SAXON

Crusader

1984 - Carrere Records

A CURA DI
DIEGO PIAZZA
23/11/2015
TEMPO DI LETTURA:
6,5

Introduzione recensione

Crusader è il sesto disco dei Saxon , uscito nel 1984, ed anche in questo caso dal punto di vista commerciale la bandiera di Biff Byford e soci continua a sventolare in diversi paesi europei e non solo. Siamo ancora sull'onda dell'entusiasmo che si è creato con le annate d'oro della NWOBHM, sebbene proprio da questo album qualcosa comincia a scricchiolare nelle fondamenta di casa Saxon, anche se forse a loro insaputa. Nuovo disco e ancora una volta un produttore diverso, voluto da Nigel Thomas, il manager della band inglese, che  impone tutte le sue idee alla band senza che ci sia possibilità di scelta. Si tratta di Kevin Beamish , produttore noto  per gruppi che si spostavano molto più sul country/blues made in USA  che sul metal. Beamish  raggiunse la band in fase di pre-produzione a Rotheram in Inghilterra, dove è stato in gran parte scritto il disco. Successivamente i Saxon si sono trasferiti agli studi di Sound City, vicino agli Universal Studios di Los Angeles, per registrare definitivamente l'album. Biff spesso usciva in compagnia di Beamish, uscite in cui si confrontavano sulle idee per la riuscita dell'album, causando delle gelosie all'interno della band, anche perché sembrava che al produttore importasse solo avere l'assenso del cantante. La stampa inglese si accanì ingiustamente sul trasferimento della band negli USA, e su una canzone in particolare contenuta nel nuovo album nascente, si trattava di "Sailing to America", la quale però non era tanto un elogio al mondo a stelle e strisce, ma piuttosto un omaggio (come descriveremo più avanti)  ai primi padri pellegrini inglesi emigrati negli USA.  La copertina del vinile ( e ovviamente ripresa anche nella versione cd e musicassetta) è disegnata per la prima volta da Paul Gregory dello Studio 54 e, indubbiamente la differenza rispetto alle cover degli album precedenti si nota; siamo di fronte ad un artwork di caratura pregevole, una acquarello che rappresenta dei fieri crociati medioevali a cavallo, facendo ovviamente riferimento al titolo stesso di questo nuovo LP. Abbiamo in primo piano, al centro davanti alla file di soldati/pellegrini due cavalieri: quello al centro dell'artwork  sventola un bandiera rossa con l'insegna di un dragone, mentre il cavaliere che vediamo a destra porta uno scudo con l'effige della "S", che ovviamente sta per Saxon. Nel vinile con gatefold apribile è possibile, oltre che leggere i testi, anche apprezzare un ulteriore disegno pregno di epicità, con una spada su cui si avviluppa un serpente.  La collaborazione con Gregory sarà fruttuosa anche negli anni successivi, sebbene non tutte le copertine saranno affidate a lui.  Nell'iconografia grafica dei Saxon, non solo la canzone, ma anche l'artwork di Crusader, rimane uno dei lavori più amati dai fan e dallo stesso Biff Byford. Aldilà del buon esito nella vendite, Crusader soffre di una certa illogicità nelle canzoni, abbiamo nel complesso una prevalenza di canzoni hard rock easy listening , alternate da alcuni pezzi più veloci e un capolavoro assoluto che apre il disco, la title-track. Si ha come le sensazione di un album meno brillante e meno riuscito, come avremo modo tra poco di descrivere più dettagliatamente. In realtà questo disco firmato Saxon ha solo il merito di contenere forse la traccia più richiesta e più famosa dal vivo da parte dei fan, oltre che come già detto una delle più belle copertine heavy metal di quegli anni, il resto dell'album non è all'altezza, né della traccia, né tantomeno di quanto era stato prodotto negli anni precedenti.. Prima di dedicarci alla consueta analisi track by track un ultimo aneddoto riguardo il titolo dell'album. Secondo una recente dichiarazione del bassista Steve Dawson, la parola Crusader fu ispirata, oltre che ad un modello dell'epoca della Ford Cortina, anche dal disegno di un crociato nel logo del tabloid inglese Daily Express; secondo logica dunque, prima venne forgiato il titolo, e poi di conseguenza le liriche che troviamo nella canzone omonima.

