SAXON

Into the Labyrinth

2009 - SPV - Steamhammer

A CURA DI
DIEGO PIAZZA
11/02/2017
TEMPO DI LETTURA:
8,5

Introduzione recensione

"Into the Labyrinth" è il titolo che nel gennaio 2009 irrompe nel mercato discografico, a distanza oramai classica di due anni dal precedente lavoro dei Saxon. La band, come sempre capitanata dal leggendario Biff Byford continua a sfornare dischi interessanti, alla faccia di chi li aveva già visti morti e sepolti da decenni. In questo nuovo album, disponibile in formato con dvd aggiuntivo di cui parleremo ampiamente nelle conclusioni finali, troviamo 13 canzoni che ben rappresentano lo stile della band anglosassone, un sorta di format in cui i Saxon riescono comunque a non ripetersi. Ci sono le canzoni epiche e maestose che richiamo antiche guerre e leggende della storia ("Battalions of Steel" - "The Letter / Valley of the King") , riferimenti cinematografici (il musical horror di "Demon Sweeney Todd") , battaglie aeree ("Hellcat"), vicende on the road e personali della band ("Voice", "Slow Lane Blues" e "Live to rock"). Tanta carne al fuoco in questo album dunque, che segna anche la fine della collaborazione dei Saxon con la SPV / Steamhammer in piena crisi economica. Si tratta anche dell'ultimo album prodotto dal tedesco Charlie Bauerfeind, il terzo consecutivo , registrato ai Twilight Hall Studio di Krefeld, in pratica la casa della famosa metal band tedesca dei Blind Guardian (di cui Bauerfeind è da anni produttore anch'esso). Come sempre diamo una occhiata alla copertina dell'album, ancora disegnata da Paul Raymond Gregory. Sotto il classico logo dei Saxon, in giallo scuro , c'è un quadrato messo in piedi su uno dei quattro angoli : all'interno vi è il disegno di un labirinto con al centro un occhio umano, ai lati, attorcigliati al perimetro del quadrato vi sono figure di draghi, teschi una spada e due asce ai lati. Una immagine altamente iconografica, come ormai la band ci ha abituato fin dai primissimi anni di carriera (tolto forse il primo artwork, che era in sé molto più scarno e poco curato). Nel corso del tempo i Saxon si sono evoluti, e come da tradizione si è evoluto anche il loro stile artistico e delle copertine dei propri album (un po' la medesima cosa che è accaduta agli Iron Maiden, con la differenza che la Vergine si è sempre affidata più o meno allo stesso artista, almeno per i dischi storici). Siamo passati dall'immaginario motociclistico/ on the road di Denim & Leather o Wheels Of Steel, ad iconografie altisonanti ed auliche come Lionhead o Metalhead, fino a quello che stiamo affrontando oggi. Un omaggio all'arte contemporanea e non, soprattutto un ampio riferimento al titolo del disco. Siamo all'interno di un labirinto, senza alcuna via d'uscita, possiamo dare a questo dedalo infuocato la connotazione che vogliamo, chi ci vede la vita stessa, chi le difficoltà da affrontare ogni giorno, una libera interpretazione di ciò che i nostri occhi vedono ogni giorno. All'interno del libretto non manca uno scudo con la croce di San Giorgio a sottolineare ancora una volta l'appartenenza britannica dei Saxon, ed un disegno di Kai Swillus appositamente realizzato per il singolo "Live to Rock": si tratta di una chitarra nera stile Gibson Flying V che trapassa il cranio di un teschio in diagonale con la scritta del titolo (il tutto con sullo sfondo ancora lo scudo e la croce). Un disegno che trascende leggermente quello che è lo stile della copertina stessa, ma alla fine basti pensare ai Manowar o ad altrettante bands epic e Power, dai tratti e dalle immagini forse ancora più incisive. Un po' tamarra, forse è paradossalmente meglio questo artwork che quello scelto per la cover dell'album. Nessuna novità sulla line-up della band, che vede oramai sempre più sicura e brillante la coppia di asce composta da Paul Quinn e Doug Scarratt, il basso dello scatenato Nibbs Carter (oramai del 1989 nei Saxon, già venti anni passati e rimane ovviamente ancora il più giovane) ed il talento e la potenza del veterano Nigel Glockler alla batteria. Nei backing vocals compare la figura di Toby Jepson, talentuoso cantante che collaborerà per un ruolo ancora più importante nel successivo "Call to Arms". Viene evidenziato nel libretto che tutti i testi sono scritti da Biff Byford, fatto che non ci sorprende e che anzi è oramai abitudinale da tempi immemorabili. Dicevamo in precedenza che è l'ultimo album prodotto da Charlie Bauerfeind; ebbene a mio avviso è bene che si chiuda questo ciclo, come sempre i suoni sono puliti e forse troppo perfetti, i Saxon suonano molto simili ad altre band in cui il producer tedesco ha collaborato (e sono tante), dunque un cambiamento dietro la console del mixer pare quanto mai azzeccato, un ritorno ad un suono live, rude ma più consono allo stile dei Saxon. Un disco che segna la chiusura di un cerchio e l'inizio di una nuova storia; i Saxon, checché se ne possa dire, sono alla fine eterni nel bene e nel male. Tolta la fase centrale della loro carriera, in cui sembravano aver smarrito la retta via, complice anche un fallimentare rapporto con il mondo discografico, che li aveva abbandonati a sé stessi, Biff e soci si sono ampiamente rialzati, e presto, come vedremo anche nei prossimi articoli, ritroveranno quel suono ruvido e sporco che li ha consacrati ormai trenta e più anni fa, quando fecero la loro comparsa sulle scene albioniche e successivamente mondiali. Bando ad ulteriori indugi, intrufoliamoci nel labirinto mentale e spirituale del diciottesimo album marchiato Saxon. 

