SAXON

Killing Ground

2001 - SPV Steamhammer

A CURA DI
DIEGO PIAZZA
22/10/2016
TEMPO DI LETTURA:
8

Introduzione Recensione

Nel 2001, a distanza ormai regolare di due anni l'uno dall'altro, i Saxon escono con un nuovo scintillante lavoro discografico, dal titolo di Killing Ground. Il disco esce ufficialmente il 25 settembre 2001,quattordici giorni esatti dopo la tragedia delle Twin Towers a Manhattan che ha sconvolto il mondo. Il nuovo millennio ricco di incertezze mostra ancora i Saxon in grande spolvero; la loro terza decade inizia con un album solido e convicente, Biff e soci oramai "germanizzati" su tutti i fronti hanno resistito all'esplosione del grunge e del nu-metal, continuando coerentemente per la propria strada. La squadra vincente che ha realizzato l'ottimo "Metalhead" nel 1999 rimane al timone; ancora una volta la band registra l'album presso i Karo Studio di Breckel, ad Amburgo, dove anche ha sede l'agenzia di Rainer Hansel, produttore esecutivo dell'album ed autore di fatto del missaggio insieme a Herman Frank, chitarrista dei Victory e già membro dei famosi Accept. Dietro la console, a contatto tangibile con la band, troviamo ancora una volta Charlie Bauerfeind , piuttosto popolare come producer in quel periodo soprattutto nel metal tedesco. A fianco di Bauerfend come co-produttore troviamo Nikolo Kotzev, produttore, ma soprattutto chitarrista bulgaro della band Brazen Abott. Molti non lo sanno, ma nel 2001 (proprio lo stesso anno dell'uscita dell'album dei Saxon) insieme anche ad una band di ottimi e noti musicisti tra cui i cantanti Joe Lynn Turner, Jorne Land e Glenn Hughes, egli ha realizzato una rock opera dedicata al profeta francese Nostradamus (7 anni prima che avessero la stessa idea i Judas Priest). Per quanto riguarda l'artwork della cover, continua la collaborazione con Paul Raymond Gregory dello Studio 54 a che dal 1984 in poi, spesso è stato chiamato in causa. La parte frontale della cover vede un enorme logo classico della band (con le immancabile due asce incrociate per la lettera S), sotto cui vi è con un elmo d'orato tipicamente sassone con sotto in nero la scritta del titolo. Il tutto su uno sfondo rosso chiaro con una sorta di cornice fatta a greca. L'effetto finale che se ne ricava è quella di una cover massiccia ed epica, l'elmo del soldato ci fa pensare a battaglie lontane, a scontri all'arma bianca su antiche higlands verdi, immerse nel furore d'un tempo che fu. La scelta peculiare, come vedremo nelle tracce stesse che compongono l'album, fa si che questa cover sia davvero bella da guardare, anche se a molti suscitò qualche polemica all'epoca dell'uscita di questo album, data l'abitudine coi Saxon ad artwork decisamente più "disegnati". Sulla back cover troviamo ancora la cornice nera sullo stesso sfondo rossastro ma, oltre che ovviamente ai titoli della undici tracce che compongono l'album, in altro e in basso troviamo in caratteri runici le parole "Saxon" e "Killing Ground". L'esperimento è simile a quello fatto dai Black Sabbath periodo Tony Martin con "Tyr", ed in maniera ancora più estesa nel non eclatante "Gods of War" dei Manowar, album in cui addirittura tutti i testi erano in caratteri runici. Un curiosità da sottolineare a proposito dell'elmo del protagonista presente sul fronte sulla copertina: credo che Paul Raymond Gregory si sia ispirato a quello esposto in una teca della sala dedicata ai sassoni al British Museum di Londra, chiunque ci sia stato lo può testimoniare. Non abbiamo ancora ricordato che "Killing Ground" esce ancora una volta per la Steamhammer / SPV di Hannover, allora ancora etichetta di rilievo, prima di un clamoroso tracollo finanziario. Naturalmente, malgrado qualche problema di alcolismo latente, per il momento, Fritz Randow rimane ancora in sella dietro le pelli, anche perché Nigel Glockler non ha ancora risolto totalmente i suoi problemi di salute, sebbene come dichiarato da più fonti abbia collaborato per la stesura di alcune canzoni come sull'album precedente. "Killing Ground" conferma la seconda giovinezza della band, un album fortemente metal, sebbene solo per qualche dettaglio, come analizzeremo nel track by track, lo fa apparire inferiore ai due precedenti capolavori "Unleash the Beast " ed il già citato "Metalhead". Vi sono pezzi veloci ed epici, alternati però su questo album molto più spesso a cavalcate blues più ammiccanti all' hard rock, componente del resto sempre presente nella discografia. Testi invece che sono sempre all'altezza di un cantante come Biff Byford molto sagace e intelligente, che spazia su argomenti importanti come l'inizio dell'era nucleare e le guerre, alternando le atmosfere con vicende di vita on the road e con argomenti epico - medioevali che fin dai tempi della straordinaria "Crusader" del 1984 non possono mancare. C'è anche spazio per una stucchevole cover, forse la seconda grande cover più bella dei Saxon dopo quella di Christopher Cross in "Ride like the Wind": sto parlando di "Court of the Crimson King" dei King Crimson. Sulla performance della coppia di asce dei Saxon, l'eterno Paul Quinn e l'ex session man Doug Scarratt, durante le registrazioni di "Killing Ground", valgono le belle parole spese dal mastermind e vocalist Biff Byford scritte nel mini biografia contenuta sul loro primo storico dvd "Saxon Chronicle":"L'intesa tra loro due migliora di anno in anno, sono sempre stati ottimi musicisti ma non si fermano sugli allori ma anzi continuano a progredire sempre verso il meglio tra loro". Nessun singolo ufficiale (oramai praticamente in disuso) né tantomeno video ufficiali verranno filmati per promozionare l'album, ad eccezione della title-track di cui parleremo tra poco. Un ultima curiosità, prima di procedere ai raggi X su ogni singola traccia; "Killing Ground" è uscito anche in una versione alternativa con otto tracce rifatte dalla band composta da Byford/Quinn/Scarratt/Carter/Randow, tema che verrà riproposto con la raccolta/remake che uscirà l'anno dopo dal titolo "Heavy Metal Thunder". In aggiunta uno speciale vinile di "Killing Grounds" è stato inserito nel box set "Eagles and Dragons" uscito nel 2016 per la Demom Records. 