The Crusader Prelude

Una fanfara, cavalli al galoppo, urla di battaglia e il vento sferzante della sabbia del deserto: questa è l'atmosfera epica e suggestiva descritta nella breve traccia di introduzione all'album : "The Crusader Prelude" (Il Preludio del Crociato); un piccolo intro, di brevissima durata come abbiamo detto, ma che già ci catapulta nell'atmosfera che respireremo per tutta la traccia successiva, in un solo minuto e poco più i nostri Saxon riescono a farci parare di fronte agli occhi le immagini di una fervida battaglia, in cui la rabbia ed il cozzare delle spade la fanno da padrone, finché, allo scocco della seconda traccia, non vedremo apparire in lontananza il guerriero crociato con scudo ed armatura, a cavallo del suo destriero.  Prima della chitarra soffusa di Paul Quinn, che apre la seconda memorabile traccia, è una drammatica richiesta d'aiuto di Biff con la doppia esclamazione "Crusader ! Crusader !"  a concludere il preludio.

Crusader

Adesso è il momento dello slot vero e proprio, e come dicevamo poche righe fa, tocca a Quinn dare il La al brano, ed egli con accordi leggeri apre le danze della canzone Crusader (Crociato), seguito dalla percussioni di Nigel Glockler prima, e dal basso di Steve Dawson successivamente.  "Chi osa affrontare i Saraceni ?"  pronunzia una voce profonda, quasi fuoricampo. Il missaggio dei suoni sembra purtroppo non all'altezza, probabilmente Kevin Beamish non ha colto il lato hard rock della band, tenendo un po' troppo basse le chitarre. Questa canzone infatti chi vi scrive, ancor più che in versione LP, la preferisce di gran lunga nei numerosi live successivi dei Saxon, in cui la sua energia viene fuori in tutta la sua interezza.  Tornando alla canzone, un riff elettrico e la chitarra acustica accompagnano Biff in un cantato sofferto e orgoglioso. Ritmicamente il chorus ben si presta per un grande canto corale, e dopo il secondo chorus è ancora la voce profonda fuori campo a guidarci, che pronunzia "Avanti Crociato, lascia che la battaglia cominci !" seguito da un urlo di battaglia campale. Dopo aver accennato a brevi stacchi, è un perentorio assolo di Paul Quinn, uno dei più belli della sua carriera, a prendere il sopravvento, diviso in due parti, con un cambio di ritmo che lo segue, decisamente ben congeniato. Finale epico su cui ancora proseguono gli arpeggi di Quinn, mentre il ritornello viene ripetuto diverse volte. Liricamente è quasi scontato già dal titolo capire che si parla delle Crociate, ovvero delle famose battaglie di eserciti provenienti dai vari regni d'Europa nel Medioevo per liberare le "Terre Sante" dall'invasore Saraceno. Ma in realtà i Saxon hanno scritto una canzone senza troppe pretese, che punta ovviamente più sul rimando leggendario di questi cavalieri, come ad esempio Riccardo Cuor di Leone, re d'Inghilterra che partecipò di fatto ad una delle Crociate.  Per questo non hanno a mio avviso nessun senso alcune censure preventive in paesi come la Turchia, dove i Saxon non hanno potuto suonare la canzone. Sciocchezze e oscurantismi religiosi a parte,  la canzone prende spunto appunto dal richiamo iniziale , in cui un uomo chiede di essere portato in battaglia dai crociati che incontra, chiede a loro di portarlo più a est, dove infuria la battaglia.  Sta aspettando di combatter al loro fianco la battaglia aldilà del mare, la Terra Santa deve essere liberata.  Combattono la giusta battaglia, quello in cui credono, credono in ciò che è giusto.  Marciano, marciano verso un paese lontano da casa in nome della cristianità, i cristiani stanno arrivando, uniti nella fede e  nel  credo  i saraceni presto  assaggeranno le loro lame. I vessilli dei Crociati sventoleranno su tutte le terre. Chiaro che non bisogna prendere sul serio il testo ed estremizzarlo, ma apprezzarne il lato simbolico e romantico. Inutile sottolineare come il brano sia praticamente impossibile da togliere dalla set list dal vivo, e l'entusiasmo si accende in qualsiasi parte del mondo quando Paul Quinn attacca i primi accordi.

