SAXON
Innocence is no excuse
1985 - EMI
DIEGO PIAZZA
26/12/2015
Introduzione Recensione
Album dopo album e tour dopo tour, i Saxon continuano dal 1979 senza interruzioni di qualsivoglia sorta la tipica routine del musicista rock, sfornando anche nell'anno di grazia 1985 un nuovo disco, dal titolo di Innocence is no Excuse. In sei anni di attività la band dello yorkshire ha già realizzato sei album studio e uno dal vivo, portando la propria discografia a livelli abbastanza alti man mano che il tempo passava. Nel frattempo avviene il già citato (nelle precedenti recensioni) passaggio dalla label francese Carrere alla più quotata inglese EMI, sebbene quasi subito girati ad una sotto-etichetta d'élite della casa madre, la Parlaphone. Nigel Thomas strappa un buon contratto economicamente parlando, e la band può godere di un cospicuo anticipo di denaro per la realizzazione di tre dischi, ed è così l'intera formazione alloggia con spese folli presso l'Hotel Hilton di Monaco di Baviera per ben tre mesi. La band decide di non registrare in Inghilterra, per evitare tasse onerose, e dunque è nella capitale bavarese che i Saxon registrano l'intero album, precisamente agli Union Studios, sotto la produzione di Simon Hanhart. In realtà Biff Byford, lo storico frontman e fondatore cantante dei Saxon avrebbe voluto Matt Lange, famosissimo per il capolavoro Back in Black degli AC/DC, ma anche per quello che stava producendo con un'altra grandissima band inglese, i Def Leppard; le sue abilità nel formare un album, e le sue capacità di missaggio e produzione, fecero accendere fin da subito la mente di Byford, che sognava un sound così anche per il suo album. Simon Hanhart è una sorta di figlioccio di Matt Lunge, ma non con la stessa stoffa, sebbene ritengo personalmente il suono dell'album pulito e pregevole certo, anche forse non si addice ad un band metal che ha fatto in precedenza album molto più diretti ed heavy. Lo stesso Hanhart insieme ai Saxon ha missato l'album nei Wisselord Studios di Hilversum, in Olanda, dove per la cronaca registreranno anche molte parti di Somewhere in Time gli Iron Maiden nel 1986, e dove anche verrà prodotto e registrato il grande Painkiller dei Judas Priest nel 1990. Innocence no excuse vede per la prima volta nella storia dei Saxon una bellissima modella in copertina, nell'intento di mangiarsi una mela verde sui c'è sagomato la S con due asce dei Saxon. Il logo della band in alto a sinistra, di colore ross,o è meno evidente rispetto agli album precedenti, dove predominava la scena, mentre sotto separato da una vistosa striscia rossa c'è il titolo del disco in bianco. L'innocenza della ragazza è ovviamente tutta da verificare, e le varie allusioni al sesso orale sono evidenti, specialmente dalla bocca semi-aperta con il bianco della mela che lascia segni sulle labbra della giovane; tutto questo mare di pensieri permeò la mente dei fan fin dagli esordi, sebbene Biff disse da subito che il titolo era riferito ai contenziosi con le etichette discografiche. La back cover vede protagonista la mela su cui si è infilzato un tacco alto femminile, con tre foto che vedono sempre la modella prendere il sopravvento sull'uomo (uno è stato centrato da un colpo di balestra e pare morto appoggiato ad un albero, un altro disgraziato viene trascinato dalla donna con un sacco sulla testa e, dulcis in fundo un terzo uomo è stato trafitto con un coltello alle spalle durante un pic-nic) .Dall'album verranno estratti tre singoli : Rockin' Again, Back on the Streets e Rock 'n' Roll Gypsy. Dobbiamo sottolineare come ancora una volta sia il suono, sia anche la copertina accattivante (in stile Ratt) siano il tentativo lampante di sfondare sul mercato americano, cosa che malgrado l'ambizione della Carrere Records finora non era completamente riuscita. Similmente agli Iron Maiden, i Saxon riescono a varcare già nel 1985 la Cortina di Ferro, suonando in paesi come l'Ungheria ancora allora sotto il dominio sovietico. Da notare, come ha scritto Biff nella sua biografia, che lui e Steve Dawson hanno scritto gran parte dell'album nella casa di quest'ultimo. Infatti nei credits, sui due lati del vinile, troviamo scritti dalla coppia Byford/Dawson ben 6 brani su 10 complessivi. Un album che fin dai primi vagiti di pubblicazione risultò controverso, come vedremo nell'analisi track by track, e che fece storcere il naso a molti fan storici, come era già accaduto per il precedente disco; tuttavia, bando ad ulteriori indugi ed entriamo nel vivo dell'analisi di questo nuovo lavoro firmato dalle asce da guerra inglesi.