Intro

Intro è il viatico dell'album, sinistri suoni di battaglie campali, sia antiche (nitriti di cavalli, spade che si incrociano) che moderne (esplosioni di bombe e macchinari futuristici) rappresentano l'agonia senza fine della guerra, mentre delicati suoni di basso e chitarra accompagnano il tutto. Un campana in lontananza continua a suonare funerea, E' il giusto preliminare alla title-track che parla appunti di terreni insanguinati di guerra che da secoli accompagnano la vita dell'uomo. Per diversi secondi rimane solo il suono soffuso dei due strumenti citati e la campana lugubre, prima che si aggiunga anche la seconda chitarra ritmica. Un ottimo tappeto introduttivo che ben ci fa capire, unito alla copertina stessa, l'atmosfera che respireremo all'interno di questo nuovo disco firmato dai nostri albionici. Massiccio e potente, ma anche cavalleresco e leggiadro come l'onore che circondava questi antichi personaggi, a noi non resta che porgere l'orecchio ed ascoltare le loro avventure e peripezie in giro per il mondo. 

Killing Ground

Killing Ground (Il Terreno Della Strage) irrompe brutalmente con l'ingresso dei tomi di Fritz Randow, seguito da un riff pesante e basso delle chitarre a sottolineare la drammaticità delle atmosfere. Le strofe cantate da Biff sono accompagnate da ottime melodie di Paul Quinn, prima di un cambio di tempo ben ritmato da Randow con ancora Biff a sottolineare un paio di volte il titolo. Seconda strofa e coro, prima di un ottimo assolo di Doug Scarratt che porta ad una nuova strofa e chorus. I ritmi a questo punto si rallentano pesantemente, mettendo in evidenza un ottimo giro di basso di Nibbs Carter che si erge protagonista assoluto, prima che il resto della band subentri al completo per un ultimo chorus. Sempre splendido l'accompagnamento melodico di Quinn, quasi epico, che per tutta la canzone sottolinea i passaggi più belli, un ultimo urlaccio di Biff e la canzone termina dopo pochi secondi di accordi lenti. Sicuramente, dopo un intro come quello che abbiamo appena sentito, veder irrompere così sulla scena un brano come questo è qualcosa di unico; la band risulta, ed è veramente un miracolo pensarci (se si pensa a ciò che stavano facendo i colleghi negli stessi anni), davvero in forma. È ancora puro acciaio britannico che sgorga dalle loro spade come lava incandescente, e si va a riversare sulle teste di noi ascoltatori. Come ci si potrebbe aspettare, liricamente "Killing Ground" non è un attacco spietato alla politica militare o ai pazzi che mandano i soldati in guerra (un po' sullo stile di "The Power & the Glory"), quanto piuttosto un sottolineare quasi l'eroicità dei soldati che, al suono della tromba o al battito di un tamburo marciano fianco a fianco sul campo, sono fratelli in battaglia, combattono per la stessa causa ma uniti resistono, divisi sarebbero travolti sul campo di battaglia. Colpi di cannone seminano la morte tra le truppe a destra e a sinistra, eppure continuano a marciare in mezzo a migliaia di morti fino al giorno della vittoria. Si respira l'aria della guerra in questo slot, ma soprattutto si evince bene la dose di coraggio che questi guerrieri mettevano nelle loro armi quando combattevano; alcuna paura, alcun ostacolo poteva fermarli, gli bastava essere uniti e marciare contro il nemico, come un sol uomo che si scaglia contro ciò contro cui sta combattendo Quindi i Saxon iniziano molto bene, con un classica canzone epica di battaglia che li riporta ai fasti e ai loro standard storici, e come negli ultimi dischi è importantissimo avere sull'album una opener così brillante. Un videoclip ufficiale è stato filmato per questa canzone ma, in realtà le immagini e le riprese sono della loro apparizione al Wacken 2001, con il ritorno in Germania dell'Aquila Gigante e sarà inserito come materiale multimediale nel cd già citato "Heavy Metal Thunder" dell'anno successivo.

