SIX FEET UNDER
Death Rituals
2008 - Metal Blade Records

PAOLO FERRANTE
27/08/2015











Introduzione recensione
I Six Feet Under tornano a pubblicare un album, ad appena un anno di distanza dal precedente, si tratta di "Death Rituals" (2008) pubblicato ancora dalla Metal Blade Records, così come tutti gli altri album. La formazione regge ancora: Chris Barnes alla voce, Steve Swanson alla chitarra, Terry Butler al basso e Greg Gall alla batteria. Questa volta, dopo diversi album in cui non si è fatto, c'è una collaborazione esterna che vede coinvolto nientemeno che Iggy Pop (che non ha bisogno di presentazioni), il quale ha realizzato un messaggio vocale inserito all'interno della traccia numero 8. Chi ha avuto la pazienza di leggere le precedenti recensioni nelle quali, specie proprio in sede di apertura, abbiamo avuto modo di provare a delineare il carattere della band - o per meglio dire di Chris Barnes il quale veste i panni del produttore e dell'artista di spicco che, specie nei primi album, aveva un controllo a dir poco totalitario del sound - giungendo ad una conclusione: ogni volta che esce un album ad un anno di distanza del precedente si tratta di un lavoro realizzato in modo frettoloso, tra un tour e l'altro, giusto per avere in mano un prodotto da vendere. Ebbene non è il caso di questo album, il quale spezza la (ignobile) tradizione su accennata, si può anticipare infatti il dato che sia la produzione che la realizzazione sono di ottima qualità, mentre la composizione non sconta quella pessima abitudine a riciclare riff che ha colpito buona parte dei lavori dei Six Feet Under. Non si tratta di un album dalla durata irrisoria, non si tratta di una raccolta di riff di scarto messi assieme e rielaborati in modo frettoloso, si tratta invece di un carico di materiale compatto e generoso (una durata di circa 50min sembrava impossibile per i Six Feet Under, specie dopo un anno dal precedente lavoro!). Già questi soli dati possono sbalordire chiunque abbia dimestichezza con la storia precedente del gruppo, parlando invece dello stile musicale basti dire che il gruppo prosegue l'input dato dall'album precedente, il quale a sua volta ha avuto il merito di attingere dalle esperienze del primo e secondo periodo del gruppo, sintetizzandole in modo da trarre il meglio di ogni fase. In definitiva si prende il Groove Death rallentato ed influenzato dal Rock del primo periodo e lo si mescola con le sonorità Brutal e veloci del secondo periodo che attingono anche dal Thrash ed Hardcore; se ne trae un Death'n'Roll vivace che alterna momenti di semplicità trascinante ad altri in cui c'è una brutalità devastante. Ma parliamo della copertina: questa segue lo stesso stile adottato in "13" e "Commandment" (infatti si tratta dello stesso grafico, Ahmet Meran Karanitant), gli album immediatamente precedenti, fatto di un'accattivante semplicità che non si fa mai mancare un teschio in bella vista, questa volta si tratta di un teschio di Gorgone, con diversi livelli di serpenti (scelta infelice per il risultato complessivo) come capelli, molti di essi sono duplicati malamente e sfumati ancora peggio, una texture a scaglie di rettile sull'osso. Ad una prima occhiata può sembrare interessante, ma più si guarda e più diventa banale se non davvero ridicola per via dei molti livelli clamorosamente duplicati ed appiccicati uno vicino all'altro (se non stessimo parlando della Metal Blade mi verrebbe da pensare ad un demo autoprodotto in cui, per forza di cose, ci si doveva accontentare del grafico più infimo disponibile in circolazione che avesse accettato di essere pagato in tappi di bottiglia?). Questo lavoro grafico poi è stato effettato in modo da apparire antico, pare si tratti di un effetto sepia poi reso in bianco e nero; se l'idea è bella ed accattivante, la realizzazione è di un amatoriale assurdo. Ma passiamo adesso all'ascolto di questo lungo album.