Rockin' Again
Un lungo e, dobbiamo dire sorprendentemente, ingresso di tastiere e synth apre l'intero album con la canzone Rockin'again (Rockeggiare Ancora) scelta anche come singolo dell'album. Passano diversi secondi di attesa prima che delicati suoni di chitarre accompagnano Biff in alcuni vocalizzi, anche questi piuttosto stucchevoli, prima della prima strofa vera e propria. L'approccio di Biff sulle prime romantiche strofe ci danno subito l'idea di una ballata. L'ingresso preciso e misurato di tutta la band fa da ponte con questa prima parte, ed è un ingresso abbastanza lineare, con un ritornello decisamente buono, sebbene nel finale sia fin troppo ripetitivo, con le backing vocals ripetute almeno una ventina di volte sulle percussioni di Nigel Glockler: il brano prosegue su questa falsariga praticamente fino alla fine, alternando il ritornello alla linearità dell'esecuzione, e finendo l'intero brano con quel ritmo incalzante di percussioni e cori che si ripetono all'infinito. Un inizio francamente imprevedibile e che farà storcere il naso ai fan storici, non abituati a smancerie da parte dei Saxon, anche per via di suoni molto puliti e certamente lontani anni luce dalle "Heavy Metal Thunder" o "Power & the Glory" che apparivano in album precedenti come opener track. Senza citare poi l'album precedente che si innalzava idealmente come un bandiera epico-simbolica sull'altare del metal con la title-track "Crusader"; un inizio di disco non propriamente coi fiocchi, risulta essere piacevole in alcuni punti, e un po' debole in altri, magari poteva essere spostata più in là, scegliendo una opener più d'effetto. Liricamente non è un testo particolarmente ispirato, può essere intrepretato sia sotto il profilo di una relazione sentimentale con un donna sia nel senso più generico del rapporto dal vivo tra la band e il pubblico. Il protagonista si sente solo nella serata che sta trascorrendo, e mentre parte la musica sente chiamare il proprio nome. Pur essendo un girovago senza fine, vivendo della musica, egli tornerà sempre, sarà sempre qui con voi e per voi, farà del rock ancora insieme, fin dall'inizio ne era consapevole, che per quanto vaghi sulla terra, dovrà sempre tornare a casa dalle persone che gli vogliono bene. Nella seconda parte della canzone il concetto viene più o meno ripetuto uguale, alzando magari leggermente il tiro su alcuni concetti, che però rimangono comunque ancorati allo stesso senso generale: un canzone devo dire piuttosto deludente, sia musicalmente che liricamente. Peraltro trascurabile è la versone mix 12 pollici presente sull'edizione remaster del cd. Tagliata in alcuni punti per renderla più commestibile al mercato radiofonico questa versione è ancora più scialba e meno heavy dell'originale, vengono tolte infatti quelle uniche parti che potevano un po' far alzare il tiro, al fine di rimanere nei limiti di una radio edit.
Call of the Wild
La seconda traccia, dal titolo Call of the Wild (Il Richiamo della Foresta) si apre un riff di chitarre già molto più contagioso, in chiave decisamente più heavy, seguito a ruota poi da tutta la band. Il brano si stabilizza su un mezzo tempo interessante, Biff sembra molto concentrato nel suo modo di cantare, forse meno sciolto rispetto al passato, sembra curare di più l'approccio su una tonalità melodica, meno aggressiva rispetto al suo solito. Anche il ritornello è abbastanza ruffiano nelle armoniche delle chitarre, mettendo in piedi dinamiche che entrano subito in testa fin dal primo ascolto, cercando magari, dopo l'inizio non al vetriolo, di ingraziarsi il pubblico, armoniche peraltro su cui si segnalano backing vocals ben registrate in studio, che vanno a gonfiare l'ascolto e la canzone stessa. Nel mezzo c'è un momento di interludio, e Graham Oliver ci propone un ottimo assolo, dal sapore heavy, ma non troppo. Il solo viene prolungato prima del terzo verso e dell'ultimo chorus, energico, ma non troppo, con cui la canzone si conclude in dissolvenza. Un brano senza lode e senza infamia, che non lascerà certo ricordi memorabili negli anni a venire; il testo parla di un ragazza che fa strage di cuori infranti, si muove come una creatura della notte facendo stragi di uomini, è vestita per uccidere, e sta portando alla pazzia il protagonista. Il suo comportamento è una sorta di richiamo della foresta, rivolto, in senso metaforico, alle creature della notte. Lei vuole vivere intensamente la propria vita ed è una lotta fuoco contro fuoco, soltanto il più forte può vincere. Per lei è solo un gioco, ma il tempo si sta esaurendo. Questa seconda traccia, seppur non malvagia, lascia ancora però un po' di amaro in bocca per come sia troppo "leggera" rispetto alla storica dicografia della band; un testo che magari avrebbe avuto bisogno di una musica nettamente più aggressiva ed incisiva, magari supportata da più parti di chitarra taglienti e graffiate, cosa che invece non sentiamo assolutamente.
