SIX FEET UNDER

Graveyard Classics III

2010 - Metal Blade Records

A CURA DI
PAOLO FERRANTE
18/09/2015
TEMPO DI LETTURA:
7

Introduzione recensione

I Six Feet Under insistono con questa storia degli album di cover e quindi fanno uscire un indesiderato "Graveyard Classics III" (2010) pubblicato ancora dalla Metal Blade Records, così come tutti gli altri album. Ricordiamo che il precedente capitolo di questa serie si è svolto con "Graveyard Classics 2" che consisteva nella cover dell'intero album "Back to Black" degli AC/DC, un fragoroso buco nell'acqua. La formazione si compone ancora di: Chris Barnes alla voce, Steve Swanson alla chitarra, Terry Butler al basso e Greg Gall alla batteria; ormai è immutata da tanto tempo. Questa volta i Six Feet Under potrebbero fare qualcosa di meritevole ed è la stessa tracklist a suggerirlo: non più classici intramontabili del Rock (non solo perlomeno) ma un particolare occhio di riguardo per il Metal che sarà certamente più consono all'interpretazione del gruppo. Questo album arriva due anni dopo rispetto al precedente, un bel lasso di tempo se consideriamo che si tratta di cover e non di pezzi inediti che richiedono tutto il lavoro di composizione, l'album precedente è stato più che buono ed ha mostrato un gruppo che ha imboccato la strada giusta per esprimere la propria potenzialità artistica al meglio. L'artwork di questo album è molto accattivante, ben realizzato, mostra uno scheletro umano come se fosse stato appena dissotterrato da una fossa comune, quasi raggomitolato su se stesso come se fosse morto in modo violento; su questo scheletro sono state posizionate delle ali piumate da angelo, spalancate. E' interessante l'accostamento di questi due elementi così distanti: un lugubre scheletro che però possiede delle ali angeliche, una soluzione che avrà certamente dei significati concettuali, oltre che ovviamente estetici, e molto probabilmente torna sul tema (tanto caro al gruppo negli ultimi lavori) della vita dopo la morte. Lo sfondo è scuro e rovinato, mette in risalto le ossa e le ali chiare; molto grande ma affatto invasivo è il logo della band in alto, mentre in basso possiamo notare dei caratteri in stile gotico col titolo dell'album. Ciò che va notato è che, in questa grafica più di altre, si può vedere come il gruppo abbia praticamente abbandonato lo stile tribale nelle grafiche, che aveva contraddistinto più di un album in passato, a favore di uno stile più classicamente Metal.

A Dangerous Meeting

Passiamo all'ascolto del primo pezzo "A Dangerous Meeting" (Un incontro pericoloso), cover dei Mercyful Fate; l'inizio è carico di groove con una chitarra e poi lo stesso riff viene eseguito in stereo con l'aggiunta di un'altra, ritmiche serrate ma accompagnate da melodie, un sound molto curato e professionale. Delle stoppate con melodia e classe, un bel lavoro alla chitarra ed una batteria precisa, il growl è dannatamente gutturale ma si inserisce benissimo nel contesto, poi una parte strumentale ricchissima di riff che si incastrano in un turbine di ritmo e melodia, riprende la strofa col growl gutturale con incedere cadenzato e violento. Il ritornello è molto melodico, la voce riesce ad eseguire la parte tremando leggermente pur di restare gutturale, poi le stoppate ed una lunga parte strumentale con un assolo eseguito dal vero Michael Denner dei Mercyful Fate (riunitisi da poco nel 2009 con un singolo cui, purtroppo, non è seguito altro). Torna la strofa con aggressività rinnovata, le tonalità malinconiche della parte melodica con cantato estremo, la distorsione della chitarra è pesante, il basso resta un po' in ombra, il vibrato delle chitarre è eccellente, la batteria ha un'andatura Death Metal, il finale è un coro di growl e scream in stile Brutal, poi il pezzo rallenta e prende un'andatura massiccia e pesante, con delle campane a morte, un ultimo passaggio imperioso di chitarra, poi si prende ritmo con un riff ritmato che porta con sé la strofa, una serie di voci che si alternano e poi il credendo finale. Strano a dirsi però in questa interpretazione suona tutto benissimo, siamo lontani anni luce dagli altri "Graveyard Classics". Il testo parla di un cerchio di invocazione che si riunisce di nuovo in questa notte, c'è pioggia in atto però nessuno la sente visto che sono tutti concentrati, si siedono al tavolo in sette e congiungono le mani, dunque il tavolo inizia a tremare ed ondeggiare e loro pensano di sapere quale spirito apparirà, ma è un incontro pericoloso che potrebbe ucciderli. Poi la seconda parte del testo, dopo l'assolo, inizia dicendo che il circolo si è rotto, sono tutti quanti morti durante la trance, sette anime stanno raggiungendo l'inferno e l'incontro si è concluso. Avrebbero dovuto stare attenti e capire che sarebbe stato meglio non scherzare coi poteri dell'inferno, visto che alcuni perdono la loro mente, altri la loro vita, così facendo. Un testo piuttosto breve ma molto inquietante.

