SACRAMENTUM
Far Away From The Sun
1996 - Adipocere Records
EMANUELE RIVIERA
17/01/2016
Introduzione Recensione
La mia esperienza (ormai consolidata) di ascoltatore ed estimatore di musica metal, mi ha portato negli anni a trasferire in ambito musicale il contenuto di un qualche articolo che ricordo di aver letto parecchio tempo fa tra le pagine di chissà quale rivista a proposito della letteratura. Nel suddetto brano si segnalava come il primo elemento di giudizio relativo ad un'opera letteraria, di qualunque genere essa sia, è rappresentato dalla copertina del testo stesso. Infatti, secondo questo pezzo, una copertina amena, in grado cioè di catturare la nostra attenzione fin dal primo impatto, spesso è sinonimo di un libro interessante e coinvolgente, una sorta di messaggio subliminale che ci invoglia all'acquisto, pur se la nostra intenzione originaria, recandoci in libreria, era quella di acquistare tutt'altro. Ritengo che questo assioma sia rimodulabile anche alla musica, e in particolare a quella estrema, come vi spiegherò nella presente recensione che tratterà il debutto sulla lunga distanza degli svedesi Sacramentum, "Far Away From The Sun" che vide la luce nel maggio del 1996 per la piccola ma lungimirante label transalpina, la "Adipocere Records" (Moonspell e Forgotten Tomb su tutti, circa i nomi di spicco presenti nel suo roster). Fin da principio, infatti, il nostro sguardo non può rimanere indifferente di fronte alla magnetica, ipnotica, copertina realizzata dal prode Kristian "Necrolord" Wåhlin, ex chitarrista dei seminali Grotesque prima e dei Liers in Wait poi, tra gli altri. Egli, per il primo album dei connazionali (e quasi vicini di casa per un certo periodo) Sacramentum immortala un misterioso castello, estraneo alla realtà terrena e quasi sospeso in una sorta di limbo spazio - temporale, eppure maledettamente ed intimamente presente in ognuno di noi, nelle oscurità più profonde che destabilizzano e tormentano l'essere umano, negli orrendi incubi che tutti abbiamo fatto almeno una volta nella vita. Per dare maggiore enfasi al suo operato, Necrolord si affida alle sue inconfondibili pennellate a tinte blu-violetto che già lo avevano contraddistinto nei primi lavori per Dissection ("The Somberlain" e "Storm of the Light's Bane"), Emperor ("In the Nightside Eclipse") e Bathory ("Blood on Ice") e che saranno riproposte con successo anche in seguito per King Diamond ("Voodoo"), Wintersun nell'album omonimo, Thulcandra (con tutta la produzione discografica dei tedeschi dal 2010 ad oggi) ed Aeon ("Aeons Black"), solo per citare alcuni tra i suoi più apprezzati artworks realizzati. Doveroso, prima di addentrarci nella recensione vera e propria, è fare riferimento al contesto socio - culturale e musicale dell'epoca e fornire qualche dettaglio in più su questi Sacramentum, nome non particolarmente noto al grande pubblico. La nostra ricerca prende, quindi, le mosse dalla Scandinavia di metà anni ottanta, terra fredda, disperata per eccellenza, luogo in cui gli inverni sono lunghi e tetri. Non il posto migliore per crescere e diventare adulti quindi, come conferma il gran numero di suicidi registrati tra i giovani e gli adolescenti del periodo. Più nel dettaglio è in Norvegia che, a metà degli anni '80, si udirono i primi, strazianti vagiti di band composte da adolescenti infuriati verso il genere umano tutto, ricolmi di odio verso il mondo nella sua interezza. Questi "disadattati sociali" per darsi una apparenza ancora più brutale ed anche per apparire più maturi di quanto in realtà non fossero, decidono di dipingersi il volto di bianco e scelgono dei bizzarri nomignoli, presi a prestito talvolta da album musicali cui dicono di ispirarsi ma anche da opere letterarie, o più semplicemente antiche saghe mitologiche delle loro terre d'origine, senza dimenticare contesti macabri e horror in genere (si pensi ad Euronymous, Dead, Hellhammer, Maniac, Abbath, Samoth, Ihsahn..). Grande apparenza, dunque, ma anche moltissima sostanza. Con la musica ci sanno fare, altroché se ci sanno fare. I loro primi lavori, registrati in qualche modo in garage o circoli per pochi "eletti" (in cui la musica, purtroppo, non sarà l'unica protagonista), sono di una violenza inusitata, nessuno aveva mai riversato una tale rabbia viscerale nelle proprie canzoni; da un punto di vista lirico utilizzano una forma di scream così acuta e lancinante da non trovare eguali altrove, essi riescono a trasportare nelle loro composizioni tutto il senso di disagio che avvertono nella vita comune. In sede live compiono ogni forma di nefandezza, si autoinfliggono ferite sul corpo con cocci di bottiglie o lamette da barba, devastano i rudimentali palchi che li ospitano, nella vita "reale" profanano e danno alle fiamme i luoghi di culto della religione cristiana in onore di una qualche divinità oscura a cui, in maniera forse troppo