Back on the streets
L'ingresso raffinato delle due chitarre di Oliver e Quinn apre all'ottimo heavy rock di Back on the streets (Tornato sulle Strade). La prima strofa è ben studiata e accattivante, e si giunge con un ottimo lavoro di Biff al microfono ad un doppio ritornello, il primo più classico e diretto, aiutato da alcune melodie non troppo articolare, ed il secondo coadiuvato e rafforzato da alcune backing vocals che rafforzano l'ascolto. Prima Oliver e poi Quinn si dividono i compiti solisti e, dopo un passaggio classico, ma non banale di rullanti di Glockler, ecco l'ultimo ritornello. Bello lo scambio nel chorus tra i vari cori di voce, che cantano "We back !" e Biff che risponde con " We back on the streets again"; questo forse è un brano che risulta essere leggermente più "da Saxon", lo sentiamo nello scambio fra cori e strumenti ad esempio, ma anche nella resa finale del sound, che risulta essere più dinamica ed incisiva rispetto alle altre due. Di questa canzone ne è stato fatto un video che ha fatto abbastanza storia, ed ha avuto un buon successo. I cinque sono vestiti come pistoleros in una classica cittadina del far west, vengono svegliati dall'arrivo dell'enorme truck con le insegne dei Saxon: è il momento di partire. Nella cittadina è rimasto il palco con l'Aquila in evidenza. A parte il look sicuramente divertente dei cinque Saxon è proprio la dinamica delle loro azioni che danno un tocco di romantico sconfinamento nella parodia della rock star, tra improbabili contabili e ragazze disponibili, il camion si ferma a caricare tutti fino alla prossima tappa del tour, con il video che si conclude con immagini dal vivo e il classico coro "Saxon ! Saxon ! Saxon !". Memorabili alcune scene iniziali: Biff in una tinozza a cui viene aggiunta dell'acqua calda da un avvenente ragazza e Paul Quinn che cade dal letto al suono del clacson dell'enorme tir. Più avanti c'è la classica esplosione del video in un pub, mentre alcuni avventori stanno guardando dei video dei Saxon. Liricamente è ovvio che la canzone già dal titolo parla appunto di un ritorno per l'ennesima volta "on the road" da un città all'altra del mondo. Loro, i Saxon, sono stati nel freddo della notte, sono stati derubati e sono finiti nel mezzo di un vortice, ma nulla li può fermare, sono tornati sulle strade ancora, sono tornati in piedi nella luce. In inglese si gioca appunto nel chorus sulla rima street-feet e per "tornati con i nostri piedi", con il quale credo si intenda che malgrado ne hanno combinate di tutti i colori non hanno avuto bisogno di aiuto. I loro vessilli volano alto, stanno per raggiungere il cielo; è una canzone come abbiamo detto in cui si respira appieno l'atmosfera on the road a cui la band ci ha abituato specialmente nella prima parte di carriera; qui in particolare si analizza l'aspetto dell'essere sempre pronti e non farsi fermare di fronte a niente, lo show e le folle urlanti sotto al palco sono la cosa più importante, e niente può impedir loro di arrivare e spaccare tutto con la loro musica.
