SAXON

Destiny

1988 - EMI

A CURA DI
DIEGO PIAZZA
02/03/2016
TEMPO DI LETTURA:
6

Introduzione Recensione

I mitici anni '80, si concludono per i gloriosi Saxon con l'uscita nel giugno 1988 del loro nono album studio, intitolato Destiny, sempre sotto l'egida della EMI.  Sono passati quasi dieci anni dall'album d'esordio, nel 1979, e molta acqua è già passata sotto i ponti del metal. Dopo aver cavalcato alla grande, diciamo fino al 1984-1985, l'ondata anglosassone della NWOBHM, la band di Biff Byford e soci si è avviata purtroppo verso un evidente declino commerciale. I motivi sono molteplici e li abbiamo in parte esposti nelle recensioni degli album precedenti, grazie alle riflessioni  oneste dello stesso cantante e mastermind della band all'interno della  sua biografia "Never Surrender" : troppi produttori e troppi dischi registrati frettolosamente hanno creato una certa confusione nei fan originari della band. Troppi cambi di direzione e anche una repentino cambio di moda da parte degli stessi fan, ora divisi tra glamster e thrasher, oppure nella diatriba su chi sia il gruppo più cool tra Skid Row e Guns & Roses. Del resto il tentativo di sbarcare il lunario negli USA, come già ricordato nelle precedenti recensioni, è purtroppo miseramente fallito e, dunque, anche questi tentativi di trasformare i Saxon in una band da hits commerciali non hanno di fatto portato a niente, senza considerare un certo disinteresse della stessa etichetta discografica. Il 1988 rappresenta una anno difficilissimo e incerto per le sorti della band: Nigel Glockler abbandona momentaneamente la band, per unirsi ad una sorta di supergruppo chiamato GTR (con Steve Howe degli Yes e Steve Hackett dei Genesis),  in realtà chiamato a sostituire a sua volta Jonathan Mover. La band che nel frattempo aveva realizzato solo un disco nel 1987, si sciolse subito per il disinteresse dei suoi fondatori. Arriva dunque nei Saxon il giovane Nigel Durham, che raccoglie l'eredità di Glockler a soli 23 anni. Biff nella sua biografia lo definisce una sorta di "Tommy Lee" come look e stile, ed in effetti il "secondo" Nigel della band veniva da un band glam rock di Sheffield di nome Monroe. Paul Johnson suona per la prima e ultima volta realmente il basso in studio (dopo che era stato accreditato anche su "Rock the Nations", anche se fu in realtà Biff che suono le tracce di basso su quell'album).  Registrato negli studio di Hook & Manor, Berkshire, Destiny viene prodotto da Stephan Galfas, produttore abbastanza rinomato, ma che ancora un volta, come avremo modo di vedere,  userà suoni molto patinati e ultra lavorati, lasciando poco spazio al rock duro delle chitarre e della batteria. Questa volta i Saxon propongono, grazie a  Steven Lawes- Clifford, un vero e proprio tastierista aggiunto in studio, senza "rubare" la prestigiosa e fortuita collaborazione di Elton John come sull'album precedente. Diamo un occhiata anche alla copertina del vinile, che vede una sorta di scultura della S dei Saxon, con il classico simbolo delle due asce avvinghiate, appoggiata su un piedistallo. Intorno, all'interno del hangar-magazzino, tracce di lavori di carpenteria: una scala, catene, delle corde e un martello appoggiato al piedistallo. Sullo sfondo in alto una finestra che lascia filtrare una luce bianca che da lustro alla scultura.  Nella back cover, torna il logo classico dei Saxon, mentre davanti la scritta è in caratteri normale con due linee orizzontali bianche sopra e sotto. L'idea dell'artwork è del manager Nigel Thomas, che ancora per poco gestirà le sorti dei Saxon, prima della improvvisa morte. L'album ottiene un mediocre risultato a livello di vendite, sebbene venda piuttosto bene il singolo "Ride like the wind", forse l'ultimo grande  singolo 45 giri dei Saxon, e splendida cover del brano originariamente interpretato e scritto da Christopher Cross, nel 1980. Per la cronaca, la canzone originale ebbe un gran successo in Nord America, dove giunse fino al secondo posto delle classifiche di Billboard. Tornando al Destiny Tour 1988, i Saxon come hanno sempre fatto, in quegli anni si esibirono in molte date nel nostro paese, sicuramente Bologna, Milano, Venezia, Roma , Napoli, Monfalcone (in Friuli), Bolzano, Torino; ben otto , sebbene allora la promozione degli spettacoli live fosse più ostica a livello di pubblicità e, sicuramente suonarono in locali da un lato piccoli (come purtroppo fanno tutt'ora) e dall'altro mezzi vuoti.

