SIX FEET UNDER

Bringer of Blood

2003 - Metal Blade Records

A CURA DI
PAOLO FERRANTE
28/07/2015
TEMPO DI LETTURA:
7,5

Introduzione recensione

Con "Bringer of Blood" ci addentriamo nel pieno della discografia dei Six Feet Under, pubblicato dalla Metal Blade Records nel 2003. La formazione resta sempre la stessa: Chris Barnes alla voce, Steve Swanson alla chitarra, Terry Butler al basso e Greg Gall alla batteria; in questo album - a differenza del precedente "True Carnage" - il gruppo non si avvale di collaborazioni esterne e mette su una tracklist di undici brani per una durata complessiva che supera i quaranta minuti, risolvendo almeno il problema dell'esigua durata, che si è presentato di tanto in tanto nei precedenti lavori. Lo stile musicale, consolidato, rimane lo stesso con qualche piccola variazione che andremo ad esaminare trattando dei singoli brani; è possibile anticipare già da ora che se con gli album appena precedenti c'è stata una progressiva escalation verso un sound più tipicamente Brutal, con "Bringer of Blood" si torna a sonorità più melodiche, quali ad esempio quelle di "Warpath". Assieme a queste sonorità da Death'n'Roll tornano anche le tematiche sociali, introdotte appunto proprio con "Warpath", che ben si sposano con lo stile in questione. La copertina segue la stessa linea non riportando immagini splatter, ma un teschio cornuto con le sembianze che ricordano quelle di Chris Barnes, il "6" della band inciso in fronte, in sottofondo una specie di cerchio di evocazione con simboli esoterici; la copertina è colorata con sfumature dello stesso colore, che pare derivare da un effetto sepia con colori più caldi. Crea uno strano effetto vintage e non è nemmeno realizzata chissà quanto bene, perché si vede chiaramente dove sono stati sovrapposti i livelli d'immagine ed alcune componenti sono a risoluzione diversa di altre; insomma una grafica che lascia a desiderare, rende male un concetto interessante che, se sviluppato meglio, avrebbe avuto un effetto migliore.

Sick in the Head

Iniziamo l'ascolto dell'album con "Sick in the Head" (Malato nella testa), stoppate in pieno stile Death'n'Roll ed un growl melodico con un coro di sussurri mentre gli accordi aperti si susseguono, poi arriva una parte piena di groove che travolge di brutto! Un growl meno gutturale di quelli cui ci aveva abituato nei precedenti album, più melodico e sui medi ma senza i problemi tecnici riscontrati in "Warpath". Il riff in questione si evolve con uno scream disperato, poi si ripete e diventa una parte rallentata con sfumature Doomsound ricco e pezzo che progredisce velocemente e non annoia mai. La chitarra è molto mobile e funziona bene con uno stile più Rock, la struttura si ripete, batteria precisa ed essenziale, poi ecco che tornano i problemi tecnici alla voce in una variazione melodica e quindi questo growl melodico sfiata, trema e si spezza, meno di quanto avveniva col secondo album però. Sorprende il fatto che lo scream che adotta non è il suo caratteristico acuto in stile gore, ma è più vicino ad uno scream classico da Thrash/Death Metal, che gli viene anche bene. Alla fine il pezzo accelera, si passa da growl e scream progressivamente, Barnes padroneggia le tecniche e quindi gioca con le sfumature. Il finale è una variazione del riff principale, che accelera fino alla conclusione. Un buon pezzo quindi, molto buono a parte il punto melodico in cui la voce trema, che presenta questo album in cui i Six Feet Under tornano nuovamente alle origini, dopo un lungo periodo Brutal. Il testo è la riflessione di uno che vuole cercare una via di fuga dalla propria condizione, vede flash di se stesso suicida in diverse situazioni possibili, sente delle voci nella testa che gli dicono di considerarsi morto, quindi si dispera. Spera di trovare un modo per nascondere le paure e continuare ad andare avanti, è ancora disperato e non crede di potercela fare quindi si piazza una pistola sotto il mento e fa fuoco; è una vittima sopravvissuta ad un disastro, con visioni di morte che lo tormentano e quindi non ce la faceva proprio ad andare avanti. Questo testo è un esempio del fatto che la violenza è passata al secondo posto, il primo posto è stato preso dalla descrizione dello stato d'animo che è il tema principale del testo. In tutta la parte cantata traspare questa disperazione descritta, specie nelle parti in scream in cui inveisce contro Dio.