Battalions of Steel

"Battalions of Steel -  (Battaglione d'acciao)" è caratterizzata da un introduzione epico/gotica come oramai da anni i Saxon ci hanno abituati, un organo con chitarre acustiche che accompagnano i cori gregoriani prima che subentri anche il rintocco di campane. E' una sorta di tappeto rosso con squilli di tamburi per l'ingresso di tutta la band al completo. Il campionamento dei vari strumenti (quelli della band e le parti orchestrali) sono ineccepibili, certo lasciano qualche piccola perplessità su come il tutto possa essere rifatto con questa precisione dal vivo. Cori campionati precedono anche pomposamente Biff che attacca quindi la prima strofa con un riffing spettacolare dei due chitarristi in evidenza. Nigel e Nibbs pestano i proprio strumenti con vigore, creando un tappeto devastante con più voci e cori che aiutano Biff nel regale ritornello. C'e spazio come sempre nella parte centrale per entrambi i solo , prima quello di Paul seguito immediatamente da Doug. Una canzone aulica e quasi marziale nella sua resa, con ritmi e partiture prese qui e là di altrettante ispirazioni europee e non. I Saxon nel corso del tempo, particolarmente il loro mastermind fin dagli esordi, hanno sempre cercato di prendere a piene mani tanto dalla testa stessa di Biff, quanto dalla musica che li circondava. Il risultato di questo fantomatico ibrido, è una musica trascinante e che ti si conficca in testa fin dai suoi primi passaggi, pur come abbiamo detto lasciando qualche ombra di dubbio circa la costruzione generale del pezzo. Sentiamo il cozzare delle spade in queste liriche, sentiamo il sapore della battaglia sulla punta della lingha, sentiamo che stiamo per avvicendarci ad una mischia sanguinaria ed in cui forse lasceremo la pelle, ma come indomiti guerrieri, la venderemo cara. Il testo della canzone ci descrive un eroico ed arcigno battaglione di soldati, immersi credo in un regno senza tempo. Alzano le loro spade, le spade dei coraggiosi, lottano per la legione e lottano fino alla loro morte. Il loro spirito glorioso non morirà mai, "avanti tutti insieme" in battaglia gridano. Onore agli eroi che lottano fino alla fine, i guerrieri che loro chiamano dal passato oramai se ne sono andati. Un vero e proprio battaglione d'acciaio, unito e compatto contro il nemico, niente può fermarlo, nessuno si può frapporre tra lui e la vittoria finale; cavalcando per la gloria e la fama. Marciare o morire è il loro credo, compagni d'armi ed esercito d'acciaio, nessuno può affrontare la loro forza e il potere. Un tema, quello degli eroi epici in battaglia, che i Saxon hanno descritto in molte canzoni, basta pensare solo alla madre delle epiche, ovvero "Crusader" , ma anche ad esempio "Battle Cry" e "Deeds of Glory".