Ride like the Wind

Proprio Ride like the Wind (Corri Come il Vento) apre l'album: un riff diretto e semplice, ma che si apprezza man mano che la si ascolta, dà il via alle danze, e si nota anche immediatamente un certo ridimensionamento dei suoni pesanti, ammorbiditi da una produzione molto ruffiana. La voce potente e nasale di Biff però è una sicurezza, ottima la sua performance su tutto il pezzo, così come è buono l'esordio di Nigel Durham, sebbene sia un pezzo che non metta a durissima prova la sue capacità. Le tastiere sono evidenti,  anche se non totalmente invasive, molto curati anche i backing vocals nel chorus. Dopo la seconda sezione, strofa + chorus, un prolungato "rideeeee" ci accompagna per il breve solo di Paul Quinn, prima dell'ultima parte della canzone, dove dopo diverse ripetizioni del chorus c'è un lungo e prolungato assolo ancora di Paul Quinn fino alla dissolvenza. Il tema è ovviamente quello classico della fuga verso la libertà, in questo caso attraversare i confini tra USA e Messico vogliono dire la salvezza per il protagonista. Siamo di notte, chi guida è stanco e da tempo non dorme, d'altronde deve fuggire, correre verso il confine , per essere libero ancora.  Ha molta strada da percorrere, per essere liberò deve raggiungere il Mexico. Nel videoclip ufficiale sono delle prorompenti modelle ad aprire la gabbia in cui sono rinchiusi i cinque Saxon, in fuga anche loro verso la libertà. A dirla tutta da simpatico "figlio di puttana"  (del resto non si chiamavano "Sons of the Bitch" agli esordi ?) Biff si fa liberare dalle atletiche bellezze senza preoccuparsi molto dei suoi compagni di band che cercano, nelle sequenze finali, di raggiungere con le dita delle mani il mazzo di chiavi lanciato alla sorte da una delle sexy girI. Il brano rimane in sostanza un ottima cover, anche per chi conosce e apprezza già il brano originale; infatti i Saxon hanno solamente accentuato le parti di chitarra e ovviamente anche la parte ritmica ma nulla dell'arrangiamento originale è stato modificato. Come dicevamo il pezzo è uscito anche come 45 giri è ad ha avuto un discreto successo in Europa; i Saxon furono ospiti anche nell'allora popolare programma musicale Discoring di mamma RAI, dove suonarono la canzone in playback.

Where the Lightning Strikes

Più rock oriented la successiva Where the Lightning Strikes (Dove il Fulmine Colpisce), sebbene si  assesti subito in un sorta di mid tempo molto curato anch'esso nei suoni. Biff canta con un tono più alto, quasi forzato nella strofe, mentre Quinn e Oliver accompagnano quasi troppo facilmente, con accordi semplici il suo cantato. Molto in evidenza il chorus, quasi pop rock nella sua struttura molto elegante. Dopo il solo, un rallentamento con percussioni quasi tecno e con accordi di chitarra sullo sfondo in cui si sentono dei cori piuttosto plateali, una serie di "oh oh oh" ci fa da apripista per il blocco successivo, per poi tornare ad una strofa classica. Purtroppo questo intermezzo in cu si cercano cori da stadio un pò maideniani non funziona, anzi, sembra inserito a caso. Un brano un po' insulso che, diciamolo, sparisce subito dai ricordi di ogni Saxon fan dopo ogni ascolto. Struttura troppo semplice, unita a dinamiche musicali certamente non proprie del combo inglese, che abbiamo sentito fare nettamente di meglio durante la loro carriera. Una canzone destinata a finire nel dimenticatoio quasi subito, specialmente per i seguaci di vecchia data della band. Liricamente parlando, il brano in questione è una sorta di riflessione sulla nostra vita, o forse per meglio dire sulla vita di Biff. Nella lunga strada della vita spesso portiamo pesanti fardelli, domani non sappiamo dove saremo, probabilmente da qualche parte on the road ma non dimenticheremo il ricordo positivo dei tanti amici che abbiamo incontrato, forse alla fine del nostro cammini ci rincontreremo.  Molta gente ha percorso questa strada, ed altri la faranno domani. Non ci resta che affrontare l'alba di un nuovo giorno , siamo soltanto all'inizio, dobbiamo marciare verso il futuro, verso il sole nascente. Dove i fulmini colpiscono, è dove stiamo andando. Abbastanza imbarazzante dal lato rock, il brano è molto irrobustito e ricco sui chorus, dove è stato fatto un grosso lavoro di post-produzione per renderlo molto accattivante. Questo modo di lavorare è più tipico nella musica pop che di quella metal, dove invece si curano molto i riff e gli arrangiamenti.