Court of the Crimson King

Le atmosfere si fanno più soffuse e prog nella seconda traccia: infatti i Saxon ci sorprendono con l'ottima cover dei King Crimson, tratta dal primo storico LP del gruppo, e title track dello stesso, parliamo di  Court of the Crimson King (Corte Del Re Cremisi) . L'inizio delle chitarre è magnifico, un riff malinconico ben accompagnato dalla parte ritmica, poi subentra la chitarra acustica su cui si esalta, è proprio il caso di dirlo, la bellissima voce di Biff Byford, splendidamente a suo agio anche in questi momenti catartici, poi subentra ancora la melodia iniziale con un ottimo contributo di keyboards e cori dello stesso Biff. La seconda strofa vede questa volta Biff accompagnato dalle chitarre elettriche. Secondo ritornello ed ecco uno stucchevole e molto heavy cambio di marcia con un assolo deciso ed in stile "Eddie Van Halen" di Doug Scarratt. Nella seconda parte le melodie prendono il sopravvento ed ancora una volta Biff canta accompagnato solo da lente note acustiche, quasi sussurrando, mentre nella seconda metà subentra la parte "elettrica" ritmica. Il brano ancora un volta alterna il chorus molto prog rock  all'ennesima strofa di Biff, prima del finale con le chitarre scatenate su cori allungati. Finale lasciato ad un rullata di Randow su cui chiudono con note delicate le due chitarre. Se avete avuto modo di ascoltare la versione originale del 1969 (quindi ben 32 anni prima ) dei King Crimson, la versione dei Saxon è molto fedele, ed anche Biff è stato splendido nell'imitare i passaggi del cantante originale (l'unica differenza è la parte strumentale che in origine era molto meno basata sulle chitarre , quanto piuttosto dalla spaziale energia dell' Hammond). I King Crimson sono un gruppo inglese nato a Londra proprio nel 1969, e che come abbiamo detto, esordì con "Court of the Crimson King", considerato poi da tutti il loro capolavoro assoluto. Il pezzo, inoltre, nel tempo è divenuto un vero e proprio anthem della musica Prog, ma anche delle sonorità sperimentali, Court Of The Crimson King viene ritenuto a gran voce come uno dei migliori album Progressive Rock di tutti i tempi, al pari di Brain Salad Surgery degli ELP, Selling England dei Genesis e Close To The Edge degli YES. La musica che scaturisce nelle tracce che compongono il brano è pura follia musicale (chi non ha mai ascoltato 21st Century? Altro anthem del disco e del Prog) . La musica dei Crimson era considerata pura magia sperimentale, poiché il gruppo, capitanato da Robert Fripp (unico componente ancora presente dopo tanti anni, e vera spina dorsale della band) traeva spunti dallo Psych Rock, dal Jazz,  dalla musica classica, dall'hard rock, così come dalle sonorità molto più barocche e pompose, e molto altro, sperimentazione, niente di più. Il testo verte su un immaginario regno dove la corte si manifesta al Re Cremisi. Un purpureo suonatore di cornamusa soffia nel suo strumenti mentre parte un lento coro, una sorta di ninna nanna in un' antica lingua alla corte del Re Cremisi. Viene intonato un lamento funebre, momento oscuro del mondo in cui la corte viene leggermente avvolta dalle tenebre, ed il Re Cremisi inizia la sua longa marcia , mentre le campane crepate di ottone suonano per l'arrivo della Fattucchiera della Fiamma nella Corte del Re Cremisi. Il suono delle rime e delle parole della lingua inglese rendono la canzone come immersa in una nebbia mistica che la rendono molto attuale alle normali tematiche dei Saxon. Un omaggio meraviglioso della band ad un gruppo che la storia l'ha scritta e riscritta più volte; ciò che salta subito all'occhio è sicuramente l'umiltà con cui i Saxon si sono avvicinati ad un brano simile, così distante dai suoni a cui siamo abituati ascoltandoli. Un modo in cui la band, e particolarmente il suo fondatore, ha voluto sottolineare quanto si riesca a rendere proprio anche un brano che non ha niente a che vedere (testo a parte) con ciò che si fa di solito.

Coming Home

Si passa con la terza traccia ad un riff serrato e subito contagioso: Coming Home (Tornando a Casa) ha il sapore antico e squisito di un vecchio blues, e seppure nel suo andamento sia molto semplice, piace fin da subito. Le chitarre accompagnano le strofe di Biff con sagacia, e dopo il secondo chorus Paul Quinn e Doug Scarratt possono scatenare la loro vena con due ottimi spunti solisti. Pezzo in sostanza piuttosto breve, circa tre minuti e quaranta, forse troppo lineare, ma che ci sta in una band che ha sempre saputo mischiare velocità con melodia e, in sostanza heavy metal con hard rock. Il pezzo procede a spron battuto senza mai sfociare veramente in nessuno dei due generi, né nell'acciaio fuso del Metal, né nell'energia mistica dell'Hard Rock, ma semplicemente un ibrido fra i due. La band omaggia l'America e le origini del Rock stesso, andando a toccare le coste Blues con fare da esploratori, ma sempre con rispetto, in un modo che alla fine, nonostante come abbiamo detto la canzone non brilli per intensità o momenti di sperimentazione, risulta davvero appagante. Sia musicalmente sia liricamente, in "Coming Home" si respira, anzi direi che trasuda proprio, un' atmosfera nostalgica, del resto è chiaramente un cavalcata blues dedicata alla vita on the road. La vita sempre in movimento, tra voli aerei, treni e viaggi in barca è stressante. Durante il viaggio si riflette sulla serata appena vissuta, ma si pensa anche i propria cari, e non si vede loro di riabbracciarli nelle lunga strada verso casa. Mentre si viaggia affiorano i ricordi della propria giovinezza e la malinconia sembra prevalere verso anni che non torneranno mai più. Direi che questa canzone rappresenta penso lo stato d'animo di molte rock star, o comunque delle celebrità in generale, ma perché no, anche delle persone comuni, all'indomani di un grande successo subentra anche nostalgia, soprattutto se si è per lavoro spesso lontani da casa, per non parlare di vere e proprie depressioni nel passare da performance sul palco a momenti meno eclatanti dietro le quinte. Da notare anche che qualche anno dopo, come bonus track dell'album "Into the labyrith", è stata inserita una versione acustica, quindi ancora più "intima", di questa traccia, chiamata "bottleneck version" dai Saxon, credo intesa come versione "rallentata". Recentemente abbiamo letto della depressione ad esempio di cui sarebbe stato afflitto il grande Bruce Springsteen per molti anni; l'immagine che abbiamo di un artista sul palco, spesso non collima con lo stato d'animo reale dell'artista stesso. Psicologicamente non è facile gestire il successo  e non è un caso che non tutti ce l'abbiano fatta a diventare delle rock star equilibrate, soprattutto quando gli anni passano e si sente la mancanza dei propri cari durante i lunghi periodi in tour., il divertimento e l'adrenalina dei primi anni tende poi a diventare una pericolosa routine senza contare inevitabili problemi di convivenza tra i vari membri della band. 