Metal on Metal

Si passa a "Metal on Metal" (Metal su Metal), cover degli Anvil, un inizio tutto strumentale con dei rintocchi di piatto ed il groove che sprizza dal riff di chitarra, il basso si apprezza per gli accenti, tutto il sound è pesante. La voce non si fa attendere molto ed è un growl gutturale, molto basso, a differenza di quanto accadeva nelle altre compilation di cover in questo caso il pezzo funziona perché c'è stato un buon lavoro nel timbro e missaggio degli strumenti che rende il pezzo leggermente diverso dall'originale, decisamente più pesante. Dopo una breve parte strumentale riprende il riff, si fa apprezzare perché è ritmato, trascinante e ricco di vibrato che fanno anche spaziare l'ascolto senza diminuire affatto l'aggressività; si passa ad un ritornello con coro in growl più effettato, incisive parti piene di violenza, poi si torna di nuovo alla strofa. La batteria pur essendo statica sulla base spazia molto sulle pelli e non fa mai la stessa cosa, parla un assolo graffiante, poi diventa in stile Rock, prende melodia ed uno scatto, per poi restare esclusivamente melodico con retrogusto blues. Ancora una volta la strofa, che torna spesso e volentieri; un pezzo molto godibile perché nella sua semplicità permette di sbizzarrirsi con l'interpretazione, la voce si permette diverse variazioni, la chitarra tende a restare stabile e sicura, la batteria è un profluvio di colpi (mai sentita così fantasiosa nei Six Feet Under). Il testo è un inno al Metal, la strofa funge da ritornello concettualmente, si esprime il forte desiderio di Metal su Metal, più forte è meglio è, anche fino a far sanguinare le orecchie pur di soddisfare questa insaziabile brama. Una musica così forte che fa tremare il posto ed il vento che esce dalle casse fa volare i capelli, jeans e pelle, catene che sferragliano, intanto il pogo del pubblico che viene incoraggiato a continuare a pestare. Il Metal è un qualcosa che incita all'azione, coinvolge, è qualcosa di cui non ci si annoia mai; i metallari sono una razza incallita, fedeli fino alla fine, hanno un fuoco dentro da alimentare con la musica. Urla e grida, le teste si alzano, si scalcia; il Metal non morirà perché i concerti lo tengono sempre vivo, al diavolo il domani bisogna divertirsi oggi. Un testo che incita alla baldoria, che allo stesso tempo è un inno a tutto ciò che ruota attorno al Metal, descritto come la musica della quale non si può fare a meno per via della forte carica che riesce a dare a chi la apprezza.