I can't Wait Anymore

Arriviamo al secondo singolo, I can't Wait Anymore (Non Posso Aspettare Ancora), di cui fu girato anche un video. Un super melodico accompagnamento di chitarra apre le danze, con Biff che canta piuttosto bene, prima di un ponte, molto azzeccato con contro cori in sottofondo e con una presenza massiccia di tastiere. Abbiamo per la prima volta una atmosfera molto particolare, che sfocia quasi nell'AOR da classifica per i nostri sassoni metallari, e nonostante siano sonorità bistrattate dai fandom della prima ora, risultano piacevoli fin da subito. Il chorus è cantato in maniera più soffusa, intima, giusto per sottolineare il forte romanticismo della canzone. Buon il lavoro di Durham, sebbene il brano non necessità di exploit fantasiosi. Il momento centrale degli assoli è piuttosto accademico prima dell'ultima strofa, cantata in maniera più decisa e alta da parte di Biff, mentre il finale è classico in dissolvenza, sulle varie ripetizioni del titolo. Galfas è un sicurezza sul piano dei suoni puliti e cristallini, meno se si guarda al lato heavy della band. La canzone è ovviamente basata su una relazione sentimentale: lui non può attendere oltre, sa che non è sola in casa e che non risponde al telefono. Deve smetterla di giocare con il suo cuore, deve smetterla di prenderlo in giro. Lui è stata uno sciocco nel credere alle sue bugie, in realtà è sempre stato per lei un estraneo, fin dall'inizio. Per quanto tempo dovrà stare fuori ad aspettare al freddo ? Non vede dei segnali premonitori, non può attendere oltre. Sentimenti contrastanti e cristallini, che vengono spazzati via dalla furia del fulmine, che colpisce quando meno te lo aspetti, e ti squarcia in due. Pur essendo uscita ben presto dalle scalette live della band, si può apprezzare una buona esecuzione di "I can't wait anymore" sul secondo live ufficiale della band, intitolato "Rock 'n'Roll Gypsies" uscito l'anno successivo, nel 1989 in quel di Budapest (come per gli Iron Maiden, ancora prima della caduta del Patto di Varsavia e di quello più reale di Berlino, i Saxon sono state tra le poche band che hanno suonato nell'est europeo). Tornando al videoclip, anch'esso è un pò imbarazzante e, se non fosse per l'immagine classica dal vivo dell'aquila gigante, la band si trova immersa in una cornice pop rock tra luci viola e atteggiamenti ammiccanti, non certo uno dei video migliori dei Saxon. 