Hell Freezes Over

Hell Freezes Over (Fino A Che L'Inferno non Gelerà) parte su un riff di chitarra prepotente e melodico nello stesso tempo, che si erge come assoluto riferimento all'inizio della traccia, seguito subito dall'ugola sempreverde di Biff. Poi un ottimo ponte precede il chorus che dopo pochi ascolti ti entra subito in testa (con effetti eco del titolo). Uno stupendo solo di Paul Quinn esalta l'ascoltatore e già lo immaginiamo contorcersi quasi come un indemoniato sullo strumento con la consueta grinta. Torna l'ultima strofa ed il riff portante con il chorus ripetuto diverse volte nel finale, prima di una poderosa accelerazione della batteria e un ultima citazione del titolo di Biff. Dopo ciò che abbiamo ascoltato, soprattutto dopo la cover dei King, ci voleva probabilmente un brano così energico e "rissoso" nella sua resa finale. Una botta di metallo classico ed Hard Rock che i Saxon ci propinano per scaldarci un attimo, e svegliarci dal torpore in cui sembrava ci fossimo messi fino a questo momento. Nonostante le liriche complesse come vedremo, il sound che ne deriva è pura estasi sonora, e pensare ulteriormente che tutto questo è stato composto nel 2001, fa quasi pensare che la band albionica abbia stretto un patto col diavolo per non scadere mai veramente, ma anzi, per rivivere sempre una seconda e terza giovinezza. Su questa canzone credo sia necessaria una certa apertura mentale per capirne le liriche, la strada a senso unico che si percorre al contrario nel traffico, il sottoscritto l'ha interpretata come una metafora della vita. Nel senso che i Saxon continuano con coerenza e abnegazione su una strada che oramai in pochi percorrono, vuoi per cambiamenti di mode oppure per forzature proveniente dall'entourage. Loro se ne fregano e continueranno ad oltranza a percorrere quella strada dove l'Inferno gela sempre di più. Un voler forse sottolineare, come la musica stessa impone, tutti i cambiamenti ed il veleno che la band è stata costretta a sopportare per una lunga parte di carriera, quando tutti li davano per spacciati; ed invece loro hanno sempre messo un piede dopo l'altro, andando avanti a fregandosene delle critiche, fino a risorgere letteralmente dalle proprie ceneri. Sono su una corda sottile e tesa, cercando di sopravvivere. Sono su una strada difficile, ma non torneranno certo indietro. Anche qui l'interpretazione va alle difficoltà anche che spesso si incontrano nel music- business; ricordo sempre che malgrado i Saxon siano sempre più nel tempo rispettati e venerati dagli addetti ai lavoro e dai fan, non godono più certo di un seguito stellare, ed anzi spesso si esibiscono dal vivo in piccoli club in cui è impossibile ad esempio utilizzare la loro Aquila gigante.