The Frayed Ends of Sanity

E' il turno di "The Frayed Ends of Sanity" (I confini logori della sanità mentale), cover dei Metallica, con degli accordi pomposi accompagnati da una batteria vivace e pulsante, poi un coro in voce pulita ed effettata; tutto è stato ben lavorato ed i suoni sono molto buoni. Stoppata ed il pezzo può proseguire con una strofa ritmata, l'interpretazione è incattivita da un approccio più pesante nella plettrata ed ovviamente dai suoni più cupi della chitarra che costituiscono una divertente variante del pezzo originale. Il growl è ben eseguito ed accelera insieme alla base, incastrandosi perfettamente, forse stilisticamente non può ritenersi una scelta azzeccata (perché non si riesce a rendere l'intenzione del pezzo originale, ma nemmeno reinterpretarlo completamente in chiave pesante) però nulla da ridire sull'esecuzione che si dimostra molto valida, anche nell'interpretazione. La voce trasuda brutalità ed i passaggi con le scale veloci sanno molto di Brutal, gli accordi lenti alternati alle parti più veloci funzionano molto bene, ispirano la violenza specialmente grazie alla plettrata stoppata ed incisiva. Si riprende con la parte veloce, il basso non si perde mai di vista e resta sempre una presenza inquietante, sferragliando in sottofondo. Tutta la carica del pezzo originale si trasmette in un passaggio strumentale, poi una variazione cantata con accordi lenti, siamo a metà pezzo e salta fuori l'assolo melodico su una base cattiva, è incastrato così bene che potrebbe essere tranquillamente un assolo da Melodic Death Metal, non particolarmente veloce - ma andante - si sviluppa in una parte che invece prende la rincorsa, rullate improvvise di batteria dettano degli scatti, poi un ennesimo assolo, questa volta in pieno stile Rock e pieno di evoluzioni, il timbro si fa melodico e graffiante a tratti, un assolo che continua ad evolversi senza mai essere banale o prevedibile, non smette mai. Si riprende con la variazione melodica in crescendo, tutto è ancora molto ritmato e vivace, poi arriva nuovamente la strofa, la voce ancora al suo posto e non particolarmente gutturale, per permettere più velocità ed un tocco melodico. Si continua a pestare fino al finale in grande stile, un lungo brano interpretato molto bene dai Six Feet Under. Il testo inizia con una specie di mantra che ripete molte volte la frase "All we own we owe" (Tutto ciò che possediamo ci possiede), una citazione della celebre frase di Fight Club in cui Tyler dice "Le cose che possiedi alla fine ti possiedono". Mai fame, mai prosperità, è diventato una preda del fallimento, combatte con se stesso e la candela brucia da entrambe le estremità. Si crea una schizofrenia, combatte contro le proprie paure, inizia a credere che tutti ce l'abbiano contro di lui, si sente chiamare; diventa schiavo delle proprie paure, lui aspetta gli orrori che Lei gli porterà assieme alla perdita di interesse e di domande sommerse da ondate di paura. Affonda nella rovina, ostaggio di questo sentimento senza nome in cui lui è contro se stesso; un testo con una trama molto simile a quella di Fight Club in effetti, senza spingersi però in tutte quelle considerazioni esistenziali che suscita il celebre libro/film. Non è un testo particolarmente ispirato nella scrittura, non sviluppa nemmeno in modo ordinato il concetto (forse è anche voluto parlando della schizofrenia) e tutte le interpretazioni nascono semplicemente dall'associazione col film.