Devil Rides Out
La quarta traccia, Devil Rides Out (Diavolo che Cavalca) parte con una ritmica di batteria molto decisa e un urlo dirompente di Biff subito all'inizio. La canzone ha un appeal subito vincente, e un crescendo emotivo fino all'ottimo e semplice chorus. Il suono, pur essendo accattivante e più votato ad un certo hard rock di stampo americano, è nettamente superiore a quello che la band ha avuto a disposizione sul precedente "Crusader". La parte centrale vede in grande evidenza il basso di Steve Dawson, voci effettate di Biff e un curioso coro un po' gutturale ripete diverse volte il titolo. Un pregevole momento solista totalmente appannaggio di Paul Quinn, che estrapola dalla sua sei corde un ottimo solo di stampo quasi Hard'n Heavy, ritmato e veloce, e poi l'ultimo verso seguito dal chorus per un canzone che meriterebbe anche di essere riscoperta attualmente dal vivo; adesso abbiamo iniziato ad alzare veramente l'asta, la band sforna un brano che, nonostante si discosti comunque dalle dinamiche classiche del gruppo, risulta essere accattivante e piacevole sotto molti punti di vista. Biff gioca un po' sporco nelle liriche o, potremmo più sarcasticamente dire che usa i classici luoghi comune sulla donna, "diavolo mistificatore" che avvinghia e lascia l'uomo a terra ferito. Viene descritta come una strega o una ammaliatrice, che lancia il suo incantesimo nella notte ed ha il cuore di pietra ,freddo come il ghiaccio e gioca i suoi dadi, mettendo come posta in gioco la vita dell'uomo che ha di fronte . Lei è il Diavolo sotto mentite spoglie, lo si vede nei suoi occhi. "La amavo, ma ora so che lei è Diavolo e non ti lascerà mai andare" ci dice Biff: "è un Diavolo che cavalca". Nelle strofe successive si parla di come vuole essere liberato da questa sacerdotessa dagli occhi di fuoco, è stato uno sciocco il protagonista, doveva sapere che lei è malvagia fino al midollo. Bisogna rompere l'incantesimo che lo lega alla donna-Diavolo per essere finalmente libero; l'uomo si rende conto che, per quanto ci provi, non si libererà mai da lei, lei è la donna demoniaca, e continuerà ad incantarlo con i suoi occhi e la sua magia. Da notare come sia questa canzone, sia molte dell'album "Innocence.." verrano riproposte nella storica vhs "Saxon: Live Innocence", originariamente uscita nel gennaio 1986, poi ristampato anche su dvd nel 2003 con l'aggiunta di un altra ex vhs (la raccolta antologica di video intitolata "Power & the Glory", originariamente pubblicata nel 1989). Devo dire che il pezzo ha un gran taglio, soprattutto dal vivo, e non sarebbe male se Biff & soci lo riproponessero anche nei concerti odierni, potrebbe essere un ottimo modo per rispolverare una perla passata.
Rock 'n' Roll Gypsy
Il lato A del vinile originale di conclude con Rock 'n' Roll Gypsy (Zingara del Rock'n Roll), uno dei pezzi più gettonati dal vivo dell'album in questione, dinamica gemma hard rock diretta dei Saxon. Si inizia con semplici, ma brillanti arpeggi di chitarra ritmati dai piatti di Glockler, poi si passa alle strofe, con Biff a raccontarci avventure e nefandezze di zingare del rock, fino al ritornello, come detto all'inizio semplice, ma piacevole; una dinamica che alla fine, nonostante il cambio di stile generale, si avvicina a quel che era la band al suo splendore iniziale, brani semplici, ma efficaci, piacevoli, con una sana punta di follia. La parte centrale vede ancora un break tra chitarre e basso, prima che ancora una volta Paul Quinn ci regali nel suo stile classico un pregevole solo. Un ultima strofa e poi più volte il chorus, che viene ripetuto allo stremo nuovamente, con Nigel a chiudere tra tamburi e piatti: tutto sommato il brano risulta fra i più interessanti del disco, le sue strutture easy listening, ma mai completamente banali, lo rendono appetibile da una folta schiera di appassionati. Le liriche ci parlano di questa zingara del rock, anche se in realtà è solo un pretesto ed una metafora per parlare più approfonditamente delle groupies che seguivano anche i Saxon dal vivo. Il protagonista (che potremmo individuare in Biff o un altro membro della band) è vittima della febbre della strada che lo porta all'estasi, un'altra bugia, un'altra notte, un'altra canzone, un altro volto e una altra donna al posto di quella precedente. La donna prende il suo proiettile (una simpatica metafora sessuale per non essere troppo espliciti, né tantomeno volgari) e lo manda in visibilio fino all'alba, come un aquila che volta in alto e che cerca la sua libertà nel cielo, lei è una zingara del rock, non può spezzargli il cuore. La donna è una viandante di questa musica, e per quanto egli pensa che non le farà mai del male, alla fine lei lo spezzerà. Non a caso Biff Byford ancora oggi parla di questa canzone riferendosi alle baldorie degli anni '80 e parlando di donne "sporcaccione" o "cattive" in senso metaforico, andando indietro con la mente ai fasti primordiali della band, quando la parola d'ordine era "sex,drugs and rock'n roll" sotto tutti i punti di vista. Con lo stesso titolo della canzone, "Rock 'n' Roll Gypsy" verrà pubblicato nel 1989 il secondo album live dei Saxon, registrato in Ungheria nel 1988 e poi ristampato con al alcune tracce aggiuntive nel 2001.