Live to Rock

Con "Live to rock (Vivere Per il Rock)" i Saxon puntano al singolo apripista che un volta avremmo chiamato Rock FM americano, un po' sulla falsa riga di "If I was you" del precedente album "Inner Sanctum". Ebbene il risultato non è dei più convincenti, aldilà delle liriche come sempre molto divertenti e sagaci di Biff, il brano si dipana su accordi di chitarra piuttosto elementari per un band della loro storia. Keyboards in grande evidenza all'inizio con echi lontani di chitarra che diventano sempre più in evidenza, poi dopo un urletto di Biff subentra tutta la band. Ritmi molto compassati, quasi un song degli AC/DC al rallentatore, prima di un chorus, molto immediato e sicuramente più adatto dal vivo non certo molto originale. Paul e Doug hanno dovuto sicuramente suonare pezzi più ecclettici, sebbene l'assolo di Scarratt sia di alta scuola. Un brano che dunque convince fino ad un certo punto; ovviamente l'argomento trattato non può che strappare sorrisi ed approvazione da parte dell'ascoltatore, ma in generale probabilmente ci troviamo di fronte ad uno dei brani più deboli di tutto il disco. Le sue strutture sono fin troppo easy listening, considerando quello a cui i Saxon ci hanno abituato nel corso del tempo, e forse quasi ci viene da pensare che abbiano iniziato a perdere un po' la fantasia, dubbi che poi verranno ampiamente dipanati nelle prossime canzoni del disco. Dicevamo di liriche in cui Biff ci racconta quella che erano state le sue aspettative nell'adolescenza. Come molti di noi non sapeva che fare nella vita, facendosi inseguire dagli eventi, più che prenderli e forgiarli a proprio piacimento. Poi ma quando in lui si è insinuato il demone del rock & roll non c'è stato nulla da fare, non aspettava che arrivasse il giorno per potersene andare via e fare quello che voleva. Devi vivere per il rock, mai fermarsi. Vivere per il rock e portarlo al massimo. Poteva essere un soldato oppure poteva diventare avvocato, poteva essere un insegnante oppure un prete, ma sapete ha una novità da dirvi, ha seppellito il rhythm & blues, ha solo una cosa da dire, lascia che sia la musica a farlo. Il tema dell'essere protagonisti della propria vita, anticonformisti rispetto alla società e al volere di genitori e insegnanti è un classico e sempre amato del rock in generale. Ricordiamo il mitico adagio del maestro Ronnie James Dio in "Stand up and shout! : "la solita vecchia storia, hai le ali per volare ma la gente non te lo permette". Un brano comunque, al di là dei difetti sottolineati, che durante i live, se viene eseguita, riesce sicuramente a trascinare il pubblico dalla propria parte. 

Demon Sweeney Todd

La Londra gotica torna protagonista delle favola horror (forse sarebbe meglio di musical) di "Demon Sweeney Todd (ll demone Sweeney Todd)", il barbiere malefico che ha ispirato Biff nelle liriche. Il brano inizia con accordi di chitarra soffusi e tastiere in primo piani che creano una suggestiva coltre di nebbia simbolica su un Tamigi immaginario, prima che un veloce riff irrompa insieme a tutta la band. Nigel come sempre picchia come un fabbro, doppia cassa e cambio di tempo per il chorus con cui si sottolinea il ritornello, nella parte centrale dopo il secondo verso e chorus sono due veloci ed elettrici solo che si inseguono, prima quello di Quinn e in coda Scarratt. Dopo le impalcature non troppo convincenti che abbiamo sentito nel brano precedente, stavolta torniamo in pompa magna a parlare di cose "serie"; qui il ritmo è decisamente più aggressivo e pieno di verve, i membri del gruppo sono compatti ed uniti come un sol uomo mentre le velooci note di questa canzone scorrono come lame di rasoio. Non c'è niente da fare, gli si può imputare quel che si vuole, ma i Saxon, a distanza di così tanti anni, sanno ancora sfornare capolavori immortali della musica Heavy Metal. Questa volta le strofe melodiche sono sottolineate da chitarre di supporto pesanti, prima che torni il riff originale e l'ultima strofa con il ponte ripetuto due volte. Brano tipicamente up-tempo alla Saxon, giusto per scaldare la platea dal vivo, non diverso da molti altri pezzi veloci. Sweeney Todd, il barbiere demoniaco di Fleet Street, è un thriller o horror musicale realizzato già nel 1979 tratto da un libro di Hugh Wheeler. Penso che Biff sia stato suggestionato però dal lavoro più recente del regista visionario americano Tim Burton, che ha tramutato il musical in un prodotto cinematografico uscito nel dicembre 2007 con protagonisti due attori feticcio del regista, Johnny Depp ed Helena Bonham Carter (sua ex moglie peraltro). Ascolta la storia che gira intorno riguardo al demone della città di Londra. Dietro le porte del suo negozio egli è pronto a servire, senti la lama che scorre sulla tua pelle, ora pagherai per i tuoi peccati. Il sangue inizia a scorrere, pieni di panico e paura riesci solo a sentire delle parole soffocate. Sono il demone Sweeney Todd. Arriva la morte e l'omicidio è il suo pane quotidiano, squarta i corpi per i suoi scopi e nella sala sotto taglia la carne (che sappiamo poi verrà utilizzata per farcire le torte). Un pila di carne è ciò che ha lasciato.

The Letter

La quarta traccia "The Letter (La lettera)" è, seppure fisicamente separata sul cd, il prologo di "Valley of the Kings". Chitarre acustiche accompagnano la voce soffusa e sofferta di Biff . SI tratta solo di poche drammatiche strofe che ci introducono alla vicenda misteriosa; un breve prefazione come dicevamo prima. Il protagonista sta scrivendo una lettera da un posto solitario e oscuro. Un lettera si presume alla sua amata dove emerge la preoccupazione per il futuro, dopo che egli ha visto una visione riguardo la sua maledizione. Un preludio davvero particolare, a cui la band non ci ha abituato così spesso nel corso degli anni; un tappeto non sonoro, quanto recitativo, come molte volte sentiamo per esempio nei dischi Epic o Power. La voce narrante ci parla di solitudine e scrittura, il nostro protagonista è intento a battere il pennino sul foglio; chissà quali parole usciranno da quella mente, la lettera nera e ricolma dei suoi sentimenti arriverà poi a destinazione, senza possibilità di tornare indietro. Tutto questo mette l'ascoltatore nella condizione di preparasi mentalmente e uditivamente a ciò che verrà dopo, uno dei brani più trascinanti di tutto il platter.