Amerika the Brutal

"Amerika the Brutal" è uno dei pezzi più famosi dei Six Feet Under,  come sappiamo inizia con un effetto delay alla chitarra, poi una batteria molto groovy con delle stoppate di chitarra, entra in gioco la voce quasi rappata e molto sporca, poi il bridge "no war" e subito dopo il ritornello. Ancora la strofa, non è un growl ma un rap a voce sporca e veloce, e si ripete la stessa struttura già descritta, ancora in modo frenetico. Al centro del pezzo una parte rallentata, dal sapore Rock ma con influenze forse Sludge, la batteria è un tribale, poi ancora la strofa questa volta cantata per più tempo con parti più sporche, altro momento strumentale con la batteria che indugia sui piatti. Ecco che il pezzo cambia e tutto passa al lavoro del basso che pulsa travolgente nella strofa, ancora una volta il bridge, uno stacco strumentale e via col ritornello. Un pezzo che scorre veloce e finisce altrettanto velocemente; la sua fama è dovuta sicuramente alla semplicità, al fatto che sia catchy, ma specialmente perché segue uno stile rappato che diventa appetibile per tutta una larga schiera di ascoltatori non avvezzi al Metal estremo. Nonostante queste riflessioni, probabilmente, il motivo del successo del pezzo è da attribuirsi all'efficacia del videoclip cui è associato ed alle tematiche che affronta, già anticipate col testo del bridge. Un testo assolutamente irriverente, rivolto al "Mr. President" al quale viene detto che non farà il suo lavoro sporco, perché non andrà a combattere una battaglia col rischio di morire solo per ottenere il petrolio! Nel ritornello si chiede di smetterla con la guerra, poi si spiega di come veniamo abbindolati dalla TV e di non credere a nessuna parola. Ancora la strofa dice che per capire come sarà il futuro basta pensare al passato, all'amico che gli racconta di cosa è successo nel Vietnam; adesso ha una cugina che combatte in Iraq e vuole vederla tornare a casa. Non ha paura di parlare, non usa il primo emendamento per nascondersi ma vuole esprimere liberamente la propria opinione sul fatto che preferirebbe morire piuttosto che vivere in questo mondo schifoso con un Presidente falso che manda la gente a morire per quello sporco petrolio. Senza dubbio un testo che non le manda di certo a dire?

My Hatred

Il terzo pezzo è "My Hatred" (Il mio odio), stoppate di chitarra e pedale, un sussurro, accordi aperti in stile Rock e poi altre stoppate cariche di groove a metà tra Death e Rock, la parte successiva si compone di accordi aperti e la voce si fa più rappata a melodica, di nuovo le stoppate ed il growl è di nuovo gutturale. Si riprende con la strofa iniziale, molto ritmata, il cantato cerca delle soluzioni più melodiche pur continuando ad essere brutale, sa essere efficace e coinvolgente. Lo stile dei Six Feet Under torna alle origini dunque, con le parti Rock bene in evidenza, un sound più semplice e lento ma non certo meno interessante. Poi un momento strumentale all'insegna del Thrash/Death, che si fa sempre più brutale col growl di Barnes, da qua la voce passa da un lato all'altro delle casse ed intanto in sottofondo c'è un assolo veloce, melodico e pieno di fischi. Un passaggio lento in stile Doom, poi si torna alla strofa, c'è molta carica e tutto funziona molto bene, un pezzo che trascina e costringe a muoversi, la voce non è gutturale ma funziona benissimo, linee vocali veloci contrastano con la lentezza degli accordi, nel finale la musica cala di volume e lascia sola la voce che continua a cantare per poi sfumare anch'essa. Se coi primi album il problema poteva essere quello dell'eccessiva semplicità, o della ripetitività delle parti, questo non è il caso: è un pezzo semplice è diretto, sì, ma non annoia. Il testo parla di un assassino che si cela nell'ombra, abbandonate le tematiche splatter ci si concentra sull'aspetto thriller della cosa: è nelle ombre, vicino, si avvicina sempre di più ed è pronto a sferrare il colpo letale. Non riesce a pensare chiaramente, tutto ciò che vuole è uccidere tutti, questo è il suo grande piano: ognuno finisce morto alla fine. Poi si rivolge alle vittime designate chiedendo cosa faranno, se invocheranno il loro dio inesistente, ma finiranno ugualmente in ginocchio a pregare lui, che li finirà estirpando la malattia cristiana. Questo assassino vive solo per uccidere, e le vittime moriranno con la Bibbia in mano, strozzati con la loro fottuta croce, spera che la loro anima sia perduta per sempre; lui non cambierà mai, niente riuscirà a dissuaderlo dal suo intento omicida.

