SIX FEET UNDER

13

2005 - Metal Blade Records

A CURA DI
PAOLO FERRANTE
14/08/2015
TEMPO DI LETTURA:
7

Introduzione recensione

I Six Feet Under realizzano "13" nel 2005, ancora per la Metal Blade Records che accompagna il gruppo sin dagli esordi. Dopo il precedente album di cover, dall'esito più che fallimentare, il cui ascolto rappresenta un grave atto di autolesionismo ingiustificato, i Six Feet Under dovevano necessariamente fare di meglio e quindi a distanza di un anno (forse per rimediare immediatamente al male fatto?) sfornano un nuovo lavoro con pezzi originali. Nelle precedenti recensioni abbiamo ripercorso l'evoluzione del sound del gruppo che, dopo degli esordi incerti (ma dal ricco potenziale) con un Groove Death Metal misto a sprazzi Rock, passa a sonorità più tipicamente Brutal, poi semplificandole o rallentandole, infine ritorna allo stile originario ritoccando alcuni elementi col senno frutto dell'esperienza maturata. Da questa maturità era emerso "Bringer of Blood" ottimo e convincente esempio di ciò che sono capaci di fare i Six Feet Under, "13" si pone in parziale linea di continuità con quell'album, mandando avanti l'intuizione di un Death'n'Roll all'insegna di un groove trascinante, ispirato dai grandi maestri del groove (AC/DC in primis!), che mira ad offrire un ascolto non troppo complesso ma dall'effetto assicurato; nonostante ciò vengono riesumate (per rimanere in tema  Six Feet Under) le influenze più brutali, che si cerca di inserire nel sound, quindi possiamo parlare di una sintesi tra il groove di "Bringer of Blood" e la brutalità di "True Carnage". La formazione resta sempre la stessa: Chris Barnes alla voce, Steve Swanson alla chitarra, Terry Butler al basso e Greg Gall alla batteria; anche in questo album non c'è alcuna collaborazione con artisti ospiti (circostanza che invece capitava in precedenti album). L'artwork di questo album è piacevolmente sorprendente: tre teschi al centro, rivolti uno verso l'osservatore e gli altri verso i lati, quello centrale ha anche una corona di spine ed l'immancabile "6" in fronte. Sullo sfondo un curatissimo paesaggio fatto di rovi e poi in primissimo piano delle mani ai raggi X; la scelta dei colori è azzeccata per un tramonto e varia dal rosso al verde passando per il giallo, c'è anche un interessante effetto tela che sembra comporre diversi quadrati irregolari (come se qualcuno avesse realizzato un patchwork mettendo assieme i pezzi). Una grafica decisamente bella, un concetto semplice e diretto realizzato però con quella cura dei dettagli che permette all'occhio di spaziare ed apprezzare anche ogni piccolo elemento che non salta subito all'occhio, altro dato da tenere in considerazione è che l'artwork è ben coordinato in tutti i vari elementi (come si può notare dalle immagini allegate) perfino la foto del gruppo.