Death by Machete
Iniziamo con "Death by Machete" (Morte da machete), un inaspettato arpeggio pulito e melodico dona un'atmosfera romantica ma anche sinistra, sulla stessa melodia un accompagnamento con lunghi accordi distorti, mentre le pelli vengono colpite lentamente per dare spazio e risalto ad ogni tocco, ecco la plettrata alternata, stoppate, cui segue un growl gutturale e tutto diventa Brutal. Un lungo stacco e poi una parte molto ritmata che assomiglia in modo allarmante a "The Day the Dead Walked" incluso nell'album "True Carnage" (2001), che non è necessariamente un male ma di sicuro non è un inizio all'insegna dell'originalità. Intanto c'è il riff ricalcato dal pezzo citato, poi una parte rallentata in cui c'è un assolo melodico con parti in sweep, davvero molto bello, si evolve su un accompagnamento ad accordi e sale progressivamente di tonalità e velocità. Si riprende con la parte lenta e cadenzata, il growl è basso e leggermente effettato per renderlo più ovattato, oltre che gutturale, si torna al riff ispirato al pezzo citato (oltretutto un singolo molto conosciuto del gruppo), poi arriva il finale. La scelta di copiare quel riff non è stata una furbata: è un singolo molto conosciuto ed apprezzato, forse la scelta è stata determinata proprio da questo, ma lascia comunque perplessi. Il testo descrive la morte di un corpo colpito col machete, col torso spezzato in due, smembrato, chi usa il machete racconta di essere qui per uccidere, strappare, tagliare, spezzettare. Che si tratti di donna o bambino il risultato saranno pezzettini irriconoscibili di carne umana, un attacco feroce per mutilare, dita amputate, sangue che scorre, corpi che si contorcono a terra, pile di ossa che si ammucchiano a terra con brandelli di carne ancora attaccati. Tutto ciò avviene perché l'omicida ha bisogno di sfogare la propria rabbia ed il proprio dolore. Un testo che prosegue la linea splatter di Barnes.

Involuntary Movement of Dead Flesh
Andiamo avanti con "Involuntary Movement of Dead Flesh" (Movimento involontario di carne morta), stoppate ed un growl gutturale in modo incredibile, gli accordi sono lenti e pieni di ritmo, inframezzati da scariche di cassa che poi diventano un vero e proprio tappeto quando il sound si distende e cessano le stoppate. La vocalità rimane assolutamente gutturale quando riprende la strofa, poi gli accordi si fanno più veloci ma il groove è ancora al centro della composizione, accordi in stile Rock ma molto gravi. Ecco che il pezzo prende influenze Thrash e si velocizza, cassa in primo piano e plettrate alternate e stoppate, poi una parte lentissima con uno scream marcio, seguito da un growl profondo, sono accordi lenti e cantilenanti in stile Doom. Il pezzo riprende velocità, il ritmo è quello di prima, molto accattivante, tutto funziona a meraviglia ed ogni cosa è al proprio posto. Il finale arriva di colpo con un'ennesima stoppata. Ecco un bel pezzo originale che interpreta al meglio lo stile dei Six Feet Under fatto di Groove, distorsione, semplicità e voce esageratamente gutturale: la ricetta perfetta. Ci sono poche variazioni e nessun colpo di scena ma va bene così, perché pezzi del genere funzionano proprio in quanto diretti. Testo molto semplice e diretto, così come la musica: corpi morti e straziati si rianimano, le bare sono aperte e sputano fuori il loro contenuto. Il cuore morto ricomincia a pompare sangue, la carne morta si rianima quando il sangue passa per le arterie necrotiche. Un corpo morto inizia ad avere convulsioni, il cuore batte senza ricevere alcun impulso dal sistema nervoso centrale, il cielo diventa nero nel bel mezzo del giorno, un padre ed una madre rianimati iniziano ad andare a caccia, mentre un figlio sta masticando un piede. In questo testo si descrive l'immagine, poco rasserenante, di una rianimazione zombie di massa, improvvisa. I più attenti ricorderanno che coi precedenti album - in "13" vi erano degli accenni sviluppati poi in "Commandment" - Barnes ha iniziato a trattare, con sprezzo, le tematiche religiose; questo testo continua a trattarle con lo stesso atteggiamento.

