SAXON

Rock the Nations

1986 - EMI

A CURA DI
DIEGO PIAZZA
29/01/2016
TEMPO DI LETTURA:
6

Introduzione Recensione

Il buon successo del tour di Innocent is no Excuse non deve fare dimenticare il campanello d'allarme che suona in casa Saxon oramai da qualche anno. Il passaggio dalla Carrere Records alla più prestigiosa EMI ( seppure dietro la maschera della Parlophone) non ha portato a grandissimi risultati di vendita, ma anzi ad un sostanziale declino da questo punto di vista. Oltre a non aver sfondato negli USA, obiettivo che la band e il loro manager si pone oramai da qualche anno, anche all'interno della band i rapporti cominciano a scricchiolare e, a farne le spese sarà l'allora baffuto bassista Steve Dawson. Ma procediamo con ordine; le enormi spese per la realizzazione del precedente album hanno in parte prosciugato le casse ed è così che Rock The Nations esce nel 1986, dopo essere stato scritto in poche settimane a Rockfield in Galles e registrato negli studio di Wisselord in Olanda (come l'album precedente)in tempo molto più brevi. Ancora una volta Nigel Thomas porta un nome nuovo come produttore, il quale nuovamente non è un nome altisonante; si tratta di Gary Lions, descritto da Biff Byford come un buon conoscitore della materia, ma non la figura di cui in realtà avevano bisogno i Saxon in quel periodo per essere spronati. Peraltro il risultato finale pare un deludente come suono, molto meno curato rispetto all'album precedente, in alcuni momenti sembra molto grezzo e per altro con suoni di chitarra spesso sacrificati sull'altare delle nuova tecnologia, con synth e keyboards molto evidenti in alcune tracce. Presso Wisselord Studio, nello studio di registrazione accanto, c'è anche Elton John che stava a sua volta registrando un disco (Leather Jackets, un flop commerciale, brutto segno anche per i Saxon), ed così che per il soliti meccanismi strani e imprevedibili, le due band non solo entrano in contatto, ma addirittura il baronetto inglese di Pinner, famosissimo cantautore in tutto il mondo, finirà nei credits dell'album, per la precisione come pianista in due canzoni : Party 'till you Puke e anche nella ballad Northern Lady, originariamente sul lato B del vinile originale. Non sappiamo quanto Elton John ricordi di quei giorni, l'impressione generale è che sfruttando qualche momento di allegria e di alcolismo mischiata anche ad alcune gozzoviglie alimentari del catering (aneddoto che Biff cita nella sua biografia), la band sia riuscita a registrare qualche jammin' improvvisata, salvo poi ottenere evidentemente anche tutte le autorizzazioni del caso. Non vogliamo qui dichiarare che Elton John si stato raggirato per una momentanea incapacità di intendere e volere, ma ci siamo di moto avvicinati L'artwork di Rock the Nations è un ottimo lavoro di Paul Gregory dello Studio 54: un folla oceanica di fan, ognuno con la bandiera che rappresenta la propria nazione  (si riconoscono le "flags" degli Stati Uniti, Brasile, Australia, Regno Unito, Germania, Canada e Belgio e molte altre più piccole) si è radunata in una vallata oscura e gotica, dove su di  una cima sferzata da potenti fulmini si erge l'aquila illuminata, simbolo dei Saxon oramai consolidato tanto che appariva proprio così come disegnata in tutti i concerti della band. Il già citato Elton John viene ringraziato e definito nella back cover "true rocker". Esordisce come già detto Paul Johnson al basso, al posto del baffuto Steve Dawson, isolato dalla band e dal management proprio durante le registrazione di questo album. In realtà Johnson si unisce ai Saxon per il tour, durante le sessioni presso gli Wisselord Studio in Olanda, e nel frattempo Biff torna al suo vecchio amore, ovvero il basso; infatti,  malgrado i credits  dicano il contrario, in realtà è proprio il frontman biondo ad aver registrato le tracce di questo strumento. Paul Johnson pagherà quasi da subito il dazio per essere passato da qualche serata live nei pub ad un concerto mondiale intero dei Saxon, passando da un distratto pubblico rionale a migliaia di fan, ma ne parleremo nell'analisi finale del disco.