Dragons Lair

Le ultime tracce ascoltate seppure molto buone, hanno un pò allontano i temi epici e le atmosfere storiche, che invece tornano prepotentemente nella bellissima Dragons Lair (La Tana del Drago). Immaginiamo uno scenario epico fantasy, nella falsariga dello stile Signore degli Anelli oppure, citando un successo televisivo degli ultimi anni, Il Trono di Spade. La canzone parte a tutta velocità con un riff avvolgente che accompagna il cantato di Biff, come sempre calatosi alla grande anch'esso nel clima mistico fantasy. Fritz Randow e Nibbs Carter sono due portenti che macinano un ritmo ossessivo e preciso, ed ancora una volta sono splendide le rifiniture armoniche sul chorus. Un preludio strumentale delle due chitarre all'unisono precede un ottimo spunto di Doug Scarrat, poi l'ultima strofa (con il classico trucco di più voci incise una sopra l'altra) fino al finale con il titolo della canzone ripetuto diverse volte fino all'urlo finale del cantante. Una atmosfera che forse ricorda un po' certe canzoni composte da Dio durante il suo periodo solista, quando si tendeva molto a mischiare il neonato fantasy, che negli anni '80 grazie a giochi di ruolo, videogames e quant'altro, stava diventando una vera e propria mania. Questo è un brano che scivola via dalle dita, scorre nella nostra mente e ci fa sentire liberi; le atmosfere sono azzeccate, e l'epicità di fondo si respira dalla prima all'ultima nota. Parlavo di atmosfere fantasy e qui siamo nell'epica terra di Gorron (non so se il nome è riferito ad un libro specifico oppure totalmente di fantasia, non ho ritrovato riscontri) dove attraverso passi di montagna e mari misteriosi si giunge della Tana del Drago. Egli parla un' antica lingua e si trova in una caverna immensa che splende nell'oro con in mezzo un pozzo di sangue (sembra quasi un richiamo a Lo Hobbit, dato che nella parte centrale un Drago famelico a guardia di un inestimabile tesoro è presente davvero). Tramite il Drago sarà possibile carpire segreti e leggende, oltre all'antica sapienza di terre abitate da cavalieri e maghi. Il tema del Drago, fin dalle rappresentazioni artistiche di San Giorgio che lo trafigge con la sua lancia, è un classico che è stato sempre caro agli autori storici e contemporanei di libri fantasy; i racconti tramandati nei secoli su Rè Artù, la Tavola Rotonda e Merlin. Di esempi se ne possono fare molteplici; il drago è una figura mitologica e mistica che ha sempre esercitato un certo fascino sull'uomo, tanto da portarlo a scrivere, recitare e dipingere varie tipologie di temi tutti legati a tale creatura. Chiaro che Biff si sia riferito ad una di queste numerose storie fantastiche riuscendo a trarne ispirazione per un bella traccia da inserire nel disco. Innumeroveli le citazioni musicali in cui vi sono draghi e terre mistiche, basti pensare alle saghe epiche e alle copertine dei nostri Rhapsody of Fire ad esempio, dove solitamente vi è sempre un drago in copertina. E come non ricordare il penultimo album studio di Ronnie James Dio, "Killing the Dragon" ?, come abbiamo citato poco fa.

You Don't Know What you've Got

Tornano i ritmi più compassati con il mezzo tempo di You Don't Know What you've Got (Tu Non Sai Quello Che Hai), dopo un vocalizzo iniziale di Biff ed un approccio delle chitarre in stile Van Halen, il brano procede con un andamento intrigante delle due asce dei Saxon su cui Biff canta decisamente a tambur battente. Il chorus è tecnicamente ineccepibile da parte di Randow, e dopo un breve intermezzo con in evidenza il basso, ecco un bel solo di Paul Quinn prima che la tutta la band riprende il riff portante. Finale con il ritornello ripetuto più volte in dissolvenza. Struttura nuovamente semplice ed efficace per questo slot, un andante ritmico e cadenzato che ti entra in testa e non se ne esce tanto facilmente. I fischi delle due asce da guerra cozzano fra loro e producono come sempre scintille, pur non essendo un must né del disco, né tantomeno della carriera Saxon, risulta essere un discreto filler che fa da ponte fra una traccia e l'altra. Diciamo che la canzone scorre piacevole, pur senza essere la punta di diamante del disco, un canzone che un band di classe come i Saxon può comporre anche in poco tempo, dopo tanti anni di carriera alle spalle. Per la presenza di queste canzoni, non certo riempitive ma non di primissimo piano, "Killing Ground" è leggermente inferiore ai due capolavori precedenti, come vedremo anche dal voto finale, sebbene siamo ancora su livelli notevoli, stiamo sottolineando questioni di lana caprina. Il testo verte su una rapporto di coppia finito male, sia esso a livello sentimentale o più banalmente tra amici, la cui fiducia è venuta meno. Il leitmotiv è quello ben descritto dal ritornello che dice appunto "Non sai quello che hai, finché non l'hai perso". Le bugie, le storie inventate hanno fatto stare male il protagonista ed ora egli non ha più fede nell'altro, i nodi arrivano spesso al pettine e colui che l'ha tradito dovrà subire la retribuzione finale, intanto per il momento è meglio che tra loro ci si saluti per sempre. Ci si accorge di quello che hai solo quando se né andato è sicuramente un modo dire quanto mai azzeccato: pensiamo alle nostre vite, quante volte diamo per scontato un affetto, fin quando ci viene a mancare ? Le circostanze della vita e la normale routine delle nostre giornate non ci fanno riflettere su come certi affetti non siano scontati. Pensate solo a quando ci vengono a mancare i nostri genitori e ci rattrista il fatto che non abbiamo dedicato a loro il giusto tempo oppure non li abbiamo salutati per l'ultimo viaggio della vita come avremmo voluto.