A little bit of what your fancy

Anche la seconda traccia, A little bit of what you fancy (Un po' di quello di cui si ha Voglia), promette molto bene: ritmicamente il pezzo è una bomba rock dal sapore antico, che inneggia molto alle dinamiche provenienti dagli anni '70. Biff ci arringa subito all'inizio con una voce che sembra per la verità un po' forzata, ma non fastidiosa, si sposa bene col ritmo di sottofondo. La voce viene seguita da un brillantissimo riff delle due asce dei Saxon, Oliver e Quinn, su un up time ritmico ed effervescente. Peccato sempre questa per la produzione un pò moscia del suono delle chitarre ed, in sostanza, un bilanciamento con la parte ritmica mixata in modo discutibile; sarà questo, negli anni avvenire, causa di forti critiche per questo disco, con cui si pensò che i Saxon avessero virato verso il commerciale. Anche i chorus possono sembrare un po' pacchiani, ma tutto sommato sono accettabili. Dopo un assolo molto elettrico e un preoccupante "Yabadabadù" di Biff in versione Dino degli "Antenati" , si riprende a marciare quel ritmo blues veloce e graffiante che porta all'ultimo ritornello , prima di una conclusione molto ruspante e rock nella sua resa finale. Il significato delle liriche è legato al classico tema della libertà di fare quello che ognuno di noi vuole fare, qui inteso anche nel senso di bruciare le tappe della propria vita e di fare tutto in fretta. "Fare un po' di quello che si ha voglia fa bene, non fermatemi ora, ho voglia di fare rock " dice il protagonista della canzone, che potremmo identificare anche negli stessi Saxon.  Lui dorme tutto il giorno e sta sveglio tutta la notte , non viene pagato, ma va bene allo stesso, è sempre stato un tipo inquieto , ha la sua Ford veloce e non gliene frega nulla della Cadillac, o comunque di avere una macchina fiammante sotto il sedere, per lui ciò che conta è fare esattamente ciò che vuole, in tutto e per tutto.  Anche in questo caso non un testo diciamo particolarmente intellettuale, ma che va a mille all'ora nella sua esecuzione, pari passo ovviamente con la musica. Cogliere l'attimo e non lasciarselo scappare, questo è il messaggio di fondo che riceviamo ascoltando la seconda traccia, soprattutto si ricollega, se ci pensiamo bene, a quel periodo in cui la band era ancora relativamente giovane e vogliosa di trionfi.

