SEPTICFLESH
Mystic Place Of Dawn
1994 - Holy Records

GIANCARLO PACELLI
06/03/2023











Introduzione Recensione
Il metal oltre i confini angloamericani ha vissuto alternate fortune. Ci sono stati gruppi che hanno saputo reinventare lo stile proveniente dagli States o dalla Gran Bretagna mediante personalismi e quindi sono riusciti a sbarcare il lunario in men che non si dica. Altri invece, anche a causa di una bassa disponibilità economica e una incapacità di riuscire a trovare le persone giuste che nel business musicale sono fondamentali, hanno faticato più del previsto. Dunque, si suona per passione e non per raggiungere chissà quale palco, poi per il successo si vedrà. Era questo il pensiero di tre ragazzi molto simili ai loro coetanei ma differenti per gusti musicali. Tre ragazzi che non concentravano le loro forze per imitare il gruppo americano di turno bensì facevano di tutto pur di costruire una musica personale e capace di far provare emozioni. Se poi a questa premessa ci si aggiunge la bellezza mitica della Grecia, allora il composto finale risulta convincente. La Grecia non è mai stata foriera di gruppi musicali riconosciuti a livello mondiale, ma in quell'anno burrascoso per la musica che è il 1994 ci fu un'eccezione, ovvero i Septicflesh. Farsi ispirare dalla storia greca per dare vita a un personalissimo death meta: era questa l'idea iniziale che stava alla base del gruppo, oggi molto noto a livello internazionale per la sua capacità di unire le trame metalliche con la geometria dei suoni classici, del gusto armonico e della quadratura stilistica. All'epoca stentavano a sapersi orientare nel mondo difficile della musica metal, ma riuscirono ad ottenere dalla Holy Records, all'epoca la più nota etichetta francese e una delle più rinomate a livello europeo, l'endorsement necessaria per dare vita al primo platter. L'idea iniziale della band ellenica, composta da Spiros al microfono e al basso, Sotiris alla chitarra e Chris alla batteria era quella di riuscire a personificare il death metal di origine americana unendolo al mitico sapore ellenico, fatto di leggende e di miti immortali. Assieme ai Rotting Christ e ai Necromantia, i Septicflesh si mossero per la prima volta in Grecia a livello discografico portando alla luce un disco breve ma ricco di idee intitolato "Mystic Place Of Dawn", di cui ancora oggi se ne parla bene nonostante siano passati più di 29 anni dalla sua uscita avvenuta nel maggio del 1994. In realtà non fu il lavoro d'esordio per i greci che anzi ne fecero di fatica per convincere il loro producer George Zacharopoulos degli Storm Studio a credere fermamente nel progetto di quelli che all'epoca erano soltanto dei giovani ragazzi volenterosi nel mettere la propria nazione sulla cartina geografica della musica estrema. E così fu, mediante un'idea per l'epoca innovativa in quanto non concernente i canoni che erano della musica estrema: l'impalcatura del suono, come vedremo ascoltando le nove tracce messe a disposizione, evidenziano infatti una certa fugacità dai canoni "ufficiali" che all'epoca venivano visti come dogmi assoluti per coloro i quali si accingevano a proporre un sound inserito nel complesso calderone del death metal. "Mystic Place Of Dawn" propone quello che ci si potrebbe aspettare da un disco d'esordio di un gruppo composto da giovani ragazzi ovviamente dotati di un certo talento, seppur grezzo, nella scelta delle note e delle effusioni armoniche.

"Mystic Place Of Dawn
Il platter parte subito in quarta con la title track "Mystic Place Of Dawn" (Luogo mistico dell'alba), il miglior modo per cominciare questa esperienza nei lugubri racconti dei Septicflesh. E difatti, dopo un incedere maestoso figlio dell'intreccio tra chitarre distorte e drum machine martellante, Spiros subentra immediatamente cambiando decisamente i ritmi della traccia. La voce in growl del cantante/bassista dei greci viene rafforzata dagli opportuni ritocchi in sala registrazione che la rendono ancora più spaventosa a contatto con i nostri padiglioni auricolari. Dinanzi a noi la mitica e schietta poesia dei greci narra di civiltà passate scomparse (Lemuria) e di città tutt'ora esistenti (Sarnath), dove la religione incontra il mito e genera luoghi mistici, come ben si capisce leggendo il titolo del brano. Nel mentre la chitarra disegna uno dei riff portanti più noti della band e le tastiere, la vera novità del suono proposto, danno decisamente un tocco mistico e al contempo macabro. Ovviamente i Septicflesh non vogliono presentarsi mediante un suono per così dire pulito, bensì tendono a sfruttare la cadenza del suono e la morbidezza di alcuni passaggi, si pensi al netto rallentamento nei pressi del secondo minuto dove la chitarra disegna arpeggi quasi doom e le tastiere scolpiscono umori ed emozioni che quasi cozzano con la profondità vocale del buon Spiros, con quel registro grave che lo renderà noto sino ai giorni nostri (per l'età che aveva poi il risultato fu un qualcosa di eccezionale). Ci troviamo alla fine di fronte a un capolavoro, a un brano immenso che meriterebbe di essere ancora più vivisezionato, ma descriverne gli aspetti principali è già di per sé grandioso. 'Mystic Place Of Dawn" ancora oggi suscita emozioni (negative o positive non importa) difficilmente da spiegare.