None Will Escape
Nell'inizio di "None Will Escape" (Nessuno scapperà) si ribadisce appunto che nessuno scapperà, tutti saranno uccisi e sezionati, liberati della vita di tutti i giorni e fatti a pezzi. C'è un'energia psicotica, oscura e senza perdono, che divora; il protagonista è il fottuto salvatore cui danno la caccia per macellarlo (che si riferisca all'agnello di dio?). Poi continua dicendo che siamo diventati un mero involucro vuoto di quello che eravamo prima, l'ombra di un sogno ad occhi aperti, un maiale gonfio da scannare, e quindi desidera rendersi vendetta e la farà pagare a tutti quanti. E' la bestia delle bestie, il male che alberga in tutti noi, che si lascia alle spalle gli insegnamenti della fede menzognera; l'oscurità ci attende, i sangue del figlio ed il pianto della madre vergine. Ancora un altro riferimento a Gesù bambino, anche se questa volta sembra trattarsi del secondo messia, quello di cui si accenna brevemente nel capitolo 12 dell'Apocalisse: "[1]Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. [2]Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto. [3]Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; [4]la sua coda trascinava giù un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato. [5]Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e il figlio fu subito rapito verso Dio e verso il suo trono. [6]La donna invece fuggì nel deserto, ove Dio le aveva preparato un rifugio perché vi fosse nutrita per milleduecentosessanta giorni.", quella di Barnes è quindi una versione con finale alternativo, se possiamo banalizzarla in questo modo, del tutto compatibile con la credenza protestante del resto, la quale ritiene che vi sarà un millennio governato dal male in seguito agli eventi del Rapture (la versione protestante dell'Apocalisse). Riff serrati, una serie di rullate sui tom e poi parte la strofa fatta di una plettrata alternata e cattiva, growl molto gutturale ed incalzante, passaggio su cassa e timpani che spacca tutto, poi il sound riprende con la strofa, i tempi sono martellanti e lo stile si avvicina molto al Brutal, una batteria particolarmente vivace si sbizzarrisce in passaggi veloci di tom e cassa. Stoppata con finto finale e si riprende con un registro abbastanza diverso, accordi lenti e molto ritmo, ancora growl gutturale mentre la cassa parte col blast sostenuto, altro finto finale e poi un assolo fulmineo e melodico, figlio di un Death melodico e tecnico, con fischio e finale melodico con tanto di riverbero. Si riprende con la strofa, bella pestata ed una breve parte in scream, stessa variazione già descritta, con molto ritmo, si prosegue pestando forte su timpano e cassa e si conclude con plettrate serrate e blast sul rullante.

Eulogy for the Undead
"Eulogy for the Undead" (Elogio per i non-morti) inizia con un effetto di suoni cristallini, cui seguono accordi in stile Death old school, belli ampi e spaziosi con un bending che conferisce più espressività alle parti di chitarra, poi si prende ritmo e la voce interviene trasformando il pezzo in stile Six Feet Under. Parti stoppate, basse, massicce e cadenzate con un growl gutturale; il pezzo varia e diventa più vivace nel tempo del riffing, poi ci si mette anche una batteria tribale che incalza e porta il tempo ad accelerare ulteriormente in una bestialità travolgente. Colpi di batteria irruanti, specie sui tom, accordi effettati con passaggi melodici veloci, quasi assoli, poi si riprende con la brutalità massiccia. Il pezzo è un treno in faccia, altro finto finale e riprende il riff in stile old school, semplice, lento e imponente: il groove applicato all'old school è una formula a vittoria assicurata. Il basso si sente sferragliare in sottofondo mentre si riprende la strofa, nella parte ritmata il basso riesce ad emergere giusto per i copi alla corda libera, poi scompare quando il pezzo prende velocità. Più gutturale di così non potrebbe essere la voce di Barnes, i tempi sono precisi e l'interpretazione cavernosa. Ecco un pezzo che non manca certo di mordente! Il narratore cammina lungo la valle dei morti, che lo circondano a centinaia, nell'incubo che sta vivendo ci sono fiumi profondi che traboccano decomposizione, migliaia le ossa di vittime innocenti. I corpi giacciono alle coste nemiche, dimenticati e marcescenti, il narratore si chiede quando finirà mai questa disgrazia, si risponde che non finirà prima che verrà versata un'eternità di sangue. I corpi giacciono in fosse comuni senza che sia scritto il loro nome, mutilato un moncone di uomo grida implorando aiuto ma nessuno lo ascolterà, non importa niente a nessuno della sua vita che è solo uno strumento per la mente sinistra. Quindi viene finito con un pugnale al cervello, adesso c'è un cadavere in più. Pare che questo testo faccia riferimento ad un massacro compiuto durante una guerra, ma non ci sono elementi precisi per esserne sicuri.