Broken Heroes
Il lato B inizia, come del resto il disco, ancora in maniera melodica e soffusa ma, questa volta i Saxon piazzano il loro pezzo da 90 sul campo di battaglia: Broken Heroes (Eroi Spezzati) è una triste ed accorata ballad dedicata ai morti di tutte le guerre, ai giovani e ai loro sogni infranti. Di tutte le canzoni presenti sull'album, questa in particolare è quella meglio cantata da Biff Byford. Il carismatico frontman riesce ad immergersi in maniera molto emotiva nelle liriche, creando delle suggestioni di grande impatto emozionale. Il contrasto tra le strofe e il cambio di ritmo nel falso chorus è anch'esso molto ben strutturato, al fine di rendere ancor più credibile ed emozionante l'incedere delle atmosfere. Ma procediamo con ordine: un breve tappeto di tastiere precede l'ingresso melodico delle chitarre su cui, come dicevamo, la voce delicata di Biff inizia a cantare (ed efficaci battute ritmiche di Nigel e Steve fanno da contrasto), fino al finto ritornello in cui tutti cantano "Where are they now ?", per far seguire poi in un crescendo emozionale citando il titolo vero e proprio. Lo stesso schema, emotivamente straordinario, viene ripetuto altre due volte, senza un vero solo. Non manca però la chitarra nel finale, con stupendi arpeggi di Graham Oliver che accompagnano il brano in dissolvenza, con tutta una serie di drammatici "Dove sono adesso loro ?". Di questa canzone fu fatto anche un videoclip ufficiale, che si conclude con un immagine in bianco nero di sterminate croci di soldati senza nome morti in battaglia. Anche questa canzone ha superato i test del tempo e ancora oggi dal vivo molti la richiedono: liricamente è una triste ballata, come dicevamo all'inizio, in cui semplicemente il protagonista si domanda che fine hanno fatto quei giovani partiti per la Seconda Guerra Mondiale o per il Vietnam , con i loro sogni e le loro aspettative. I campi dei cimiteri i guerra con migliaia di croci sono la testimonianza di questo massacro di vite, di eroi infranti. Interessante la citazione nel terzo verso, quando Biff parla delle sette tombe di Goose Green. Ora con Google tutto diventa facile ma, probabilmente all'epoca, nel 1985, a pochi anni dalla fine della cosiddetta battaglia delle isole Falkland tra Argentina e Gran Bretagna, soltanto gli inglesi poterono forse capire che ci si riferiva ad un zona delle isole, Goose Green appunto, dove si svolse una battaglia decisiva. Sul tema della guerra Biff ci tornerà molte volte in futuro, ricordo su tutti Call to arms dall'album omonimo, e la bellissima Kingdom of the Cross su Battering Ram.
Gonna Shout
Un ottimo riff heavy apre la successiva Gonna Shout (Gridando), prima della prima strofa, Biff ripete già il chorus un paio di volte con le backing vocals che ripetono invece "Let it rock" / "Let ir roll". Durante i versi Paul e Graham si inserisco con preziose rifiniture di chitarra, prima del vero assolo ad opera di Paul Quinn. Il vivace chorus si adatta perfettamente ad uno show dal vivo, ma sicuramente la song non è tra le migliori della discografia dei Saxon; si tratta sostanzialmente di un brano scarno e semplice, le cui strutture non riescono a rendere appieno quella che voleva essere probabilmente l'atmosfera iniziale del brano. L'ottimo riff che troviamo all'inizio ed i ricami di chitarra alla fine sono gli unici momenti di pregio della canzone, che per il resto risulta essere un po' banale e ripetitiva, quasi come se la band non fosse assolutamente ispirata quando l'ha scritta. Anche a livello lirico, la canzone si sviluppa principalmente sullo scenario live: "noi intendiamo gridarlo (lascia fare del rock) noi intendiamo gridarlo (lascia fare del roll)" è il messaggio semplice del chorus. I fan stanno in piedi ad ascoltare e la band suona sempre più forte, la band stessa chiede se il pubblico sia caldo, se sia pronto a sentire il Rock esplodere nelle loro orecchie, quelle domande di rito che probabilmente tutti abbiamo sentito andando ad un qualsiasi concerto di certi tipi di musica. Viene chiesto al pubblico, usando una metafora, se vedono le fiamme alzarsi, sono quelle del Rock, e viene chiesto anche se le vedono bruciare, fuori e dentro il loro petto. Nell'ultima strofa Biff ci chiede se la sentiamo nelle nostre teste (la musica), hanno intenzione di svegliare anche i morti, dobbiamo alzare la voce fino all'inverosimile, perché il rock non morirà mai, finché ci sarà qualcuno ad ascoltarlo ed a gioire per lui. I Saxon ci descrivono in maniera tangibile quello che succede ogni sera nei loro concerti, e non è la prima volta che lo scrivono, ma ci hanno abituati con gli anni anche a testi più riflessivi e intelligenti. Musicalmente la song invece entra subito in testa, vuoi per il ritornello facilmente memorizzabile vuoi per il tono scanzonato che porta subito il buon umore.
