SAXON

Lionheart

2004 - SPV/Steamhammer

A CURA DI
DIEGO PIAZZA
03/12/2016
TEMPO DI LETTURA:
10

Introduzione Recensione

Anno di grazia 2004: i Saxon continuano a sfornare, anche nel nuovo millennio, dischi di assoluta qualità. Dopo l'ottimo "Killing Ground" del 2001 e un interessante raccolta di classici rifatti con la nuova line up (Byford / Quinn / Carter / Scarratt / Randow) intitolata "Heavy Metal Thunder" del 2002 (con un bellissima cover che mostra un cavaliere crociato a cavallo con bandierone, diventato un classico anche delle t-shirt a venire) la band inglese si riunisce per scrivere il nuovo album, dal titolo emblematico e suggestivo di "Lionheart" .Per la precisione un altro avvenimento precede l'uscita dell'album: il primo dvd ufficiale della band "Saxon Chronicle", che contiene la loro stupenda esibizione al Wacken Open Air 2001, quando riportarono dopo molti anni sullo stage il loro simbolo: la Grande Aquila illuminata.  Il secondo dvd conteneva videoclip, interviste e rarità varie e anche un breve resoconto biografico della storia della band da parte di Biff Byford, colui che ancora tutt'ora, oltre ad essere frontman indiscusso della band, ne è anche assoluto mastermind e compositore di quasi tutti i testi. Prima di incidere il nuovo album si vede necessario un ulteriore cambio dietro "il motore" della band, ovvero la batteria; Fritz Randow, alle prese con seri problemi di alcolismo, non si è dimostrato del tutto affidabile, e dunque agli studio Gems24 di Boston, nel Lincolnshire in U.K. è Jorg Micheal che si presenta come nuovo elemento della band. Nato il 27 marzo del 1963, all'epoca della collaborazione dei Saxon, Jorg ha 41 anni, una decina in meno rispetto ai veterani Paul Quinn e Biff Byford, sebbene il più giovane della band rimane sempre il bravissimo Timothy "Nibbs" Carter del 1966. La popolarità di Jorg Micheal all'epoca era legata alla lunga permanenza nella band power metal sinfonica finlandese Stratovarius, la quale nella seconda metà degli anni '90 ebbe un discreto successo commerciale anche in Italia (ed è tutt'ora attiva). In realtà il batterista di Dortmund è un vero session man, avendo militato in tantissime metal band, tra cui gli Avenger (poi diventati Rage), Running Wild, Grave Digger, Alex Rudi Pell e molti altri, un personaggio sicuramente di rilievo nel panorama del metal tedesco .Il quinto batterista della storia della band, appunto Jorg Micheal (dopo Pete Gill, Nigel Glockler, Nigel Durham e Fitz Randow, considerando solo quelli studio) rimarrà giusto in tempo per il tour, perché ci sarà nel 2006 il clamoroso ritorno di Nigel Glockler, amatissimo dai fan dietro la batteria. Del resto negli Stratovarius Jorg aveva un ruolo molto più attivo che essere solo il batterista, e dunque fu ben felice di tornare nella band finlandese. Tornando a "Lionheart", l'album vede la produzione di Charlie Bauerfeind con la supervisione come sempre del mastermind della band, ovvero sir Biff Byford. Inizia la collaborazione con l'agenzia ICS di Thomas Jensen come manager della band, personaggio di cui abbiamo già parlato in precedenti recensioni che, su richiesta specifica di Biff, ha deciso di intraprendere la carriera di manager di un band al 100%, dopo aver tenuto le redini del Wacken Open Air, kermesse metal sempre più apprezzata da critica e fan. A disegnare la splendida copertina ancora una volta troviamo oramai l'amico della band Paul Raymond Gregory; sulla falsa riga della mitologia che vuole i Saxon gradire argomenti epico-storici, almeno dalla meravigliosa copertina di "Crusader" del 1984, Gregory rispolvera ancora le crociate, questa volta parlando del grande Re Riccardo Cuore di Leone (Lionheart, appunto) la cui immagine è rimasta scolpita nell'immaginazione e nei libri di storia. Sotto il classico moniker dei Saxon, giallo nero troviamo un prestigioso e ricamato stemma araldico. Due grifoni alati color oro tengono uno stemma fatto a scudo con una croce rossa su sfondo bianco (la croce di San Giorgio, simbolo dell'Inghilterra) e su tre quarti dello scudo vi sono in ordine da sinistra verso destra: un aquila nera (che volendo si può sempre riferire a anche agli stessi Saxon), tre leoni britannici (altro simbolo storico della perfida Albione) e diversi gigli blu a rappresentare i possedimenti francesi di Riccardo I (che era tra gli altri titoli anche Duca di Normandia). Un artwork che, se paragonato al precedente, sicuramente trasmette ancora più forza nerboruta e verve di spirito; quel simbolo così regale e muscoloso nel suo insieme, riporta alla mente degli appassionati e non ricordi lontani, clangore di spade ed antiche armature. Battaglie sanguinolente in cui onore, rispetto e forza erano gli elementi portanti, senza mai fermarsi, ma sempre andando avanti per uno scopo. Il cd picture colorato ancora con la croce di San Giorgio rende ancora più iconoclastico il tema della Bretagna nel Medioevo. Curiosa questa sorta di attaccamento alla nobile patria, per un band come i Saxon oramai quasi dimenticati nella loro nazione, invasa dal brit-pop o rock commerciale come si voglia chiamare. Di fatto i Saxon devono ringraziare la loro seconda patria, la Germania, se ancora esistono, oltre ovviamente alla loro caparbietà nell'insistere nel fare un certo metal classico che oramai per molti sembra anacronistico. Non dimentichiamo che la band aveva, in quegli anni, una etichetta discografica tedesca, manager tedesco, produttore tedesco e un membro della band teutonico anch'esso. "Lionheart" come vedremo è un altro classico d'autore dei Saxon: è un album heavy metal, con anche delle robuste accelerazioni, ma è un soprattutto un album che definirei elegante, con liriche come sempre attente e non banali , con la giusta dose di epica e suggestione che solo la band metal sanno regalare ai fan. Nella foto fatta dalla band nel libretto troviamo guarda caso Biff Byford indossare un maglietta del Wacken 2004 (un po' di pubblicità anche al manager non guasta mai) con un Paul Quinn oramai "pelato" con bandana: un' immagine che diventerà classica in questi anni a venire. Bando tuttavia ad ulteriori indugi, il reame di Riccardo ci aspetta, indossiamo cotta di maglia e scudo, alziamo la spada al cielo e tuffiamoci in questo meraviglioso mondo.