Murder in the Basement

Nonostante gli altri temi tirati in ballo Barnes non poteva proprio resistere alla tentazione di un testo splatter e "Murder in the Basement" (Omicidio nel seminterrato) ne è una realizzazione: prende spunto dall'odio che animava il pezzo precedente per dare idea di come questo assassino abbia intenzione di prendersi cura delle proprie vittime. Il sangue tinge il cemento, una martellata in testa, puzza di marcio. Questo assassino odia il mondo e la gente schifosa che lo popola, quando c'è qualcuno di particolarmente odioso lo invita nel seminterrato, tomba di cemento, e poi un bel piccone da ghiaccio in faccia. Le vittime vengono sotterrate nel posto, dopo essere state violentate, anche per mezzo degli scheletri delle precedenti vittime i cui arti vengono ficcati su per il culo della vittima seguente; tutti questi resti sono cibo per topi e vermi. Vengono usati odori aromatici per coprire il puzzo di decomposizione che sale dallo scantinato e nasconderne al mondo l'orripilante esistenza, poi c'è una serie di termini da strada: viene usato "lyme" (alla giamaicana) per indicare l'agrume del lime (che sta ad indicare anche spassarsela), si parla di una ottava buca in testa alla vittima (deriva dal gioco del golf, l'ottava è la buca finale, il termine - come molti altri - riesce a diventare un'allusione sessuale che vi lascio indovinare); tutte queste vittime vengono sepolte in una fossa comune che darà da mangiare ai vermi nel seminterrato. La strofa inizia subito nel pieno del pezzo, più veloce degli altri, si alternano un coro di growl sfiatato ed un growl più gutturale, pezzo meno ispirato degli altri: la plettrata alternata ed il rullante sono accattivanti ma tutto è così canonico e scontato, gli accordi si susseguono in modo che si può tirare ad indovinare il prossimo. A metà il pezzo rallenta, gli accordi si fanno pesanti e cadenzati, la voce si incupisce, il basso acquisisce più peso poi un brevissimo assolo fischiante prima di ripetere la stessa struttura. Un pezzo diretto, semplice, brutale ma pur sempre godibile e tale da non deludere le aspettative di qualunque ascoltatore che apprezzi i Six Feet Under. Il finale arriva l'ultima volta che si ripete la strofa, concludendo un pezzo che scorre senza colpi di scena, ma che non delude.

When Skin Turns Blue

Degna prosecuzione con "When Skin Turns Blue" (Quando la pelle diventa blu), anche questo testo è violento ma non ai livelli di quelli del precedente album, è piuttosto breve e parla del momento in cui si muore, con un taglio alla gola, il cuore pompa ma ad un certo punto si ferma e dunque la pelle inizia a diventare bluastra. Presto il corpo marcirà in una cripta e farà amicizia con le larve ed i vermi dentro la testa, lo stesso sangue si raggruma e smette di circolare quando il corpo esala l'ultimo respiro e diventa freddo, i demoni infestano la sua anima. Infine delle imprecazioni e maledizioni contro la propria anima e tutti quanti in generale, non molto fantasioso ma efficace nella crudezza dell'espressione. Il pezzo inizia con accordi Rock belli ritmati ed una voce incisiva, un growl insistente, che poi prende più libertà espressiva, il groove è molto ma la voce sfiata e gli effetti si sentono molto (immaginate "Domination" dei Morbid Angel) anche se non sarebbero necessari perché Barnes ci sa fare eccome, quindi rovinano un po' il risultato. Riff serrati, tutte le parti sono stoppate ed il ritmo non cessa mai, poi un assolo che inizia fischiando con tempi ampi per tremare alla fine, poi parte strumentale con cassa solitaria ed un riff di chitarra acchiappone (alla AC/DC per intenderci), che si ricollega alla strofa iniziale più frenetica. La struttura si ripropone, la batteria si dà da fare pestando su rullante e cassa, il basso emerge preponderante specie quando la chitarra è serrata, nell'ultimo passaggio prima del finale si apprezza il movimento sul manico. Altro pezzo onesto senza momenti particolarmente esaltanti, i fan della fase Brutal dei Six Feet Under potrebbero rimanere delusi eppure è questo il sound che contraddistingue la band, purtroppo la creatività non è al top come nel primo pezzo.