Everybody Up
Si procede con Everybody Up (Tutti quanti in Piedi), un pezzo decisamente dal tiro più speed, con le due chitarre che si inseguono in un riff maledettamente blues/hard rock, e sui cui si erge l'ugola di Biff. Il chorus è molto semplice e non si discosta dall'andamento frenetico della canzone (geniali alcuni suoni di synth di tastiera aggiunti in sottofondo). Nigel Glockler è finalmente libero di picchiare i tamburi come un fabbro durante tutta la canzone, compresi gli ottimi scambi solisti dell'oramai super collaudata coppia Oliver / Quinn. Poco oltre tre minuti e mezzo di canzone, breve, ma intensa, con il finale sottolineato anche da cori che ripetono incessantemente "tutti quanti sù (in piedi)". Se musicalmente la canzone è stimolante e ci riporta ai primordi dei Saxon, liricamente invece siamo su un livello modesto, come la canzone precedente. Difatti il tema è semplice, come si può intuire anche dal titolo che, di fatto si trasforma in un imperativo. La band è su di giri e vuole vedere tutti in piedi per loro, non importa a quello che non importa ciò a cui stanno pensando, devono stare tutti in piedi. Puntare i piedi, questo è il monito, il posto viene descritto come "molto rock", il cantante chiede a tutti di alzarsi e fare qualcosa, qualche mossa, rimanere tutti in piedi però. Lui vuole vedere alzare le mani , gridare e cantare, vuole vedere dar vita ad un grande spettacolo per cui vuole tutti in piedi. Nell'ultima parte, se ancora non si era capito il concetto è ancor più chiaro: in piedi tutta la notte, la band sta impazzendo, ma lasceranno lo stage solo quando tutti saranno stanchi. Alzate le mani a ritmo, gridate loro canzoni, fategli sapere se gradite, vogliono vedervi tutti devastati dallo show, ci dice la band durante l'esecuzione. Un aneddoto che molti fan dei Saxon forse non sanno è che questa canzone, che come abbiamo appena constatato, nonostante abbia un testo lontanissimo dalle tematiche horror, è stata usata per la colonna sonora di un film italiano intitolato "Demoni" (o "Demons" in inglese) del 1985 con la regia di Lamberto Bava (in buona compagnia anche di Accept, Motley Crue e altri), regista italiano di culto. Sempre della stessa canzone è disponibile un breve videoclip ufficiale, in realtà uscito per fare promozione ad una vhs live di cui abbiamo già parlato in precedenza.