Witchfinder General

Per la gioia dei fan dei Saxon, l'inizio del nuovo album vede un corazzata metallica subito in prima linea: "Witchfinder General (Il Grande Inquisitore)". Un suono potente di basso, quasi sabbathiano, e subito parte come un fulmine a ciel sereno la velocissima ritmica. Jorg Micheal, che sembra già subito a suo agio, picchia come un fabbro fin dall'inizio con ottima doppia cassa nel chorus. Quinn e Scarratt avvolgono come un mantello rassicurante le strofe cantate, con una voce più studiata e malefica di Biff. Il chorus è in sostanza la ripetizione molto esasperata, di Biff stesso, del titolo per due volte, la marcia ritmica riprende subito per il secondo verso, seguito dal chorus. Si rallenta il tutto con il basso di Nibbs Carter in evidenza e si odono in sottofondo degli inviti espliciti alla "confessione" davanti alla Santa Inquisizione ("confess"?"confess to me") e con risate malefiche di Biff contraffatte digitalmente. L'atmosfera si fa dannatamente elettrica e trascinante, le metriche, per quanto semplici ed immediate, risultano geniali e traghettano la nostra mente verso di loro già al primo ascolto. Doug Scarratt introduce il solo seguendo anche i precisi cambi di tempo dettati da Nibbs / Micheal. Ritornano le chitarre all'assalto come rasoi per l'ultima strofa, bridge e chorus con un ultimo direi urticante urlo di Biff nel finale. In dissolvenza torna ancora il basso di Carter con i piatti di Micheal, quasi a lasciare il tutto in una sorta di mistero fumoso nei meandri di un lontano medioevo. Liricamente è evidente il riferimento al personaggio del Grande Inquisitore (in particolare all'avvocato -inquisitore inglese Matthew Hopkins, che praticò le sue malefatte nel 17° secolo durante la guerra civile) che arriva nel villaggio per estorcere la confessione di un peccatrice, ritenuta adoratrice del Diavolo, e quindi strega (erano gli anni del Malleus Maleficarum, il martello delle streghe, manuale sanguinolento che istruiva il clero su come ricercare e torturare tutte le donne ritenute fattucchiere del male). Come sappiamo per evitare atroci tormenti dovuto a torture piuttosto malvagie, il malcapitato o la malcapitata doveva confessare un reato, anche se solo presunto e non provato con il risultato in ogni caso di trovarsi comunque condannata al rogo. La Santa Romana Chiesa ed il suo secolare potere si manifestò nel tardo medioevo attraverso metodi piuttosto barbari, per sopprimere religiosi considerati eretici (come ad esempio i Catari), ma anche scomodi personaggi come potevano essere Giovanna D'Arco o l'ultimo Grande Meastro dell'Ordine dei Templari (in realtà inviso dall'allora Re di Francia per le ricchezza accumulate in Terra Santa). Nella canzone dei Saxon è una sventurata ritenuta una strega a subire sevizie ed essere condannata al rogo ("vi pentirete di aver mandato il Grande Inquisitore"). Il titolo della canzone prende spunto con grossa probabilità dal film omonimo inglese del 1968, "Witchfinder General" del regista Micheal Reeves, interpretato da un popolare attore dell'epoca, specializzato in horror, come Vincent Price, e che fra le tante cose, ispirò anche nome ed iconografia della band omonima, dedita ad un Proto Doom di grande effetto. Il film subì delle censure all'epoca per scene ritenute troppo violente per il pubblico, in ogni i caso i Saxon hanno fatto un videoclip utilizzando delle immagini in bianco e nero del lungometraggio, alternate con quelle della band mentre suona, un po' come facevano gli Iron Maiden nei vecchi video ann'80 come "The Trooper" o "Run to the Hills". Davvero un ottimo inizio di album per i Saxon e un canzone che saltuariamente verrà ripescata nelle set list live.