Calm Before the Storm

Calm Before the Storm (La Calma Prima della Tempesta) è una accorata canzone che (come leggiamo anche nei crediti) Biff dedica al proprio padre appena deceduto. Le strofe sono molto meglio della canzone, un altro mezzo tempo un po' anonimo, se si fa eccezione del bridge e del buon ritornello (clamorosamente però sottolineato da un massiccia dose di keyboards). Infatti Biff Byford, forse non soddisfatto da questa canzone, userà esattamente le stesse strofe (senza ritornello) per farne un ballad molto più riuscita sull'album Forever Free 1993, con il titolo di Iron Wheels. Forse voi lettori non lo sapevate, e se volete togliervi la curiosità, prendete i testi da i due vinili (o dal cd) e confrontateli: esattamente uguali. Il padre di Biff ha lavorato duramente scendendo nella profondità di una miniera, e a causa di un maledetto incidente ci ha lasciato anche un gamba. La struttura musicale ormai risulta scarnificata da ogni buon ricordo che riusciamo ad avere delle vecchie sonorità firmate Saxon; certamente non è una canzone da cestinare senza ritegno, ma quei riff così troppo semplici e senz'anima quasi, quei tempi scanditi come se fossimo in un disco Neo Prog o in una atmosfera radio friendly, ci portano a pensare che ormai la band sia letteralmente alla deriva per quanto riguarda scelta del sound, ma soprattutto produzione. Biff ricorda i valori che il padre gli ha tramandato ora nel momento della sua morte. Non può fermare le lacrime che scorrono sul sui viso copiosamente , cadono come pioggia. Egli vive in tempi di calma prima della tempesta. Pensando che suo padre ha dato la vita per lui, nasconde la testa per la vergogna. Alla fine è rimasto un uomo solo e triste come era triste scendere nelle fenditure della terra per spalare il carbone. Sappiamo di un giovane Biff che come suo padre ha iniziato a lavorare in miniera e, naturalmente ben presto ha voluto dedicarsi alla sua passione per la musica, non senza aver appoggiato scioperi sindacali contro le decisioni del Governo Thatcher.

S.O.S.

Un suono lontano, un vento freddo raggelante sferza il Tinanic: è il momento della canzone più lunga dell'album, con sei minuti e poco più di S.O.S. Si sente anche il ticchettio del messaggio morse di aiuto (appunto S.O.S.) , le chitarre con semplici, ma cupi accordi, creano un ottima atmosfera di tragica attesa, prima dell'ingresso della band. Devo dire che, forse per la prima volta in questo disco, suoni rock e tastiere creano le giuste suggestioni, anche grazie ad un ottimo ritornello dinamico e piacevole, con un Biff assolutamente a suo agio; bello anche l'intermezzo strumentale, con le due chitarre all'unisono che creano una ritmica semplice, ma finalmente metal, prima dei due brevi e singoli assoli della oramai storica coppia Oliver / Quinn. Il tutto è reso molto plateale dalle tastiere, sebbene sia da sottolineare anche l'ottima accelerazione finale, e l'altrettanto ottimo lavoro sulle backing vocals. La canzone si conclude ancora misteriosamente con qualche secondo di suoni provenienti dal mare. Veloce e ritmica, questa canzone entra in testa, e ci fa intravedere un piccolo barlume di speranza in fondo al tunnel della deriva Saxoniana; i nostri sembra abbiano trovato la via in mezzo alle tenebre, pur comunque inserendo suoni non propriamente cari ai loro cuori. Come abbiamo accennato anche all'inizio, i Saxon tornano su un terreno a loro congeniale, cioè il testo epico, in questo caso basato sulla tragedia della nave da crociera più famosa del mondo, il Titanic (molto prima che James Cameron ne fece un celeberrimo kolossal hollywoodiano). Il famigerato transatlantico inglese salpò, come è noto, dal porto di Southampton (ma la nave fu forgiata a Belfast come ricorda un'altra bellissima canzone dei Saxon scritta molti anni dopo, Made in Belfast appunto) direzione New York, il 14 aprile del 1912, e si scontrò contro un iceberg alle 23.40 del 14 aprile 1912, affondando lentamente nelle successive due ore e mezza con il bilancio terribile di 1518 morti. Nelle strofe Biff racconta la tragedia attraverso prima una  sorta di introduzione , parlando di come non si fosse mai visto tale lusso sfarzoso in giro per il mare, e di come gli sciocchi dicessero che fosse indistruttibile. Dopo la musica e i balli la nave si avvia verso il suo tragico epilogo: S.O.S.  la nave affonda, tutti verso le scialuppe - S.O.S. gridò il capitano, che Dio  Benedica le loro anime. Sotto i lampadari di cristallo la gente rideva e ballava ignara della loro sorte, il mare non perdona, e  stava per vaporizzarsi un viaggio che entrerà nella storia. Alla fine del brano si sentono in sottofondo ancora suoni e suggestioni da navigata nell'oceano. Con questa canzone il lato A originale di Destiny si conclude.