At Dawn They Sleep

Il quarto brano è "At Dawn They Sleep" (All'alba dormono), cover degli Slayer, lo stile Thrash diventa molto più evidente in questo brano, anche se il timbro basso dà un tocco Death comunque, la voce è ancora un growl ed anche in questo caso risulta appropriata; si sente che è effettata ma va bene lo stesso perché raggiunge il risultato. Il riff è cattivo e molto ritmato, la strofa è inarrestabile e si ripete con insistenza, si alterna con delle parti strumentali che danno libero sfogo alle abilità chitarristiche, la batteria invece resta statica durante la strofa, così come il basso, il pezzo guadagna perché la ripetizione del riff lo rende massiccio. Le variazioni arrivano piano piano e proseguono con calma, poi un assolo di chitarra molto chiassoso e dissonante, poi diventa molto veloce e vorticoso, il finale è fischiato, lo stile ricorda abbastanza il Brutal associato alle sonorità cupe della base. Il riff si trasforma, diventa una lenta marcia cadenzata, la chitarra marca il ritmo per renderlo più aggressivo, la voce è ancora forte sui medi senza diventare troppo gutturale. Altra variazione strumentale, che diventa sempre più complessa con parti che si sovrappongo e la batteria che si prende più spazio, specie sui piatti; un cambio di ritmo, che si semplifica e diventa sempre più veloce, fino ad un blast con chitarra serrata e la voce che si fa sempre più gutturale. Dopo una bella sfuriata in stile Thrash in cui la chitarra si comporta seguendo lo stile Death, la strofa successiva è molto chiassosa, si accompagna con brevi raffiche di cassa, poi parte un altro assolo che alterna velocemente fischi ed evoluzioni melodiche frenetiche, il ritmo non accenna a rallentare. Sul finale la batteria sfoggia un temporale di colpi in solo, dopo riprende il riff della strofa che si conclude subito. Un pezzo non riuscito quanto i primi, ma sicuramente niente male. Il testo parla dei vampiri, come il titolo allude, appena risvegliato nella sua nuova forma sa come manipolare l'oscurità a proprio piacimento per dare la caccia alle prede umane dalle quali trarre il sangue che brama. Sono creature succhia-sangue dell'oscurità, spettri che si nascondono dalla luce, sono delle apparizioni che provengono dall'inferno ed infestano le strade nelle quali vivono, nascondendo il loro turpe segreto. Dopo aver scoperto il sarcofago nascosto, sollevato il coperchio del terrore, si sente un gelo infernale che ghiaccia dall'interno; nel momento in cui il cacciatore di vampiri si avvicina con intenzioni malevole e solleva lo spuntone per trafiggere il cuore del vampiro, si accorge di non riuscire a calarlo perché il vampiro ha già sedotto la sua mente, trasformandolo e legandolo a sé trasmettendogli il desiderio di uccidere. I vampiri sono dei soldati satanici che chiudono la loro morsa nei colli delle vittime e lasciano i loro corpi in attesa del cambiamento che li trasformerà a loro volta; col sangue che gocciola dalle loro fauci non sono ancora soddisfatti perché vorrebbero divorare la vita anche dall'anima della preda. Un testo che rielabora il mito dei vampiri riadattandolo in chiave satanica, giusto per il gusto di aggiungere violenza, anche questo è un pezzo abbastanza lungo ed il testo lo è altrettanto.