Man And Machine

Passiamo alla seconda traccia, intitolata: "Man and Machine (Uomo E Macchina)": l'inizio è solo leggermente meno dirompente rispetto alla prima traccia, lo "start" è dato da un preciso colpo di cassa di Jorg Micheal , seguito a ruota dal resto della band che si incanala subito verso una ritmica aggressiva e costante, con Quinn e Scarratt che si prodigano a vicenda in un riff preciso, veloce e soprattutto molto heavy, che accompagna brillantemente la band verso la prima strofa, la quale vede un enorme comparto vocale innalzarsi dalla nebbia, con un Biff in straordinaria forma come sempre. Il chorus è diretto e rimane stampato nella mente dell'ascoltatore da subito, il brano ha nella sua semplicità un impatto complessivamente convincente e felice. Le atmosfere quasi meccaniche che si vengono a creare man mano che procediamo nell'ascolto, ricordano sia grandemente il titolo stesso della canzone, sia la sensazione di velocità costante che la ritmica ci impone di avere in testa. Ci sentiamo letteralmente a bordo di un fiammante bolide che sfreccia sull'asfalto caldo del deserto, gas a manetta e via, verso la libertà. Dopo l'ennesima combo disolo, ultimo verso e chiusura di Biff sottolineando platealmente le tre parole che compongo il titolo, andando a chiudere il cerchio in maniera egregia; la corsa in auto si è fermata, abbiamo premuto il pedale del freno e le ruote hanno striduto sul rovente manto nero della strada, lasciando una enorme sgommata. Biff Byford, da straordinario narratore di vicende storiche e umane, con questa canzone che vede appunto protagonista l'uomo e la macchina. Pensavo ai tempi dell'uscita del disco che Biff si riferisse alle invenzioni tecnologiche e al classico tema dell'uomo contrapposto alle macchine/robot. In realtà l'ottima auto-biografia di Biff ha chiarito su cosa andava a parare il testo; pur non citandolo per nome e cognome, le liriche parlano degli straordinari record di velocità ottenuti sul suo Bluebird (prototipo studiato per ottenere il massimo delle prestazioni) del pilota automobilistico inglese Donald Campbell. Egli si è spinto al limite più volte per battere dei record di velocità assoluti, in particolare un primato prestigioso fu ottenuto nel 1964: in quell'anno Campbell batté sia il record di velocità di terra, sia quello sull' acqua. Nel tentativo di migliore ulteriormente i primati, il pilota mori tragicamente nel 1967 nelle acque di Coniston Water a soli 46 anni, il suo "Bluebird" si ribaltò in acqua durante un test. Le immagini dell'epoca in TV scossero molto il giovane Biff, che non ha mai dimenticato quell'incidente, tanto da trarne spunto 37 anni dopo per un canzone dei Saxon. Non a caso abbiamo descritto l'atmosfera che si respira durante l'ascolto come dannatamente elettrica; sentiamo i giri del motore aumentare mentre il coraggioso pilota cerca di stracciare il record che, ahimè, gli sarà fatale. Acqua blu, fulmine bianco spingendo sé stesso verso l'estremo, l'Uomo e la Macchina. Ha portato il suo mezzo oltre ogni limite tanto da sentire stridere i macchinari sollecitati, limiti massimi di tecnologia che hanno messo la sua vita in pericolo estremo. Era nato per battere questo record e si è sacrificato nel tentativo. La sua leggenda non sarà mai dimenticata, fu il padrone della velocità. 

The Return

La title track è preceduta dalla terza traccia "The Return (Il Ritorno)": un breve interludio strumentale che ci introduce al personaggio di Riccardo Cuor di Leone. Keyboards e cori campionati creano un atmosfera davvero regale, quasi da ingresso in una cattedrale, brevi accordi di chitarra si aggiungono anche voci femminili. L'intro in un certo senso è come se preparasse il ritorno del re su un tappeto rosso con lancio di petali, squilli di trombe e cori celestiali, davvero è questo il climax che si respira in questi 1 minuti e 18 secondi. Cavalieri antichi, armature scintillanti e metriche da marcia medioevale sono l'ingrediente segreto di questo piccolo intermezzo che i Saxon mettono in piedi per prepararci alla traccia successiva, la regina del disco. Si respira l'aria di quegli anni, dove si, sangue e morte erano all'ordine del giorno, ma dove parallelamente si innalzava il vessillo del rispetto e dell'onore, sfidando la sorte ed il proprio coraggio ogni volta che ve ne era bisogno. Le tastiere creano quel necessario tappeto che ci trasporta nella dorata e litica sala di un trono, dove ad attenderci troviamo la corte del re in tutta la sua interezza, dame e cavalieri pronti a salutare il proprio signore con reverenza e rispetto, in trepidante attesa.

Lionheart

"Lionheart (Cuor Di Leone)" quindi subentra in tutta la sua pomposità regale, inizialmente con ritmiche sincopate in mezzo tempo, utili da far battere le mani al pubblico dal vivo fino ad un preciso ed efficace cambio di tempo, ancora per qualche istante prima che subentri lo scaltro Biff, talmente a suo agio nel cantare questi testi che lui stesso potrebbe essere definito un nobile del metal. Le strofe sono accompagnate da accordi molto semplici ma molto cerimoniali nell'incedere, con delle sovra-incisioni di chitarra classica appena udibili in sottofondo. L'ingresso del re è accompagnato da applausi di alta levatura, i signori della zona circostante sono tutti presenti per assistere al discorso ed alle commemorazioni di Riccardo, probabilmente uno dei più nobili regnanti che il mondo ricordi, quasi una vera e propria leggenda immortale. Avanza per la sala fino al proprio trono col passo di chi sa bene quel che sta facendo, la corona scintilla sotto la luce del sole che entra dalle finestre, le mani si muovono adagio mentre si siede sul ligneo trono, e tutti sono in attesa delle sue parole. Altro cambio di tempo , e si ritorna ai ritmi iniziale per il chorus cantato con precisione e bravura da Biff. Seconda strofa e chorus con Biff che lancia un paio di urlacci del titolo della canzone. Nella parte centrale della anthemica "Lionheart" ritornano le tastiere e il clima sacrale della intro "The Return" con spazio per il solo e poi per un improvvisa e ruvidissima accelerazione delle due chitarre quasi a sottolineare che pur sempre stiamo parlando di una band dannatamente heavy metal. Strofa e chorus finale con le tastiere accreditate sul boooklet ad un certo Chris Stubley. Finale elegantissimo con la band che riprende il tema iniziale e finisce poi con il rallentare palesemente i ritmi fino alla chiusura. Qualche cenno è doveroso su Riccardo I, detto "Cuor di Leone" protagonista delle liriche della canzone title-track. Nell 1192, dopo aver conseguito alcuni successi in Terrasanta, e dopo aver strappato con il grande Saladino una tregua di tre anni, Riccardo I detto "Cuor di Leone" è costretto a tornare in Inghilterra a reclamare il proprio regno poiché il fratello Giovanni Senza-Terra aveva cercato di auto-proclamarsi Re con l'inganno. Le liriche sono la descrizione di quello che un osservatore del tempo possiamo immaginare avesse visto. Il re monta su splendidi cavalli bianchi bardati, le insegne sventolano nel vento, è ritornato per riprendersi la corona. Cuor di Leone difensore della fede, Cuor di Leone, protettore del regno; ben si descrive l'attitudine di questo regnante leggendario, il cui alone sacrale e quasi mistico ancora oggi stupisce. La sua terra è in pericolo, ed egli torna indietro per salvarla, qualunque cosa succeda, a qualsiasi costo. Il Re sta tornando, pire di fiamme ed i fuochi vanno accesi per segnalare il suo ritorno, suonate le campane, che cantino i menestrelli , ci saranno tante storie da raccontare. Diffondete la notizia, il Re sta tornando con la spada in mano per riportare ordine e giustizia. "Lionheart" entrerà subito nel cuore dei fan, diventando un classica a pari merito di pezzi come "Crusader" e "Princess of the Night", sebbene per motivi di spazio non sempre sarà presente nelle scalette dal vivo. 