Decomposition of the Human Race

Iniziamo l'ascolto con "Decomposition of the Human Race" (Decomposizione della razza umana), che inaugura l'album con dei suoni ambientali vagamente horror, da dungeon oscuro in cui i ritocchi di basso sono l'unico orientamento, poi un giro di basso a corda libera e grave, una batteria in cui stranamente la cassa si sente poco mentre svettano ride e rullante, si aggancia un riff di chitarra che esegue dapprima dei riff con accordi aperti per poi passare a parti veloci e serrate. La voce non si fa attendere e consiste in un growl sfiatato, con influenze parzialmente Hardcore, parti incalzanti che si susseguono senza sosta, con un ritornello che consiste in una serie veloce di cori che si sovrappongono. Quello che si può notare immediatamente è un calo nella qualità di produzione generale, che adesso si orienta verso un sound decisamente più grezzo, la cassa che si coglie difficilmente (e questo potrebbe essere un problema per un gruppo che si basa sul groove!); svettano invece chitarra e rullante che, almeno in questo album, competono con la voce quanto a presenza. La voce, va detto, si presenta sottotono rispetto a quello cui ci ha abituati Barnes: è un growl più sporco del solito, che perde in potenza e presenza, meno gutturale, meno melodico? insomma indirizzato verso lo stile Metalcore e fatto di ritmi incalzanti, sì, ma anche monotoni. Poi dopo metà pezzo salta fuori un assolo melodico fatto di fischi e melodie che si rincorrono, stoppate di rullante e riprende una strofa ritmata ma piatta di dinamica, prende più sostanza successivamente, ma la voce rimane ancora troppo piatta, eccessivamente effettata ed appiattita. Questo primo pezzo ci presenta un gruppo che ha il merito di continuare a sperimentare, non si adagia su un sound collaudato ma vuole proporre qualcosa di diverso ad ogni occasione, il problema è che non sempre funziona. Il testo è invece molto ispirato ed interessante, riprende le tematiche sociali inaugurate già dall'inizio della carriera (poi messe da parte) scagliandosi immediatamente contro i fedeli che sono terrificati, senza speranza, pietrificati dalla paura; lui gli vomita in faccia a queste persone che sono il vero pericolo della società: il senso religioso, l'organo giudiziario, il presidente, devono morire tutti. Si prospetta l'estinzione della specie umana, in cenere ed in fiamme. Adesso i non morti, privi di anima, vagano in terra sofferenti e danno la caccia ai pochi superstiti li massacrano, fanno fuori tutte quelle persone bigotte e pericolose di cui si parlava prima. Alcuni umani si distinguono dagli altri, perché sono in grado di osservare se stessi e comprendere il decadimento della società, però è troppo tardi: cercano di portare indietro il tempo, di fare marcia indietro ricercando l'autentica essenza della vita ma è ormai troppo tardi. Il cuore adesso è ostruito, gli occhi sono aperti in un'espressione di stupore ma è già morto e presto si decomporrà verso una tomba che sarà un fosso senza fondo. Le tematiche sociali ben si adattano al sound più Hardcore, nonostante la base Death'n'Roll sia ancora chiara sullo sfondo, e conferiscono al pezzo una valenza ulteriore.

Somewhere in Darkness

Non si può certo dire che il testo del successivo "Somewhere in Darkness" (In qualche posto nell'oscurità) sia altrettanto articolato, anzi: è composto praticamente da due strofe che si alternano identiche, la prima lunga la seconda corta, la strofa lunga a sua volta è formata dalla ripetizione della frase del titolo cui segue una breve frase o parola. Cercando di trarre un messaggio si capisce che lo scopo del testo è inquietare: il pianto di un bambino, grida di terrore che rimangono inascoltate, un tumulo vuoto che attende nell'oscurità ed i morti che vi erano sepolti sono in giro; una maledizione degli spiriti, la stirpe demoniaca adesso è in terra e vi si riversa attraverso i corpi dei caduti. In questa vita oltre la vita uno di questi cadaveri ha un coltello, è il male, il diavolo; il testo gioca quindi sul senso di thriller generato dal racconto della situazione - per nulla rassicurante - senza però dire nulla sulle immediate conseguenze. Inizia con un riff solitario di chitarra mentre ci sono delle stoppate di batteria, che poi si allaccia al riff assieme al basso, la prima strofa che abbiamo descritto è resa da un botta e risposta vocale in cui il growl sfiatato e sofferente prima ripete sempre la frase del titolo e poi si risponde continuando col testo; la seconda strofa invece è rappresentata da una parte in growl che sembra continuare il lavoro precedente e poi sfocia in un coro fatto da growl e scream. Molto interessante quello che fa la chitarra, nonostante sia penalizzata dal sound grezzo (intenzionale presumo), che tra una parte e l'altra regala intermezzi con cavalcate ritmate, parti serrate, accenni melodici. La batteria si limita ad un tupa tupa standard ma si prende qualche libertà sui piatti durante i momenti strumentali; a metà pezzo un bellissimo assolo di chitarra che si sviluppa su una scala crescente ed una chitarra sovra incisa si lancia in plettrate frenetiche, melodiche ed acute, per poi concludere con un fischio che sfuma lentamente aprendo le porte alla prima strofa. Nella conclusione il pezzo propone una variazione, quasi tribale, della seconda strofa, intermezzata da assoli in stile che è una via di mezzo tra Thrash e Brutal per via del tremolo persistente e dei suoni taglienti. Questo secondo brano continua nella stessa linea tracciata dal primo: semplicità e ripetizione, ma mostra pochissime influenze Hardcore (o addirittura nessuna) ed approfondisce piuttosto il lato Death Metal, con qualche piccolo spunto Brutal.