Raise some Hell
Un buono spunto ritmico di Glockler e Dawson apre Raise some Hell (Scatenare un po' l'Inferno), pezzo dall'andamento pregevole e cantato in maniera sublime da Biff. Dopo il secondo chorus un riff bluesy fa da base ad alcune escursioni della chitarra di Oliver, prima che tutta la band si unisca nei cori citando più volte il titolo. Dawson ridetta ancora la base ritmica con un basso maciullante, ma incisivo, l'ultima strofa viene seguita da un breve bridge più chorus finale con tanto di finale roboante di batteria; abbiamo qui finalmente un brano con spunti davvero interessanti; le matrici Blues che sentiamo all'interno vengono impreziosite dai vari ricami degli strumenti, e dalla parte corale e di voce che risulta essere al top della forma possibile. A livello lirico, questo pezzo chiude una trilogia dedicata tutta alla dimostrazione dal vivo, si parla qui in particolare di quanto sia potente l'energia che possiede la band e, ahimè, ancora quindi una serie di banalità francamente non all'altezza di molte liriche che (fortunatamente) i Saxon ci hanno regalato precedenza e come vedremo anche in futuro. Ecco un esempio di cosa parla la song :sul pubblico si sta per abbattere come una furia la musica delle band. Non avranno pietà, vi faranno bruciare non appena arriva il lampo (un riferimento probabilmente a quando la band sale sul palco ed inizia a suonare, come un fulmine a ciel sereno appunto). Cavalcano ribelli, calcano la terra con fare da banditi e pistoleri, l'inferno che solleveranno stasera durante lo show sarà dei più infuocati, e tutti dovranno prestare attenzione a ciò che faranno. C'è anche un monito per i bambini, che vengono invitati a prestare comunque attenzione a ciò che accade durante l'esibizione, ed a vedere l'inferno prendere vita sul palco. Questa che abbiamo chiamato "trilogia" lascia comunque sempre quella sensazione di insoddisfazione, sia a livello lirico, ma anche come costruzione delle song, troppo piatte e senza quel guizzo di genio che i Saxon hanno sempre avuto: peccato principalmente per questa ultima parte, che nonostante le incertezze ed i dubbi, aveva spunti interessanti.
Give it Everything You Got
Give it Everything You Got (Dare tutto Quello che Hai) chiude in bellezza come ultima traccia di "Innocence is no Excuse" , bravo vivacissimo che mi ricorda molto certe tracce dei Van Halen, soprattutto con quell'incedere ritmato della batteria molto blues e con arpeggi di chitarra che possono ricordare il pifferaio di Pasadena. E' Biff a sbandierare idealmente la bandiera dello start della band, ripetendo all'inizio il titolo della canzone, poi doppia cassa e basso partono a tutta velocità, ogni frase del cantante viene sottolineata da un pregevole arpeggio di sei corde, fino al chorus. Da sottolineare la grande prova di Nigel Glockler, che in questo frangente può sfruttare talento e velocità d'esecuzione, non è un caso infatti se il buon Nigel viene annoverato spesso fra i migliori batteristi del metallo pesante, anche se spesso non citato nei sondaggi. In mezzo alla song, dopo il secondo chorus, immancabile solo con in accelerazione su cui si aggancia con un urletto Biff, prima dell'ultimo strofa + chorus; il brano continua a trascinarsi con questo ritmo incalzante e deciso fino al finale in dissolvenza di una canzone, in cui sentiamo Byford ridacchiare in sottofondo, prima di lasciarci completamente andare e chiudere questa nuova fatica operata dalla band. I Saxon non sono i Van Halen ovviamente, e su questo terreno sicuramente partono un po' svantaggiati: manca infatti l'istrionismo vocale di un personaggio come David Lee Roth, ma tutto sommato anche Biff & soci non sfigurano. Liricamente la canzone è un invito a dare tutto quello che si ha in una relazione sentimentale: si lavora dalle 9 alle 17 per pagare le tasse, ma non si deve assolutamente lasciare che gli impegni personali prendano tutto il tempo che c'è, non si deve pensare al domani, ma si deve ascoltare il proprio cuore, e fare esattamente quello che si vuole. La donna che si ama va trattata come una regina, sia di giorno, che di notte, gli va dato tutto ciò di cui disponiamo, e forse anche di più, senza freno e senza limiti. Ovviamente il senso può essere invertito, cioè che sia una lei a dovere dare tutto quello che ha per lui. Una conclusione di album con i fiocchi, con la band che, dopo un inizio quasi incerto ed alcuni passi falsi, riesce comunque a farci andare via col sorriso, consapevoli che comunque stiamo sentendo una delle band più influenti di sempre.