Bringer of Blood

"Bringer of Blood" (Portatore di sangue), è il sesto pezzo, inizia con riff che alterna parti ritmate e fischi distorti, il riff rimane statico per un po' poi prende un'andatura Groove Thrash (lo stile ricorda i Pantera), un ruolo importante anche per il basso che spesso è in prima linea con tonalità gravi e distorsione. In tutto questo la voce ha uno stile sporco, tra Thrash ed Hardcore, poi un passaggio strumentale leggermente melodico, su accordi, poi ancora una volta la voce e dopo, a sorpresa, un cantato melodico pulito, in stile atmosferico e vagamente mediorientale; non abbiamo il tempo di capacitarci di questa scelta inusuale che riprende la parte violenta, seguita ancora dal coro melodico sul quale c'è una parte rappata che si trasforma in un growl ricollegandosi al ritornello che segue a breve. Titletrack anonima, confusa, un attimo vuole essere "stradaiola" con un Groove Thrash con influenze Hardcore, l'attimo dopo cerca di essere addirittura epica con una parte corale che viene poi alternata con la violenza grezza ed infine mischiata con un improbabile rap pulito che diventa un growl. Il testo è ancora più breve del pezzo, ripete un sacco di volte le stesse parole che riguardano questo portatore di sangue, che viene dalla terra e ci unisce; non finirà mai perché il sangue è il nostro legame. Il pezzo non è male, potrebbe anche ricordare i Sepultura, però lascia un po' interdetti perché non si capisce dove voglia andare a parare.

Ugly

Passiamo al successivo, "Ugly(Brutto), introdotto da un riff effettato e pannato da un lato all'altro, si ritorna al groove brutale e trascinante, impossibile resistere al lavoro della cassa e del basso, mentre la chitarra organizza dei controcanti travolgenti. La voce è quel growl gutturale, sfiatato e marcio caratteristico di Barnes, alternato ad uno scream molto bello. Ricorderete lo scream acuto della fase Brutal di Barnes, che si può ascoltare anche nei Cannibal Corpse, timbro spesso odiato; questo scream è diverso, lo ricorda ma è sicuramente meno "ridicolo". Questo cambio di timbro è arrivato semplicemente aprendo e sfiatando di più, il risultato è una via di mezzo tra lo scream di Barnes ed uno più canonico. A metà pezzo c'è un rallentamento, in questo ricorda molto i primi lavori del gruppo, gli accordi aperti di chitarra ospitano una voce gutturale; poi tutto accelera, si varia la parte e si ritorna al ritmo iniziale. Una parte molto divertente solo con basso e batteria, molto efficace, poi ancora il riff principale, siamo in un Groove Death Metal semplice ed ispirato. Si nota anche in questo caso un calo di fantasia compositiva ma, parliamoci chiaro, questo non è esattamente l'elemento preferito dai fan dei Six Feet Under che in questo pezzo troveranno comunque tutto ciò che amano. Un altro testo che parla di un incubo cruento, ce ne sono stati altri in passato, anche nel secondo album che, ancora una volta, si conferma come modello seguito per realizzare questo. Nel testo il racconto di un uomo che si sveglia sudato dopo l'ennesimo incubo in cui sente le urla delle vittime ed è lui stesso, ad ucciderle senza avere il controllo delle proprie azioni. Li ha uccisi davvero, quando si sveglia li ritrova morti e dunque l'incubo era una visione passiva delle proprie azioni, erano persone brutte fuori e dentro: meritavano di morire quei maledetti. Striscia nel loro cervello e ci mette il proprio, un ironico cambio di fato e del lato della lama, perché siamo noi stessi che influenziamo il nostro destino, noi stessi che scaviamo la nostra tomba. Dieci cadaveri nella sua stanza, il lato splatter riemerge quando descrive le mutilazioni agli arti, una vittima con un occhio cavato ed una gamba amputata sarà la prossima a morire. Sente la bruttezza e le urla delle vittime.