Rest in Pieces

Andiamo a parlare di "Rest in Pieces" (Riposa in pezzi), un riff assolutamente Thrash che si rinforza e si ribassa, poi prende velocità con la voce che diventa incalzante, le parti non sono nemmeno tanto stoppate e quindi (anche per via della distorsione) si pensa ad improbabili influenze Punk, per via di questo Rock molto cadenzato e sporco. Anche le parti strumentali sono veloci e non accennano a rallentare, non ci sono cambi di dinamiche ed il pezzo scorre come un treno ad alta velocità nonostante i cambi di ritmo. La particolarità è proprio il riffing semplice, veloce ed ostinato, per tutti gli strumenti, cui si aggancia una voce in growl veloce e quasi rappata (molto di meno che in altri album comunque). Ma la sorpresa arriva col ritornello che è una specie di lenta litania vocale, con un accenno melodico, che sta sopra una base ribassata e con una chitarra che esegue una melodia acuta, quasi horror; poi scatta l'assolo di chitarra sulla stessa tonalità, un assolo che accelera e decelera, si compone di diverse tecniche e poi si conclude con un breve fischio, giusto in tempo per riprendere la prima strofa. Ancora una volta il ritornello, un pezzo davvero azzeccato e trascinante, una novità rispetto a tutto quello che abbiamo ascoltato dei Six Feet Under che ci mostrano che possono ancora tirare fuori idee originali dopo averne provate così tante. Si parla del carro funebre che aspetta di trasportare il defunto all'inferno, la bara si apre ed il corpo è disteso sul tavolo in attesa di essere prelevato, il protagonista è questo grottesco impresario delle pompe funebri che prepara i pezzi del defunto per la cerimonia funebre: rimuove il cervello ed inserisce un attrezzo per risucchiare pus, sangue ed altri umori; un occhio manca, sei denti e quattro arti, è stata usata una corda per strangolarlo, ratti hanno divorato parte dei genitali. Come se non bastasse un altro cadavere - questa volta è un corpo  sgozzato e diviso in due, tutto tagliuzzato - viene assegnato alle cure dell'impresario funebre che, seccato, se ne occupa lanciandolo nella fossa profonda sei piedi, un pezzo per volta, affinché gli insetti possano trovarli più facilmente. Il ritornello è una sorta di macabra benedizione in cui questo impresario augura al morto di "riposare in pezzi", ancora sanguinante in fondo alla fossa, nella tomba dei mutilati (e questo sembra essere un chiaro riferimento a "Tomb of the Mutilated", album dei Cannibal Corpse quando ancora era presente Barnes). Nella ripetizione della prima strofa si parla di un altro cadavere, questa volta con la testa rimossa ed appesa ad un gancio, formiche e larve invadono tutto il torso, mentre tutto quello che sta al di sotto della vita è stato cucinato. Un testo che fa riemergere l'immaginario splatter di Barnes e lo fa anche molto bene.