Valley of the Kings

Si passa cosi a "Valley of the Kings (La Valle dei Re)" con chiarissimo e voluto riferimento al luogo dove venivano seppelliti i faraoni dell'Antico Egitto. Quinn e Scarratt iniziano da solo con un riff epico seguiti poi dall'ingresso di basso e batteria. Strofe piuttosto dirette e semplici prima di un chorus molto epico e corale, in cui, come su "Battallions of Steel", Biff viene aiutato ed in parte quasi passa in secondo piano, tra backing vocals e soprattutto tastiere molto enfatiche. Poi, dopo il secondo verso, i ritmi si fanno più suadenti, quasi fosse una lenta marcia nel deserto, con Biff che canta molto pulito ed encomiabile. Un passaggio molto melodico di Doug viene sovrapposto anche dalla chitarra di Paul, prima che nella stessa sequenza i due ci regalino ottimi momenti solisti, prima dell'ultimo verso seguito dal coro "angelico" già descritto in precedenza. Dopo il preludio che ci aveva fatto da apripista, veniamo investiti da una vera e propria tempesta sonora in piena regola; il brano è setoso, morbido ed aggressivo al tempo stesso, con le due asce da guerra sempre in prima linea a combattere per la nobile causa. Gli scambi repentini, i cori azzeccati, ed i rimandi ad altrettanti stili, ne fanno uno dei brani più interessanti del disco sotto tutti gli aspetti. Sebbene non via siano sottotitoli o rimandi a nomi e cognomi, leggendo il testo penso proprio che Biff parli della leggenda, o per meglio dire della maledizione che hanno dovuto subire gli autori di una delle più grandi scoperte archeologiche dello scorso secolo: la tomba di Tutankhamon. Seppure dal punto di vista archeologico e scientifico questa leggenda è stata smentita, credo che la suggestione popolare sia rimasta e la maledizione del faraone rimane certamente un argomento suggestivo per un canzone metal ("Powerslave" degli Iron Maiden vi dice qualcosa ?) . Dopo aver attraversato il mare, per trovare il segreto dell'antica dinastia, in mezzo alla sabbia bruciante ed al sole urticante per trovare finalmente la tomba dell'unico. Persa nella sabbia del tempo la tomba è l'ultima delle serie, scoperta la chiave per aprire il passato ora non hai scelta, questo è il tuo obiettivo. Nella Valle dei Re dove egli attende le ali d'oro, rompi il sigillo rendilo libero, il Dorato è il tuo destino. Scava amico mio, rendilo libero, leggi le parole della profezia: la morte verrà in modo repentino su chi oserò spostare il re morente. Scolpito nella pietra il libro della morte, la maledizione del faraone prenderà il tuo respiro.

Slow lane Blues

Un ingresso di chitarra molto contagioso e chiaramente orientato al blues apre "Slow Lane Blues (Il blues Della Corsia Lenta)", mezzo tempo carico di suggestioni da highway americana, con Biff che racconta sornione di una disavventura con le forze dell'ordine, un po' come la storica "Strong arm of the Law". Il clima assopito da proprio l'idea di un pomeriggio estivo da canicola, su un immensa interstate che attraversa l'Arizona. Un felice bridge precede un chorus piuttosto diretto, in cui Biff ripete per due volte il ritornello, i solo vedono alternarsi prima Doug e poi Paul con il suono di una macchina della polizia in corsa in sottofondo. Backing vocals accompagnano l'ultimo chorus con ancora le sirene protagoniste. Un brano che prende a piene mani dalle tradizioni statunitensi delle blue notes, aggiungendoci ovviamente quel tocco di Heavy che contraddistingue la band fin dagli esordi; il risultato è un pezzo che ti prende la testa e la fracassa in maniera dolce e suadente, avvolgendoti come una calda coperta. Un pezzo che piacerà sicuramente agli amanti di certe sonorità, ma che a qualcun altro potrebbe far storcere il naso particolarmente per la sua non vicinanza agli stilemi classici dei Saxon. Tuttavia l'abilità compositiva di Biff e la sua capacità di unire fra loro stili così diversi, ne fanno un brano che, a discapito di ciò che abbiamo detto, si fa ampiamente apprezzare. Abbiamo già ricordato più volte in altre recensioni come a Biff piaccia molto la velocità e premere a manetta l'acceleratore quando è in macchina, ed ecco che insieme ad alcuni amici sta correndo a 185 miglia orarie senza accorgersi che è andato oltre il limite rosso del contachilometri e dunque si sia di fatto mettendo nei guai. Non ha mai avuto problemi con la legge, né tanto meno visto una pistola puntata, un macchina di nascosto li sta seguendo. "Beccato" da un dispositivo di rilevazione, con tanto di foto, colpevole di guida a velocità non consentita, qualche volta capita di dover arrendersi all'evidenza. Sono in un zona di velocità limitata, ho avuto il mio blues della corsia lenta. Il classico gioco delle parti del poliziotto buono e di quello cattivo ma ho dovuto consegnarli sia la macchine che le chiavi, sebbene la strada fosse completamente libera quando ho dato gas. Di fatto Biff non ci dice dove si trovava di preciso, ma se il fatto  raccontato è vero, gli e' andata abbastanza bene. Sempre che il tutto sia successo negli USA: bisogna stare molto attenti ai richiami delle pattuglie della polizia statunitense perchè essendo un paese dove ognuno ha un arma nel cruscotto le regole sono molto severe e precise e si rischia anche di lasciarci la pelle. Un canzone classicamente blues alla Saxon, in ogni caso gradevolissima.