Song for Emma

Un imponente ingresso di tastiere è l'inizio della ballad Song for Emma (Canzone per Emma) (scritta da Biff con il produttore Stephen Galfas): prima in sottofondo e poi in evidenza con l'aggiunta di un leggero arpeggio di chitarra e di un sussurro accorato di Biff. Successivamente tutta la band subentra esplosiva con il riff portante del ritornello. Piace molto la maniera corale quasi in cui Biff racconta le vicende tristi di Emma nelle strofe, ed ancora una volta in fase di produzione è stata fatto un grosso lavoro sulle backing vocals e alcuni effetti vocali azzeccati. Nonostante continuiamo a sentire suoni a noi quasi sconosciuti se pensiamo ai Saxon, l'ottimo lavoro in fase di post-produzione, fa si che ogni singola nota suonata si senta in maniera quasi egregia, e quei caldi cori che fanno da sfondo alla carismatica voce del leader, riescono ancor di più a tirare su l'asticella del brano. Graham Oliver subentra con un breve assolo nella parte centrale, mentre l'ultima strofa è più aggressiva rispetto all'inizio della canzone, con il chorus ripetuto diverse volte, prima di ultima frase di Biff ripetuta in dissolvenza che chiude. Si evince dalla liriche che Emma è una ragazza sensibile con evidenti problematiche, che si è chiusa in sé stessa nel suo dolore e nessuno si è accorta della sua richiesta d'aiuto. Credo che la protagonista sia una amica o una conoscente comunque di Biff che si è suicidata, e lo si intuisce dal proseguo delle canzone. Il mondo di Emma è lacerato, ed ella è stanca di  tenere i lupi fuori dalla porta. Non poteva sopportare più il suo dolore, era vittima del suo stesso cuore, ci racconta Biff nelle liriche. Che fine hanno fatto le sue visioni, i suoi sogni. Sono solo ombre in dissolvenza nella notte. Stava in piedi sul bordo, con le spalle al muro, nessuno poteva sentire il suo dolore. "Song for Emma" rimane una piccola gemma nella carriera discografica dei Saxon, certo molto patinata, ma non certo ruffiana come invece è  I can't wait anymore, un canzone da riscoprire negli anni con piacere, che per altro parla di un argomento scottante a cui molti minorenni e non solo spesso è capitato d leggere nelle cronache  Mi viene in mente un canzone molto bella del secondo album, anch'essa dedicata ad una sfortunata ragazza: Suzie Hold On.

From Whom The Bell Tolls

Arriviamo a From Whom The Bell Tolls (Per Chi Suona La Campana), che ovviamente non ha nulla a che vedere con la canzone stupenda dei Metallica, né tanto meno con il celeberrimo romanzo di Ernest Hemingway. Il riff iniziale è accattivante come ai vecchi tempi, con le due chitarre all'unisono che intrecciano le fila maleficamente, prima che Jhonson e Durham subentrino. Ottimo Biff, pulito e preciso, e come sempre il chorus è curatissimo e ben strutturato.  Il cambio di tempo, ben fatto tra seconda strofa e chorus, ci traghetta verso un ottimo momento strumentale ben ritmato da Durham. Paul Quinn nel suo stile classico stupisce con un ottimo riff, prima di un bel passaggio armonico in pure stile NWOBHM, con le due chitarre intrecciate all'unisono. Torna il riff iniziale prima dell'ultimo chorus, seguito da un base musicale (con una massiccia presenza ancora di keyboards), prima del finale brusco di batteria. Purtroppo i suoni delle chitarre sono spompati, come tutto l'album, e questo nel complesso non ha aiutato ad aumentare la fortuna della canzone, senza considerare anche come le tastiere non sempre siano azzeccate, almeno per questi pezzi maggiormente heavy Le liriche ancora una volta mettono in luce la straordinaria lucidità di Biff, che scrive un accorato inno alla libertà e sull'abbattimento del Muro, non specificato, ma credo ovviamente si riferisca al Muro di Berlino, che peraltro crollerà dopo circa 14-15 mesi dall'uscita dell'album dei Saxon, nell'ottobre del 1989. Un città che è ferita, divisa tra est e ovest (Berlino ?) La gente è in marcia e chiede libertà. Quante persone devo morire  ancora sotto il Muro, quanti prima che suoni per loro la campana ? Il sogno è quello di una città unita, ma basta la pressione di un pulsante e con la bomba tutto salta in aria, anche i sogni di liberta. Mi piace sottolineare che gli anni di vita on the road sulla falsa riga del sex, drugs (ma Biff ne fu quasi sempre fuori) & rock 'n' roll non hanno prosciugato totalmente il cervello e l'intelligenza acuta di Byford, che già da questo album pare molto più brillante nella stesura dei testi, e lo sarà per tutti gli anni successivi.