Wormfood

Il quarto pezzo è "Wormfood" (Cibo per vermi), inizia con ritmo ed accordi serrati di chitarra, il basso è molto veloce ed anche la cassa, ma i suoni sono un po' impastati ed i singoli colpi non si percepiscono molto bene. La voce si inserisce in questo caos senza spiccare, si amalgama col tutto e fa parte del sound grezzo e cattivo che ne risulta, è rimata e regolare, massiccia nonostante sia sfiatata. Dopo la strofa un passaggio particolarmente ritmato, che poi prende velocità e si accompagna con la voce, il sound ricorda molto "Snakes" di "True Carnage", con un missaggio meno basso e che pone l'accento sui medio-alti. Segue una parte in cui gli accordi cambiano e la voce si fa leggermente più melodica, ma ancora rauca, per seguire nel ritornello incalzante con qualche influenza Hardcore nella pronuncia gridata e scandita. Poi ecco che arriva un assolo, si presenta con una serie di fischi e poi si sviluppa come una veloce cascata melodica, anche di una certa tecnica, poi riparte improvvisamente la strofa, purtroppo il basso è penalizzato e non emerge quando dovrebbe, mentre la chitarra è sovraesposta (per fortuna che è molto interessante!). Il testo continua a parlare di morti e tombe, viene descritto il dolce profumo dei morti decaduti lentamente, e la fredda terra come ultimo luogo di riposo, giù per un buco indurito dal rigormortis (la condizione che rende i cadaveri rigidi alla morte, perdendo i liquidi che danno elasticità ai tessuti) c'è un altro corpo marcio, un altro dimenticato. Le orbite degli occhi si fanno bianche, con la pupilla che fissa in alto, mentre il sangue gocciola dalla pelle, la tomba vince sempre; la terra che è l'ultimo posto di riposo per il corpo morto è anche il luogo dove si tiene il banchetto funebre per i vermi, con pus nero che sgorga dalle vene. Questi vermi si cibano della carcassa marcia, con le ossa esposte, un abbattimento parassitario della forma umana - in questo caso il testo vuole ironizzare sul fatto che un parassita ne mangi un altro - che nella tomba rinasce in una forma migliore.

13

Arriviamo quindi alla titletrack, "13", iniziamo a vedere il testo per scoprire le ragioni ed il significato di questa scelta. Si parla di tredici pezzi del destino, tredici morti che si risveglieranno, tredici pezzi della sua mente; tredici proiettili al fianco, tredici coltellate alla testa; tredici morti e tredici marciti, il terrore è l'ultima cosa che sentiranno, marcendo sulla superficie senza essere seppelliti. Tredici corpi distrutti, accoltellati e lacerati, abbandonati e non sepolti, si risveglieranno. Il testo suona a volte come una filastrocca, a volte come una infausta profezia. Il significato nefasto del numero tredici è comune a molte mitologie: nella cultura cristiana viene considerato come il numero dei commensali dell'ultima cena e dunque questo numero viene associato alla presenza di Giuda che poi tradirà Gesù; nella mitologia nordica c'è un mito analogo parlando sempre di un banchetto nel Valhalla nel quale Loki si presenta come ospita non invitato il quale fornirà ad Hoor la lancia magica con la quale questo ucciderà Baldr (o Baldur, Bældæg). Viene considerato dunque un numero nefasto, specie se collegato ad un banchetto, che non fa presagire nulla di buono; nonostante ciò alcuni vedono la cosa da un verso opposto, ricollegando il numero alle figure di Gesù e Baldr, rispettivamente, perché entrambi vengono sacrificati ed entrambi risorgono dopo l'esperienza traumatica dell'assassinio per mezzo di un tradimento: mentre Gesù approfitta dei tre giorni per discendere all'inferno e liberare le anime pure che vi erano ingiustamente trattenute (perché prima della Risurrezione non c'era possibilità di salvezza, neanche per le anime dei giusti); Baldr ritornerà alla ribalta dopo gli eventi del Ragnarök per far rinascere l'antica stirpe divina. Allo stesso modo nel mito greco Zeus viene apostrofato come "il tredicesimo dio", nel mito egizio c'è Osiride (anch'esso assimilabile a Gesù e Baldr) che viene ucciso e poi ritorna in vita per mezzo di Iside che riassembla tredici pezzi del suo corpo (tralasciandone il pene, il quattordicesimo pezzo, che caduto nel Nilo viene mangiato da un pesce; ma questo apre un'ennesima simbologia che sarebbe dispersivo trattare ora). In tutte le mitologie, che sia visto come evento positivo o negativo, il numero tredici è associato ad un evento nefasto che poi, però, porta ad una rinascita: è un po' come l'incendio che poi rende il terreno fertile per la nascita di una nuova vita ancor più rigogliosa. Lungi da me attribuire a Barnes queste riflessioni spirituali, nobili e mitologiche, mi limito a suggerire che eventualmente volesse citare il numero per indicare il processo di "rinascita" dell'uomo in forma zombie, concetto questo che torna in molti testi dell'album. Da un punto di vista musicale non si pongono problematiche complesse: tutto inizia con un riff in stile Thrash pestato, a basso volume, dopo un colpo di batteria prende immediatamente volume ed invade la scena, la voce è più uno scream ed il risultato è un Thrash/Death con influenze Hardcore date specialmente dalle linee vocali che sembrano spesso cori da stadio; di seguito un passaggio strumentale con una scala in stile vagamente horror. Il pezzo poi continua con lo stile Thrash incalzante, la voce si avvicina più ad un growl ma rimane ancora a metà, si riprende con la parte descritta precedentemente che è una crescente frenesia in cui si pesta tutto e le dinamiche non esistono, sommerse da una pesantezza continua. Altra variazione e la voce diventa un growl gutturale, è tutto un pestare, un assalto bestiale, altro passaggio strumentale con pazzia di piatti, poi i piatti portano un finale che si fa attendere col rumore del feedback delle chitarre. Pezzo breve, forse poca fantasia compositiva perché ci sono sì e no due riff, però sicuramente selvaggio.