Seed of Filth
Passiamo al quinto brano, "Seed of Filth" (Il seme della sporcizia), ritmi serrati e veloci, cadenzati e carichi di aspettativa, si evolvono incorporando influenze Thrash, il basso è presente in quanto la chitarra si concentra su tonalità più alte, con riff serrati ed accompagnamenti lenti; giungono le influenze Rock che portano ad accordi orecchiabili e moderati. Si riprende col riff serrato ed entra in gioco un growl gutturale, molto veloce che segue la chitarra. C'è una variazione in cui la voce diventa dapprima più melodica, poi c'è un coro di voci pulite che fa da controcanto al growl, si ripete e dopo il coro parte un assolo decisamente Rock, che si prende tutto il tempo per svilupparsi e poi si aggiunge un'ulteriore che crea un assolo che si intreccia al precedente, si collega un nuovo assolo in stile Rock virtuoso, poi si riprende col ritornello e segue la strofa gutturale e melodica (questa volta la voce è decisamente all'altezza e non si spezza cantando). Altri riff serrati, è la lenta ed inesorabile marcia di un carro armato che travolge ogni cosa al suo passaggio; altra volta il ritornello con tempi cadenzati da marcia, colpi di cassa belli definiti, rullante puntuale, la voce fa brevi e potenti apparizioni gutturali e sfiatate, di un massiccio assurdo, il volume cala nel finale mentre l'ultima parte si ripete in modo ostinato. In questo pezzo l'ascoltatore viene travolto da un pestaggio massiccio, un pezzo monolitico, lento e pesante. Nel testo un torturatore taglia ferite aperte, adesso il corpo viene lasciato a marcire ed alla mercé degli insetti che già iniziano a sciamarci attorno, anche infiltrazioni batteriche che devastano i tessuti a livello microscopico. Si crea un sistema biologico microscopico che si sviluppa a larga scala e prende pieno possesso del corpo, trasformandolo in spazzatura umana, un esperimento di decomposizione. Poi la macabra invocazione del dio delle mosche, affinché possa liberare il seme della sporcizia per crescere e conquistare nella morte dell'uomo; con questa invocazione è probabile che Barnes abbia voluto riferirsi al Lord of the Flies (Il signore delle mosche), noto romanzo di William Golding in cui, per farla breve, dei ragazzini sperduti in un'isola deserta cercano - con esiti molto negativi - di creare una forma di "governo", finendo per lottare tra di loro e creare questo dio che consiste in una testa di maiale infilzata in un palo, che decomponendosi è attorniata da mosche, idolo primitivo capace di evocare il male in ciascuno di noi (romanzo metafora della storia e della condizione umana), citazione che si trova d'accordo col "maiale da scannare" di cui in "None Will Escape"; altrimenti, visto che non si parla di un lord, ma di un god, l'alternativa potrebbe essere risalire a monte verso quello che ha ispirato la divinità del romanzo, si tratta di Ba' al Z?bûl (anche Baal, Baalzebub, italianizzato in Belzebù), divinità filistea (secondo alcuni col significato di "signore dell'Aldilà", secondo altri come "signore delle pesti" inteso come guaritore) poi storpiato in Ba'al Zebub dai loro nemici israeliti, per dare il significato offensivo di "signore delle mosche" e dire che i filistei adorassero le mosche, la sporcizia e la peste. Ognuna di queste interpretazioni si sposa col significato del testo che si conclude con delle larve che nascono e si cibano del corpo putrescente.

Bastard
E adesso è la volta di "Bastard", cover dei Mötley Crüe, effetti di riverbero al rullante, chitarre pesanti, evoluzioni melodiche e corde libere che lanciano feedback, il riff orecchiabile ed il growl gutturale di Barnes che contrasta col coro melodico in stile Glam (che c'azzecca molto poco), si ripete. Poi il growl gutturale si impone anche sulla strofa successiva, che poi cambia con un bel giro di basso ed una serie di melodiche chitarristiche che si inseguono, si riprende col ritornello che viene rovinato ancora una volta dall'accoppiata infelice growl/coro melodico glam. Questa cover sembra fatta a sfregio, è come se i Six Feet Under si fossero resi conto di aver fatto un bell'album e dunque abbiano voluto rovinarlo intenzionalmente con questo pezzo, messo in mezzo alla tracklist. Questa cover segue ancora una volta il fallimentare stile dei Six Feet Under in materia: prendi un pezzo improbabile e molto famoso, suonalo uguale strumentalmente (con timbri cupi e distorti) e mettici sopra il growl ultra gutturale di Barnes; che si tratti di canzoni d'amore o mutilazioni non fa alcuna differenza per il growl di Barnes che si abbatte sui classici della musica dissacrandoli più o meno come avviene alle vittime dei suoi testi. Questa volta il problema non è tanto il testo, che come vedremo parla di uccisioni, ma la musica; perché in realtà (almeno questa volta) il testo si presta all'interpretazione violenta: le luci vanno via ed il pugnale infilza una vittima prendendone la vita. Un bastardo è morto e dunque l'assassino vuole che ci inginocchiamo ai suoi piedi per chiedere di avere salva la vita, il re degli arrapati beceri che voleva violentarlo. Il bastardo è morto adesso e non fotterà più. Adesso è il momento di agire velocemente, fargli saltare la testa, ormai non ha più nulla da perdere, adesso è il momento di fotterlo per bene; veloce come uno squalo, la bestia ha il suo marchio, non possono competere con l'oscurità ed ha sbagliato a cercare di violentarlo, ricevendo ciò che si meritava per averci provato.