Conclusioni
In conclusione, chi vi scrive ritiene Innocence is no Excuse un buon disco, registrato con ottimi suoni, ruffiani, ma sicuramente meglio mixati rispetto all'album precedente. I suoni di chitarra sono bene presenti, così come basso e batteria incidono ben assemblati con la voce di Biff. L'album merita almeno mezzo in voto in più anche per qualità delle canzoni. Senza essere sicuramente un pacchetto di songs memorabili, una migliore disposizione delle sequenza avrebbe meglio giovato alla riuscita dell'album. Da questo punto di vista sono d'accordo con quello scritto sulla sua biografia dal mastermind Biff Byford: iniziare con un pezzo lento e un vocalizzo da ballatona non ha aiutato a comprendere il disco, anzi, sicuramente al primo ascolto molti fan delle prima ora saranno rimasti sorpresi. Va anche detto che chi non conosceva i Saxon fino a questo album, tutto sommato ne può anche apprezzarne le virtù delle canzoni ma, dall'altra parte della barricata ci sono invece i vecchi fan, che seguono la band fin dagli inizi che si rendono conto di una progressiva trasformazione in una altra band, più votata ad un hard rock raffinato che alla new age dell'Heavy metal britannico, un pò come sono sempre stati i Def Leppard. In definitiva Innocence is no excuse è un disco che viene scavalcato rapidamente quando si parla di discografia dei Saxon, salvo poi rivalutarlo quando lo si ascolta più attentamente, dato che vi si possono trovare ance le radici della seconda giovinezza della band negli anni '90.Il tentativo di conquistare il mercato USA da parte del management e della band stessa sta un po' stravolgendo quello che è sempre stato lo stile Heavy metal classico e la bussola sembra non essere più da qualche tempo in mano alla band. Anche a livello commerciale i Saxon cominciano seriamente a perdere i colpi, in UK l'album è solo 36°, posizione deludente se si pensa ai risultati precedenti, mentre negli USA, dove la band ha portato tutti i propri sforzi, siamo addirittura oltre i primi 100, al 130° posto delle prestigiose classifiche Billboard. I Saxon purtroppo ritroveranno la bussola solo dopo diversi anni ancora, quando si pensò addirittura ad uno scioglimento della band, ma ne parleremo in futuro. Come già detto più volte nel corso della recensione, preoccupa anche uno scadimento della band a livello lirico; d'accordo, ci sono sempre state e ci saranno sempre canzoni più classicamente dedicate ai concerti e al rapporto tra pubblico e band, oppure su vicende legate alla vita on the road, ma, i Saxon si sono sempre distinti rispetto ad altre band contemporanee anche per tematiche interessanti, legati anche all'epica, alle guerre e alla fantascienza se non, ancora meglio, a temi di attualità. Tutto questo nel nuovo album pare non esserci, o subissato da ben altre tematiche più light, e credo che ciò sia dovuto anche allo scarso livello di ispirazione di Biff in quel periodo, quasi totalmente autore di tutte le liriche della band. Da notare che la band ha registrato molte canzoni nel 1985 e un paio sono disponibili anche come b-side di singoli originali e sulla ristampa recente su cd. Live fast Die Young e Krakatoa, due chicche inedite, e che sarebbero state benissimo sul vinile originale, e avrebbero reso l'ascolto dell'album molto più orientato sull' Heavy metal. Una delle b-side dei singoli è anche un medley live del 1985, da cui si denota come i Saxon si fossero molto addolciti, la versione di Heavy Metal Thunder, seppure fedele all'originale studio, è suonata in maniera molto più lenta di quanto la suonino tutt'ora, da ascoltare per credere. A livello di tour, la band riesce ancora a riempire arene e palazzetti, con uno spettacolo di due ore ricco di tutti i tipici cliché rock anni '80: fuochi pirotecnici, impianti luci notevoli, ottime scenografie e l'immancabile aquila che scendeva dall'alto, ma nonostante tutte le buone premesse e performances, qualcosa scricchiola tra i cinque. Steve Dawson, personaggio piuttosto dinamico sul palco con il suo basso, diventa un personaggio impopolare all'interno della band, un po' per alcuni stravaganti comportamenti, un po' per questioni anche di ego. Alla fine del tour verrà di fatto licenziato dalla label senza che la band, per ammissione dello stesso Biff, abbia fatto molto per convincerli del contrario. Un nuovo bassista si unirà ai Saxon, seppure per breve tempo entrerà nella storia della band, ma ne parleremo alla prossima recensione. In conclusione, questo album lo possiamo definire come un disco riuscito, ma con alcuni sostanziali errori (da ricercarsi nella stesura delle liriche ed in altri dettagli) che una band così poteva risparmiarsi; tuttavia, per completezza della discografia, e per osservare anche un aspetto un po' diverso della band, questo album non può mancare nella collezione di ogni fan che si rispetti.
2) Call of the Wild
3) Back on the streets
4) Devil Rides Out
5) Rock 'n' Roll Gypsy
6) Broken Heroes
7) Gonna Shout
8) Everybody Up
9) Raise some Hell
10) Give it Everything You Got