Deeds of Glory

Deeds of Glory (Atti di Gloria) ha una partenza rapida, quasi da bolide di formula 1, con le chitarre veloci che inseguono il ritmo serrato dato dalla coppia Carter / Randow. Biff canta rilassando al massimo la sua voce, prima di un bridge collegato successivamente ad un chorus, che in realtà arriva solo dopo il secondo verso. Questo cambio di tempo è uno dei momenti più intensi ed emozionanti dell'intero album, Biff con la sua voce sembra quasi emozionarsi di fronte ai racconti di eroi leggendari, un chorus davvero studiato e realmente corale, da pelle d'oca. Terzo verso e nuovo chorus, prima del momento del solo di Scarratt e l'ultimo attacco di Biff per la quarta strofa. Il chorus viene ripetuto diverse volte fino al finale di tutta la band a chiudere. Dopo il filler appena ascoltato, si torna ad un tema e ad un andamento nettamente più epico, diciamocelo, più da Saxon; questo brano si erge sopra molti altri, a partire già dal titolo, che risulta essere nettamente più in linea con il titolo e l'andamento generale dell'album. Si torna quindi a livello lirico / musicale ancora ad una canzone epica, in alternanza a pezzi più hard & blues. In effetti Biff sembra raccontarci in prima persona di quando da bambino ascoltava i racconti di questi cavalieri audaci e delle loro imprese eroiche in battaglia. Vieni con me, dice Biff, attraverso i libri del tempo, dove splendidi eroi con le loro cavalcature dorate e armi forgiate nel metallo combattevano per la gloria. Eroi caduti e mai dimenticati, i loro atti di valore, atti di gloria. Basta pensare anche quando eravamo piccoli anche noi, in tempi senza videogiochi o internet c'erano album di figurine o semplici libri da colorare in cui magari venivano ricostruite la Prima Crociata o la Carica dei 600, per fare due esempi di battaglie epiche entrate nella nostra immaginazione (certo, poi in realtà non così scintillanti di armature dorate e nobili scopi, come da adulti abbiamo poi scoperto). Il racconto dello spirito pulito ed epico di una canzone storica dei Saxon come "Crusader" riecheggia in questa "Deeds of Glory", ed i Saxon non mancheranno anche in futuro di scrivere storie epiche del passato. Peccato che questa traccia non credo sia mai stata eseguita nemmeno del tour dell'album in questione, ma potrei anche sbagliarmi. La preferita in assoluto da parte di chi vi scrive è proprio questa che abbiamo appena finito di analizzare, "Deeds of Glory" è veramente emozionante, un inno alla fierezza di certi personaggi storici che sono entrati nel mito, almeno nelle nostre fantasie, e nella parte di fanciullezza che c'è in ognuno di noi.

Running for the Border

Si procede nell'ascolto con le ultime tre canzoni, la prima è Running for the Border (Correre Lungo Il Bordo). Dopo un paio di accordi è uno "yeahh" soffocato di Biff la canzone si attesta su un riff vorticoso e trascinante, sebbene la ritmica si stabilizzi su un mezzo tempo. Dopo il secondo verso e chorus, Paul Quinn si scatena in un solo pieno di effetti e riverberi, ma anche con la solita mirabile esclation di note melodiche. E' un un giro rapido di basso e batteria che riporta sul riff portante la band per l'ultimo verso, una serie di urletti di Biff con la parola "Mexico" chiude la canzone. Vagamente il riferimento lirico può sembrare ancora la fuga verso la libertà e aldilà del confine verso il Messico, come nella cover "Ride like the wind". In realtà Biff si riferisce ad uno di quegli accadimenti curiosi, quegli aneddoti e quelle imprevidibilità che solo un band che gira in tour bus può attingere. In passato i Saxon ci hanno descritto di irruzioni ruvide della polizia nei locali, o di inseguimenti in macchina sempre della polizia, se non di location dove hanno suonato particolarmente ostiche vuoi per imprevedibili condizioni atmosferiche, vuoi perchè luoghi che si trovano veramente fuori dal mondo. In questo caso i Saxon si trovano ad avere a che fare con la tipica burocrazia della dogana messicana e in genere dei paesi centro / sud americani. I ragazzi devono suonare lo show quella sera ma, al confine i poliziotti sembrano procedere a dei controlli farraginosi "prendetela con calma, rilassatevi" sono le parole d'ordine. Arrivano i Federali e le cose si complicano, non va bene questo, non va bene quello...l'unica soluzione e dare a loro molti dollari. Giù fino al Chihuahua arrivano giusto in tempo per il concerto, la gente impazzisce lo show si può fare, "correndo verso il confine, giù nel Mexico". Sono molto piacevoli questi racconti di vita on the road, che spesso i Saxon ci regalano attraverso canzoni gradevoli come questa "Running for the Border". Come detto in precedenza una band che comincia ad avere 22 anni sulle spalle ne ha di storie da raccontare, di ogni tipo. La penultima canzone di "Killing Ground" è una della canzoni più belle scritte dai Saxon: un falsa ballad ricca di phatos emotivo e molto "intelligente" come liriche. 