Beyond The Grave

La quinta traccia è una altro pezzo interessante dal titolo di "Beyond the Grave (Oltre La Cripta)". Essendo un canzone che parla di spiritualità dopo la morte, il clima fin dai primi battiti è soffuso e malinconico;  infatti si inizia con accordi di chitarra molto melodici, quasi da triste ballad, con un breve aggiunta di basso e qualche effetto ebbene poi i toni di alzano pesantemente. Biff Byford canta con circospezione le prima parte della strofa, poi alzando nettamente la voce si fa più aggressivo, fino a giungere ad un ottimo bridge prima del vero chorus. I Saxon, se possibile sembrano ancora più ispirati in questo album rispetto ai due ottimi lavori precedenti. Azzeccano bridge e chorus, mai banali e ripetitivi ma anzi ti entrano subito in testa a canticchiarli. Dopo il secondo verso, parlando appunto di "voci che giungono aldilà della cripta" anche la voce di Biff si placa insieme a tutta la band con un effetto quasi da voce lontana come se fosse filtrata su frequenze radio. Ci chiediamo da secoli cosa ci sia oltre la vita, quale futuro aspetta che trapassa a miglior vita. Dubbi esistenziali che in questo frangente vengono sciolti e declinati in maniera abbastanza oscura e buia, avvolgendoci la testa come un setoso manto. In molti negli anni hanno dichiarato varie volte di aver visto o sentito qualcosa, e mentre le buie note della canzone scorrono, iniziamo piano piano a sentire il gelido morso della morte sulla nostra spalla, e la lucente lama della sua falce che ci passa sulla gola. In questo clima di apparente calma Paul Quinn ci regala un delizioso solo, seguito dal bridge per poi attaccare l'ultimo strofa, doppio bridge e quindi il chorus che subisce una accelerazione poderosa nel finale con un ultima ripetizione quasi spettrale di Biff a chiudere. L'album prosegue, oltre che con la musica, anche con la sua strepitosa ispirazione, ogni testo che viene scritto ha un qualcosa dentro di epico. Il clima un po' malinconico e spettrale che si viene a creare in questo slot, ha un protagonista non meglio precisato, che mentre ascolta la nenia che il comparto musicale offre, ode provenire dalla tomba delle voci e delle presenze spirituali, si chiede se qualcuno sia là fuori ad aspettarlo. Stiamo aspettando un segno, che sia solo la nostra immaginazione. Al di là della tomba la musica continua a suonare, producendo ritmi man mano sempre più oscuri e dark. Quando le ombre danzano sulle pareti che sembrano stringersi intorno a noi, inizi a sudare freddo e a paralizzarti dalla paura, si possono sentire le tue urla nella notte. Il tema è comunque un classico della letteratura e della cinematografia, in particolare quella horror, dove abbiamo visto in passato realizzati molti cinema su presenze extrasensoriali, fantasmi e quant'altro. I Saxon stessi in maniera un po' lugubre hanno realizzato un videoclip di notte vicino ad una sorta di maniero. E' bastato qualche candelabro piazzato qua e là e un pò di ghiaccio secco da cui nella fumeria si intravedono i Saxon per creare giusto la giusta atmosfera spettrale e lugubre (il freddo della campagna inglese, quello doveva essere invece molto reale, senza finzioni). Purtroppo passati gli anni 90 e con l'incombenza del web, girare un videoclip è molto costoso, e nel caso della storica band anglosassone anche abbastanza inutile, visto che non avrà sicuramente rotazione se non all' interno di improbabili programmi metal notturni. Infatti come per molte band anche i Saxon realizzeranno in futuro video sempre più semplici e scarni, con un budget sicuramente limitato al minimo. 