Crime of Passion

La band parte subito con l'acceleratore spianato con la successiva "Crime of Passion (Crimine di Passione)" , un robusto ingresso di Quinn / Scarratt viene seguito da un Biff determinato nella voce, poi un cambio di tempo con il bridge prima che arrivi il chorus. Il bridge vede protagonista anche delle evidente distorsioni delle chitarre ad accentuare il lato heavy del pezzo. Nella parte centrale Paul parte con il primo solo seguito a ruota da Doug, prima dell'ultimo verso e ultimo chorus che lentamente si spegne fino alla chiusura degli ultimi accordi. Una canzone in cui si lascia momentaneamente da parte la verve e l'estro compositivo, per dedicarsi alla semplicità; senza troppi giri di parole, siamo di fronte ad un filler bello e buono, messo lì per aumentare il numero dei pezzi in scaletta. Tolto questo piccolo dettaglio comunque, risulta al contempo una canzone gradevole sotto molti aspetti, in primis dal suo essere catchy sotto ogni aspetti. Si sa, scrivere brani complessi è difficile, ma lo è anche scrivere canzoni immediate e semplici, perché alla fine bisogna sempre pensare all'impatto che esso avrà sul pubblico. Un brano senza lode e senza infamia, in cui Biff si diverte a giocare con le parole, diciamo anche usando una licenza poetica, in senso molto lato che ci parla di una situazione bollente. "Il crimine della passione" è consumato ovviamente in una camera da letto: il pragonista invita la sua partner a non nascondere i suoi sentimenti, "lasciali scorrere" gli confida. Non è ha mai abbastanza per riempire la sua coppa, berrà fino a strisciare come un verme. Lei ha quello che desidera, quindi si deve concedere poiché egli è eccitato. Quello che vuole è quello che vede. Lei è solo un crimine di passione, è colpevole di avermi trascinato dentro. Lei è solo un crimine di passione, lui è colpevole, un burattino per i suoi peccati. Lei è colei che ha caricato la mia pistola, lui ha intenzione di colpire l'obiettivo, ce lo ha nel mirino, non fa rumore sto scendendo, stara finché lei verrà. Non puòo estinguere il fuoco che ha dentro, le ha quello chelui vuole.

Premonition in D minor / Voice

"Premonition in D minor / Voice (Premonizione in D minore / Voce)" inizia con rudi e glaciali accordi di chitarra, che verranno poi ripresi più avanti mentre la canzone inizia, quasi una sorta di ballad triste. Questo preludio catartico e melodico sono i quaranta secondi iniziali di "Premonition in D minor", giocando con le parole appunto come vedremo si parla di una sorta di premonizione durante il sonno. Biff elenca i fatti, di cui abbiamo già accennato in altre recensioni, in cui è stato suo malgrado protagonista della drammatica notte in cui fu svegliato bruscamente da voci durante il sonno nella sua casa di campagna in Francia, giusto il tempo per salvare la famiglia da un incendio clamoroso. Il brano si regge molto sull'impatto emozionale, tra le strofe leggere e tristi, prima che subentrino le chitarra elettriche a sottolineare il dramma nel chorus. Anche il cantato dei Biff è prima molto rilassato, quasi didascalico, e poi molto intenso nel ritornello. Nella parte centrale Nigel accompagna con percussioni gli accordi iniziali di cui parlavamo, mentre Biff rivive la vicenda del proprio incubo con le voci che lo chiamano "Wake up !"- "Svegliati !"; di seguito è Doug con il suo stile inconfondibile ad avventurarsi nel solo, poi subentra il bridge prima e poi ancora ultimo verso con bridge e chorus finale. L'ultimo ritornello è accompagnato da splendide rifiniture di Paul Quinn prima che il pezzo si chiuda proprio con la parola "Voice". Come detto in precedenza, e come alcuni di voi avranno sicuramente letto nella autobiografia di Biff Byford, sono state delle voci nella notte a svegliare bruscamente il cantante, una sorta di sesto senso premonitore, quando la sua camera da letto era già avvolta nel fumo, il tempo di salvare la moglie, i figli e gli animali domestici, prima che la casa sia avvolta completamente dalla fiamme. Non è certo un momento facile per nessuno, prima si pensa ovviamente ai famigliari salvo poi accorgersi che dopo l'intervento dei pompieri molti oggetti di valore personale sono andati perduti. Un avvenimento molto intenso e drammatico vissuto in prima persona che Biff ci ha raccontato in questa bellissima song, di rara intensità emotiva. Davvero meravigliosa questa traccia, peraltro mai eseguita dal vivo.