Sailing to America

Arriviamo così alla terza traccia, quella Sailing to America (Salpando per l'America) di cui abbiamo parlato in apertura di recensione, pezzo uscito anche come singolo dell'album. L'inizio ritmico e melodico è ben scandito e alto, con in evidenza le due chitarre di Oliver e Quinn che preludono al primo verso cantato da Biff.  Il modo in cui qui Biff canta, è decisamente più posato , senza gli eccessi della canzone precedente. Il chorus è melodico,  con dei buoni backing vocals che in sottofondo aiutano Biff a trascinare il pezzo in avanti; in studio si è lavorato molto bene sui cori, uno dei pochi elementi di missaggio che merita un encomio, e per tutta la durata del disco i risultati sono evidenti, in cui spesso abbiamo dei chorus ben orchestrati, e coadiuvati dalle backing vocals di cui accennavamo prima, anche se il tutto, in alcuni frangenti, appare un po' ruffiano, come se i Saxon volessero trascinarci a sé ad ogni costo, ma tutto sommato alla fine sono godibili. Un leggero arpeggio di chitarra si propone dopo il secondo chorus, il rallentamento dura solo  qualche secondo, per permettere a Biff una breve frase prima che arrivi un ottimo solo che si lega all'ultimo tratto della canzone, in cui si riprende il riff iniziale per poi venire traghettati verso la conclusione dell'intero brano. La canzone, come dicevamo in apertura di recensione, non è un "tradimento" dei Saxon alla natia Inghilterra, ma piuttosto un omaggio all'epico viaggio della Mayflower, la nave di pellegrini che attraversò l'Atlantico partendo dal porto di Plymouth il 6 settembre del 1620. Nelle liriche iniziali si parla dell'eccitazione dell'equipaggio per la partenza; si controlla che ci sia tutto, soprattutto i viveri per affrontare il lungo viaggio. La Mayflower salpa tra sventoli di bandiere, mentre si salutano per l'ultima volta parenti e amici. Stanno salpando verso l'America, stanno salpando verso un posto migliore dove vivere; mentre si ascolta il brano, grazie anche ai ritmi melodici ed alla linea vocale di Biff, si ha davvero la sensazione di trovarsi assieme ai pellegrini della nave, in procinto di partire per un viaggio di speranza, verso terre inesplorate. I lettori attenti che hanno seguito la discografia degli Iron Maiden, forse ricordano il testo di "The Pilgrim" incisa su "A matter of Life & Death" del 2006, 22 anni dopo i Saxon infatti, saranno gli stessi  Iron Maiden a descrivere le vicende della nave Mayflower., anche se con un tono ovviamente diverso dai nostri crociati inglesi.

Set me Free

Il Lato A del vinile originale si conclude con una riuscitissima cover degli Sweet : Set me Free (Liberami).  Ricordiamo che gli Sweet sono una storica band inglese, nata a Londra nel 1968, e che ha influenzato molto il glam rock negli anni successivi, grazie ai suoi ritmi trascinanti, ed alla atmosfera che seppero creare in sede live, ma anche su disco. La canzone è vivace e piuttosto fedele all'originale, con un' ottima performance di Biff. Si parte subito a spron battuto con delle percussioni assai ritmiche di Nigel Glockler, a cui fanno seguito le chitarre vivaci che seguono i versi di Biff, il tutto ulteriormente innalzato da pregevoli interludi strumentali, che sono di fatto la parte migliore della canzone.  Il ritornello è diretto e facilissimo da memorizzare, e viene subito prima di un ottimo spunto di Graham Oliver solista, che si diletta in una piccola cascata di note; abbiamo poi di seguito l'ultima cavalcata di basso e strumenti, che ci porta al finale in dissolvenza, piano piano. La canzone, come abbiamo detto all'inizio della nostra analisi, è piuttosto fedele all'originale composta dagli Sweet, e le vuole rendere il giusto omaggio, magari soltanto arricchendola con qualche giro leggermente più Hard Rock qui e là, senza mai però scadere in una cover completamente stravolta rispetto alla matrice originale . Le liriche, scritte ovviamente da Andy Scott, parlando di un rapporto sentimentale piuttosto morboso e ossessivo.  Il protagonista si sente come legato e imbavagliato in questa storia, e chiede disperatamente di essere liberato. Un' allusione ad un rapporto erotico per così dire fantasioso è evidente ; lontano da suo letto, preso con la forza, non vuole essere lasciato al buio e chiede di essere lasciato libero. Si possono fare alcune considerazioni a riguardo, ad esempio quella attraverso la quale ci immaginiamo un uomo che forse si è ritrovato all'interno di un gioco a luci rosse un po' troppo ardito, si è pentito della sua amara scelta, ed adesso si trova in balia di un' amante alquanto pericolosa.  Naturalmente il tutto può forse essere interpretato più romanticamente, con il nostro protagonista che si sente letteralmente legato e senza via d'uscita da una storia d'amore che non lascia spazio ad altro, quasi a soffocare qualsiasi velleità. "Set me Free" è un brano che avrebbe meritato comunque maggior fortuna, ed è anche il primo tentativo dei Saxon di mettere in piedi una cover di una band famosa, prima del singolo "Ride like the wind" del 1988, estrapolato dalla discografia di Christopher Cross, forse l'ultimo indimenticabile singolo di successo anni '80 della band inglese.