riduttiva, danno l'appellativo Satana; si ispirano a ideologie pagane, spesso condite con estremismo politico di destra e sinistra, con una buona dose di xenofobia e misantropia generale. E' l'inizio di un nuovo modo di concepire la musica, è l'alba della diffusione del Black Metal su larga scala. L'ondata nera di musica, metallo e morte (purtroppo sopraggiungerà, ben presto, anche la Signora dalla nera falce a richiedere il suo pesante tributo di sangue tra suicidi disperati ed omicidi cruenti) dalla nativa Norvegia sconfina ben presto nella vicina Svezia e qui contagia un secondo gruppo di giovani, anch'essi resi apatici dal contesto sociale in cui vivono, ma assai creativi, troppo timidi per affrontare la dura vita reale del tempo eppure così tanto abili nel comporre musica. Ma i due Stati scandinavi, pur se confinanti e da sempre affini, mantengono comunque una forte identità nazionale propria. Dunque, partendo da Gothenburg, capitale culturale della Svezia, si diffonde l'idea, geniale quanto assolutamente rivoluzionaria, di miscelare la violenza feroce del black metal con la melodia, il tentativo, cioè, di provare in qualche modo a rallentare e a contenere tutta la rabbia, apparentemente, senza freni proveniente dalla vicina Norvegia. Così lo scream freddo e glaciale si trasforma in un growl massiccio e poderoso, la struttura delle canzoni, da relativamente semplice e diretta, si fa più complessa, la durata stessa dei brani si dilata. Il black metal nudo e crudo delle origini si sdoppia, pertanto, in due varianti e diviene così melodic black metal in ambito più estremo e melodic death metal sul versante più "leggero". In questo contesto sociale e musicale, agli inizi degli anni novanta un giovane di nome Nisse Karlén, con tanti sogni nel cassetto quanti ancor meno soldi in tasca, inizia a darci dentro armato della sola chitarra nel garage della sua abitazione nella cittadina di Falkoping, sud ovest della Svezia. Tumulus è il nome che egli dà alla sua prima realtà musicale a cui si aggiunge, ben presto, un secondo ragazzo quasi coetaneo, tale Anders Brolycke. Il nuovo arrivato dimostra fin da subito notevole talento alla chitarra e il duo, non prima di aver mutato il moniker nel più impegnativo Sacramentum, rilascia nel dicembre del 1992 il primo demo, "Sedes Impiorum": un lavoro immaturo, mal prodotto e distribuito in sole 100 copie nei circoli underground locali. Nel 1994 entrano in formazione Freddy Andersson al basso e Mikael Rydén alla batteria e il quartetto, che nel frattempo ha dedicato parecchio tempo all'ascolto dei grandi classici di settore (Mercyful Fate, Judas Priest e Iron Maiden su tutti), si trasferisce nel remoto villaggio di Finspang per registrare il proprio secondo demo, "Finis Mallorum". Gli studi scelti sono gli "Unisound Studio" di un tale di nome Dan Swano. In questo luogo i quattro avvertono immediatamente che l'atmosfera è magica, l'abile lavoro di produzione di Swano conferisce al sound quella pesantezza necessaria e che era, viceversa, mancata nel primo demo, le chitarre riescono ad emergere con forza creando un muro sonoro non indifferente. "Finis Mallorum" viene distribuito in 150 copie (un numero pari di esemplari finì misteriosamente disperso), per la piccola label francese "Adipocere Records" con cui la band aveva firmato a fine '94. Il demo viene apprezzato nei locali specializzati, il nome Sacramentum inizia a circolare a fianco di altri gruppi che, parimenti, stanno emergendo dal sottobosco svedese, quali Dawn, Dissection, Lord Belial, Naglfar, Unanimated, Vinterland ecc. Ma la line up non è ancora stabile, Andersson e Rydén lasciano la band e Nisse Karlén decide, allora, di spostarsi al basso e di dedicarsi anche alla sezione lirica. Serve però un batterista stabile e, a seguito di una breve ricerca, viene proposto un giovane di nome Niklas Rudolffson, il cui soprannome è "Terror". Il trio esibisce affiatamento immediato, il terzo membro si cala perfettamente nel ruolo e avvalora, con il suo drumming possente, il nomignolo affibbiatogli. La nascente scena melodic black svedese è in fermento, Nödtveidt con i suoi Dissection in particolare sembra emergere più degli altri per qualità compositiva, ma tutto il movimento dà prova di grande abilità tecnica e padronanza degli strumenti. I tempi sono ormai maturi perché i Sacramentum si cimentino con il loro primo full length. Nell'estate del 1995 essi si ripresentano, dunque, agli Unisound Studio dell'ormai mentore Swano per registrare "Far Away From The Sun". Qui torniamo, pertanto, alla copertina di Necrolord, suggerita dallo stesso Karlén, che ci spinge alla scoperta del nostro "castello" interiore, luogo metaforico per eccellenza nel suo significato di meta ultima del viaggio terreno di ognuno di noi, lontano perfino dal Sole, che simboleggia, in antitesi al castello stesso, salvezza e speranza per la nostra anima.