Not Fragile

"Not Fragile" (Non fragile) è un pezzo dei Bachman-Turner Overdrive, quindi Rock anni '70, tratto dall'album "Not Fragile" del '74. Questa scelta fa capire che i Six Feet Under potrebbero ricadere nel baratro delle precedenti compilation, anche se la scelta del pezzo può ritenersi parzialmente giustificata dal testo. Tornano nella campagna e si domandano se i boogie (uno stile di blues forte e veloce) sono ancora ammessi, allora gli viene chiesto se suonano musica pesante e questi rispondono che la suonano eccome: qualcosa che non è fragile, dritta verso l'ascoltatore. Svaniscono nella notte, sono ancora nelle nostre orecchie ma non li vediamo. Non dobbiamo pensare che il loro stile musicale significhi che sono addolorati o feriti sentimentalmente e che quindi vogliano mostrare se stessi attraverso la propria musica, è il mondo stesso ad essere ferito e la forza della musica gli arriva dalla gente in generale; li possiamo ascoltare quando ci sentiamo giù, quando siamo felici ma anche quando andiamo semplicemente così così. Un testo abbastanza breve, sottolinea specialmente il fatto che la durezza della musica non vuole necessariamente rappresentare un loro stato d'animo o interpretare ciò che sentono e sono: è semplicemente il risultato di come le cose vanno al mondo. Un testo del genere è interessante perché inizia a fare una specie di apologia della musica pesante, da non leggersi necessariamente come ribellione e satanismo (come volevano i vecchi, ma sempre attuali, cliché). Il pezzo inizia con un bel giro di basso e charleston, prende molto vigore quando la chitarra ripete lo stesso tema e prosegue con l'intervento della voce; anche in questo caso, come nelle precedenti compilation, l'interpretazione sembra un po' forzata, ma almeno la sezione strumentale ha un tocco più pesante ed un sound molto distorto rispetto all'originale. C'è anche una variazione che fa diventare il pezzo più tipicamente Death Metal, quindi forse la scelta del brano non è pienamente condivisibile ma la riuscita è indubbiamente buona. Si ripete la strofa ed il ritornello, c'è molto groove ed il pezzo è nello stile di gruppi tipo AC/DC, poi c'è una parte strumentale con un lento assolo in stile blues in cui due chitarre si sovrappongono intrecciandosi, sotto c'è una parte da drum'n'bass, poi l'assolo si fa più intricato ed il volume delle chitarre si alza, diventano più graffianti. La voce è gutturale ma sa comunque rendere la melodia in modo incisivo, mentre la voce ancora canta parte un altro assolo che continua quando Barnes fa il suo caratteristico scream acuto e marcio. Un pezzo ben interpretato, che però non entusiasma.

On Fire

Si passa a "On Fire" (A fuoco), cover dei Van Halen, giusto per rimanere in tema Rock, ma col tocco più pesante infatti si inizia con le evoluzioni chitarristiche tipiche del gruppo con armonici e distorsione, velocità nel riff che dà un tocco quasi Heavy, la voce si presente più guttural che mai e poi c'è anche una variazione in scream, il pezzo è stato ritoccato e la cosa può essere solo un bene perché ha permesso ai Six Feet Under di esprimersi meglio. Dopo del bridge arriva il ritornello in cui tutta la parte strumentale diventa cupa mentre growl gutturale e scream si avvicendano o si accavallano in una lunga serie di urla brutali: finalmente il gruppo mostra personalità e reinterpreta i brani, quindi (nonostante per i fan dei Van Halen questo potrebbe sembrare un sacrilegio) suona una cover creativa che merita di essere ascoltata. Una lunga parte chitarristica con vibranti ed intricati assoli, poi il groove della strofa ricca di armonici a sorpresa, ogni tanto un growl, poi si riprende con la strofa, la chitarra può sfogarsi al massimo nel riprendere la grandezza dei Van Halen ed interpretarla in modo molto più aggressivo. Si torna al ritornello, questa volta cantato solo in growl e ripetuto più a lungo, molto più a lungo, fino alla fine. Questo pezzo era forse la cover più rischiosa dell'album, ma di fatto è quella più riuscita perché il gruppo ci mette del suo, senza stravolgere il pezzo s'intende: basta anche solo il tocco nella plettrata e gli accenti nel ritmo per cambiare lo spirito di un pezzo, poi se ci si mettono anche i timbri ribassati e la voce estrema il gioco è fatto. Un testo irruento come la canzone, ci dice di sintonizzare le nostre radio perché presto apparirà davanti a noi, ci dice di alzare al massimo il volume e di sentirlo nelle nostre orecchie, poi tutto un insieme di urla che sono una via di mezzo tra euforia e dolore, quindi ci dice di andare a fuoco. Il pezzo vuole anche essere ammiccante, si rivolge spesso alle ragazze e gioca sull'allusione sessuale del fatto di essere infuocato, chiede di sdraiarsi e pensare che lui è con loro a letto, di indossare le cuffie così lui sarà nelle loro teste. Poi ripete in continuazione di andare a fuoco, un testo in pieno stile Rock!