Braindead

L'ottavo pezzo è "Braindead" (Morto cerebralmente), stoppate cattive, sfumatura di piatti e poi un ingresso lento e massiccio per un basso molto pompato e poco distorto, tutto si muove lentamente e scandendo ogni singolo colpo, la voce torna ad essere un growl gutturale come quelli ascoltati nel precedente album, poi il pezzo riesce a rallentare ulteriormente. Sonorità gravi, marce, cadenzate, accordi che scorrono davvero lentamente, batteria essenziale. Il ritornello è gutturale, massiccio, lento ed inesorabile, ci sono anche degli effetti eco ricavati con dei sussurri, poi ecco che arriva un assolo in stile Brutal con una lenta chitarra a motosega che taglia e fischia, poi una parte strumentale in cui si valorizza la distorsione; successivamente riprende la strofa, anche in questo caso molta semplicità, un'aggressione lenta come un'orda di zombie. Altro accordo aperto, lungo, delle stoppate che fanno da base ad altri fischi della chitarra che si lancia in passaggi fischiati, il pezzo sfuma lentamente mentre ancora si sentono in lontananza i colpi di cassa delle stoppate. In questa seconda fase dell'album si nota un deciso passaggio a sonorità più gutturali, quando invece l'inizio faceva pensare a delle scelte più melodiche/leggere. Anche questo testo è molto breve e semplice, il protagonista incoraggia a spaccare il proprio teschio, prima vivo ed adesso colpito da morte cerebrale, e puntare uno spillo nella pelle; nonostante ciò non sentirà niente, perché il sistema nervoso è morto. Ora dice di picchiettare la vena, per lasciare scorrere lentamente il sangue, dentro il cuore freddo non sente alcun rimorso, il cuore batte ma a quel punto è morto ormai ed è tempo di tirare via la spina. Adesso darà la caccia agli umani da morto.

Blind and Gagged

Calo di fantasia, per quanto riguarda il testo, anche con "Blind and Gagged" (Cieco ed imbavagliato), una condizione che è chiaramente una tortura ma viene anche usata come metafora per descrivere la condizione della società che - cieca ed imbavagliata - è incapace di vedere la realtà dei fatti, avere notizie ed informazioni veritiere, ed allo stesso tempo è anche incapace di parlare, di esprimere la propria opinione o dissenso. In un contesto del genere, il protagonista torturato, cerca di ribellarsi e di resistere ai soprusi dello Stato, che si fa aguzzino, rivendica la propria libertà e non teme la morte perché sa di aver vissuto liberamente; cercare di alterare come vengono percepite le cose, ad esempio influenzando la percezione collettiva per mezzo dei mass media manipolativi, è anche un modo per cambiare la stessa realtà (ossia il pensiero della gente quantomeno). Dunque non teme la morte, vuole essere lasciato stare solo a morire piuttosto che sottostare alle fantasie del proprio aguzzino. Tutto ciò viene introdotto con una chitarra in stile decisamente Thrash, si torna anche alle influenze Hardcore, la voce è un growl a volte sfiatato altre gutturale, a volte lento altre veloce; un pezzo che si distingue dagli altri e porta una ventata fresca: certo è che i Six Feet Under in versione Thrash sono piuttosto strani. A metà pezzo si ripete per la seconda volta la struttura e poi parte un assolone veloce in pieno stile Thrash che poi diventa interamente melodico, quindi una variazione della strofa principale con un crescendo di intensità brutale. Riparte la strofa principale, fatta di ritmo ed un incessante tupa tupa alla batteria, il basso gode di un volume di chitarra contenuto e può emergere anche perché si slaccia spesso dalla batteria. Pezzo interessante, anch'esso figlio di una semplicità diretta.

Claustrophobic

Si arriva al penultimo brano, "Claustrophobic" (Claustrofobico), inizia già tirato e nel mezzo di una strofa ritmata, chitarre serrate e batteria che pesta, poi si arriva alle stoppate ed il rullante viene pestato senza pietà; il pezzo prende velocità, il groove è palpabile, un attacco potente, poi una variazione di batteria che valorizza la cassa. La voce inizialmente è un growl gutturale, poi diventa una voce sporca che sembra provenire da un megafono, il pezzo ha qualche vaga influenza Punk/Hardcore, specie se si pensa ad alcune scelte chitarristiche nel riffing. Accordi aperti e distorti vengono alternati a parti serrate ed a parti stoppate, il pezzo è sempre vivo e si evolve - anche ripetendosi - di continuo. Dura poco ma è bello intenso, una botta di groove che si differenzia da altri pezzi dell'album: se c'è una cosa che non viene mai detta dei Six Feet Under - chissà per quale motivo - è proprio il fatto che dimostrano varietà, o comunque voglia di differenziare i pezzi uno dall'altro. In questo caso ci riescono davvero bene proponendo qualcosa di diverso dal solito stile, ma che funziona benissimo ugualmente. Il testo vuole descrivere la sensazione di claustrofobia, di come senta le mura che si richiudono verso di lui, intrappolandolo, come se fosse in una bara. Desidera la morte, per potersi sottrarre a quella sensazione, quella di trovarsi in un buco di culo trattato come un animale anzi, diversamente, perché le specie animali sono protette dall'estinzione. La sua stessa anima è in cella, a volte vorrebbe che arrivasse il mietitore per porre fine alla propria esistenza tormentata.