Just let me rock

Il lato B del disco originale comincia con un altro singolo, Just let me Rock (Lasciami Solo fare Rock). Sono le percussioni di Nigel Glockler ad aprire i secondi iniziali del pezzo, per poi subito passare al chorus, con la voce graffiante di Biff in contemporanea alle solite backing vocals effettate, che danno ancora più energia a questo intro. Il brano ha una struttura piuttosto semplice, con chitarre melodiche che accompagnano le strofe e poi il ritornello già sentito in apertura. L'assolo , molto elettrico e tipicamente di scuola Hendrix, è di Graham Oliver, prima dell'ultima strofa più chorus; anche se è un brano dalla struttura semplice, come molti contenuti in questo disco del resto, il brano riesce comunque a trascinare, è tagliente e ritmato, e lo si ascolta con piacere, pur rimanendo lontano dai fasti di tante altre tracce composte negli anni dalla band inglese. Just let me rock è un brano sicuramente adatto sicuramente per incendiare la serata live di turno, ma, anche in questo caso, per quanto i ritmi come abbiamo detto prima siano trascinati ed energici, non siamo comunque di fronte ad una delle migliori produzioni operate dai Saxon, risulta essere alla fine assai anonima nella sua resa. Particolarmente interessante, rispetto alla musica, è invece il testo,  in cui Biff chiede in pratica di togliergli pure tutto, spogliarlo di qualsiasi cosa abbia, e non solo i vestiti,  ma di lasciargli continuare a fare rock, la sua stessa vita (Puoi portarti via anche la mia parte di denaro, puoi anche dirmi che quello che ho firmato è solo un pezzo di carta ma lascia che possa fare rock, dice Biff in una delle strofe principali di questo brano).  Nella seconda parte, riprendendo la stessa riga di pensiero, Biff parla di come puoi anche ingannare una persona dicendo che è vino e non acqua, puoi anche portargli via anche i suoi eroi ( e nel video della canzone c'è un omaggio a Jhon Lennon, morto assassinato quattro anni prima), ma l'importante è che egli possa essere comunque libero di fare ciò che gli pare,  e cioè cantare in una  rock band. Credo che la prima strofa non sia stata messa a caso, sia abbastanza profetica, e che all'interno dei Saxon cominciassero ad esserci qualche mugugno e contrasto su dove finissero esattamente gli introiti delle vendite dei loro dischi. Esiste anche un videoclip di questo brano, che però risulta essere veramente low budget, con fondali di canyon e tramonti mozzafiato piuttosto dozzinali, in cui ovviamente la band canta in playback. Il look dei cinque Saxon sembra peraltro, almeno a quanto si evince dal video, ammiccare anche al glam rock in voga in quei momenti, con acconciature sfolgoranti e abbigliamenti molto variopinti; anche questo sarà uno dei motivi dei dubbi che serpeggiavano fra i fan storici della band in quel periodo.

Bad boys (like to rock 'n' roll)

Con un inizio progressivamente in crescendo anche come volume, inizia la traccia successiva, Bad boys like (to rock 'n' roll) (I Cattivi Ragazzi amano fare Rock'n Roll); è un pezzo vivace e frizzante, che inizia con un riff contagioso su cui si erge la voce di Biff, con le solite backing vocals a fare da contralto. Il chorus arriva subito, forse troppo rapidamente , ed appare abbastanza scontato; ad esso segue poi un pregevole assolo di chitarra, dinamico e pieno di elettricità, seguito poi dal ritorno del riff portante della canzone con un "come on" gridato da Biff.  "Ai ragazzi cattivi piace il rock 'n' roll" ci ripete diverse volta il cantante fino al finale roboante molto simile a This Town Rocks dell'album precedente; ci troviamo di fronte ad un altro brano dalla struttura assai lineare e semplice, quasi banale in alcuni punti, tuttavia, considerandola come una canzone diretta e scanzonata, alla fine ci si diverte anche ad ascoltarla, specialmente leggendo il testo composto. Un po' sulla falsariga di Boys are back in town dei Thin Lizzy, i Saxon scrivono un testo molto semplice, , in cui si elogia quella che fondamentalmente è la vita da strada, quella del rocker vero, quella che prima o poi tutti quanti abbiamo sognato di condurre. La band è eccitata e vuole conquistare il mondo, o comunque incendiare la serata; ed allora suonano al campanello e chiedono alle ragazze se hanno voglia di divertirsi.  La giornata sta diventando rovente come il metallo, e stanno andando dritti all'Inferno, perché si sa, alla fine ai ragazzacci piace il Rock'n Roll, è un dato di fatto, e questo nessuno può cambiarlo. Diciamo che il livello medio dei testi su Crusader ha subito un preoccupante crollo, se si pensa a quello che negli album precedenti avevano prodotto, passando dall'invasione dei Sassoni, dalla morte di J.F. Kennedy alla conquista della Luna, solo per fare tre esempi brillanti. Anche negli anni successivi i Saxon saranno protagonisti di canzoni più sulla vita da rocker, on the road, ma saranno meglio bilanciate da pezzi più di spessore, soprattutto dal punto di vista lirico.