Rock the Nations

L'inizio di Rock the Nations (Fare Rock per le Nazioni) è aperto proprio dalla stessa title-track: dopo un veloce arpeggio di chitarra, è un riff semplice diretto ad aprire le danze, con anche l'ingresso di tutta la band compreso il classico fischio con due dita di Biff. Pur essendo un mezzo tempo la canzone piace per il suo groove vincente, come il ritornello, ancora una volta una sorta di celebrazione del rapporto d'amore tra la band e il pubblico. Il suono prodotto da Gary Lions esalta abbastanza la batteria di Nigel Glockler, forse lasciando un po' in sottofondo le chitarre, come era già successo nell'album precedente. Paul Quinn e Graham Oliver si intrecciano mirabilmente in mezzo alla canzone, creando un ponte ideale per l'ennesimo chorus, seguito dall'ultimo dall'ultima strofa; una canzone che, nonostante le strutture semplici e dirette, riesce a catturare l'attenzione dell'ascoltatore medio, e a tenerlo stretto a sé per tutta la sua durata. Peccato per la registrazione che ben poco lascia spazio ai fraseggi di chitarra, storico marchio nei dischi di punta del gruppo inglese; tuttavia, come inizio diciamo che non c'è affatto male, a dinamiche un po' fiacche si alternano momenti di estasi Heavy Metal, facendoci capire che i Saxon non sono morti del tutto. Il testo ben rappresenta la vita on the road dei cinque Saxon, sebbene sull'argomento la band sia tornata spesso soprattutto negli ultimi tre dischi, abbastanza monotoni come tema.  Il tour bus viaggia nella notte e loro raggiungono una nuova città al mattino, non c'è tempo per mangiare non c'è tempo per dormire, fanno sei concerti in una settimana. Non sanno bene dove si trovano, se a San Antonio oppure a Roma, e la realtà questa o si tratta di un sogno? Aspettano dietro nel backstage il momento per liberare sul palco il loro spirito. Dategli un palco, accendete le luci, infiammate il suono, loro faranno rock per le nazioni. L'alba del giorno arriva sorprendendoli, la crew è gia pronta per un nuovo concerto, nord, sud ,ovest est, dovunque sono mettono i fan alla prova mentre fanno rock attraverso le nazioni. Questa canzone descrive un pò come è la loro settimana, sei giorni su sette in quel periodo; durante l'ascolto si riesce bene a percepire l'atmosfera che la band voleva dare durante questa canzone, ci sentiamo liberi e riusciamo a spingerci più in là di quanto abbiamo mai fatto prima, classico brano per infiammare le folle.

Battle Cry

Un meraviglioso ingresso di doppia cassa e percussioni di Nigel sono il preludio alle chitarre epiche di Battle Cry (Grido di Battaglia). Dopo alcuni anni è splendido vedere i Saxon tornare letteralmente sul campo di battaglia, questa volta nelle highlands scozzesi, e parlarci di testi storico-epici che esaltano i fan metallari. Biff è magistrale nelle strofe e nell'ottimo temporeggiare nel chorus:  sembra sia un richiamo di battaglia, sia un richiamo dei fan sotto il palco a secondo della situazione. Dopo l'ottimo solo di Paul Quinn la band riprende con ritmi piuttosto serrati nell'ultimo verso, mentre l'ultimo chorus viene preceduto da un evidente calo di tensione sottolineato da suoni di synth in grandissima evidenza; considerando l'argomento della canzone, la band riesce a farci sentire veramente come se fossimo su un campo di guerra, pronti a far cozzare le nostre spade e scudi contro di loro, per riconquistare la libertà, E quando il pezzo inizia a gonfiare, verso il suo centro, sentiamo distintamente la carica della battaglia, e ci lanciamo nella mischia per riuscire a vincere, incuranti di ciò che sta per succederci. Liricamente come già accennavo, i Saxon ci riportano idealmente verso il dodicesimo/tredicesimo secolo, durane le guerre d'indipendenza della Scozia nei confronti del Regno d' Inghilterra, la rivolta dei clan resa celebre dall'eroe Willam Wallace nel film di Mel Gibson "Braveheart". La band ci chiede se riusciamo a sentire il loro suono. Potete sentire le voci attraverso il Glen (un tipica vallata delle montagne scozzesi), vedete le persone che si riuniscono per esaltare il proprio Re.  Sono venute per ascoltare la storie, vengono per cantare le canzoni. Si narra di un ribelle che sta infiammando le highlands dalle montagne sino al mare, un principe sta reclamando il suo legittimo trono.  E quindi il ritornello "Fatemi sentire , fatemi sentire, fatemi sentire il vostro grido di battaglia !"  Un esercito è in marcia verso nord, per incontrare gli uomini dei clan senza paura. E uno scontro tra giubbe rosse e tartan, tra fucili e spade.  Le liriche ben si accompagnano alle musiche, davvero esaltanti come sempre quando i Saxon si calano in argomenti epici. In maniera geniale, Biff ha incluso questa traccia spesso dal vivo in medley da battaglia insieme a  pezzi come Warriors e To live by the sword.