Pounding Metal

Andiamo ad ascoltare "Pounding Metal" (Metal che pesta), cover degli Exciter, e chiaramente sentiamo una batteria che pesta forte sulle pelli, poi un riff stoppato e strapieno di groove mentre la batteria continua a pestare forte in stile quasi tribale, la voce si inserisce con apparizioni brutali e veloci seguendo il ritmo. Si arriva al ritornello fatto di una chitarra che suona e si ferma per lasciare sola la batteria, nella variazione del ritornello si sente molto bene un basso cupo quando sferraglia in sottofondo, la voce continua veloce e poi conclude con uno scream prima di ricominciare col ritornello cui segue una variazione più Rock. Un pezzo che si fa apprezzare, ben interpretato e coinvolgente, molto bello il fatto che la voce cambia tecnica e se ne esce con scream a sorpresa. Poi un assolo bello veloce che scarica una cascata di note in uno stile dannatamente Heavy Metal, bending sul finale, l'assolo si conclude presto e lascia spazio al riff principale che si rinforza con un basso pesante ed ostinato. La strofa prosegue come prima, una marcia massiccia, la voce è molto rauca e violenta, poi il ritornello ed il basso si permette delle variazione in cui scorre sul manico, la batteria improvvisa colpi sul rullante come varianti, anche la voce improvvisa entrate nella parte in cui la chitarra è muta. Si crea un botta e risposta, tutta una serie di interventi a sorpresa, c'è tutto il gusto dell'improvvisazione e del groove nella conclusione. Il testo incita al casino, descrivendo gente che va allo spettacolo agitando a ritmo i pugni in aria, teste che sbattono, cervelli che pestano, a nessuno gliene frega niente perché si stanno tutti divertendo al massimo; dei topi che fanno headbanging spaccano tutto il posto fino alle fondamenta, una notte nera, una battaglia Metal in cui si spacca tutto. Si sta perdendo il controllo, si sente la forza anche nel retro del palco, tutti vengono presi dall'incantesimo che supera anche il dolore; pelle e spuntoni sono avvolti nei pugni di queste brigate nel Metal pronte a combattere, come i pistoni di un motore, come un'armata pronta alla battaglia. Una notte oscura di battaglia, wattaggio elevato, nessuno può fermarli.

Destroyer

E' la volta di "Destroyer" (Distruttore), cover dei Twisted Sister, plettrate lente e cadenzate, stoppate, si sentono distintamente le due chitarre, poi dei colpi di batteria ed il tempo è ancora lento ed imponente. La voce è ancora un growl gutturale e cattivo, il riff prosegue e si arricchisce, oltre che della voce, di variazioni strumentali, ma rimane ancora massiccio e lento. La voce diventa in parte melodica, cercando di riprendere il tema del pezzo originale, anche in questo caso la scelta potrebbe non essere azzeccata ma l'esecuzione è ineccepibile, tanto che sembra un pezzo alla Mortician (se non fosse per i passaggi Rock di chitarra che si fanno sentire di tanto in tanto). Emerge una chitarra molto vibrata, altalenante, a volte fischia altre gratta, piena di espressione e groove poi prende velocità e diventa inarrestabile mentre l'accompagnamento è ancora lento. Così si riprende con la strofa, il pezzo musicalmente è trasformato in qualcosa di cupo, le plettrate sono davvero cattive con le stoppate ed intanto la seconda chitarra fa da contrasto con delle melodie Rock. Si arriva al ritornello che è un ostinato ripetersi dello stesso testo e ritmo, poi una variazione con una scala crescente che culmina con uno scream diabolico mentre l'ultimo accordo sfuma nel finale. Un pezzo lento, spesso ripetitivo, che raggiunge il massimo con l'assolo ma lascia un bel ricordo: il riff è troppo ben riuscito per dimenticarlo presto ed i gruppo ha saputo reinterpretare ben e il pezzo rendendolo aggressivo ma salvando qualcosa della natura Rock. Il testo racconta la storia di questo distruttore, che ha trascorso la propria vita come una sentinella silenziosa temuta da tutti: cammina, parla, percepisce, nessuno osa avvicinarglisi. Niente sfugge al suo sguardo e prende tutto ciò che vede, quando colpisce lo fa per bene ed è una vista gloriosa. E' in paese adesso, è nato per via di un errore, un enigma mistico; creato per stabilire ciò che è buono, per venire in aiuto, consapevole della propria fama controlla tutti quelli che lo guardano di traverso e fende l'aria col suo sguardo infuocato tranciandoli di netto. Si delinea insomma la figura di un super eroe a tutti gli effetti; si parla del fatto che verrà il giorno in cui noi tutti saremo portati al centro della città per essere giudicati da una massa di acciaio che spacca l'asfalto, in quel momento non è il caso di pensare ad un'inutile fuga ma c'è solo da pregare che il nostro volto non mostri disgrazia, perché altrimenti il distruttore ci prenderà a calci in culo. E' impossibile non immaginarlo come una sorta di robot enorme in stile giapponese, ma anche qualcosa tipo Robocop renderebbe giustizia all'eroe qui descritto.