Fog's Kiss
Un altro aspetto di assoluta rilevanza, per poter valutare la qualità di un album che con il tempo ho imparato ad analizzare con attenzione, è l'impatto che la traccia d'esordio ha sull'ascoltatore. E' fondamentale, infatti, come spesso ricordano pure gli artisti nelle loro interviste, che il primo pezzo proposto sia in grado di catturare l'attenzione del pubblico, sappia cioè incuriosirlo e stimolarlo nella prosecuzione dell'ascolto. Anche in questo caso "Far Away From The Sun" rientra alla perfezione nella casistica sopracitata, dal momento che Brolycke e soci ci presentano, in apertura, la monumentale "Fog's Kiss (Il Bacio della Nebbia)", le cui liriche mi sono particolarmente care in virtù delle mie origini geografiche. Fin dalla tenera adolescenza infatti ho potuto saggiare il gelido abbraccio della fitta nebbia invernale, ammirare l'aspetto fatato della bianca luna della bassa Lombardia, odorare l'aroma intenso delle foglie in autunno lungo gli argini. Il "Bacio della Nebbia" si staglia gagliardo nell'aria come una tempesta impetuosa: i ritmi sono serrati ed incalzanti, Terror regala blast beats notevoli al drumming, la massiccia, lacerante voce di Nisse sembra risuonare per noi dagli angoli più segreti del castello raffigurato nella cover. Al baluardo impenetrabile e gelido della nebbia che ci accoglie ad inizio album fa da degno contraltare un altrettanto massiccio muro sonoro in cui, nella qualità generale del complesso, emergono gli incantevoli accordi di chitarra di Brolycke, non a caso considerato una sorta di "piccolo Nödtveidt" all'epoca; un chitarrista che è sicuramente in grado di far percepire all'ascoltatore tutto il freddo pungente della sua terra d'origine. Il primo brano, come la quasi totalità dei successivi, si muove su ritmi decisamente più sostenuti rispetto alla stragrande maggioranza delle band svedesi del periodo. Si percepisce una forte impronta death che verrà riproposta, con esiti non altrettanto soddisfacenti, nel proseguo della carriera del gruppo. Di fronte alla maestosità della fredda bruma invernale rimaniamo come anestetizzati e, pressoché inermi, procediamo senza più provare né dolore, né paura, né sofferenza. Proprio come il protagonista delle lyrics, il quale diviene letteralmente un tutt'uno con questa inquietante ma al contempo affascinante foschia. I paesaggi tipicamente nordici vengono evocati in maniera magistrale, sia da una musica evocativa e potente sia da un susseguirsi di parole poetiche e capaci di suscitare decadenti e romantiche (nel senso letterale del termine) emozioni. Il bacio della nebbia ci seduce e porta via con sé, non ci lascia scampo: l'impalpabile foschia danza per noi e ci accarezza, ci invita all'interno del suo mondo di fredda malvagità. La sua antica ed arcana bellezza è uno spettacolo spettrale che cattura in un sol colpo tutti i nostri sensi, inducendoci sul sentiero dell'immortalità. E' proprio cedendo a questa sinuosa e spettrale danza del corteggiamento che possiamo finalmente ottenere un lasciapassare per la vita eterna. Divenire esseri perfetti, essere nella terra, nell'acqua e nel ghiaccio, anche nel fuoco; ridere dei poveri e miserabili mortali, farci beffe delle loro patetiche condizioni. Abbandoniamo le nostre membra nel sonno dell'eternità, quasi cadessimo in trance. Possiamo annusare l'aria e sentire nel naso e nella bocca il sapore di quel sangue giovane che presto sazierà la nostra sete. Un finale di brano che sfocia, se vogliamo, addirittura nel vampiresco. Siamo ormai un tutt'uno con la Nebbia, esseri perfetti entrati in comunione con un'entità superiore, che ci garantirà la vita eterna, oltre ad un grande ed incommensurabile potere.