Shadow of the Reaper

Il successivo "Shadow of the Reaper" (L'ombra del Mietitore) ha un inizio ancora più Thrash, con plettrate stoppate, fischi inseriti nel riffing, un tupa tupa sul rullante, una lunga parte strumentale iniziale, poi uno stacco e dei passaggi decisamente Thrash che alternano plettrate veloci ed intricate ad accordi aperti, la voce è un growl oscuro e veloce, segue il ritmo del rullante, il lato Death è dato dal timbro vocale estremo. Un cambio di stile considerevole, purtroppo la voce è effettata e ciò non rende giustizia alle capacità di Barnes che non renderebbero necessario alcun effetto. La batteria mostra velocità e fantasia, la chitarra è frenetica e spesso ha scatti improvvisi, con melodie sinistre e violente, il basso fatica ad emergere ma lascia un tappeto di frequenze gravi che ingrossano il sound a vantaggio del risultato complessivo. C'è un altro momento strumentale e subito un assolo che mette nuovamente in mostra le doti chitarristiche (che in molti precedenti album sono rimaste nascoste dal monopolio di Barnes), cascate di note, su di un riff Thrash pestato, riprende subito la parte iniziale con rinnovata ferocia, la voce non fa nulla di straordinario ma risulta molto compatta con la base, molto belli i passaggi di cassa che fanno da controcanto durante la variazione della strofa; finale improvviso con una rullata velocissima. Un pezzo che si fa piacere da subito, sconta anch'esso una mancanza di fantasia nella struttura principale, ma si arricchisce di molti passaggi strumentali sempre diversi e ricchi di virtuosismi chitarristici tali che rimane sempre divertente: la struttura rimane la stessa ma le variazioni danno nuova vita ad ogni parte, mostra anche degli inediti Six Feet Under alle prese con ritmiche e sound quasi esclusivamente Thrash. Anche questa volta le tematiche sono collegate alla tomba, l'ombra del mietitore seppellisce i morti, il nero più buio è evocato. Nel cimitero qualcuno non viene sotterrato, rimane una facile preda dell'appetito degli avvoltoi che fanno facile spuntino degli occhi, la stretta presa del freddo, una mano insanguinata, lo scheletro scricchiola e si contorce all'interno del corpo, il cervello si restringe, il cuore smette di battere, non c'è più alcuna vita a confortare, sostenere ed ingannare, ora solo il decadimento attende, adesso c'è solo il richiamo della tomba. In questo caso il testo non suggerisce alcun tipo di approfondimento, è una semplice e schietta dichiarazione che non lascia adito ad alcuna speranza di vita ultraterrena, il corpo rimane vittima dei predatori e degli agenti atmosferici, si decomporrà e svanirà senza lasciare traccia.