"Pale Beauty Of The Past"
Da un brano straordinario passiamo al pezzo forte del disco. Già al secondo brano possiamo ammirare il meglio del suono dei Septicflesh dei primordi, dove le tastiere a tratti epiche e usate in maniera oculata, definiscono e snelliscono unea base di natura estrema. I decibel degli amplificatori lasciano spazio alla magia delle note del sintetizzatore di Sotiris che fanno partire subito la magica "Pale Beauty Of The Past" (La bellezza pallida del passato). Il synth ricama subito un'atmosfera goticheggiante mentre in background monta subito il classico suono dei Septicflesh che pesca a piene mani dal doom/gothic inglese. Poi, tutto d'un tratto, gli strumenti a corda trasformano quella che era una composizione doom in un costrutto death metal, con il blast beat della drum machine a fare lo sfondo dell'impatto greve della voce di Spiros che si sposa con le note dondolanti del sintetizzatore di Sotiris e con la chitarra zanzarosa suonata dallo stesso musicista greco che rende questa "Pale Beauty Of the Past" un brano estremo a tutti gli effetti. Ma i Septicflesh amano sorprendere e nonostante potrebbero continuare a esercitare il loro talento in questo modo, osano invece cambiare impronta ritmica quando uno meno se lo aspetta. Nei pressi del terzo minuto e mezzo ecco che i crunch delle chitarre permettono da una parte l'esplosione del synth e dall'altra fomentano la qualità di Spiros di estendere al massimo le proprie corde vocali senza dare segnali di cedimento. Ciò dimostra il talento del cantante che tende ad accorpare sempre meglio la propria voce facendola risultare più violenta che mai.

Return To Carthage
Con "Return To Carthage" (Ritorno a Cartagine) i Septicflesh adottano una soluzione più breve impostando il brano su tre minuti scarsi per preparare al meglio l'ascoltatore alla successiva traccia molto più lunga. La traccia, come è evidente, si basa sul riffing già presentato in precedenza: la chitarra ritmica è imponente e disegna riff d'acciaio, la drum machine non sfigura e intelaia i giusti colpi tambureggianti permettendo al pathos di divenire più concreto che mai. Non occorrono interludi o introduzioni cangianti, i greci partono a mille e Spiros con il suo solito growl ci accompagna nell'ennesimo tema epico proposto dalla band. Tutto questo almeno fino a che il rifferrama diventa a tratti black metal e le tastiere in background alleggeriscono la struttura senza tuttavia deturpare quanto viene proposto, anzi il carico epico della traccia diventa ancora più vincente a intrigante. A nemmeno metà brano, segno dell'atipicità del brano, interviene il primo vero e proprio assolo. Non un semplice esercizio manieristico, ma un contrappunto carico ed avvolgente come del resto la band aveva proposto già nelle prime due composizioni. Tutto d'un tratto "Return to Carthage" rallenta, i suoni nelle retrovie diventano primari e gli strumenti elettrici interrompono per qualche secondo il loro andamento: il solo Spiros rimane col microfono in mano ad estendere al massimo le proprie corde vocali allacciandosi ai sintetizzatori che operano meravigliosamente e senza intaccare minimamente la componente death metal che anzi viene in un certo senso rafforzata da tale clima avvolgente e ovviamente concernente un'ambientazione musicale degna dei Septicflesh e della loro vastissima cultura da cui pescano a piene mani. Insomma, un capitolo eccellente, che si conclude nella maniera migliore possibile con quel gusto epico e barocco che melodicamente ricama un finale grandioso.