Into the Crematorium
"Into the Crematorium" (Nel crematorio) è un titolo che lascia presagire brutalità, in effetti il testo comincia col descrivere l'inserimento dell'ago che risucchia il sangue e poi inietta un liquido nocivo nel corpo di una vittima distesa su un tavolo operatorio, il narratore ha un bisturi a portata di mano col quale taglia gli intestini e li mangia direttamente. Questo modo di vivere malato gli ha portato appagamento: dominare esseri umani, condurre esperimenti sui loro corpi, estrarre i loro organi vitali, affettare i loro intestini, scavare per investigare all'interno dei loro tessuti, fotterli dopo la morte per entrare dentro di loro. Fratturare ossa umane, cuore e polmoni ora vengono rimossi, freddo ed in decomposizione il sangue inizia ad annerirsi e raggrumarsi, il medico legale effettua gli esami e dopo fotte il cadavere, i pezzi che componevano il cadavere si separano e si mescolano, si dissolvono in pezzi sempre più piccoli. Il sangue è stato prosciugato e ci si è liberati del corpo infilandolo nel crematorio, dove viene ridotto all'osso e dopo incenerito. Le fiamme divorano tutto ciò che era vivo e liberano uno spirito malefico, ormai reso schiavo per le torture subite. Il pezzo inizia con un arpeggio di basso molto interessante che fa pensare ad un Progressive Death Metal e poi, che ci crediate o no, arriva ancora una volta lo stesso riff ritmato identico a quello di "Death by Machete" che a sua volta l'ha ricalcato da "The Day the Dead Walked" incluso nell'album "True Carnage" (2001); ho capito che il riff è molto bello, che gli è piaciuto tanto, ma è davvero necessario continuare a piazzarlo identico in altri pezzi? Continua con le stesse variazioni di tonalità, il ritmo resta invariato ed il rullante pesta identico, accompagnato dalle plettrate alternate ed il growl sfocia in uno scream finale. Segue una parte diversa che si collega malamente col riff di prima, ha influenze Thrash ed un growl gutturale, poi il pezzo alterna fasi continuate a fasi ritmate con un largo uso di piatti e blast di cassa. Ma le (brutte) sorprese non finiscono qui perché - pensate un po' che originalità - c'è una parte centrale del pezzo che ricalca la parte centrale dello stesso "The Day the Dead Walked", con la variante che la parte vocale in questo pezzo è in levare. Poi parte un assolo in stile Thrash, ricco di fischi e parti veloci e melodiche, poi prende una piega Brutal, accompagnato dalle stoppate iniziali, poi segue una parte gutturale e pestata, dopo il riff di "The Day the Dead Walked" che porta al finale. Il pezzo è molto bello, sia chiaro, però questo riciclo delude.