Protect Yourself

Minaccioso e pesante l'approccio delle chitarre in "Protect Yourself (Proteggere tè stesso)" che in sostanza si basa quasi tutta su questo riff pesante, tranne una leggera variazione nelle strofe. C'è qualcosa che non convince nel cantato di Biff, qualcosa che non è funzionale all'andamento del brano che prende una leggerissima piega diversa nel solo di Doug Scarratt, prima di ritornare a pompare incessante il suo ritmo. Una canzone che lascia momentaneamente l'amaro in bocca per diversi fattori; in primis l'eccessivo uso del gain e della distorsione nel riff che ci accompagna per tutta la durata del pezzo. Inizialmente sembra che la canzone parta in quarta, volendoci pettinare i capelli ad ogni angolo di sè, ma poi il dramma; andiamo avanti e capiamo che c'è qualcosa che non torna molto, non sono i Saxon che siamo abituati ad ascoltare. Tuttavia, come sempre niente va buttato via fino in fondo, ed anche in questo caso ci troviamo di fronte ad una canzone che, a di là delle polemiche che gli abbiamo appena mosso, si fa ascoltare. L'idea che ci siamo fatti è quella di un altro filler, un riempitivo con cui il gruppo ha voluto tirare fin troppo per le lunghe questo disco; detto questo comunque, eccellente almeno il main riff, roccioso e pesante come un pugno nei denti, sadico e d'acciao sotto ogni aspetto. Il testo di Biff verte su una sorta di pessimismo cosmico e cinico. Il mondo va a rotoli sia politicamente e metereologicamente, dunque pensa solo a metterti in salvo quando verrà il momento : "proteggi tè stesso quando arriverà l'oscurità . Proteggi tè stesso ma non sei solo". Ben presto arriverà l'anarchia assoluta, ed il mare butterà tutto all'aria. Oppure il sole colpirà forte sulla Terra da renderla arida e bruciare tutto. Scritta nel 2008 o nel 2017 il senso non cambia di molto: la Terra soffre per l'inquinamento atmosferico, il buco dell'ozono diventa sempre più grande e i trattati che vengono fatti per il futuro vengono in parte disattesi per questioni come sempre di scarsa lungimiranza e solo per interessi di bottega. Nel mondo proliferano le guerre ed i poveri sono sempre più poveri, insomma una canzone che bada al sodo e che ci dice, "attenti a voi stessi" perchè il mondo sta andando in rovina. In un mondo sempre più spietato e cinico, il badare a sè stessi diventa egoisticamente l'unica possibilità di salvezza

Hellcat

I Saxon tornano a picchiare duro con "Hellcat (Gatto Infernale)" , con le due chitarre che Nigel insegue in maniera brillante da dietro le pelli. Strofe veloci cosi come il chorus molto semplice e dall'impatto dirompente. La dinamica veloce ricorda appunto le battaglie aeree che vedono appunto protagonista questo "Gatto infernale", di cui parleremo poi . Dopo un breve interludio e Doug che parte con un velocissimo solo, sui cui si esalta ancora Nigel, che comunque segue con veemenza anche il solo successivo di Paul. Strofa finale con Biff a suo agio nell'elencare le prodezze aeree. Dopo il "where're all going to die" finale di Biff la canzone di conclude in maniera tipicamente rock e roboante con tutti gli strumenti platealmente in evidenza a chiudere. Torniamo alla ribalta decisamente con questa canzone; le scorribande del gruppo si riflettono nel loro modo di suonare, nell'energia che mettono in ogni singola nota uscita dagli strumenti, spremuti fino all'osso. Ci troviamo a bordo di un lucente aeroplano da guerriglia (poi vi diremo di quale modello si tratta), solchiamo i cieli del mondo col fare del barone rosso, pronti a ghermire la nostra preda. Come falchi agguerriti e famelici puntiamo il nemico e lo facciamo fuori, siamo venuti dall'inferno per portare ordine. Encomiabile lo scambio delle due chitarre come sempre, entrambe cozzano fra loro producendo ritmi e scintille a più non posso, senza preoccuparsi minimamente delle conseguenze per noi poveri ascoltatori. Nello studiare le liriche dei Saxon si impara sempre qualcosa: infatti chi come il sottoscritto non se ne intende moltissimo di modelli di aerei da guerra (a parte lo Spitfire di maideniana memoria) l'aereo Grunman F6F Hellcat , più semplicemente "Hellcat" è il nome di un caccia dell'aviazione americana, utilizzato nella Seconda Guerra Mondiale, a partire dal 1943. Utilizzati fino alla fine della guerra hanno dato il loro contributo contro i temibili Zero giapponesi. Nell'immaginario collettivo, grazie anche ai filmati storici ed ai prodotti cinematografici, Hellcat è stato il sinonimo degli aerei dei "buoni", degli americani che arrivano a salvarci. Per altro questi duelli, forse meno cavallereschi e legati alle abilità straordinari dei piloti, come era nella Grande Guerra avevano forse più garanzie a livello tecnologico sebbene certo le battaglie erano sempre spettacolari e dall'esito incerto. Anche se il realtà è un aereo nato per sconfiggere i caccia nemici, quindi seminatore di morte. Cavalca la bestia attraverso il cielo, Hellcat sta arrivando e morirai. Girando su sé stesso e virando se oramai sulla sua linea di tiro. Non puoi sfuggire alla mitraglia carica, osserva il fuoco, Hellcat prepara la pira funeraria, attraverso il cielo, squarciandolo come affilato coltello, quello stesso cielo dove tutti andremo a morire.