"Crescent Moon
"Crescent Moon" (Luna crescente), quarta traccia del lotto, inizia con campionamenti vari, colpi in background mentre vari accordi di chitarra si spalmano lungo la base del suono che a breve diventerà più solida che mai con la chitarra di Sotiris che si aggancia al growl infernale di Spiros, la cui voce sembra provenire dall'oltretomba rimarcando un death metal che si rifà alla scuola nordica (svedese e finlandese), mentre la sezione ritmica rimane doomegiante nel quadro sonoro complessivo. "Crescent Moon" è un inno alla luna decantato poeticamente dalle liriche che si fanno cariche di pathos e di amore per il mistico andando pari passo con il clima sonoro che per la prima volta raggiunge una connotazione che strizza l'occhio al death metal: ed è giusto così, il combo greco deve tanto a quella scuola la quale è diventata importante proprio per le scelte ritmiche e compositive. Solo che i Septicflesh rendono il tutto più epico possibile con la chitarra che sembra quasi decantare il dolore che ha il corpo e la drum machine che gelidamente si pone come gancio sonoro. Ma la spettacolarità di questo brano è la lentezza di tutto l'amplesso ritmico, con la voce scura e nera come la pece che rappresenta il male assoluto: si tratta in effetti del brano più basso dei Septicflesh, scuro e negativo da far impallidire altre composizioni dell'epoca. Come detto tutto si gioca sulla scelta dello stile chitarristico che mai come ora opera organicamente con il resto della strumentazione (ricordando tra l'altro i connazionali Rotting Christ) creando un suono orrorifico e per questo imperdibile. Al netto della qualità del suono, che soprattutto nella primissima versione del disco (non quella patrocinata dalla Season Of Mist per intenderci), "Crescent Moon" si presenta come una delle tracce più audaci del disco e per questo meritevole di uno o più ascolti. Imprescindibile.

"Chasing The Chimera"
Da un brano lungo e criptico passiamo ora ad un altro non meno oscuro ma più lineare e aderente alla forma canzone metal. Anche in "Chasing The Chimera" (Inseguendo la chimera) un breve interludio di chitarra permette a Spiros di entrare nel vivo del pezzo, come del resto aveva fatto in precedenza: growl come sempre molto profondo, chitarra a tratti molto melodica e una drum machine sul pezzo che danno vita a una ossatura ritmica fondamentalmente di stampo death metal con qualche spruzzata di doom. Sebbene i Septicflesh cerchino di accelerare in alcuni punti, pare evidente constatare che lo scopo dei greci era creare una musica a tratti meditativa e lenta, che aderisse alla grande con le tematiche scelte e la voce di Spiros, come detto, perfettamente integrata con il tutto. In "Chasing The Chimera", insomma, si gusta alla grande l'influenza che ebbero alcune band dell'epoca come i Katatonia che di certo spiccavano per il modo di suonare la chitarra e creare l'effetto dell'incupimento del suono. Ma in questo frangente troviamo tuttavia anche un assolo che, per quanto sia banale e poco articolato, ci illustra capacità del giovane Sotiris di saper suonare lo strumento, cosa non affatto scontata per un giovane che si approcciava per la prima volta metteva in pratica una sua idea. Il mix di sonorità questa volta fa il suo lavoro anche quando si sente il suono gracchiare al punto giusto concedendo al brano quella giusta aurea maligna di cui si nutre. Siamo anche qui dinanzi a un ottimo brano che probabilmente poteva essere leggermente allungato per inserire qua e là qualche momento solistico.

"Behind The Iron Mask"
Anche "Behind The Iron Mask" (Dietro la maschera di ferro) riassembla i tasselli del death metal più spinto, ma qui tutto è condizionato ovviamente dal sottofondo delle tastiere e dalla batteria al fulmicotone, disordinata ma coerente con l'ambiente sonoro che coincide con il caos. "Behind the Iron Mask" ricalca la volontà dei Septiflesh di dimostrarsi atipicamente controcorrente toccando una tematica che nonostante sia sciorinata mediante un linguaggio tipico dei nostri, riesce a elevarsi dal punto di vista meramente psicologico. La maschera di ferro nasconde uno "spirito inginocchiato sotto lo stivale della paura", degli "esseri infestati, indegni di essere detti vivi". Insomma, cela dietro di sé l'istinto più basso di noi essere umani: e un tale corredo lirico non può che essere cantato con la rabbia in corpo dal nostro Spiros mentre divarica come non mai le mascelle per scatenare un canto letteralmente infernale, proveniente dall'oltretomba. La canzone è violentissima, ma non disdegna di offrire all'uditorio un tocco elegante fatto di tastiere che, pur immergendosi nel marasma del suono proposto, riesce quantomeno a essere decisivo. Il solo di chitarra poi, molto rabbioso e suonato in maniera decisa e tesa, rende il tutto ancora più macabro, così come sono macabri le voci presenti in background che sanno molto di anni 90'. Una traccia che nella sua brevità ci dona un qualcosa di oscuro e per questo di prezioso