We are Strong

Molto ruffiano e molto melodico l'inizio di We are Strong (Siamo Forti), francamente una canzone un po' insulsa, sicuramente tra le meno brillanti dell'album, sembrano i Saxon in versione Tina Turner (se non fosse per la voce maschile di Biff ovviamente). Le tastiere prendono il sopravvento sulle chitarre e, malgrado il buon lavoro ritmico, la canzone non decolla, nonostante la presenza di un ponte e di un ritornello studiati ancora una volta per stupire. Non aiuta ovviamente la ripetizione continua del titolo fino al finale in dissolvenza. Nuovamente ci troviamo fra le mani un testo ed una musica troppo semplici, troppo poco diretti soprattutto; vero è che la band di Byford non ha mai brillato per sagacia musicale, ma l'aggressività che riuscivano a sprigionare ai loro esordi, sentendo queste musiche così scialbe, sembra se ne sia andata letteralmente via dai loro cuori, e non può che dispiacere. Il testo è un invito a raccogliere anche il lato negativo delle propria vita quotidiana, e trasformarlo in energia positiva. "Sopravviviamo perché noi siamo forti", dice il ritornello, bisogna seguire il proprio cuore, forse oggi è il giorno fortunato, bisogna insistere. Sebbene le vicende della vita ti fanno cadere in basso, malconcio e lacerato, devi rialzarti e superare la tempesta. Insomma, un po' come avviene in natura, soltanto i più forti sopravvivono alle avversità della vita. Anche nel testo, sicuramente in positivo, si nota però una certa debolezza ,se non altro almeno su questo disco Biff & soci non si sono soffermati nell'autocitarsi continuamente, parlando della potenza del rock sul palco o di come una città possa essere più o meno rock. Questo genere di testi, almeno da Crusader compreso in poi, si erano fatti piuttosto presenti e ripetitivi. Fermo restando che We are strong non sarebbe un brano totalmente da buttare, se fosse uscito con un altro moniker rock, ma non quello dei Saxon di Princess of the Night e 747 Strangers in the Night. Il pop rock della Turner sono è questo senso un paragone imbarazzante, proprio perché stiamo parlando dei precursori dell' heavy metal classico. 

Jericho Siren

Ritornano i Saxon epici che ci piacciono invece in Jericho Siren (La Sirena di Jericho), dove in apertura una sirena di guerra suona all'impazzata, come le chitarre di Oliver e Quinn, un inizio potente, sebbene come sempre ammorbidito da evidenti suoni di tastiere. La canzone risulta però una delle più heavy dell'album, con l'ottimo refrain che ti rimane subito in testa dopo il primo ascolto. L'intermezzo musicale, fatto dopo un stop and go di qualche secondo, è indovinato, con le chitarre finalmente libere e sciolte e senza legacci d'impaccio commerciale. Dopo il chorus, viene ripreso ancora un ultimo ritornello , con i riusciti "attack !!!" come backing vocals e suoni più di battaglia campali. Finalmente sembra che i nostri abbiano tirato fuori gli artigli; la battaglia infuria anche nei loro strumenti, soprattutto nelle due asce da guerra (e con il loro simbolo è proprio il caso di dirlo); vengono sprizzate scintille ad ogni occasione buona, mentre la voce di Biff diventa quasi vetrosa in alcuni momenti, ricalcando in parte i fasti di un tempo. La guerra fa capolinea anche in questa canzone: le sirene di Jericho sono quelle che la gente sente mentre fugge all'impazzata per salvarsi. Uccelli di tuono oscurano il sole e bombardano le città (non meglio specificate nel testo), non c'è via di scampo. Bisogna correre verso i rifugi, mentre la città sta bruciando, colpo dopo colpo, ma come la fenice dovrà prima o poi risorgere. Uno scenario di guerra che sicuramente può ricordare alcuni celebri e tragici bombardamenti, come quello che uccise migliaia di civili a Dresda da parte degli Alleati, o come quello di Coventry, nel Regno Unito, da parte delle armate del Terzo Reich. Non importa, aggiungo io, quale sia la parte lesa, sempre di una sporca guerra si tratta, con la solita carneficina di civili innocenti come danni laterali. Pensiamo a come tutt'ora siano inutili i bombardamenti in Siria o in Libia, ma l'uomo del resto sembra non capire mai dagli errori del passato, e tende sempre all'autodistruzione. Dal punto di vista dei chorus, sicuramente anche per le suggestioni biblico-epiche del titolo, Jericho Siren è uno dei ritornelli migliori dell'album.