Deathklaat

"Deathklaat" ha un inizio ritmato e cadenzato, la parte di chitarra anche in questo caso è fatta di parti stoppate ed accordi aperti che si alternano, poi prende velocità con un blast di cassa, il basso pulsa sinistro in sottofondo, la voce esordisce in un coro di growl e scream, parti feroci dal retrogusto Black. Tutto è ritmato ed il groove non si lascia attendere, specie nella chitarra, brevi comparse vocali in coro durante il riff trascinante, tutto ha l'atmosfera demoniaca, poi anche un riff a plettrata alternata che reintroduce per un attimo le influenze Black, per poi tornare alle precedenti sonorità con un ritornello simile alla strofa. Altra strofa, ancora una volta blast di cassa e voce che appare per attimi, si arriva subito al finale con delle rullate. Pezzo dalla durata esigua, circa due minuti e mezzo. Il testo tratta ancora le stesse tematiche, ma viste da un unto di vista più demoniaco: sta andando all'inferno, dopo la morte, per bruciare per sempre e si possono fottere la chiesa e l'altra merda cristiana, perché nella sua tomba sarà inscritto il "sei sei sei", non gliene frega niente delle bugie che predicano perché viveva per vivere, non per pregare un dio invisibile. Questo fa tornare in ballo anche le feroci critiche alla chiesa del primo testo, dopo della morte c'è solo la tomba e non ci sarà più risveglio, solo decomposizione. Lui riderà decomponendosi, mentre i topi mangeranno la sua carne, dentro il suo teschio strisceranno i vermi e visto dalla bara il mondo sembra così piccolo, il Mietitore ci attende tutti. E' questo il Deathklaat, il fatto che dopo la morte non c'è vita e solo tomba ed oscurità.

The Poison Hand

Un testo ancora più breve per "The Poison Hand" (La mano del veleno), che dice solamente che la vittima, colpita da un qualcosa di mortale, svanirà lentamente, con niente rimasto nella testa e colto dal tocco della morte, per trovare nient'altro che la tomba, senza alcuna speranza di salvezza. La musica è un lento riff, in cui si trova anche l'ispirazione Rock, questa volta il timbro della chitarra è più basso, così come anche la voce che si fa gutturale, anche se spesso e volentieri si accompagna allo scream in un coro. Un pezzo davvero trascinante, ricco di groove e ritmo (mentre nei precedenti abbiamo notato che la dinamica era messa da parte a favore dell'assalto Thrash); una parte ancora più rallentata con degli accordi aperti, passaggi di piatti che creano atmosfera al limite del Doom, voci che si susseguono sovrapponendosi parzialmente una dietro l'altra. Si riprende col riff principale e la struttura si ripete invariata, il growl gutturale ha pochi effetti e suona genuino come in "True Carnage", la parte pesta e continua a suonare mentre il volume progressivamente diminuisce fino alla fine; anche questo un pezzo abbastanza breve e composto da pochi riff, in questo caso le variazioni sono davvero minime se non del tutto assenti, il pezzo comunque si fa apprezzare.

This Suicide

Il pezzo più breve dell'album è invece il nono, "This Suicide" (Questo suicidio), che mantiene lo stile del precedente nella lentezza e nel groove irresistibile, questa volta il riff è proprio trascinato tanto da sembrare Sludge, la voce è molto gutturale, un growl che arriva direttamente dalla caverna, il riff è qualcosa di spettacolare e trascina immediatamente, la batteria è essenziale con rullante e cassa, ma colpisce continuamente i piatti che creano un contrasto col resto del sound che è gutturale. Un ruolo importante è svolto dal basso, che partecipa ricalcando la chitarra o a limite con delle stoppate, verso la fine la chitarra continua il riffing trascinato che per un certo verso ricorda alcuni lavori di Zakk Wylde, per via del groove. Ancora la strofa rallentata, ultragrave e massiccia, chitarre stoppate dall'incedere possente, si spengono immediatamente in un finale improvviso. Brano breve, sì, ma di un certo impatto: arriva a sorpresa e rende più variegato l'album che inizia con influenze Hardcore, prosegue con evidenti influenze Thrash e continua a riservare sorprese in questa fase con un groove lentissimo e gutturale che riprende quanto fatto coi primi lavori del gruppo. Se i singoli pezzi non offrono tanta fantasia e varietà, il complesso lo fa perché ogni pezzo, pur trattando lo stesso tema da varie angolazioni, ha una propria identità musicale. Il protagonista del testo pensa alla morte, la desidera, se la trovasse di fronte a sé si metterebbe in ginocchio implorandola di portargli via l'anima. La implora e la prega di portarsela via. Questo perché la vita non merita di essere vissuta quando ogni giorno sembra essere la fine di tutto, è una sofferenza che si trascina avanti senza scopo, il pensiero del suicidio fa scoprire a questa persona che l'essere vivo è comunque meglio che morire e quindi sceglie di scommettere sulla vita togliendosi la pistola dalla tempia per poi puntarla ad un altro.