Do it all for you

Un inizio ultra melodico di chitarra è il preludio alla ballad dell'album per antonomasia: Do it all for you (Ho fatto Tutto questo per Te), scritta ovviamente ben prima del celeberrimo singolo di Bryan Adams composto per la colonna sonora di "Robin Hood: Principe dei Ladri". Scritta insieme al produttore Kevin Beamish il pezzo ha nei cori una chiaro tentativo di sfondare nel mercato radiofonico USA, forse il vero e unico tentativo diciamo di vendersi un po' l'anima metal inglese che la band si era costruita  negli anni precedenti. Un ottimo solo precede il chorus finale e la canzone si chiude ancora con le note melodiche di chitarra con cui si era aperta , comprese le rullate di Glockler. Musicalmente la ballad è di buon livello , direi interpretata vocalmente da  Biff  con grande trasporto emotivo e tutto sommato anche i testi romanticoni ci possono stare qui.  Sarà anche un pezzo per le radio, ma il risultato è buono e, in un album un po' povero di vere hit, fa la sua buona figura. Il protagonista è disposto a fare qualsiasi cosa per lei , a scalare le montagne più alte , nuotare nel mare più profondo per poterla liberare dalla sua angoscia.  Farò tutto per lei, ci dice nel testo il nostro protagonista, se ella avesse bisogno nella notte di qualcuno che le stia accanto, lui ci sarà. Se ha paura di guadare in basso e scivola nel burrone lui sarà sotto per prenderla in braccio. Insomma, alla fine risulta essere la classica canzone da accendini accesi, che tocca corde sentimentali, e che tutto sommato risulta alla fine uno dei migliori pezzi dell'album assieme alla title track. Fu probabilmente un errore non pubblicare un singolo o comunque un video della canzone, forse era la traccia più adatta a sfondare proprio in quel mercato USA a cui i Saxon tenevano molto in quel periodo. Peraltro nella sua biografia, Biff è piuttosto severo e ironico sulla sua voce un po' sgraziata e urlante, secondo lui poco adatta per cantare delle ballad. Più che "far piangere le donne", dice, la sua voce le fa "scappare di corsa".