Red Alert

Ma proseguiamo con l'analisi del disco e giungiamo all'ultima canzone; all'improvviso, senza aspettarcelo e come un tank che irrompe su un campo da guerra, i Saxon calano un mostruoso asso nel finale: si perché Red Alert (Allarme Rosso) è finalmente un pezzo Saxon vecchi tempi al 100%, qui nemmeno le onnipresenti tastiere rovinano, ma anzi, donano anche al pezzo una cantilena pestilenziale e funerea che ben si adatta allo scenario proposto dai nostri. Anche il modo di cantare le strofe di Biff è veloce come uno scioglilingua, mentre oltre al bellissimo riff heavy, anche nei solo le chitarre viaggiano a mille. La canzone si chiude con il basso in evidenza su un tappeto di tastiere che riprende brillantemente lo scenario cupo e di desolazione di cui parlavamo prima, con sullo sfondo anche una sorta di coro oserei dire in stile Armata Rossa che si chiude in dissolvenza.  In un album spento sotto molti punti di vista, Red Alert è un' oasi di serenità, sebbene sarebbe stata poco più che modesta su altri album. Si riesce finalmente a riascoltare in parte quella essenza che ha fatto di questa formazione una delle leggende del Metal inglese e mondiale; le chitarre continuano a macinare ritmi, pur rimanendo sempre su dinamiche easy listening, a più non posso, la voce in prima linea nuovamente è sporca e senza freno, la batteria pesta come una dannata, ed il basso, seppur dietro a tutta la cacofonia generata, si sente e detta il tempo come su di una nave guerresca. Ho citato la Russia non ha caso, riferendomi ai cori dell'Armata Rossa, ed intelligentemente Biff ne ha studiato bene la musica, proprio perché, pur senza citarla, si parla dell'incidente nucleare più famoso del mondo, ovvero quello avvenuto nella centrale di Cernobyl in Ucraina il 26 aprile del 1986, a 3km dalla città di Prypiat. Ricordiamo che allora l'Ucraina faceva parte dell'Unione Sovietica. Dalle liriche per altro si capisce che la band si trovava nell'est europeo, presumibilmente in Ungheria, quando la notizia (tardivamente) si diffuse. Se ne stavano fuori al sole, ascoltando la radio, ma, considerando la pericolosa pioggia di polvere radioattiva, sarebbe stato meglio stare in posti chiusi. La gravità dell'incidente finalmente fu chiara, e si cominciò a parlare di diversi morti al nord. Allarme rosso, Allarme rosso , viene gridato nelle loro teste, qualcosa è andato storto. La ricaduta sembra inseguire le loro vite, un' aria pesante grava su di loro. Anche qui chi scrive vuole sottolineare un altro aspetto che sarà molto presente nelle produzioni dei Saxon successive, ovvero le vicende legate ai loro tour, vuoi per i pericolosi voli aerei, vuoi per problemi alla dogana, vuoi per una serata finita troppo bruscamente nelle nebbie alcoliche.