Justice

"Justice (Giustizia)" inizia subito con un riff avvolgente, molto heavy, con una potente accelerazione anche nel bridge, anche qui il lavoro di Micheal è perfetto, nulla da dire. Nel chorus Biff "chiede giustizia " anche con urletti piuttosto curiosi, soprattutto dopo la seconda strofa. Una canzone nella quale il manto della redenzione e della richiesta di aiuto si respira fin dai primissimi accordi. Siamo circondati da catene e chiediamo solo di essere liberati, non più di essere oppressi da uomini che cercano di soggiogare la nostra mente. Nella parte musicale si odono in sottofondo degli effetti speciali, forse non del tutto riusciti, che dovrebbero rappresentare le cronache giudiziarie di un processo e il suono del martello del giudice che picchia. Il finale è contraddistinto da arpeggi di Quinn sulle ultime ripetizioni del titolo, prima del brusco stop. In questo caso le liriche non sembrano andare a parere su un personaggio o su un avvenimento specifico, ma sull'argomento giustizia visto dall'angolazione comune. Chi emette delle sentenze ha problemi di coscienza ? Se vengono liberati i colpevoli cosa succede agli innocenti, quando si abbate il martello siete sia giudice che giuria. Abbiamo la forza per lottare per la libertà ? Voglio giustizia, datemi la giustizia. Non ho trovato in questa canzone l'amara analisi su come la giustizia sia rapita, dissacrata e violentata come intendevano in "?and Justice for All" i Metallica ( con tanto di caduta simbolica delle Dea Bendata con il libro e la spada). Seppure nelle urla di Biff che chiede giustizia vi è forse una preghiera, un invito a fare con coscienza il proprio lavoro, senza essere superficiali o peggio ancora ancora corrotti. In galera finiscono poi innocenti o chi non ha i soldi per permettersi avvocati di grido. La musica procede senza quasi alcun intoppo, salvo alcuni momenti vocali del biondo frontman che, come analizzeremo fra poco, potevano essere evitati senza alcun problema sostanziale. In un album che rasenta, come vedremo anche nel proseguo, la perfezione, un piccolo difetto può essere evidenziato da questa urla un pò fuori controllo di Biff, di cui francamente non eravamo abituati e che in qualche modo lasciano basiti. D'altro canto la song "Justice" mostra come il produttore Bauerfeind abbia fatto un ottimo lavoro in fase di missaggio dei suoni, tutte le canzoni hanno un suono fresco, ma nello stesso tempo molto ancorato al metal anni '80 e non sembrano intravedersi dei cali di tensioni: va dato atto anche che i Saxon hanno scritto e composto canzoni fino a questo momento ineccepibili.

To Live By The Sword

L'inizio di "To Live by the Sword (Vivere Per La Spada)" è un esempio ancora esaltante della grandezza assoluta dei Saxon: il riff iniziale e micidiale e tagliente come il katana giapponese (visto che si parla di Samurai), taglie letteralmente in due le nostre orecchie, e le due chitarre accompagnano le prime strofe di Biff, creando un atmosfera magica fin da subito. Tutta la band subentra tenendo un ottimo ritmo, tanto da risultare insieme a "Witchfinder General" uno dei pezzi più veloci dell'album. I guerrieri orientali si schierano sul campo di battaglia senza alcun timore o paura, sguainano la spada per proteggere il loro imperatore, e la musica così veloce e muscolosa altro non fa che alimentare il loro sentore di coraggio e nobiltà d'animo, in una terra millenaria come quella giapponese. Un secondo ritornello è sottolineato da un tono altissimo di Biff, forse mai raggiunto se non all'inizio carriera, mi ricorda qualcosa degli acuti di Tony Martin (altro straordinario talento di Birmingham, schiacciato dai due miti che hanno accompagnato la carriera dei Sabbath, il madman Ozzy Osbourne prima, ed il folletto magico Ronnie James Dio poi). Doug Scarratt con il suo tipico stile velocissimo con le dita sulle corde esegue un solo che sembra quasi un combattimento all'ultimo sangue, prima che torni il riff tritacarne iniziale. Le affilate lame producono scintille e ci fanno sollevare nella mente ricordi lontani, antichi guerrieri vestiti con la tipica armatura del samurai, maschera sul volto, silenziosi e letali come la più sofisticata delle macchine da guerra, colpivano il nemico senza alcuna pietà. Ultima strofa per un lanciatissimo Biff, prima del ritornello in cui ripete ancora l'esaltazione canore di cui parlavo sopra. Tocca alla band chiudere poi il finale bruscamente. "Vivere e morire per la spada": un frase che fa parte della tradizione Samurai del Bushido, ma che avrebbe fatto piacere anche a Joey De Maio dei Manowar, dove non mancano le citazioni del metallo, dell'acciaio e della fierezza di vivere e morire tramite una spada appunto. Anche gli Iron Maiden ne sanno qualcosa, quando scrissero "Sun and Steel" sul masterpiece "Piece of Mind", quando parlavano di un guerriero formidabile con la spada già da minorenne. Non potevano i Saxon tirarsi indietro ? Del resto tra Crociate, Guerre Mondiali, Alieni, Draghi e quant'altro Biff ci ha abituati a testi epici, qui si esalta la figura del guerriero samurai , che segue la "via del guerriero" e sa che deve vivere , lottare e morire con la spada in mano, seguendo il codice d'onore. Nati all'ombra dei monte Fuji il guerriero deve combattere per l'Imperatore, con la sua spada forgiata da altri shogun prima di lui. Molti sono morti prima di lui ma deve essere impavido e coraggioso e inginocchiarsi chiedendo perdono ai propri antenati. Lo spirito samurai cammina con voi , la vostra lama di acciaio indistruttibile è forgiata nella terra dello shogun  Un brano che ben esprime la fierezza di questi guerrieri, sempre pronti a gettarsi nella mischia e difendere il proprio nome, finanche a togliersi la vita se l'onore stesso veniva messo in discussione. La musica va di pari passo con esso, inalberandosi in metriche sempre più scarne e veloci al tempo stesso, lucenti e taglienti come la spada stessa che fa da contorno allo slot.Per combattere si portano il loro sigillo, per vivere tramite la spada. 