"The Underwater Garden"
Siamo quasi giunti alla fine del nostro percorso e così i nostri cercano di dimostrarci che sanno anche giocare con il gusto melodico. Non a caso nella penultima "The Underwater Garden" (Il giardino subacqueo) tutto comincia con un solo di chitarra malinconico e che tinteggia una voglia di rallentare con i ritmi. Insomma, i greci intendono dire che sanno anche scrivere musica non per forza aggressiva poiché danno una chiara dimostrazione di saper accelerare e decelerare quando e dove meglio credono. La voce di Spiros è molto cavernosa: con questo aggettivo si intende proprio uno stile vocale talmente basso da riuscire a malapena a capire le parole. Strutturalmente è un brano lento, dove tutti gli strumenti dialogano e seguono un filo logico e dove anche le tastiere per la prima volta si isolano dal resto e forgiano un suono a parte e maestoso. I fan più accaniti della band considerano questo pezzo l'apice di 'Mystic Place of Dawn' e da un certo punto di vista è così, in quanto è in questo episodio che la band dimostra di saper suonare nonostante l'evidente inesperienza in termini di anni di attività. Quanto al tema optato in questo frangente, ben capiamo che la poesia e la voglia di impegnarsi a livello lirico emerge in maniera lampante: leggendo le liriche ci si stupisce di avere a che fare con ragazzi giovanissimi, ma evidentemente contagiati dalla secolare cultura greca che non smette di sorprendere ancora oggi. Lo stile dei Septiflesh è riassunto nel passaggio che si materializza nei pressi del quarto minuto: epicità e malinconia, rabbia e leggerezza, profondità e superficie: tutto si scontra in maniera magnifica in questo brano pieno di emozioni sinistre ed affascinanti. Non mancano ovviamente delle sfuriate estreme, ma queste sono posizionate strategicamente affinché non diventino predominanti. Insomma, un brano da riascoltare e, se possibile, analizzare pezzo per pezzo.

"Morpheus (The Dreamlord)"
Prima dell'ultima composizione, la quale è un lungo stuolo strumentale di note di altissimo valore, ecco che i greci preparano l'ultima gemma vera e propria, una canzone che è in realtà un cammino verso l'ignoto. "Morpheus (The Dreamlord)" (Morfeo, Il dio dei sogni) parte in sordina con una sezione d'archi a ricamare un suono a dir poco melanconico e dimesso, ma quando meno ce lo aspettiamo la canzone cambia forma, si veste con nuovi panni aggressivi nei quali ovviamente la voce di Spiros scivola via che è una meraviglia nella sua ruvidezza e nei suoi toni bassi. La canzone ricalca un tema sonoro tipicamente doom con le vocalità ben distribuite mentre la chitarra disegna arpeggi che mano mano diventano più aggressivi per poi scendere di nuovo quanto a intensità. Le vocalità femminili, che intervengono in alcuni punti, rendono il composto ancora più elegante. In tutto ciò la batteria del pezzo riveste un ruolo fondamentale nel suo tambureggiare progressivo che è di pregevole fattura proprio perché va a scansionare una qualità della composizione incredibilmente efficace. Nei pressi del terzo minuto la chitarra "graffia" l'uditore con dei simil assoli, che tuttavia, al posto di interrompere la magia finora espressa, si accorpano con eleganza sinistra a tutto ciò che si ode nel brano. "Morpheus (The Dreamlord)" non è un pezzo a caso, ma è stato composto dalla band ben prima del lancio di "Mystic Place Of Dawn" e dunque conserva un animo sinistro nero come la pece che si esprime ottimamente: i contrasti tra l'eleganza degli archi e dei synth e la voce di Spiros, tipicamente cavernosa, creano un mix che è oggettivamente geniale. Insomma, parliamo di un brano da ascoltare, da leggere con attenzione, perché merita di essere assimilato per bene per capire al cento per cento l'obiettivo ultimo della band.