Psychotherapy

Il nono brano è "Psychotherapy" (Psicoterapia), cover dei Ramones, una scelta a dir poco discutibile. Lo stile Punk emerge sin dai primi accordi, il pezzo è veloce, la voce è eccessivamente effettata già nel ritornello iniziale, veloci invasioni chitarristiche aiutano a movimentare ancora di più il pezzo. Il pezzo non funziona perché oltre ad essere effettata la voce è fuori posto, il pezzo non è stato reinterpretato in chiave brutale, fatta eccezione per la voce; le chitarre riprendono molto l'originale, la batteria è anonima ed il basso si sente molto poco. E' un esperimento onesto, a maggior ragione per il fatto che il pezzo è molto breve (due minuti) ed è stato piazzato quasi a fine tracklist, si varia con un altro ritornello più veloce ma un po' troppo ammorbante per il fatto di ripetere sempre la stessa cosa. Il fatto positivo è che il pezzo è molto breve e quindi toglie presto il disturbo, posizionato dopo una serie di pezzi riusciti è una piccola caduta che non fa poi così tanto male. Ciò che non funziona è la vena Pop del pezzo, il fatto di ripetere sempre la stessa parte sempliciotta, che non lo rende adatto per questa reinterpretazione che non ha potuto spingersi più in là del dovuto per renderlo aggressivo. Il testo, ancora più banale, parla di un teenager schizzato, la vergogna del genitore medio, che vogliono sottoporre alla psicoterapia. Fa scherzi di cattivo gusto col rischio di ammazzare qualcuno, gli piace assumere Tuinal (antidepressivo, poi ritirato dal mercato farmaceutico perché crea forte dipendenza e veniva spesso usato come "droga ricreazionale"), un vandalo incontrollabile ed altre cose del genere. Insomma questo testo cavalca l'onda del teenager ribelle e capriccioso; cosa ci facciano questo pezzo e questo testo in questo album è un mistero. Un testo diretto ad un pubblico opposto rispetto a quello degli altri testi, un testo che rappresenta uno stile di vita ed un modo di essere molto lontani da quelli descritti negli altri testi.