Jack Tars

Passiamo all'ottava traccia, intitolata "Jack Tars": si tratta di un canzone piuttosto breve, in realtà poche strofe poetiche cantate da Biff accompagnato solo da strumenti acustici. Questa canzone di fatto introduce il tema della marina militare britannica ai tempi dell'Impero ed in pratica il pezzo successivo dell'album. Un marinaio canta del proprio viaggio, non sapendo se tornerà, il dovere lo chiama. Forse potrà raccontarvi di tante storie di mare e sangue invita i Jolly Jack Tars ad alzarsi , il dovere li chiama: sono tutti uomini coraggiosi . Capitani che sfidano i meravigliosi ed altrettanto pericolosi flutti del mare per giungere all'obbiettivo. Il loro animo è saldo e lo speech acquisisce ancora più verve ed atmosfera grazie alla voce di Byford, che si sofferma su ogni strofa con fare anche egli da condottiero senza alcun timore. Soffermiamoci però ancora un attimo sul titolo della canzone, non credo che tutti abbiano subito capito che Jack Tars (si può anche scrivere tutto attaccato Jacktar) non è come sembra il nome di un pirata o di un bucaniere ma, piuttosto, è il mondo comune in inglese per definire marinai ed in particolare quella della Marina Reale Britannica, non era un vezzeggiativo, ma anzi, un termine di cui andavano orgogliosi i militari. Per gli amanti degli aneddoti c'è anche un film muto del 1915 che porta il nome della canzone dei Saxon ma che non c'entra nulla con il testo di Biff che invece si collega con la canzone successiva. Un momento corale che la band mette in piedi, come era accaduto precedentemente per l'introduzione allo slot su Riccardo, per stendere il giusto tappeto e creare il pregno alone di atmosfera necessario per scatenarsi nei minuti successivi. 

English Man 'o' War

Come abbiamo precedentemente accennato, la traccia successiva è "English Man 'o' War (Uomo Inglese di Guerra)": tra i temi epici dei Saxon mancavano appunto anche quelli marinai o pirateschi alla Running Wild, saremo anche i questo caso accontentati. La musica procede spedita anche in questo frangente, portando alla nostra memoria ricordi d'acciaio, quando fulgore di spade e scudi cozzavano fra loro, anche se particolarmente qui siamo su temi marinareschi. Ci imbarchiamo su una lucente nave da guerra, la chiglia risplende nell'acqua del porto, e salperemo alla volta del grande blu davanti a noi, affrontando ogni situazione come capitani coraggiosi. Ancora un volta le due chitarre sono protagoniste all'unisono, prima che dopo pochi secondi subentri tutta la band. Il dinamismo dei versi è ben sottolineato dal cantato di Biff, un melodico e azzeccato bridge precede un chorus piuttosto diretto e semplice, dopo la seconda strofa e chorus è Paul Quinn a deliziarci di un suo come sempre coinvolgente solo, prima che torni il riff macinante iniziale. Questa volta il bridge è più lungo con un gioco di più voci sovrapposte dello stesso Biff, il cui urlo finale sancisce il brusco finale. La battaglia infuria di fronte ai nostri occhi, la guerra sta per iniziare, colpi di cannone e spade conficcate nelle carni, questi è lo scenario apocalittico che ci si para di fronte allo sguardo, ma ben sappiamo di poterci fare poco, è il nostro lavoro. Musica e testo si concatenano alla perfezione, disegnando scenari sempre più complessi, rallentando ed accelerando man mano che arriviamo alla deflagrazione finale, in cui la battaglie entra ed arriva al suo apice massimo. "English Man 'o' War" era definita la Royal Navy di sua Maestà, vascelli che sono stati resi celebri dalla famosa battaglia di Trafalgar del 1805 (all'interno delle guerre di coalizione contro Napoleone) che ha reso immortale nella storia le vicende dell'ammiraglio Orazio Nelson. Da notare che soltanto una delle 27 navi da battaglia inglesi fu abbattuta quel giorno, mentre fu una totale sconfitta per la marina franco-spagnola, che vide inabissarsi ben 22 navi. La canzone dei Saxon celebra più la grandezza e la potenza di queste navi più che parlare dell'ammiraglio Nelson. Lui è il più grande condottiero della sua epoca, le navi rischiano di schiantarsi nel mare in tempesta, ma attraverso i quattro venti si precipita in battaglia, che risuonino i cannoni dei vascelli inglesi ! Costruiti con rovere solido, e con vele di seimila cantieri, affrontano foderate d'acciaio le insidie del mare. Chiamata alle armi, la musica procede e continua la sua frenetica corsa sulle note dell'epicità, i cannoni vengono caricati con le palle, ecco cadere il sotto il fragore l'albero maestro del nemico, carne e ossa vengono attraversate dai colpi. La battaglia proseguirà per tutta la notte. Un omaggio come sempre suggestivo dei Saxon alle battaglie marine che videro protagonisti i vascelli dell'Impero Britannico.