Rock Of Ages (The Circle is Complete)

Un riff preciso e molto epico apre "Come Rock of Ages (The Circle is Complete) Arriva il Rock of Ages (Il cerchio è Completo)" con la batteria in crescendo seguita poi da tutta la band. Un ottimo Biff si approccia brillante al primo verso, il chorus è molto melodico nelle linee vocali e vede la presenza del secondo titolo. Classico schema, secondo verso e chorus e successivamente Paul & Doug si alternano nei solo . Nel finale il chorus viene ripetuto diverse volte, fino a chiudere quasi solo con la voce di Biff. Una struttura nuovamente semplice per un pezzo trascinante ed alchemico sotto tutti i punti di vista; la semplicità ha sempre pagato i nostri britannici metalheads, ma in questo frangente forse ancora di più. Dopo i due fillers che abbiamo ascoltato, qui ci troviamo di fronte a qualcosa di completamente diverso e fuori dagli schemi classici e canonici che in questo disco la facevano da padrone. Un brano immediato e catchy in senso ampiamente positivo, con le due chitarre il cui clangore si avverte fin dalla prima strofa, e che si susseguono per tutta la durata dell'ascolto. A discapito di partiture complesse e che non hanno mai giovato fino in fondo al sound generale dei Saxon, Rock Of Ages punta sul far muovere ampiamente le teste, specialmente in sede live. Canzone dal significato piuttosto mistico ed ermetico, che cerchiamo dunque di interpretare. Diciamo che parla di uno straordinario avvenimento astronomico, in cui i pianeti e le stelle di trovano allineate in preparazione di un apparizione, di un accadimento mai visto. Hai visto i segni che indicano che il tempo è cominciato ? Era la settima stella di un settimo sole. I Pianeti tutti si allineano, è il tempo giusto. Questa è l'ora dove i nostri destini si intrecciano. Arriva il Rock of Ages, noi siamo ai tuoi piedi, è giunto il tempo il cerchio è completo. Aldilà del significato non chiarissimo, la canzone è ascoltabile e sicuramente ben strutturata ma non rientra certo nei pezzi memorabili dei Saxon.

Coming Home (Bootleneck Version)

"Into the Labirynth" si conclude con un versione acustica o, se vogliamo chiamarla come scritto sul cd "bottleneck version" di un pezzo giù pubblicato dai Saxon sull'album "Killing Ground", ovvero "Coming Home (Ritorno a Casa)". Le chitarre acustiche ed il sonaglio danno subito un senso di clima da pochi intimi, da ballata da taverna. Quello che spicca è sicuramente l'ugola di Biff, straordinario condottiero per un trentennio della band ma, soprattutto, meraviglioso frontman dotato di una voce originale. Biff si diverte qui con Paul, Doug e Nibbs nel ricreare questo clima country epico, una chiusura sicuramente anomale per un album degli inglesi ma non per questo spregevole. Come è normale per i pezzi acustici il pezzo risulta anche più corto nel minutaggio rispetto all'originale. Tutto sommato però una gradevole versione di un pezzo apprezzatissimo da pubblico e critica; l'aggressività originale viene lasciata da parte per fare spazio alle morbide note del country e del blues, in un turbine di emozioni passionali e viscerali al tempo stesso. Il tutto risulta essere appagante e singolare da un certo punto di vista, considerando che non è molto consono al "protocollo" classico della band, vederla cimentarsi in versioni del genere. Alla fine però i nostri guerrieri albionici ne escono da ampi vincitori, valicando anche questo muro in cui si sono cimentati ben poche volte nel corso della carriera. La setosa atmosfera del brano comincia piano piano a farsi sentire man mano che si procede nell'ascolto, fino ad esplodere in tutta la sua interezza sul finale. Il testo verte sulla piacevolezza intrinseca del "ritorno a casa", altro biglietto, altra città, queste miglia solitarie mi fanno sentire un po' giù. Prendo un aereo, prendo una pillola, ho bisogno di dormire, mi sento di merda. Nel mio suitcase c'è tutta la mia vita. Su questa autostrada che non porta da nessuna parte, sento la tua voce dove non c'è in realtà nessuno. Andare, andare ,andare giù per la strada solitaria ma non ci vorrà molto prima del mio ritorno a casa. Ancora una volta, pur nella semplicità apparente della canzone, anche "Coming Home" contiene un testo molto attuale: si pensi ad una band come i Saxon continuamente "on the road" e quindi con viaggi estenuanti in cui la mente viaggia, con il pensiero spesso rivolto ai propri cari. Bella la frase nella prima strofa che dice "i pensieri di te tagliano la mia vita come un coltello"