Shot in the Head
Segue "Shot in the Head" (Colpo alla testa), che è il pezzo che vede la collaborazione di Iggy Pop, inizia con il suono di una chiamata, risponde la segreteria e si sente la voce cupa di Iggy che, come fosse l'attore di un film, dice "A merciless god I am, among the human waste, your search is in vain. By the time you discover what you believe to be the truth there will be no one left to save, because I have perfected my killing technique" (Sono un dio spietato, in mezzo alla spazzatura umana, la tua ricerca è vana. Quando scoprirai ciò che crederai essere la verità non sarà rimasto nessuno da salvare, perché ho perfezionato la mia tecnica di uccisione) e la chiamata si chiude, ecco un altro elemento che potrebbe portare in mente Baal. Partono degli accordi veloci e melodici, mentre il rullante è veloce e la cassa pulsa costante, ecco che ci sono delle parti stoppate in stile a metà tra Thrash e Rock, un pezzo ricco di Groove che rimane strumentale nella seguente parte con ritmo tribale e guerresco. Il riff procede con un breve inserimento vocale, accelerazioni a sorpresa, poi prosegue regolare e trascinante, quando si ripete il tribale c'è una variazione strumentale, più melodica, quindi interviene il growl gutturale che sembra seguire la linea melodica; si passa ad una parte più ritmata ed il growl si fa cadenzato e brutale, con piccole variazioni in scream. Poi quello che sembra un ritornello, sempre col ritmo tribale ed un tocco di melodia, passaggi ai piatti che ricordano il suono di un campanello, passaggio melodico alla chitarra con accordi veloci, poi si avvia un'altra sfuriata strumentale travolgente. Si fa sentire un assolo che parte lento e poi prende velocità e melodia in stile Technical Death misto a Rock, fischi e melodie, bell'assolo che tiene attentissimi, poi altra parte strumentale con accelerazioni a sorpresa ed un growl cavernoso che ripete la strofa. Il testo, dopo la parte della telefonata di Iggy, inizia con una scarica di fucile a pompa dritta in faccia che porta il teschio a frantumarsi in mille pezzi, un omicidio di forza bruta carico di odio, ogni notte c'è una nuova vittima. Poi la descrizione di come la materia grigia esca dalle ferite alla testa, sgorgando, c'è voglia di uccidere ancora ed ancora. Una .22cal (che corrisponde ad un 5,6cm di diametro, munizione standard, probabilmente la più diffusa) dietro al collo, tredici colpi al cranio con implosione di sangue ed ossa, si preme il grilletto e si guarda la testa esplodere. Ha voglia di uccidere tutta l'umanità, uno alla volta, ancora ed ancora.

Killed in Your Sleep
"Killed in Your Sleep" (Ucciso nel sonno) parte con accordi lenti e cadenzati, ricco di espressione del vibrato e nei tocchi leggeri ai piatti, atmosfere Doom e pesanti, una botta di velocità a plettrata alternata e blast di cassa ed arrivano influenze Thrash/Death. Con la velocità arriva anche una monolitica voce fatta di un growl cavernoso e marcio, sfiatato e leggermente melodico nonostante le tonalità gutturali. La parte prosegue con colpi furiosi di rullante e con variazioni alla chitarra, si aggiunge un coro nello scream caratteristico di Barnes, che questa volta sembra un belato malefico. La chitarra è protagonista con riff pesanti e massicci, i tempi si fanno forti dei piatti che pestano insistentemente, il basso esce fuori solo nelle parti più ritmate in cui la chitarra prende tonalità acute, poi un botta e risposa tra voce e chitarra, che porta ad una nuova parte rallentata ed eccezionalmente gutturale, con leggero effetto riverbero. Parte l'assolo, se la prende calma e lascia ruggire la chitarra per più volte prima di iniziare la melodia cadenzata inframezzata di veloci evoluzioni con scale, poi riprende il riff serrato e cupo, claustrofobico, che ripropone la stessa struttura in tutta la sua potenza. Pezzo molto soddisfacente. Soffocato a morte, col vomito che adesso riempie l'esofago, ucciso nel sonno, assassinato durante un sogno, gli incubi sono veri adesso e non ci sarà alcun risveglio. Annaspando adesso i polmoni sono al collasso, lottando per riuscire ad aprire gli occhi; la morte è solamente una porta, il tempo è sospeso nel vuoto mentre il morto fa l'ingresso in un altro mondo dei sogni, nell'oscurità dove soffrirà in eterno. Il testo è breve ma rende molto bene l'idea.

Crossroads to Armageddon
Ancora più breve il testo di "Crossroads to Armageddon" (Incroci verso l'Armageddon), l'Armageddon è quel luogo in cui, secondo il libro biblico delle rivelazioni, avverrà l'ultima battaglia in occasione della seconda venuta di Cristo; anche se probabilmente deriva da Har+Megiddo, dove har significa monte e Megiddo è una località biblica dove si sono svolte molte battaglie nella storia. Insomma è la distruzione finale, il testo è una memoria in cui il narratore ricorda quella notte disastrosa, in cui sono arrivati e l'hanno rapito (ricordiamo che negli USA è molto diffuso il protestantesimo e quindi il concetto del Rapture in occasione del giudizio finale), adesso è la gente ingiusta ad aver preso il controllo (si tratta del millennio in cui governerà il male appunto), condividerà la propria tomba con gli altri. Suoni di passi, rumore di fondo, un basso pulito e tocchi di cassa e charleston, si crea molta atmosfera e suspense, intanto una voce parla sussurrando come se si trattasse di un film con la voce di un attore che è stata remixata per crearci un pezzo. Si possono sentire delle influenze Nu Metal, basti ricordare che gruppi come Otep utilizzano spesso queste sonorità nei propri pezzi; questa è una veste inedita per i Six Feet Under e bisogna ammettere che calzano bene questi panni, merito anche dell'abilità interpretativa di Barnes.

