i nuovi Six Feet Under che imitano i vecchi Six Feet Under con dei musicisti diversi e con un cantante non più all'altezza della situazione. La delusione si fa addirittura tremenda perché, se si può perdonare un calo di voce, il calo di brutalità e fantasia nei testi diventa preoccupante! Si doveva fare di meglio, adesso c'è da capire se non si è potuto (forse i musicisti sono stati limitati, o il problema era la prestazione canora ormai ridotta), o se non si è voluto (forse ci si è accontentati delle prime idee, senza cercare di fare di meglio).

2) Exploratory Homicide
3) The Separation of Flesh from Bone
4) Schizomaniac
5) Skeleton
6) Knife Through the Skull
7) Slaughtered as They Slept
8) In the Process of Decomposing
9) Funeral Mask
10) Obsidian
11) Bloody Underwear
12) Roots of Evil