Snap Your Fingers, Snap Your Neck

L'ultimo brano è "Snap Your Fingers, Snap Your Neck" (Schiocca le dita, spezzati il collo) dei Prong, il titolo è un gioco di parole che approfitta del fatto che il termine snap può essere inteso sia come "schioccare" che come "spezzare". Il testo inizia dicendo che niente genera tanto disprezzo per il mondo quanto le memorie che adesso vengono a formarsi in ogni momento. Un nuovo seme è cresciuto in modo irragionevole e si svelano problemi per le prove da sostenere al mondo d'oggi; non si sente un giudice e quindi non entra nel merito del fatto che pensiamo che il presente rappresenti un cambio miracoloso rispetto al passato, che il futuro si stia programmando verso una direzione che porterà la buona vita. Poi dice che, così facendo, ci rompiamo il collo (molto probabilmente inteso come lavoro nel capitalismo) e schiocchiamo le dita; infine pensa di non essere così grato per il pane giornaliero che riceve, che gli fa venire più voglia di rubare. Un testo che, come accade spesso nell'Industrial Metal, propone delle riflessioni esistenziali e si pone in modo critico rispetto agli orrori che può portare la tecnologia ed il progresso incontrollato che avviene, appunto, a discapito della popolazione che si spezza il collo. Il pezzo inizia con un vivace tribale, accompagnato dal basso, la chitarra interviene lenta e distorta, poi si fa più cadenzata con un riff stoppato, il ritmo è al centro del pezzo. La voce è un growl gutturale su una parte di drum'n'bass, si alterna con la chitarra che fa delle apparizioni durante le pause del cantato e poi si sviluppa, fortissima e sostenuta da un blast, in delle parti veloci che si compongono anche di fischi armonici. Si riprende col riff iniziale e lo stile Industrial è molto evidente, la voce continua a cantare in modo cupo, mantiene il ritmo e difficilmente ne esce, il sound si apre con degli accordi più acuti e la voce si lascia andare di più prolungando le parti. Il pezzo ripete la stessa struttura in modo insistente, un pezzo meno indovinato dei primi, ma comunque valido e ben eseguito, specie nel finale prevalentemente stoppato che permette un'interpretazione più violenta.

Conclusioni

Un album più che rispettabile, una sorpresa inattesa nella serie dei Graveyard Classics: nei titoli precedenti c'era poca personalità, poca coerenza, tutto era ridotto ad un espediente commerciale ma, specialmente, le parti strumentali erano un'imitazione troppo spudorata dell'originale, l'unico elemento interpretativo era dato dal growl di Barnes piazzato ad alto volume tanto da risultare un karaoke demenziale. In questo album non si può escludere totalmente che non ci siano esigenze commerciali, però un dato è certo: i Six Feet Under ci hanno messo del loro, i musicisti hanno saputo interpretare in stile Death dei pezzi provenienti da altri generi alcuni lontani, altri lontanissimi dal Metal estremo. Il merito del gruppo è stato quello di aver tradotto dei pezzi così diversi in un unico sound, con un'esecuzione ed interpretazione molto apprezzabili. E' chiaro che questo album non farà la gioia di chi voleva un album di inediti, ma la valutazione deve trattare l'album per come si pone (non per quello che vorremmo ascoltare) e l'intento di omaggiare dei classici del Rock/Metal in questo caso è stato raggiunto con una tracklist fantasiosa e variegata, ottenendo anche un risultato gradevole. In alcuni casi la violenza e l'interpretazione del gruppo sono più evidenti, specie nei primi pezzi, tanto che i pezzi coinvolgono come se fossero davvero degli inediti dei Six Feet Under; un risultato non facile da ottenere con delle cover! La grafica poi è un altro punto a favore dell'album, ben pensata assolve al ruolo esclusivamente estetico per il quale è stata concepita e sa anche porsi in continuità col recente concept ricorrente nei testi del gruppo. Finalmente un album di cover firmato Six Feet Under che non sia un lazzaretto pieno di deformità musicali da nascondere alla società, questa volta Barnes e soci hanno tirato fuori un album dignitoso che intrattiene fino all'ultimo: merito del migliore lavoro della sezione strumentale. Non è un album che fa impazzire, ma è innegabile che sia stato realizzato bene, per i fan del gruppo è qualcosa da ascoltare nell'attesa del successivo album (che sarà realizzato due anni dopo), per tutti gli altri è un ascolto che si può sorvolare.

1) A Dangerous Meeting
2) Metal on Metal
3) The Frayed Ends of Sanity
4) At Dawn They Sleep
5) Not Fragile
6) On Fire
7) Pounding Metal
8) Destroyer
9) Psychotherapy
10) Snap Your Fingers, Snap Your Neck
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