Conclusioni

In conclusione, Destiny è come ha detto lo stesso Biff un album ibrido, dalle sensazioni altalenanti; la band, priva di una vera guida dietro le quinte, sembra incerta sul da farsi: alcune canzoni hanno un approccio melodico e orientato verso un cero rock fm americano, altre conservano un' attitudine old school.  La stessa band ha di gran lunga rivalutato con gli anni anche la cover Ride like the Wind che, per colpa anche di giornalisti che li avevano accusati in pratica di essersi molto ammorbiditi, aveva deciso di non suonare più dal vivo. Indubbiamente è più facile ascoltare questo disco con il senno di poi, collocandolo nel periodo storico in cui è uscito, quando altre grandi band sembravano in crisi. Visto con gli occhi di allora è un album che può anche essere definito odioso e insipido, con la formazione ridotta ad un' immagine patinata e lontana anni luce dalla voglia di spaccare il mondo e dalla fame che avevano nei primi dischi. In sostanza i Saxon hanno perso lentamente contatto con le loro radici musicali: capostipiti insieme a Iron Maiden, Def Leppard, Girlschool, Diamond Head, Tigers of the Pan Tang, Praying Mantis e tanti altri della cosiddetta NHOBHM, Biff Byford oltre che perdere alcuni compagni musicali durante gli anni '80 , ha perso la bussola di navigazione, anche , come già detto in altre recensioni, per il repentino cambio di moda e gusti dei fan, pilotati anche dal grande successo di MTV. Il tour di Destiny alternò sold-out a concerti in piccoli club e, in ogni caso, la band non concluse tutti gli appuntamenti, stanchezza mentale e fisica e una sorta di frustrazione generale spingono Biff ad optare per un momento di pausa e sana riflessione. In quei momenti credo sia prevalso anche un certo sconforto, a parte lo zoccolo duro di fan i Saxon non erano più una band popolare, nemmeno nel proprio paese. Purtroppo ancora una volta la produzione ha inciso pesantemente sulla piattezza dei suoni di chitarra, ed è così che le canzoni risultano troppo ricche di rifiniture, ma poco dirette. C'è da dire che a livello lirico, almeno sei-sette canzoni tornano su livelli notevoli, spaziando dalle Guerre Mondiali a Cernobyl, passando attraverso il Titanic e le vicende drammatiche del padre e di un' amica di Biff. Dopo tre dischi dove i ritornelli erano tutti con la parola rock e in ogni caso tendenti ad un forma autoreferenziale senza grande fantasia, finalmente ritroviamo il Biff Byford straordinario narratore. Il frontman, dopo la delusione dell'ultimo tour, si dedica ad alcuni affari nella sua vita privata, venendo alcuni immobili storici in suo possesso, e comincia a pensare seriamente di prendere in mano la band anche in maniera manageriale, non bypassando più da un manager ufficiale, abbastanza deluso da come sono "stranamente" finiti i soldi che in teoria la band avrebbe dovuto avere in gestione. I Saxon dopo il buon successo della raccolta live Rock 'N' Roll Gypsies del 1989, riceve un certo interesse da promoter in Germania , soprattutto dopo il loro passaggio alla Virgin. Un giovanissimo bassista inglese, Timothy "Nibbs" Carter viene annunciato come nuovo bassista (con il ritorno anche di Nigel Glockler dietro le pelli) e porterà veramente nuova linfa e entusiasmo nella band (esordisce ufficialmente nel video Greatest Hits Live, dove in quel di Nottingham, dove si festeggiano i dieci anni di carriera dei Saxon, è possibile vederlo scatenarsi in headbanging forsennati). La Germania ben presto diventerà una sorta di seconda patria dei Saxon e, con la pubblicazione dell'ottimo Solid ball of Rock nel 1991, faranno un clamoroso come-back senza paura di tornare a fare classic metal, in un periodo sicuramente buio per questo genere. Nigel Durham uscirà quasi totalmente dalla scena musicale, salvo presentarsi con una certa faccia tosta, pur avendo suonato su un solo disco, al cospetto di un giudice insieme a Steve Dawson e Graham Oliver chiedendo diritti sull'utilizzo del moniker Saxon, Ma questa è una storia che vi racconteremo in futuro.

1) Ride like the Wind
2) Where the Lightning Strikes
3) I can't Wait Anymore
4) Calm Before the Storm
5) S.O.S.
6) Song for Emma
7) From Whom The Bell Tolls
8) We are Strong
9) Jericho Siren
10) Red Alert
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