Ten Deadly Plagues
Il pezzo precedente poteva essere visto come l'introduzione di "Ten Deadly Plagues" (Dieci piaghe mortali), che prosegue in qualche modo la tradizione di testi a riferimenti biblici iniziata con l'album "13", il riferimento ovvio è alle dieci piaghe d'Egitto di cui si narra nel libro dell'Esodo. Il testo inizia con una vittima dolorante e sofferente, dopo le torture subite non desidera altro che la tomba ed il riposo eterno. Non può sopportare altro, contro il muro con le pistole puntate addosso a bruciapelo, bendato poi il tuono ed il potere di non ritornare mai più, il canto del cigno e la dipartita verso un altro regno di pazzia ed incubo. Dieci piaghe mortali, l'umanità imparerà, ci sono masse di pecore guidate al macello, un gregge che segue ciecamente ciò che gli è ordinato di fare. Un cappio al collo e polsi ammanettati, gambe legate strette. Non si riesce a capire bene quale sia il nesso tra gli eventi dell'Esodo e la tortura subita dalla vittima di questo testo. La musica inizia con accordi lenti, nemmeno molto originale rispetto al resto del repertorio del gruppo, lenti e con influenze Doom; poi prendono ritmo ed anche un pizzico di melodia. Il basso, finalmente emerge e si sente sferragliare distorto, a corda libera, in passaggi molto cupi, ancora non si è sentita la voce, una lunga introduzione, poi una rullata ed il pezzo si fa ulteriormente melodico con degli accordi semplici ed orecchiabili, altra rullata ed il pezzo diventa di un lento monolitico, entra in gioco il growl cavernoso, una marcia gutturale ed imponente. La voce si alterna con dei passaggi di chitarra, poi diventa un duetto fatto di ritmo insistente e pestato in modo pesante, si accelera raddoppiando i tempi, il basso è ancora un potente protagonista del riff. Un pezzo che non sprizza creatività, specie nel fatto di dover forzare una parte per metterci a tutti i costi uno scream non necessario, la strofa riprende, sempre molto ritmata ed il pezzo giunge al finale senza nessuna sorpresa. Ancora una volta la forza del brano è dovuta all'incedere inarrestabile fatto di growl gutturali, ritmati e potenti, col groove che questa volta arriva anche da un uso semplice e diretto della melodia.

Crossing the River Styx
Con "Crossing the River Styx" (Attraversando il fiume Stige) continuiamo a rimanere in tema religioso, perlomeno col titolo visto che si tratta di un brano strumentale, suona in uno stile molto Death melodico, con due linee una bassa e lenta, una veloce ed acuta, che si sovrappongono come in un arpeggio distorto e maligno. Effettivamente dall'ascolto sembra una fuga anche se ha anche il carattere infernale evocato dal titolo. Questo brano è un outro a tutti gli effetti, i passaggi sopra descritti si ripetono invariati per circa un minuto, dando il tempo all'ascoltatore di capire che l'album si conclude.

Murder Addiction
Nonostante ciò il pezzo finale è "Murder Addiction" (Dipendenza dall'omicidio), pezzo che dopo l'outro ci fa immediatamente rientrare nel pieno dell'album; una scelta curiosa questa, non necessariamente cattiva ma di sicuro particolare. Inizia con delle stoppate ricche di cassa, si sentono bene anche le influenze Rock, poi si aggiungo passaggi in stile Thrash che fanno accelerare il pezzo, poi un Groove Death porta ad un'evoluzione cadenzata del riff, intanto la cassa resta fissa nel blast che infarcisce con piatti. Dopo alcuni accordi interrotti da stacchi di batteria esce fuori il growl gutturale di Barnes, la parte vocale prende un ritmo che a volte si allaccia, altre si separa dal ritmo di chitarra. Poi delle parti con accordi aperti ed un lento solo melodico di chitarra fa da base alla parte vocale che continua, altri stacchi e si propone una variazione più violenta della strofa, che assume contorni Brutal, plettrate serrate e basse, tutto diventa più cavernoso, particolarmente interessanti i passaggi col ride ed i piatti in generale. Il ritornello prende spunto dal Rock e lo si nota specialmente dalla linea melodica, ma è un momento breve che presto viene sostituito da una nuova strofa brutale e dunque la conclusione che arriva dopo una serie di stoppate. Nel testo il narratore confessa la propria propensione incontrollabile all'omicidio, una psicosi che gli fa sentire le voci dei morti nei suoi sogni, lo chiamano, si sente vivo perché è capace di dar la caccia agli umani, eliminarli e cibarsi delle loro anime. I disperati, i morenti, gli dona la morte e la sua mano omicida è in realtà una mano di conforto, un lampo di pace sconosciuta che raggiunge le vittime. Il demone che ha dentro fa a pezzi le vittime, gli taglia braccia e gambe, li prosciuga del pus mentre diventano blu fino al momento in cui esalano l'ultimo respiro. E' una pulsione omicida irresistibile, non cerca neanche di smettere, è un modo violento di vivere la propria esistenza.