Shadows On the Wall

Shadows On the Wall (Ombre Sul Muro) è un riferimento infatti tangibile e suggestivo (l'ombra sul muro) del primo esperimento atomico fatto dai militari americano in quel di Los Alamos, New Mexico. Effetti sonori catartici si mischiano a parole sussurrate nel vento, prima che la band subentri con un suono esplosivo su cui si ergono le due chitarre e un suggestivo tappeto di spaziali ed inquietanti tastiere. Biff è molto drammatico nel modo di interpretare le strofe, prima che subentrino le chitarre elettriche prepotenti con la sua voce contraffatta, quasi parlasse attraverso una radio militare impazzita, l'inquietudine dell'imminente minaccia nucleare è ben rappresentata da questo contrasto di emozioni, la quiete della natura e cori giocosi di bambini a cui si contrappone la violenza del terribile esperimento. Il coro è fatto da molte voci sovrapposte di Biff, quasi una sorta di preghiera verso il cielo. Accompagnati dai metronomi Nibbs Carter e Fritz Randow, un ottimo momento solista di Quinn traghetta l'ascoltatore all'ultima strofa. Biff rifinisce e sottolinea le domande del chorus con dei vocalizzi estremamente opportuni prima del finale, dove si sentono bambini che giocano e ridono. Dove è la città ? Dove sono le persone ? , si domanda Biff: "Ci sono solo ombre sul muro". Nella valle desertica, vicino al Rio Grande, sotto un sole cocente su terre sterminate. Attraverso la sabbia rovente, ai limiti del nulla in un posto segreto, i fisici ed i militari sono in cerca di una risposta. Dal cielo viene la morte bruciante, nessuno poteva prevedere il terrore crescente venire dall'alto, nessuno ( o forse in realtà sì, non possiamo saperlo) avrebbe mai immaginato che cosa questi uomini stavano per azionare, l'arma di distruzione di massa più pericolosa di tutti i tempi. Con un flash abbagliante arriva poi la palla di fuoco (un riferimento al fungo atomico post-detonazione), mischiando ossa e pelle, era una città potente quella che si stagliava sotto di noi, ora è stata completamente spazzata via. Gli scenari della canzone quindi sono due: il laboratorio dell'esperimento a Los Alamos dove lavoravano alacremente ed in assoluta segretezza i fisici del progetto Manhattan, sotto la guida dello scienziato Robert Opphenaimer, con la prima bomba atomica lanciata nella zona desertica di Alamogordo, 200 km a sud di Los Alamos il 16 luglio del 1945. Il secondo scenario è invece la drammaticità della devastazione e della distruzione in più fasi delle città di Hiroshima e Nagasaki, nell'Impero giapponese, bombardate rispettivamente il 6 il 9 agosto 1945 con l'utilizzo del tristemente noto aereo battezzato "Enola Gay". In quella zona desertica del New Mexico, dimenticata da Dio, si ebbe dunque l'inizio dell'era nucleare. Lo stesso Oppenhaimer si rese subito conto di aver contribuito ad un progetto che poteva portare all'estinzione dell'umanità e, sicuramente, in quei tristi mesi del 1945 finì anche l'età dell'innocenza e la sincera passione per la scienza e la fisica, credo che parecchie questioni morali ed etiche attanagliarono il professore e molti suoi collaboratori.  Naturalmente i Saxon non furono né i primi né gli ultimi a parlare del pericolo nucleare, basti pensare alla splendida "Children of the Grave" del 1971 dei Black Sabbath o, in tempi recenti, "Brighter Than a Thousand Sons" del 2007 degli Iron Maiden. Grandi quindi i Saxon come sempre nello sviscerare temi suggestivi. 

Rock is our Life

La conclusione dell'album è più serena e tipicamente in stile rock, con l'inno di Rock is our Life (Il Rock è La Nostra Vita). Tornano già osservando solo il titolo gli anni' '80 con canzoni dei Saxon che spesso contenevano la parola "rock", come negli album "Crusader" e "Innocence Is No Excuse". L'andamento ritmico e delle due chitarra e possente e gioioso, dopo un breve bridge un ottimo momento corale accoglie l'ascoltatore con l'esaltazione della vita rock come unica fonte di vita. La classica traccia che esalta il tutti per uno, uno per tutti, insieme per la stessa causa. Il momento dei solo ed ecco l'ultimo assalto vocale di Biff, le percussioni di Randow accompagnano il brillante coro, prima del finale monolitico quasi in stile Manowar, con le quattro lettere che scandiscono il titolo ripetute meccanicamente quasi a sottolinearne ancora di più la devozione metallica. Questo finale ricorda molto anche la traccia "Just let me Rock", singolo tratto dal già citato "Crusader" del 1984. Un finale di album in pieno stile Saxon retrò come abbiamo già detto e sottolineato, canzone scanzonata ed andamento ritmico da corna al cielo, cori da cantare a squarciagola e momenti epici di pura estasi metallara, niente di più, niente di meno, solo la maledetta energia della nostra musica preferita che ci viene sparata direttamente nel cranio. Il testo è molto  simile alle tantissime canzoni anni '80 e anche a certe tematiche esaltate da altre band, come i già citati Manowar, ma anche Judas Priest, Running Wild e tanti altri. Lo scenario è quello classico del concerto con la band sul palco ed i propri fan esultanti che si divertono. Siamo tutti insieme, orgogliosi e senza paura, alzate le vostre voci e lasciate che la musica sia alta. Non c'è niente che ci divide, siamo tutti una sola persona, l'attesa è finita è arrivato il vostro momento: alzate le vostre mani verso la luce. Il Rock è la nostra vita, e qui stasera siamo insieme, uniti come un sol uomo e manipolo di guerrieri, per rendergli omaggi; alla fine dei conti è anche banale come testo, ma fermiamoci a pensare un attimo  alla nostra esperienza di tanti concerti, quando alziamo le mani verso i nostri idoli dopo una lunga attesa e cantiamo e battiamo le mani con loro, come se fossimo un essere solo. L'entusiasmo dei fan è incontenibile (e quanto mai "vero" nei fan metal) ed il feedback che ne riceve la band sul palco li carica come fucili d'assalto. Sono emozioni forti ed indimenticabili, che rimangono sempre nei nostri cuori e spesso i concerti hard rock/metal sono anche una straordinaria cura terapeutica per lasciarci alle spalle delusioni e problemi della vita quotidiana. Si tratta quindi di un legame biunivoco, e del resto una band longeva come quella dei Saxon non può che dire con orgoglio "il rock è la nostra vita !", Un rara versione di questa canzone dal vivo, la si potrà apprezzare in "The Eagles Has Landed pt. 3", doppio album del 2006.