Waiting for the Night

Chitarre maliziose e melodiche aprono la ballata Waiting for the Night (Aspettando la Notte), brano uscito originariamente anche come singolo. La canzone di per sé  non è affatto brutta, ma chiaramente è molto ammiccante verso un mercato radiofonico e, devo dire, si stentano a riconoscere i Saxon di Wheels of Steel. Strofe pulite e ben cantate vengono seguite da un molto patinato e mieloso chorus rifinito con armoniche di chitarra molto easy listening.  Sullo sfondo sono molto evidenti anche le tastiere, che aiutano a rendere più commestibile il pezzo, persino Biff risulta quasi suadente in questo clima un po' gelatinoso, con l'ultimo chorus che si ripete (anche troppo) fino alla dissolvenza; una canzone in cui, come accadrà fin troppe volte nel corso di questo disco, iniziamo a vedere una band poco ispirata e alla deriva sotto tanti aspetti. Strutture troppo semplici e non proprie dei fraseggi che li hanno resi celebri, i Saxon cercano di muoversi su un territorio che non è mai stato di loro competenza, riuscendoci a metà in alcuni punti, e toppando clamorosamente in altri. Di base la canzone non è affatto inascoltabile, ma ciò che la rende poco appetibile è il logo che campeggia sul disco, due cose che non vanno d'accordo fra loro. Liricamente si tratta di una canzone chiaramente d'amore, dove il protagonista non vede allora che arrivi la sera per stare insieme alla sua amata.  Lui impazzisce come una trottola pensando a lei, le sue pulsazioni aumentano e il suo cuore soffre, la maledetta autostrada che li divide anche per poco inizia ad essere insopportabile, egli sta aspettando che arrivi finalmente sera, per avere finalmente lei di nuovo. Non può attendere ancora, ogni secondo si sente sempre più forte perché sta tornando da lei per la notte  Ha assolutamente bisogno di lei, il suo corpo anela di stare con lei. Collocata dopo un pezzo epocale la canzone pare un po' debole per il DNA della band dello yorkshire, siamo ai confini veramente del rock AOR. Nel videoclip ufficiale dell'epoca Biff si diverte non solo con la ballerina, che lo aspetta alla fine della canzone, ma anche con i suoi compagni sul palco, con alcuni sketch quasi alla Benny Hilll, come un roadie che stramazza al suolo dopo un botto sul palco, del resto come fecero sul palco di Sanremo 1983, sapendo di essere in playback, anche durante questa clip non si prendevano troppo sul serio.

We come here to Rock

L'inizio della quarta traccia We come here to Rock (Siamo Venuti qua per fare Rock) è caratterizzata ancora da un' introduzione abbastanza ruffiana e melodica, ma cambia poi registro, sottolineata da un ottimo lavoro alle percussioni  di Nigel; ed è un buon riff a disegnare le strofe, fino ad un chorus piuttosto classico, in cui le backing vocals della band rispondono a Biff. E' una traccia sulla linea delle ultime produzioni dei Saxon di quel periodo, accettabili, ma non certo memorabili.  Dopo il classico momento del solo ecco l'ultima strofa che precede il ritornello, prima che ritorni il passaggio melodico iniziale a chiudere; un altro mezzo passo falso anche in questa traccia per la band inglese. Sembra sempre che siano ad un passo dallo sfornare qualcosa di unico, ed invece poi ci fanno cadere in strutture troppo semplici per ciò per cui sono divenuti famosi. Una canzone easy listening che cerca di calcare i fasti di un tempo, ma non riuscendoci in pieno, e venendo relegata ad essere cestinata quasi subito da chi seguiva la band fin dagli esordi. Anche liricamente purtroppo i Saxon  ripropongono l'ennesima traccia che parla di come loro si trovino in giro per fare rock, davvero oramai troppe le canzoni sullo stesso tema (This town rocks, Rock City, Rock  the Nations, Rock 'n' Roll Gypsies e tante altre) , un argomento oramai super abusato. Nella prima strofa Biff ci dice come loro non siano venuti in città per compiacere qualcuno, non sono venuti per l'oro.  Sanno perfettamente gestire le loro vite e nessuno può dire a loro quello che è giusto e quello che è sbagliato, del resto chi li vuole gestire sono solo una manciata di ipocriti, i Saxon sono qui solo per una precisa ragione, sono qui per fare rock.  Nel terzo verso è però interessante come Biff dica "non siamo adoratori del Diavolo, è una fottuta bugia" , loro vogliono solo divertirsi, giusto prima di morire. Del resto anche la band di Biff e soci, seppure marginalmente, era stata coinvolta nelle censure preventive e dalle invettive del PMRC, il comitato moralista messo in piedi da alcune mogli di ex senatori USA, che negli anni hanno messo idealmente sul rogo diversi dischi di Ozzy Osbourne, Black Sabbath, Iron Maiden, Twisted Sister e tanti altri.