Conclusioni
Con questo pezzo si conclude un album molto bello, ma non privo di difetti. Concentriamoci sulla musica: i pezzi sono tanti, c'è anche una certa varietà che si apprezza maggiormente vista la durata complessiva dell'album, e non suonano mai banali. Ci sono dei pezzi composti da pochi riff, è vero, ma questa scelta è funzionale alla realizzazione di pezzi che si stampano in testa e che consistono in un'aggressione primitiva e brutale, quindi va benissimo e sono molto godibili. I problemi però si fanno vedere allorquando ben due pezzi di questo album si basano su un riff (o più di uno) tratto da "The Day the Dead Walked" incluso nell'album "True Carnage" (2001), pur trattandosi di auto-plagio la cosa non passa certo inosservata, anche perché quel pezzo è un singolo anche piuttosto conosciuto. La mancanza di fantasia salta fuori sia in queste soluzioni discutibili, sia, di tanto in tanto però, nella composizione di altri pezzi; la cosa spesso si maschera e si recupera semplificando i pezzi e dosando bene le idee. Va detto che i Six Feet Under hanno fatto album di mezz'ora molto meno originali di questo e comunque resta un dato fondamentale: i pezzi spaccano, sono suonati bene e fanno effetto all'ascolto. Poi c'è la cover che, assieme al fatto di aver plagiato lo stesso riff due volte, è l'altro elemento che influisce negativamente nella valutazione perché sconta gli stessi problemi già riscontrati parlando delle infami compilation di cover che vedono protagonisti i Six Feet Under; questa volta però, va detto, la scelta del pezzo è stata azzeccata, almeno con riguardo alle tematiche, meno azzeccata è stata la scelta di affiancare cori Glam al growl gutturale? Per quanto riguarda i testi si può tranquillamente parlare di una trilogia, che parte da "13", prosegue con "Commandment" e si conclude con questo album: si trattano tematiche che riguardano la vita ultraterrena e la religione, spesso in modo dissacrante e - specialmente in questo ultimo album - con riferimenti sempre più "dotti" (fa strano leggere questo termine in una recensione dei Six Feet Under, ma se c'è un merito non possiamo negarlo). Questa alternanza e commistione di tematiche religiose e brutali è qualcosa di piuttosto inedito e nella quale Barnes mostra confidenza: le tematiche da horror banale da quattro soldi, con storielle da halloween riciclate dai cartoni animati, che erano contenute nei pezzi dei primi album vengono adesso sostituite da vicende brutali (in cui Barnes è maestro!) le quali, di tanto in tanto, vengono ambientate in uno scenario apocalittico e contestualizzate attraverso riflessioni più o meno filosofiche e satiriche che riguardano il mondo della religiosità in generale e della cristianità nello specifico. Quello che abbiamo ascoltato è quindi un album generoso, ben realizzato nonostante il poco tempo dedicatogli, che sintetizza al meglio lo stile del gruppo contenendone tutti i punti di forza; è un album che farà felici gli estimatori dello stile Six Feet Under sommergendoli di voci ultra-gutturali proposte in diverse salse e mai noiose, con una base musicale massiccia e brutale. Peccato per quei passi falsi, ma a parte quelli c'è di che devastarsi.

2) Involuntary Movement of Dead Flesh
3) None Will Escape
4) Eulogy for the Undead
5) Seed of Filth
6) Bastard
7) Into the Crematorium
8) Shot in the Head
9) Killed in Your Sleep
10) Crossroads to Armageddon
11) Ten Deadly Plagues
12) Crossing the River Styx
13) Murder Addiction