The Art of Headhunting

"The Art of  Headhunting" (L'arte della caccia alle teste) ha un inizio con un riff acchiappone dalle evidenti influenze Rock, poi una rullata di batteria che prende un ritmo semplice e trascinante, la voce entra in gioco con un coro di scream e poi continua col growl che abbiamo ascoltato ad inizio album, diretto e ritmato, poi altra parte strumentale ed un breve ritornello che pronuncia il titolo del pezzo mentre possiamo sentire il ritmo pulsante del riff. Il basso si fa apprezzare, sferraglia cupo in sottofondo, la chitarra è spesso stoppata ma ogni tanto si lascia andare in cavalcate quando il rullante prende velocità; poi una parte con accordi e la batteria gioca sul ride, altri accordi più aperti e si sente un passaggio al limite del Doom con un growl gutturale, poi un assolo in stile Rock che prende velocità ed alterna passaggi veloci a melodie aperte con tanto di bending. Anche a questa parte segue la ripetizione della strofa, con una batteria che si lancia in un tribale frenetico e poi si calma col ritornello che è più regolare e pestato, finalmente il basso può fare qualcosa che lo mette in mostra, nella efficace semplicità. Altro passaggio strumentale con colpi di cassa, altra variazione del ritornello ed il pezzo si conclude, con delle stoppate ad effetto ed un brevissimo solo di batteria. Il testo cambia argomento, inizia con un suono onomatopeico: "chop chop e salta via la testa", il protagonista è un cacciatore di teste tribale che, armato di machete, è preso da un'euforia omicida; questo cacciatore proviene da una tribù cannibale. Poi il suono dell'ascia che stacca teste, con una forza tale da spezzare le ossa, separa la testa dal collo, la carne marcisce, le larve si ciberanno dei resti umani in decomposizione; il cacciatore poi si ciberà di queste larve, dell'anima della vittima.

Stump

"Stump" (Moncone) è l'ultimo brano, ha un inizio furioso con plettrata alternata distorta ed un tupa tupa di rullante, la voce riprende l'andatura Hardcore, molti aspetti del pezzo ricordano i lavori fatti coi Cannibal Corpse: la plettrata alternata ed il sound monolitico (sebbene esageratamente distorto). Poi il pezzo prende una piega groove, una pausa improvvisa ed ecco arrivare un riff massiccio, basso e pesante, il growl ha anche un'eco, tutto è gutturale e lento, i riff sono strascicati, la batteria si muove molto sui piatti in uno stile quasi da Funeral Doom. Tutto è imponente, la voce si spezza a volte per quanto è grattata, rauca e gutturale, a sorpresa un assolo molto melodico, che si sposta sugli acuti e poi torna sui bassi vibrando e fischiando. Altra volta la strofa, aggressione brutale, la batteria pesta incessante, parti serrate di chitarra si alternano a plettrate alternata, la voce incalza potente, infine il pezzo si conclude con dei suoni ambientali molto simili a quelli dell'intro del primo pezzo, una sorta di continuazione di quell'atmosfera. Il testo trasmette la stessa aggressività, si prospetta alla vittima il fatto che il pugnale si farà presto strada attraverso la sua pelle, le sue urla arriveranno ad orecchie sorde ed il dolore sarà indicibile e lo inghiottirà, il terrore lo sta già sopraffacendo, la paura della morte, pozze di sangue gocciolano dal corpo, ferite aperte lavate con l'urina. La vittima viene affogata nelle feci, la pelle è cosparsa di merda ed il coltello si fa strada nella carne lacerandola, il corpo è ancora vivo negli ultimi spasmi mentre la testa è stata staccata del tutto dalla lama del coltello. Un moncone decapitato, ciò che resta del corpo, sepolto in profondità dopo essere stato privato di braccia e gambe, dopo l'estrazione dei denti; le dita delle mani tagliate, anche quelle dei piedi, lasciato nell'acqua elettrizzata per vedere gli occhi esplodere dalle orbite, la cancrena avanza nei resti straziati. tutti gli incubi si sono realizzati, una morte violenta, l'assassino spargerà i piccoli resti in tanti posti differenti, tanti piccoli pezzi, perfino tutte le ossa sono state frantumate e ridotte in pezzettini. 