You Ain't no Angel

Un chitarra distorta di Quinn apre invece You Ain't no Angel (Tu non sei un Angelo), prima che un riff apra una sorta di blues distorto ,in cui devo dire che l'ugola di Biff non sembra molto a suo agio.  Non risulta essere ficcante, né tantomeno trascinante, sia il ponte, ma anche il chorus, il quale mostra qualche crepa, supportato anche dai campanacci di Nigel. Da salvare solo l'ottimo assolo in progressione , prima di un vistoso rallentamento in cui, su un basso pulsante e ancora campanacci, si sente una voce femminile improvvisamente fare capolinea. Ultimo chorus, con finale ritmicamente vivace con Quinn che risponde a tono ai vocalizzi poco ispirati di Biff, prima del classico finale farraginoso; una canzone che, come era già accaduto per la precedente, si sforza senza mai riuscire a centrare l'obbiettivo pienamente. A strutture già sentite e prive di genialità si alternano momenti in cui sembra di sentire la band di un tempo, tuttavia in generale, sembra che i Saxon stiamo cercando di fare ciò che non devono fare, ovvero scimmiottare altrettante realtà che in quegli anni stavano nascendo. Non aiutati probabilmente dal periodo che stavano passando, dalla stanchezza per tutte le difficoltà accumulate, ed anche dalla presenza di un produttore non all'altezza del compito, la band si ritrova spaesata ed alla deriva, cercando di fare ciò che non gli riesce bene. Una delle canzone più brutte a mio avviso scritte da Biff & soci, è come se i Saxon volessero fare gli AC/DC o i Van Halen, ma senza la stessa attitudine. Peraltro nella parte narrata con la voce femminile credo si tocchi veramente il fondo del barile, chissà forse il tour USA con i Motley Crue di qualche anno prima ha un po' influenzato anche i Saxon. Il testo, come si può già intuire dal titolo ci parla di una ragazza minorenne, "cocca del papà" e dolcissima per la mamma, che in realtà si veste in maniera sexy, esplosiva tanto da scottarsi se la si tocca. E' pronta a perdersi questa notte, l'innocenza non è un alibi; nonostante la scialba interpretazione, la musica è in linea col testo. Si ha l'impressione di avere davanti questa donna col viso angelico e piena di dolcezza, ma che in realtà dentro nasconde un demone pronto a ghermire la preda. E' stata creata in Paradiso, ma non è certo un angelo, come ci dicono i Saxon stessi. Da notare come nella prime strofe si citi proprio il titolo di un album dei Saxon, precisamente "Innocense is no excuse". La voce femminile in mezzo alla canzone toglie qualsiasi dubbio sulle intenzioni della ragazza in questione : "Salve ragazzi , che avete intenzioni di fare, avete voglia di una scopata ?  No, mia madre non ci penserà, non sono un angelo".