Escape from the Grave

Lo stesso stato d'animo traspare nel testo del brano conclusivo, "Escape from the Grave" (Fuga dalla tomba), in cui arriva la vendetta tanto sperata per aver subìto la condizione raccontata nel precedente brano. Se la prende con una vittima sepolta sei piedi sotto terra, molestata, buttata in una fossa e poi pestata. Gridare chiamando la mamma non servirà a niente in questo posto lontano, neanche dio la potrà sentire e solo la morte attende. Il signore dei dannati ucciderà un'altra vittima, con le proprie mani, uno sterminio freddo e calcolato. Dopo aver reciso la testa la conserva disseccandone gli occhi e la tiene, poi si prepara a scoprire come si decomporrà il resto del corpo nei giorni seguenti. Lo stile del pezzo è da Death old school, sembra anche esserci un richiamo al primo album dei Death, nello scream iniziale di Barnes, poi passa ad un growl medio che alternerà ancora con lo scream. Il pezzo è ritmato ma non si basa solo sul ritmo, è un Death martellante e pestato, con dei colpi di cassa veloci e stoppati, cui seguono chitarre melodiche di una distorsione malvagia. E' la volta di un assolo in stile Thrash Death, molto breve ma coinvolgente nondimeno, si ritorna alla strofa che, a sorpresa, prende poi una piega Brutal con una plettrata alternata. Il pezzo continua veloce e cattivo, si trasforma, si ritorna alla strofa iniziale proposta in plettrata alternata, le parti si susseguono inframezzate di passaggi strumentali old school. Si ritorna nuovamente alla parte iniziale che si ripete e poi viene trovata di colpo, il pezzo dura più di nove minuti ma, di fatto, finisce più o meno a quattro. Riprende quattro minuti dopo con una parte di basso e batteria, che ha poco a che vedere col pezzo di prima, sembra un'improvvisazione, poi una voce roca e sporca fa una breve apparizione, tutto ha quasi la parvenza di un'improvvisazione live. Questo conclude l'album.

Conclusioni

In definitiva abbiamo ascoltato un lavoro che, come anticipato in più riprese, trae ispirazione dal secondo album del gruppo: "Warpath". Si potrebbe considerare un "ritorno al passato" ma non sarebbe corretto parlarne in questi termini perché i Six Feet Under non hanno fatto gli stessi errori del passato, si capisce che questo album è più maturo e si è arricchito degli aspetti che sono emersi nella seconda fase della band. L'album si compone di una prima parte molto ispirata, con uno stile da Death'n'Roll travolgente, una seconda parte che sembra essere la coda di quanto avvenuto col precedente album, "True Carnage", con la sua brutalità ed una parte finale in cui - a parte qualche momento di confusione - sembra che si vogliano approfondire delle influenze Thrash ed Hardcore, con finale che a sorpresa propone un Death vecchia scuola. La ricchezza musicale questa volta è tanta, non ci si annoia ed anzi si apprezza notare i cambiamenti nello stile che rinfrescano il lavoro durante l'ascolto; quello che delude è la carenza nei testi, a volte davvero troppo scontati o banali, se non addirittura spogli. Ci sono dei pezzi in cui poche frasi, con poco senso, vengono ripetute un sacco di volte. Nonostante ciò si salva il lavoro che, pur non avendo una tematica chiara (i testi sembrano esserci giusto per aver qualcosa da dire), né un'identità stilistica chiara (e questo non è necessariamente un male) intrattiene con dei momenti alti, specie nelle parti più groovy. In questo album non ce ne sono di riempitivi: certo ci sono dei pezzi che funzionano di meno ma nessun riff riciclato o tirato allo stremo. Un bell'album, in conclusione, che non stupisce né fa gridare al miracolo ma, allo stesso tempo, non può deludere gli estimatori della band che con questo lavoro torna al proprio stile consolidato, mostrando anche una certa versatilità che, tristemente, di rado gli viene riconosciuta.

1) Sick in the Head
2) Amerika the Brutal
3) My Hatred
4) Murder in the Basement
5) When Skin Turns Blue
6) Bringer of Blood
7) Ugly
8) Braindead
9) Blind and Gagged
10) Claustrophobic
11) Escape from the Grave
correlati