Searching For Atlantis

Suoni gotici di tastiere che possono un po' ricordare "Gothic dreams" di "Unleash the Beast" del 1997 sono l'intro di "Searching for Atlantis (Cercando Atlantide)" su cui poi si eleva lentamente con un riff molto thrashy di chitarra tutta la band. Se c'è una cosa che suona maledettamente bene su "Lionheart" e il missaggio delle due chitarre, veramente graffiante e stimolante per ogni amante del metal, senza peraltro scegliere suoni troppo grevi e pesanti. Ci stiamo immergendo alla ricerca della mitica città perduta; percorriamo gli abissi, la pressione sul nostro sottomarino inizia a farsi davvero opprimente, ci fischiano le orecchie ed il rumore si fa insopportabile, ogni metro che avanziamo continuiamo a soffrire, ma ciò che ci aspetta alla fine dell'arcobaleno, è una delle scoperte migliori della nostra vita. Tornando alla canzone, Jorg Micheal picchia preciso come un metronomo anche quando non c'è troppa velocità, Biff canta con pathos accompagnato nella prima parte delle strofe anche da un chitarra classica , prima che subentrino le chitarre british (come le chiama Biff dal vivo) della oramai affiatata coppia Scarratt / Quinn ad accelerare il tutto con un chorus molto melodico e piacevole. Spettacolare e articolato l'assolo di Quinn, prima di un momento strumentale melodico in cui viene ripetuto solo la base musicale del chorus, prima che inizi l'ultima strofa. Il finale è lasciato in una chiusura molto melodica di tutta la band. Non sarà la "The Eagles has Landed" del 2000, ma devo dire che anche questa canzone ha nel suo DNA le caratteristiche che sempre hanno sempre appassionato dei Saxon: melodia, potenza, ottimo chorus e interessante storia. Sarà forse anche per le liriche affrontate su ogni canzone, ma questo album dei Saxon ha qualcosa di magico, un'aura incantata che rende tutto molto elegante, un band che raggiunto quasi la perfezione stilistica. Il viaggio negli abissi prosegue, stiamo per raggiungere l'antico continente o isola di Atlantide, il cui mito risale agli scritti di Platone a Timeo nel IV secolo dopo Cristo. Posizionata nelle leggenda aldilà delle Colonne d'Ercole (quindi nell'attuale Oceano Atlantico) era una potenza navale che secondo il mito in un lontanissimo passato avrebbe conquistato territori fino ad arrivare anche ad Atene, prima di cadere misteriosamente in disgrazia e sprofondare lentamente negli abissi marini. Aldilà dei miti fantascientifici e della teoria in generale sulla ricerca di Atlantide, in questo testo per Biff sia come una sorta di percorso interiore da fare nella propria vita, una ricerca del significato profondo della nostra esistenza. Non si può cambiare il proprio passato, la chiave di tutto e nella nostra mente, diversi porte bisognerà aprire prima di trovare la nostra Shangri-La o Xanadu a dir si voglia. Costruiamo il nostro destino giorno dopo giorno attraverso curve e tornanti, ma non abbiamo nessuna certezza su quello che troveremo alla fine dei nostri giorni, ma non saremmo spazzati via come castelli di sabbia. 

Flying On The Edge

L'ultimo pezzo, "Flying On the Edge (Volando Al Limite)" è interessante per due aneddoti: il primo riguarda la band on the road nel giugno 2003 da cui come sempre Biff ha preso spunto la canzone, e uno riguarda il sottoscritto. Ma partiamo dalla canzone: pezzo robusto, più orientato verso hard rock rispetto alle altre canzoni e scandito da un riff arrabbiato molto semplice sui cui i due chitarristi amano rifinire, peraltro anche il chorus è basato ancora sullo stesso andamento. Il finale è quasi una sorta di funky blues con il campanaccio di Micheal e la band a finire quasi in una sorta di caciara sonora. Stiamo sorvolando il cielo del mondo, ma ad un certo punto succede qualcosa, un imprevisto inaspettato e mortalmente pericoloso, che ci costringe per un attimo a stare sul filo del rasoio. Mentre la musica, seppur nella sua semplicità, scorre tranquilla ed a spron battuto come tutto il corpus del disco stesso, continuiamo a percepire il pericolo sulla nostra spalla e sulle nostre teste, i soli di chitarra ben si legano al momento topico che la band ha voluto mettere in piedi, creando una atmosfera di suspense pazzesca. Il pezzo meno forte dell'album e che forse si poteva anche omettere dal disco stesso, se non fosse proprio per il curioso testo / aneddoto di cui parlavo prima. In quel di Milano, nella rovente estate del 2003 (una delle più calde in Italia da molti anni) i Saxon dovevano suonare verso sera al Gods of Metal all'ex PalaVobis prima di Queensryche e Whitesnake. Un cambiamento all'ultimo momento costrinse la band inglese ad un cambiamento dell'ultima ora, suonando di fatto alle 13 sotto un caldo rovente, poiché, bisogna  dire incredibilmente, ai Saxon fu offerto di suonare headliner in un festival in Germania. Roba da anni '70, due concerti in un solo giorno, ma perché scriverne una canzone ? Presto detto: Biff e  tutta la crew presero in fretta e furia un aereo da Milano, con destinazione Dortmund ma, per le cattive condizioni metereologiche, l'equipaggio si prese un bello spavento, l'aereo fu colpito da un fulmine e la stabilità fu messa a serio rischio ecco perché si parla di "volare al limite". Concatenandosi bene con la musica, il testo trasmette in maniera simbolica l'aria che si respirava all'interno di quel volo, in quel preciso momento quando il fulmine colpì la carlinga del velivolo, mettendo a rischio l'intero viaggio. Nelle liriche iniziali c'è anche un errore direi veniale di Biff: il Gods Of Metal italico l'anno prima si era svolto a Monza e dunque anziché Milano Biff dice "siamo volati via da Monza, dove abbiamo suonato al Gods, per poi presiedere un festival in Germania, battendo tutte le avversità". Il realtà a parte la licenza poetica, il Gods of Metal italico, oramai decaduto negli ultimi anni, si è sempre svolto in città e location diverse e non possiamo certo biasimare se gli artisti vadano un po' in confusione su luogo o la città dove si trovano, del resto poi Milano e Monza sono attaccate, come ben sa il lettore. L'aneddoto di chi vi scrive e che si incrocia con la canzone è che non avendo all'epoca internet e non essendo ancora giunto a noi il tempo dei social network e degli smartphone, mi recai al concerto, dove avrei visto i Saxon per la prima volta in assoluto, e fui spiacevolmente avvisato che aveva già suonato. Immaginate la delusione, per altro di uno dei Gods nel complesso più deludenti in assoluto, anche perché i presenti furono letteralmente massacrati dalle zanzare (anche i Queensryche per la cronaca ebbero miriadi di problemi tecnici, suonando solo mezzora).