Conclusioni

Ecco un album che contiene delle belle idee, che purtroppo - o per la fretta o per qualche altro motivo - non vengono realizzate al pieno del potenziale. Quello che convince di meno sono proprio i suoni, il missaggio, a volte sembrano valorizzare la chitarra però pur di renderla aggressiva ne dimezzano l'espressività; il basso è il grande assente dell'album, la batteria si difende bene ma la cassa è davvero troppo bassa. Ciò che invece è un merito dell'album è proprio questa capacità, già indicata nel corpo della recensione, di rinnovarsi: un inizio in stile Death con influenze Rock ed Hardcore, una fase centrale in cui si sviluppano invece le influenze Thrash del sound, una fase successiva in cui torna in auge lo stile semplice e lento con il Rock e Groove in bella mostra; per poi arrivare a questo finale in cui in un primo momento si approfondiscono le influenze Doom e gutturali per poi arrivare al brano finale che ha uno stile molto simile a quello iniziale. Questa è una prova di versatilità di un groppo che riesce ad ottenere buoni risultati pur rinnovando lo stile, che mette su un album che non annoia; c'è da dire però che i singoli pezzi, a parte quale piacevole eccezione, spesso sono brevi e comunque si compongono delle stesse parti ripetute molte volte. La brevità è una caratteristica dell'album complessivo, infatti, che si aggira attorno ai trentacinque minuti di durata. Quello che colpisce positivamente è il concept, che sembra ruotare tutto attorno al concetto della morte, dell'assenza di vita ultraterrena, della possibilità che questi corpi non sepolti inizino a vagare per uccidere i viventi. Poi ci sono state alcune speculazioni sul significato del numero 13, che è il titolo dell'album e rappresenta magnificamente il concetto della morte e della rinascita sotto un'altra forma, differente e migliore: in questo caso Barnes si augura la morte umana ed una rinascita, questa può intendersi in modo superficiale dicendo che l'umanità rinascerà sotto forma di non-morti; ma potrebbe esserci anche un'interpretazione più nobile riferendoci ai temi sociali che hanno inaugurato l'album, quindi parlando dell'umanità egoista ed assassina che rinasce, più attenta ai temi sociali dopo aver preso una batosta per colpa della propria negligenza. Un album onesto insomma, non fa certo gridare al miracolo e sicuramente non è uno dei migliori lavori dei Six Feet Under, forse è un frettoloso modo di rimediare a quanto fatto con "Graveyard Classics 2". Il risultato è una raccolta di pezzi che sono accomunati dal tema e dal sound (spesso troppo effettato e comunque non vincente), mentre gli stili cambiano di pezzo in pezzo. Un gradito ritorno dei Six Feet Under originali, ma ancora lontano dal meglio che il gruppo può fare.

1) Decomposition of the Human Race
2) Somewhere in Darkness
3) Rest in Pieces
4) Wormfood
5) 13
6) Shadow of the Reaper
7) Deathklaat
8) The Poison Hand
9) This Suicide
10) The Art of Headhunting
11) Stump
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