Running Hot

Si torna a ritmi più brillanti e veloci con Running Hot (Correre Veloce): un riff congeniale in cui sembrano inseguirsi le due chitarra imbastiscono un ottimo pezzo hard rock, solido e con un ottimo ponte. Il chorus è molto semplice (ribadito dai backing vocals), seguito da ottimi fraseggi dei due chitarristi. In sostanza il pezzo è buono, ma sembra una sorta di "Everebody's up" parte II (traccia contenuta sull'album precedente). La parte centrale mostra un ottimo momento solista delle due asce dei Saxon, poi l'andamento contagioso del brano riprende con il riff portante e con l'ultimo chorus, con un ultimo grido di Biff prima della chiusura; una traccia che ci fa riprendere un po' il respiro dopo ciò che abbiamo sentito, nonostante le limitazioni che abbiamo appena sottolineato. La struttura di base è diretta e semplice, seppur sappia di "già sentito". Un passo falso dunque soltanto per quanto riguarda la scelta della melodia da eseguire, per il resto rimane uno slot piacevole da ascoltare e con un forte senso della composizione, ma anche esso è destinato ad essere dimenticato presto, e ci fa ancora più intendere la stanchezza che aleggiava nella band durante quello sfortunato periodo della loro carriera. Per fortuna, negli anni seguenti, la band riuscirà a riprendere la strada persa, sfornando dischi davvero degni di nota. Il testo verte su una sorta di dualismo tra sesso e velocità : il protagonista sembra lanciato a tutta velocità sull'autostrada, è eccitato e vuole sentire tutta la potenza del motore. Lei è sovraccarica, è rovente, sta diventando rovente. Lei non sembra essere solo un pronome femminile dato ad una macchina, ma anche un essere umano, in quanto lui "sente il suo corpo in calore", insieme sono un mix esplosivo, lei sta diventando rovente. Il riff delle due chitarre sembra quasi rendere tangibile l'adrenalina della velocità , man mano che la situazione diventa sempre più "torrida". Una canzone da suonare ad alto volume per le highway americane o in spiaggia in una tipica giornata di sole californiano, ma anche facile da dimenticare dopo qualche settimana.

Party 'till You Puke

In Party 'till You Puke (Festeggia finché vomiti) la voce di Biff fa capolino quasi da lontano, prima che la band parta in un blues rock forsennato, con in sottofondo nientemeno che il piano dell'ospite illustre e quasi a sua insaputa, ovvero sir Elton John. Rallentamenti e improvvise accelerazioni danno un senso di divertimento, ma allo stesso si tratta quasi di un jamming improvvisato, divertente, elegante, ma certamente stucchevole. Belli gli stop e go che vedono coinvolto lo stesso Elton che sta al gioco e ci regala comunque una rarissima collaborazione tra pop e rock. Il brano però si conclude quasi sul più bello lasciando un senso finale di incompiutezza. Diciamola tutta, se non fosse per la fortuna di avere un nome importante da mettere in copertina tra i credit questo pezzo poteva essere usato benissimo come lato B di un singolo; la struttura del brano risulta fiacca e poco ispirata per l'ennesima volta, come già detto sono assai interessanti i fraseggi messi in piedi da John, ed avere un pilastro così importante del Rock da classifica a fare da aiuto, certamente alza il tiro del pezzo. Tuttavia, come abbiamo sottolineato qualche riga fa, appare più come qualcosa che è stato frettolosamente improvvisato e registrato, buttato lì solo come riempitivo del disco, invece che come una vera e propria traccia. Peccato perché, nonostante i difetti, si notano comunque alcuni sprazzi di composizione alta durante l'ascolto, aiutati anche dalle sessioni furenti di piano suonate da Elton.  Il titolo "Divertimento fino a quando vomiti" è già tutto un programma. I nostri non hanno intenzione né di morire, né tantomeno di far finire la serata in tragedia, dato nessuno può ucciderli (forse un rimando alle alcoliche serate che hanno generato il brano). Non hanno intenzione di morire, nessuno può ferirli. Fanno di tutto, si dopano, si strozzano , uccidono , devastano, rubano, si divertono fino a vomitare, vanno avanti così ancora e ancora.  La seconda strofa è esattamente uguale alla prima, sempre sul tema delle gozzoviglie e della devastazione fisica fino allo stordimento. Si potrebbe definire la canzone dell'inglese medio del sabato sera, tanto risulta essere vera e attuale anche senza essere una rock star, basta farsi un giro di notte per le strade di Londra. Però non credo che neanche l'illustre Elton John si ricordi fieramente di questa canzone. La voce di Biff pare fuori luogo e il brano poteva essere tranquillamente spostato su una B-.side scritta per divertimento, un po' come facevano gli Iron Maiden con alcuno singoli.