Rock City

Lo stesso cantante apre con il suo consueto stile ruvido la penultima traccia dell'album, Rock City (La Citta del Rock); su una semplice ritmica di Glockler, successivamente subentra tutta la band, ed anche su questa canzone, alla voce di Biff fanno subito da contralto le backing vocals dei due chitarristi, che ripetono semplicemente il titolo della canzone per due volte; ormai ci siamo abituati a questa formula voce principale + cori, e c'è da dire che il risultato, in ogni brano in cui vengono proposte risultano essere assai gradevoli. Il vero ritornello vede un cambio melodico di tempo, e dopo la parte la parte centrale e il pregevole solo credo ad appannaggio di Paul Quinn, c'è un finale tra botta e risposta tra Biff e i cori dei due axeman. Il risultato anche in questo caso non è dei più esaltanti, ed è anche l'ennesima traccia dalla durata esigua, che dura solo poco più di tre minuti. Un pezzo molto "leggero", trascurabile nella sua interezza, in cui i Saxon parlano sempre della solita vita on the road, nell'attesa di suonare in un'altra città.  Sono sulla  strada, eccitati per la serata che stanno per affrontare, è da un po' che non vengono in questa città, ma adesso ci son.  Sono pronti, hanno quello che la gente vuole, o meglio, più sinteticamente ci dicono "No l'abbiamo, voi lo volete. Rock City. DJ, VJ, Radio e Video: è il momento di popolarità della band e non vogliamo fermarci, il gruppo farà il suo show facendo un po' di casino, questa alla fine è la loro stessa vita, è ciò per cui sono nati, e che continueranno a fare per sempre. Ancora una volta la band sembra celebrare il suo momento di popolarità , la fama ed il rapporto con il pubblico, il tutto in toni abbastanza scanzonati e goliardici. Generalmente quando questo tipi di testi si ripetono in uno stesso album è sempre un brutto sintomo, ovvero quello della mancanza di idee, soprattutto, ribadisco, è ancor più grave per una band come i Saxon,  che a differenza di altre band hard rock o heavy metal non si sono mai fossilizzate solo su alcuni specifici argomenti. Seppure tra le preferite del mastermind della band in tutto l'album, a mio avviso Rock City non è un pezzo da Saxon, ed ancora una volta si sente la mancanza su questo disco di un personaggio vicino alla band che li aiuti a trovare la linea giusta.

Run for your lives

Run for your lives (Correre per le Vostre Vite) chiuderebbe in teoria l'album in maniera abbastanza heavy, se non fosse per alcuni imbarazzanti cori da stadio italiano, i classici "Alè Oh Oh" posti dopo il secondo e terzo ritornello con le chitarre che ne seguono le armonie. Biff ha scritto diverse volte che lo spunto fu dato da un incendiaria data in terra italiana (probabilmente si riferisce alla data di Roma nei primissimi anni '80), dove venne messa in piedi una bestiale nottata di tafferugli tra fan e polizia, con anche alcuni incendi di macchine, ma la band fu acclamata comunque con il coro più classico degli stadi italiani. Procedendo con ordine è una rullata di tamburi di Nigel a dare il via al cantato di Biff, piuttosto in sintonia con la notte agitata di cui parla.  Anche in questa ultima traccia il ritornello è molto diretto, una breve melodia e si riparte con la seconda strofa, a cui si lega il successivo chorus per passare alla parte successiva del brano.  Ed ecco arrivare i primi cori da stadio, seguiti da un ottimo solo di Oliver, dinamico e molto Heavy nella sua resa; una volta finito l'assolo, c'è ancora spazio per un'ultima strofa, con il tema portante del brano che si ripete nuovamente, a cui poi fa eco un altro chorus, che con i ritmi da stadio sentiti poco prima, piano piano sempre più in dissolvenza, chiudono l'intera esecuzione. Biff nel testo descrive, come dicevamo, la palpabile tensione la serata: c'è pericolo, c'è pericolo , lo si sente nell'aria, il cantante esorta ad andare veloci, probabilmente via da lì, e a non fidarsi di coloro che incontreranno per la strada. Biff ha fatto un sogno premonitore la notte prima , ha visto qualcuno urlare e bruciare, ed adesso che si trovano in mezzo a quel caos, devono correre velocemente per salvare le loro vite. Vedono qualcuno gridare nel fuoco, i nostri hanno un solo posto dove rifugiarsi, ma sono accecati dalla luce (probabilmente un riferimento ai fari della polizia che si scontra con i fan).  Questa canzone anomala e l'omaggio all'Italia mi fa pensare a quanto erano abbastanza pericolosi in fondo i primi concerti metal nel nostro paese, dove forse si scaricavano anche le rabbie e le ingiustizie sociali, non dimentichiamoci infatti che non molti gruppi, ad eccezione proprio dei Saxon, venivano a suonare in Italia in quegli anni; erano gli ultimi sprazzi di quelli che vengono chiamati "anni di piombo", la tensione era palpabile, erano momenti assai difficili, che hanno causato morte e sangue, oltre che una cattiva reputazione internazionale, da cui ne derivava la poca voglia delle formazioni di venire ad esibirsi nel nostro paese, sia per paura, che per idee di base.