Conclusioni

"Lionheart" come scrive Biff Byford sulla sua auto-biografia "Never Surrender", è stato da qualche fan considerato un concept, cosa che non corrisponde al vero. Ciò nonostante come il cantante riconosce c'è stata in fase di scrittura delle canzoni una sorta di patriottismo britannico inconscio, dalla copertina iconoclastica si passa dalle vestigia di Riccardo Cuor di Leone alle imprese della Marina Britannica e dell'Ammiraglio Nelson. In più sappiamo che le liriche ed il film del videoclip di "Witchfinder General" sono basate sul personaggio del Grande Inquisitore Matthew Hopkins, anche lui entrato nei libri di storia inglesi. Per non parlare dell'eroe pioniere della velocità inglese Campbell, morto sulle acque alla cerca della fama. In realtà i Saxon hanno saputo rinverdire la propria fama di scrittori di canzoni storiche ed epiche, sulla suggestioni di vecchi libri scolastici e film epici. Si è parlato dei nobili Samurai, di spirituali viaggi sia per sapere cosa c'è dopo la morte sia nel misticismo della ricerca di un continente scomparso, insomma, tantissima carne al fuoco. Il Regno Unito li ha difatti dimenticati da oramai un decennio, sulla suggestione di nuova mode, come il grunge, il nu metal e altri generi rock che hanno lasciato sui Saxon le ragnatele del loro passato glorioso. Eppure Biff & soci non hanno fatto altro che non arrendersi mai, nemmeno di fronte ad alcune batoste economiche che cattive gestioni negli anni '80 li avevano quasi messi in rovina. Per non parlare della faida interna, con gli ex Saxon Graham Oliver, Steve Dawson in primis che hanno cercato di mettere le mani sul logo Saxon. Fortunatamente un giudice ha messo ordine e Biff può con orgoglio portare i gradi e i vessilli della band che ha creato. Inutile sottolineare come sarebbe stato un colpo di grazia se dopo tanto lavoro e dopo una seconda giovinezza molto teutonica Biff & soci avessero dovuto cambiare nome della band. Sarebbe stata molto probabilmente la fine della band o dei Saxon come li conosciamo ora almeno. Negli anni 2000 c'è stato anche un lento risveglio di interesse verso il metal classico, significativo a livello simbolico; ad esempio il ritorno all'ovile di Bruce Dickinson e Adrian Smith negli Maiden e di Rob Halford alla casa madre dei Judas Priest sono un sintomo che il metal stava ritornando alla grande. Qesto non poteva far bene anche agli stessi Saxon che non hanno mai mollato l'osso, come dimostrano quasi tutti i dischi anni 90 e i due successivi al 2000. Non solo James Hetfield dei Metallica chiamerà sul palco Biff per suonare "Motorcycle Man" (mostrando rispetto e devozione ad una della tante band che li aveva ispirati in gioventù insieme al compagno Lars Ulrich) ma anche tra gli addetti ai lavori il rispetto che si sono guadagnati i Saxon, grazie anche a sempre superbe esibizioni dal vivo, non lo hanno avuto molte band. Musicalmente "Lionheart" è un classico senza tempo, che si accosta ai primi lavori storici per la sua bellezza cristallina, canzoni che sanno ancora far emozionare e una grinta da vendere. Anche a livello di vendite, pur senza giungere ai fasti dei primi anni '80, i Saxon riescono a rientrare anche con album come "Lionheart" nelle charts di paesi importanti, sempre considerando che il file sharing e la pirateria in generale non aiuta certo il mercato discografico in generale. Si vendono molte meno copie e gli unici introiti per la band giungono dai concerti dal vivo, di cui tra l'altro la band è stata sempre molto attiva. Anche da questa punto di vista i Saxon sono stati impressionati nel corso di tuta la loro carriera, festival estivi, concerti continui in Europa e hanno sempre girato anche gli States, pur se in piccoli club ma senza mai dimenticare i fan di tutto il mondo compresi anche Sud America, Giappone e Australia. Pare difficile prevedere un fine rapida (come qualche giornalista italiano malvagiamente prevedeva), ma anzi, i Saxon sembrano aver iniziato il nuovo millennio decisi a mostrare i denti e le ferite alle giovani band metal, il cui carisma molto spesso non è minimamente paragonabile a questi instancabili leoni britannici. Per gli appassionati e i collezionisti di vinile dei Saxon ricordiamo che "Lionheart" è stato ristampato ancora in cd in una versione speciale nel 2006 (contenente materiale inedito + la ristampa completa dell'album in dolby 5.1, oltre che ad un portachiavi e una toppa in omaggio) )e nel 2016 in ben due versioni : picture disc per il Record Store Day 2016 e vinile nero 180gr per la raccolta/cofanetto "Eagles and Demons" sempre nello stesso anno.                                                     


1) Witchfinder General
2) Man And Machine
3) The Return
4) Lionheart
5) Beyond The Grave
6) Justice
7) To Live By The Sword
8) Jack Tars
9) English Man 'o' War
10) Searching For Atlantis
11) Flying On The Edge
correlati