Empty Promises

Anche la successiva canzone Empty Promises (Promesse Vuote), non lascerà in futuro ricordi memorabili. Si tratta di un mezzo tempo francamente un po' noioso fin dall'approccio della chitarre iniziali, e a rendere interessante il pezzo non aiuta certo l'ultima parte strumentale (dopo un ottimo scambio ancora di valore tra Oliver e Quinn) con distorsioni di chitarra su un vistoso rallentamento di Johnson al basso, che non fanno che allungare all'infinito il riff portante. Il ritornello stesso non è molto significativo, pezzo filler non certo degno della grandezza dei Saxon, a dimostrazione che il lato B di "Rock the Nations" non è certo molto ispirato; per l'ennesima volta la poca ispirazione ed il brutto momento hanno avuto la meglio su uno dei pilastri della NWOBHM. I Saxon, qui forse più che in tante altre tracce dell'album, risulta davvero poco ispirata. Strutture anche decenti se prese singolarmente, ma che altrettanto certamente non rendono giustizia ad una band che è riuscita a sfornare album come Denim & Leather o Wheels Of Steel; Biff probabilmente si sentiva davvero spaesato in quel periodo, con una band che non lo seguiva più come un tempo, problemi di soldi e svariate altre beghe che avevano dovuto affrontare negli anni precedenti. Soprattutto (forse) la band soffriva la resa del pubblico, che non sembrava più innamorata di loro come nei gloriosi anni della loro venuta sui palchi del mondo. Il testo verte su una delusione d'amore, il protagonista ha ricevuto indietro con gli interessi il suo amore verso di lei, del resto avrebbe dovuto saperlo che lei era solo profumi e lazzi.  Ora gli concede la chance dei essere libera. Gli ha dato tutte le possibilità, gli ha dato tutti i segnali, ed ora chi è che è rimasto solo ? Lui, ovviamente. Era solo una perdita di tempo, erano solo promesse vuote. Ci sono stati quei giorni in cui lui ricorda che tutto andava per il meglio, erano sempre insieme e si capivano, ma ora tutto si è girato verso il nero e lui ha intenzione di mollare tutto e lasciarla, senza mai più tornare. Diciamo per concludere che alla fine il testo è più interessante della musica, un' altra song che anche i fan più accaniti della band inglese penso avranno sicuramente quasi dimenticato nel corso degli anni successivi.

Northern Lady

Northern Lady (Ragazza del Nord), oltre ad essere un discreta ballata, uscita anche come singolo (e con videoclip), che va a chiudere in bellezza Rock the Nations, è uno di quei pezzi in cui Biff Byford stupisce molto anche come cantante, dato che la sua voce, per sua stessa ammissione, non sembra adatta ad appassionare soprattutto il pubblico femminile. Qui invece troviamo il frontman fortemente ispirato, con acuti e strutture vocali che si intersecano bene con la canzone. Prima la chitarra acustica e poi il piano (eh si, sembra che anche qui ci abbia messo lo zampino Elton) preparano la strada a Biff, e poi con il poderoso ingresso di Nigel a tutto il resto della band. Ancora ritmi acustici e soffusi, prima che tutta la band si scateni in un ottimo intermezzo musicale. Ultima cantata melodica di Biff, con prima gran cassa e poi tamburi ancora una volta a dettare tempi e melodie, con anche degli accorti cori in stile ballatona con i controfiocchi, che portano dopo diverse ripetizioni in un finale in dissolvenza; finalmente, nonostante comunque non sia una canzone che farà la storia della band, ci troviamo di fronte ad un pezzo di più pesante caratura, come era accaduto sul primo lato del disco. Le dinamiche della canzone la rendono orecchiabile e particolare, adatta ad infiammare le folle e tenerle con sé durante l'ascolto. Peccato che essa venga dopo così tanti passi falsi, ma rimane una grande conclusione di un disco che, a conti fatti, poteva essere decisamente fatto meglio. Il testo è minimale e parla di questa ragazza, il cui sole risplende sul viso . Significa molto per il protagonista, il suo amante. Lui ha bisogno di lei ogni notte, la signora del nord è l'unica cosa per lui; vede il suo gelido volto ovunque, ma quando sono insieme, niente ha più importanza, solo loro ed il loro amore, ardente passione che brucia ovunque nell'aria Volerebbe immediatamente indietro da lei, se ne avesse bisogno. Spera che usi la testa e che venga nella sua camera questa notte, le, la signora del nord, è l'unica della sua vita. Sebbene sia un finale migliore di quanto proposto nelle canzoni precedenti, anche Northern Lady non è uno dei brani più ispirati in assoluto dei Saxon, band per altro a mio avviso (e anche in parte confermato da Biff nella sua biografia) poco avvezza e poco incline alle classiche ballad hard rock. Andando a memoria forse solo Suzie hold on ritengo possa essere considerata un ballad graziosa e memorabile.