"Mythos
Per chiudere il tutto i greci pensano che una composizione di tipo strumentale sia ad hoc. L'inizio di "Mythos (part.I Elegy, part.II Time Unbounded)" (Mito parte 1: Elegia, parte 2: Tempo illimitato)" è stupefacente, sarebbe idoneo per una colonna sonora di un film drammatico: la band nei primi secondo non interviene, ma già intende mostrare quella propensione che renderà poi standardizzata negli anni a venire, ovvero l'uso della musica classica. Quindi la strumentazione è molto varia: dagli arpeggi ai tamburi passando ovviamente per i violini e i flauti che creano la giusta suspence sonora. Questo brano vuole presentarsi come il perfetto modo di salutare una prima opera che farà parlare di sé proprio perché caratterizzata da perle melodiche di questo tipo. Perle che, nonostante non sprizzino metal da tutti i pori, meritano di essere apprezzate per due motivi: uno è il coraggio dei Septicflesh nell'usare strumentazioni atipiche per il mondo metal, l'altro è invece riferito all'amore che i greci che avevano per la propria terra. Collegandoci a quest'ultimo punto il titolo non arriva caso. Viene evocata la parola mito, fondamentale per tutto il percorso di crescita dei greci e che negli anni sarà al centro di numerosi dischi successori di questo oscuro ed intrigante 'Mystic Place Of Dawn'.

Conclusioni
Terminate le tracce messe a disposizione, il primo disco dei Septicflesh non si può non definire come premonitore e non soltanto "uno dei tanti dischi di musica estrema pubblicati nel 1994". Ad un primo ascolto infatti emerge una certa solidità del suono che si sposa alla grande con le sonorità di Spiros che, nonostante la giovanissima età, poteva vantare un growl molto potente e "basso". Altrettanto valida è la prova della chitarra che anch'essa riesce a intelaiare le giuste note. Non parliamo di un tripudio di tecnica, ma di semplicemente di una capacità di fare le cose giuste al momento giusto, senza strafare. I Septicflesh erano consapevoli dei loro limiti e questo disco d'esordio, sebbene peccasse di numerosi difetti a causa di evidenti problemi tecnici, tutto sommato impasta bene le note che vanno a comporre i pezzi. Certo, se pensiamo ai Septicflesh odierni, i quali sono noti in tutto il panorama metal per il loro modo a tratti smodato di usare orchestrazioni, ben capiamo che sono passati quasi di trent'anni. Tuttavia, il disco scivola bene con la presenza della drum machine che, in quasi tutti i brani, escluso (Morpheus) The Dreamlord, non eccede in manierismi o tecnicismi fini a sé stessi, anzi si integra alla perfezione dimostrandosi fondamentale nell'andamento di gran parte delle composizioni dando a Spiros e colleghi lo spunto giusti su cui basarsi e partire. Come detto, risulta facile ragionare oggi conoscendo il percorso del gruppo greco che all'epoca era tutt'altro che facile. Risulta altrettanto semplice lodare questo disco con le orecchie odierne, ma all'epoca non fu di certo capito: come tutti i gruppi visionari, o comunque atipici rispetto ad altri act dell'epoca, i Septicflesh dovettero lavorare sodo per mantenere la loro credibilità nel circuito del metal estremo, come sempre abbastanza integralista nei suoni e nelle scelte dei singoli musicisti. Ma "Mystic Place Of Dawn" piacque subito per i temi trattati, per il modo con cui erano narrati: per molti ascoltatori dell'epoca risultava atipico avere a che fare con i miti dell'Antica Grecia in un brano di musica heavy metal. E la band da questo punto di vista osarono alla grande ottenendo risultati giusti anche se, a dirla tutta, le sole atmosfere non possono coprire alcuni evidenti errori di inesperienza perlopiù dovuti a una sostanziale mancanza di tempo: all'epoca infatti le band, soprattutto quelle alle prime armi, registravano tutto in presa diretta e a volte ciò andava a creare problemi in qualche parte del brano. Ma a dirla tutta questo problema nel corso del tempo è stato risolto: nel 2013 la Season of Mist ha infatti ripubblicato i full lenght on forma restaurata permettendo a quelle "impurità" emerse di essere totalmente eliminate. Tornando al disco, è chiaro che parliamo di un lavoro ancora non del tutto maturo ed esente da errori, all'epoca pochi avrebbero realmente messo in discussione in classici cliché della musica metal contemporanea che non era molto difforme da quella proposta in versione più estrema. I Septicflesh, tuttavia, osarono con la sperimentazione, cercando di sfruttare ambientazioni sonore decisamente atipiche sebbene contestualizzate nel modus operandi tipico della musica estrema dell'epoca.

2) "Pale Beauty Of The Past"
3) Return To Carthage
4) "Crescent Moon
5) "Chasing The Chimera"
6) "Behind The Iron Mask"
7) "The Underwater Garden"
8) "Morpheus (The Dreamlord)"
9) "Mythos