Conclusioni

Trovare dei difetti in questo ennesimo grande disco dei Saxon è un' operazione di puro masochismo, ed infatti la nostra valutazione rimane di altissimo rilievo, come detto sopra Killing Ground conferma il magico momento della band inglese, che fregandosene della mode del momento e dei terribili anni '90 per il metal, affronta con coraggio e coerenza anche gli anni 2000 sapendo di poter puntare su idee e basi solide. "Killing Ground" assomiglia di più ad un album vario come "Solid Ball of Rock", il loro grande ritorno discografico nel 1991, che agli ultimi due dischi "Unleash the Beast" e "Metalhead", che facevano pendere maggiormente la bilancia su un metal più heavy e teutonico. Come già notato in fase di recensione track by track, sull'album si alternano pezzi solidi e veloci, ad altri più lenti e blues, come del resto i Saxon hanno sempre fatto negli anni '80. Biff Byford dopo undici anni, dal 1990 fino 2001, in cui si era preso anche l'impegno di manager della band (Rainer Hansel era più un produttore esecutivo che un vero manager) si prepara finalmente a cedere l'onere ad un altra figura chiave della loro storia. Infatti manca oramai poco ad un fortunato sodalizio tra Biff Byford e Thomas Jensen, storico organizzatore del festival metal europeo per antonomasia, ovvero il Wacken Open Air. Questo festival metal di tre giorni (solitamente si svolge il primo week end di agosto) dopo un timido inizio nel 1992 è diventato anno dopo anno sempre più prestigioso e più importante, arrivando negli ultimi anni a 70/75.000 spettatori con biglietti sold out già un anno prima . Merito di Jensen, che porterà anche i Saxon spesso come headliner, facendo risplendere i fasti di un tempo, i Saxon si potranno permettere un palco enorme dove può risorgere come la fenice la mitica Aquila, che fu protagonista almeno di 4-5 anni di gloria della band, oltre che ad un impianto luci e pirotecnico di primo livello. Biff nella sua autobiografia descrive molto bene l'emozione di quella magica serata dell'agosto 2001 quando venne riportata in auge l'Aquila con le luci, che in Germania non si vedeva almeno dal 1986 e che secondo le memorie del cantante fu utilizzata l'ultima volta per un concerto all'Hammersmith Odeon a Londra nel 1989 (ricordo perfettamente Biff dire nel dvd "abbiamo riportato in vita l'Aquila per voi dopo 15 anni !"). L'aquila gigante dei Saxon è un po' un mascotte della band, similmente a Eddie negli Iron Maiden. L'emozione del pubblico fu grandiosa, anche perché in quella serata c'erano anche i Motorhead, i quali rispolverarono anch'essi il Bomber. I Saxon infatti per molti anni a venire, fino al momento i cui scriviamo questa recensione, saranno spesso protagonisti di una strana dicotomia. In Europa e negli USA in molte città suoneranno in piccoli club, lasciando comunque ricordi sempre positivi e memorabili (basti pensare alle location in cui hanno suonato in Italia, non certo di grandissima capienza e livello, aggiungo scandalosamente), salvo poi in certi mirabolanti festival come il già citato Wacken suonare di fronte ad un marea di gente con scenografie impensabili, se non nel momento di maggiore successo della band, cioè dal 1980 al 1986 circa. Band di culto in Germania ed in Svezia, i Saxon clamorosamente sono quasi dimenticati nella loro Gran Bretagna, dove oramai si sono persi i ricordi di questa gloriosa e fondamentale band, a scapito di un rock da classifica dozzinale che spopola nelle classifiche U.K. Anche su questo fronte la band cercherà, come vedremo negli anni successivi, di recuperare il tempo perduto (proprio nel 2001 i Saxon presiederanno come headliner il primo Bloodstock, festival indoor in  UK). Tornando a Jensen, il rubicondo organizzatore del Wacken in realtà non era mai stato manager a tempo pieno di un band: su richiesta di Biff si getterà nell'avventura ed i risultati saranno in ogni caso ottimi, visto il successo crescente che avrà la band negli anni successivi. Intanto i problemi di alcolismo cominciano a compromettere in qualche modo la carriera di  Fritz Randow, se non le prestazioni sul palco, quanto per quelle della vita sul tour bus. Il batterista tedesco, di indubbio valore tecnico, parteciperà alla raccolta con i pezzi storici dei Saxon rifatti del 2002, simbolicamente intitolata "Heavy Metal Thunder", ed è presente sul primo storico dvd dei Saxon "Saxon Chronicle", dove viene in parte documentata la loro carriera attraverso le parole di Biff Byford come sempre, ma c'è anche uno delle loro migliori apparizioni al Wacken, quello del 2001 con appunto la line up composta da Byford / Quinn/ Scarratt/ Carter e Randow. Per l'album successivo, lo stupendo "Lionheart", i Saxon si affidarono ad un altro batterista tedesco, membro originale dei finlandesi Stratovarius, Jorg Micheal, che oltre che in studio seguì la band anche per il successivo tour, fino al ritorno definitivo di Nigel Glockler, che seppure non presente sui primi quattro dischi dei Saxon è il batterista che ha suonato complessivamente più album della band, tutt'ora presente.

1) Intro
2) Killing Ground
3) Court of the Crimson King
4) Coming Home
5) Hell Freezes Over
6) Dragons Lair
7) You Don't Know What you've Got
8) Deeds of Glory
9) Running for the Border
10) Shadows On the Wall
11) Rock is our Life
correlati