Conclusioni

In conclusione, Rock The Nations si attesta sui livelli dell'album precedente, confermando sia pregi che, purtroppo, difetti che la band viveva in quel periodo. Un album incoerente, come lo ha definito lo stesso Biff Byford nella sua onesta biografia. Ci sono delle buone canzoni, ma anche della cadute di stile e, ancora una volta, il mastermind dei Saxon lamenta l'assenza di un produttore che sappia guidare, da buon timoniere, la band verso la strada giusta. L'onesta rivalità con i connazionali Iron Maiden non può che far pensare ad un manager scaltro e astuto come Rod Smalwood, figura completamente assente nei Saxon. Scomparso qualche anno dopo, Nigel Thomas nei ricordi di Biff rimane un personaggio legato molto ai soldi, di cui peraltro la band non sapesse bene che fine facessero. Il sospetto era che Thomas si arricchisse lasciando alla band solo lo stretto necessario per la sopravvivenza ed in ogni caso era un gestione del denaro in cui la band non aveva minimante voce. Parlando di "assenze", anche quella di un personaggio molto dinamico dal vivo come Steve Dawson si farà sentire, sebbene il tour dei Saxon possa ancora essere considerato un successo. Il declino di vendite è di interesse sta lentamente e silenziosamente creando delle crepe, l'album si assesta al 34° posto nella charts UK e appena 149° negli USA, sebbene non manchino ancora date sold out che fanno ben sperare e che in quel momento rappresentano lo specchietto per le allodole.  Avere un grosso nome, come quello di Elton John, può aver aiutato a far parlare in giornali, ma non certo a recuperare i fan storici delle band, un buco generazionale che purtroppo i Saxon non recupereranno mai più. Ricordiamo anche come i gusti musicali cambino radicalmente nel giro di pochi anni. L'interesse verso la NWOBHM è calato nel 1986, anche e soprattutto da parte dei media: su MTV oramai spopolano video di gruppi glam, e sta per partire il fanatismo per il Thrash Metal (nato da qualche anno, ma che nel 1986 sarebbe esploso letteralmente di lì' a pcoo) e, ancora qualche anno per il cosiddetto street rock dei Gun 'n' Roses e Skid Row. Una band come i Saxon nel biennio 1986-1988 sembra già vecchia e anacronistica, ed è  incredibile se pensiamo a quanto la band avrà ancora da dire fino ai giorni nostri. Come già accennato all'inizio, il nuovo membro Paul Johnson non si ambienterà mai completamente nella band, non essendo forse pronto per il grande salto di notorietà, anche se avrà ancora occasione di suonare nei Saxon, sia dal vivo che da studio nel successivo Destiny. Dal 1989 in poi la fortuna dei Saxon sarà nel trovare un ragazzo fan dei Saxon totalmente scatenato sul palco, tanto da far dimenticare il pur bravo Steve Dawson, stiamo parlando di Timothy Carter, detto "Nibbs". Da notare che nell'edizione remasters dell'album del 2011 troviamo l'unica strumentale mai scritta da Biff & soci : Chase the Fade, originariamente lato B del singolo Waiting for the night. Il resto è materiale quasi trascurabile, se non tre tracce live trasmesse live dalla BBC Radio nel 1986, quando i Saxon hanno presieduto il Festival di Reading  (riscattando con un grande prestazione una deludente, secondo Biff, apparizione al Monsters of Rock del 1982 di fronte ai propri connazionali). Di questo album, i Saxon saltuariamente suonano dal vivo tuttora la title track e Battle Cry, sicuramente i due pezzi migliori del disco. Al termine del tour un'altra grave defezione minerà le fondamenta delle band, per la prima volta (e non sarà l'ultima) il talentuoso Nigel Glockler abbandona le pelli. Ma ne parleremo prossimamente.

1) Rock the Nations
2) Battle Cry
3) Waiting for the Night
4) We come here to Rock
5) You Ain't no Angel
6) Running Hot
7) Party 'till You Puke
8) Empty Promises
9) Northern Lady
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