Conclusioni

Crusader ha superato certamente il test del tempo, e tutto sommato è stato rivalutato anche nel corso degli anni successivi, ma paga sicuramente una eccessiva leggerezza nella stesura delle canzoni, basti pensare alla lunghezza dei pezzi (ad esclusione della title track che si discosta dall'intero disco) ed anche ad un certa banalità nei titoli (la parola "rock" compare in molte tracce. Soltanto la title-track mantiene alta un certa tradizione molto valida  dei Saxon nei testi, che sarà la caratteristica anche dei trenta anni successivi.  Ad eccezione di questo brano, amatissimo dai fan fino alla follia, troviamo tracce spente, con un Biff Byford non del tutto a suoi agio, in un miscuglio di pezzi rock FM, ballad e rock blues anche un po' troppo derivativi. Il succedersi di album e tour senza attimi di pausa sta logorando fisico e soprattutto la mente dei Saxon, del resto piuttosto appagata da un tour con i primi Motley Crue negli USA che, parola di Biff, "hanno trasformato ogni sera in una sorta di film porno". La scenografia di Crusader durante la sede live è assai apprezzabile ed alquanto scenografica, perché basata su una sorta di castello / cattedrale che fa da sfondo, con tanto anche di armature e qualche buon effetto scenico. In un commento sul loro primo Greatest Hits nel 1989, edito dalla EMI, lo stesso Biff Byford, leader carismatico delle band, ha dichiarato che forse in quegli anni sarebbe stato meglio fare meno album a distanza tra loro di almeno due, tre anni in modo da fare prodotti di maggiore qualità. In sostanza i Saxon sono caduti nello stesso errore che un altra grandissima band come i Judas Priest  fecero qualche anno prima, nel 1981 con la pubblicazione dello spento Point of Entry; per cercare di ammiccare ad un certo mercato radiofonico USA, incisero delle canzoni corte e banalmente di basso profilo, quasi si fosse subito consumata la grande energia adrenalinica del mitico British Steel. La dinamica che ha caratterizzato i Priest di Halford,  è appunto un pò per chi vi scrive lo stesso effetto che c'è stato nel passare dall'ispiratissimo e metallico Power & the Glory al moscio rock FM di Crusader. All'epoca arrivarono le prime critiche pesanti dai giornali musicali UK, persino da Sounds che li aveva sempre sostenuti, cosa che Biff non perdonerà mai anche per una certa dose di ipocrisia da parte degli stessi giornalisti. Risucchiati dalla fama e dal suo effetto boomerang, cominceranno a sorgere problemi all'interno della band, sia con il management che con l'etichetta discografia. Per altro le vendite negli USA non sono così rilevanti come ci si aspettava, ed il passaggio dalla Carrere Records alla più quotata EMI arriva forse troppo tardi, quando oramai la grande etichetta inglese sembra essere concentrata più sugli Iron Maiden, all'apoca oramai sulla rampa di lancio da un paio di anni;  ancora un volta l'ennesimo cambio di produzione del disco cambierà suoni e atmosfere, rendendo il sound del successivo Innocent is no excuse completamente diverso dagli album precedenti. I fan faticano a riconoscersi nel nuovo corso, e comincia ad esplodere la rivalità tra glam rock e thrash metal , spostando l'interesse verso altri sottogeneri di quella cultura nata fra la fine dei '70 e l'inizio degli '80. Chi faceva metal tradizionale non sembrava trovare più spazio nel mercato, tanto era saturo delle nuove correnti che in quegli anni stavano nascendo. Tuttavia, nel caso specifico dei Saxon, non tutta la classe è andata perduta e, come vedremo in seguito, i tre tanto bistrattati album successivi a Crusader contengono comunque delle bellissime canzoni, ma ne parleremo in futuro.

1) The Crusader Prelude
2) Crusader
3) A little bit of what your fancy
4) Sailing to America
5) Set me Free
6) Just let me rock
7) Bad boys (like to rock 'n' roll)
8) Do it all for you
9) Rock City
10) Run for your lives
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