Conclusioni

Abbiamo parlato all'inizio della recensione di un dvd bonus aggiuntivo nell'edizione digipack di "Into the Labiyrith". Nel materiale incluso nel dvd, oltre ad un intervista audio a Biff Byford che, per forza di cosa risulta a distanza di anni datata e non più attuale, troviamo lo stesso frontman dei Saxon come protagonista di un cortometraggio di un regista spagnolo, Pablo Aregues Millan, fan dei Saxon oltre che giovane regista ha infatti ha chiesto di recitare a Biff nel "Percival", il titolo del film, facendo niente meno che la parte di Re Artù. Si tratta come dicevamo di un cortometraggio, Biff fa pochissime battute, ma secondo chi vi scrive è comunque adattissimo alla parte: basta la sua presenza, come quando è in piedi su uno stage con i Saxon, grande carisma che emana solo per i suoi gesti, con la sua lunga chioma crinita che ben ci stà nell'interpretare l'anziano re. Se è possibile infatti, Biff viene truccato rendendolo anche più anziano di quello che è in realtà. Nella primissima scena in cui appare è su un trono fatto come portantina ( come venivano portati i papi in passato) con una lunghissima artefatta barba e si esprime come tutti gli attori in latino (la maggior parte con un fortissimo accento spagnolo, a dir la verità). I venti minuti circa del cortometraggio riprendono la storia classica della ricerca in Terra Santa del Sacro Graal, con Galahad che nel finale uccide Parcival e beve dal Sacro Calice il vino per sancire il proprio trionfo. Di fatti il cavaliere non riporterà il Calice alla Tavola Rotonda né tanto meno all'Impero Romano, ma se lo terrà per i suoi scopi. I titolo di coda vedono piacevolmente "Never Surrender" dei Saxon come colonna sonora. Un cortometraggio non certo fenomenale e diciamo un po' da serie B però piace comunque come lo ha interpretato con bravura Biff/Rè Artù. L'altro video dei materiale extra del dvd è molto più noioso: si tratta infatti del "making of..." della registrazione di un video dei Saxon durante una delle numerose apparizione al Wacken Open Air, famoso festival che si svolge ogni anno in Germania con oltre 70.000 spettatori. Il filmato è sotto molti aspetti inutile, come spesso sono i "making of", del resto già la parlata in tedesco non aiuta (dello stesso regista Christian Rapp) sebbene con sottotitoli in inglese; vedere il suo staff che mangia in un barbecue improvvisato e altre scene di amenità varie penso non interessi nemmeno i fans stessi dei Saxon. Se nel cortometraggio c'era almeno la curiosità di vedere Biff nei panni del leggendario Rè Artù, in questo documentario dal titolo "Let there be light" i Saxon non si vedono neanche se non in qualche ritaglio dal vivo. Tornando all'album "Into the Labyrinth" rientra tra le produzioni migliori dei Saxon, come oramai ci hanno abituati da anni. Muovo solo un appunto sulla produzione di Charlie Bauerfeind che, collaborando anche con molte altre band, ha reso il suono dei Saxon forse un po' troppo prevedibile e simili ad altre band. Ben venga quindi la decisione di Biff e soci di rivolgersi ad un loro connazionale, ex chitarrista dei Sabat, quell' Andy Sneap che ha già fatto molto bene con tantissime band, ne cito solo alcune: Accept, Testament, Megadeth, Kreator, Exodus e tanti altri ancora. Ma ne parleremo nel'album successivo che come già detto vedrà i Saxon passare anche ad un altra etichetta, vista la crisi irreversibile della SPV di Hannover.


1) Battalions of Steel
2) Live to Rock
3) Demon Sweeney Todd
4) The Letter
5) Valley of the Kings
6) Slow lane Blues
7) Crime of Passion
8) Premonition in D minor / Voice
9) Protect Yourself
10) Hellcat
11) Rock Of Ages (The Circle is Complete)
12) Coming Home (Bootleneck Version)
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