Far Away From The Sun
Ora che sono certi di aver colpito nel segno, i Sacramentum ci propongono la spettacolare "Far Away From The Sun (Lontano dal Sole)", ovvero la title-track. Essa si manifesta, più che come una "semplice" canzone, come un viaggio alla scoperta di noi stessi, un itinerario che è consigliabile seguire tenendo gli occhi chiusi per coglierne tutte le valenze introspettive più profonde. Il luogo di partenza è, pertanto, un cielo oscuro e privo di stelle circondato da un silenzio funereo: abbiamo la percezione immediata di essere ben distanti dalla luce del paradiso, stiamo volando lontani dal sole. Avvertiamo poi l'oceano del caos stringerci l'anima e una flebile voce ci ordina di raggiungere il nostro obiettivo senza indugi ulteriori, dobbiamo scavare ancora più a fondo nella nostra intimità. L'atmosfera che ci attornia è tetra e fredda e si ammanta di una colorazione viola intensa, superato un incantevole paesaggio di foreste ghiacciate intravediamo un imponente edificio in lontananza, laddove il cielo incontra l'oceano. Un castello inizia a prendere forma all'orizzonte, sormontato da montagne innevate, è il castello del nostro io più segreto. Ormai giunti nelle vicinanze ci rendiamo conto che non abbiamo alcuna possibilità di tornare indietro, la nostra visione onirica, finalmente fattasi nitida, rimarrà impressa in noi per sempre. Il nostro viaggio si è concluso e abbiamo trovato faticosamente il castello di noi stessi: possiamo dunque addormentarci lontano dal sole. L'aspetto musicale della seconda traccia vede sugli scudi l'eccellente lavoro di Rudolfsson, batterista mai troppo apprezzato all'epoca, ma capace di alternare abilmente blast beat furiosi (molto più frequenti a dire il vero) a momenti più cadenzati e solenni (pochi in realtà). Il riferimento musicale pare evidente, e non potrebbe essere altrimenti del resto, è quello dei Dissection di "Storm of The Light's Bane" anche se la velocità di esecuzione del trio di Falkoping è decisamente superiore, pur mantenendo standard qualitativi eccelsi. A colpirci, poi, è l'ascia turbinante di Anders, il quale riesce a dar vita ad un velocissimo e granitico riff presto sormontato da una melodia a tratti "medievalesca" (manterrà questa qualifica per tutta la durata del brano), espediente molto caro ai Satyricon dei primi tre dischi della loro carriera. Una chitarra pesante ma anche capace di ricamare dunque una sequenza di note particolarmente evocative e non soltanto "feroci". Sentiamo certo la potenza tipica del Black Metal, anche se questo particolare uso della melodia ci allontana e di molto dai territori per così dire "raw" del genere per farci spostare su un piano nettamente più sensoriale e trascendentale, quasi. Insomma, un connubio perfetto fra aggressività e melodia: la prima intenta a catturare i nostri sensi più immediati, la seconda invece adattissima a scavare nei meandri delle nostre emozioni, sconvolgere il nostro cuore, far vibrare la nostra anima. Una degna rappresentazione musicale del gelo scandinavo. Tanto candida ed eterea, la neve, quanto gelida e spietata. Un viaggio musicale degno di nota e particolarmente ben eseguito. Decisamente adatta al contesto, poi, la spettrale voce di Nisse, vero e proprio demone dei ghiacci. Non c'è ce dire, ascoltare questo brano ad occhi chiusi è quanto meno un grande stimolo per le nostre capacità sensoriali ed extra sensoriali, perché no.
Blood Shall be Spilled
Una volta riaperti gli occhi siamo di fronte alla successiva "Blood Shall be Spilled (Il Sangue deve essere versato)" che completa in maniera egregia il trittico di canzoni poste in apertura muovendosi su coordinate stilistiche abbastanza simili a quelle già indicate in precedenza. Degno di nota, in questo caso, è il testo proposto dai nostri, decisamente di ispirazione satanista (la band ha, tuttavia, sempre evitato di accollarsi addosso una simile etichetta preferendo concentrarsi essenzialmente sugli aspetti musicali e compositivi). Il refrain in cui si staglia poderoso e severo il growl del vocalist non ci offre alcuna possibilità di scampo, la sentenza è già stata scritta: nel nome del potente Satana il sangue dovrà essere versato. E si prosegue poi implorando il Signore del male di accettare i sacrifici offerti in Suo onore e di offrirci, in cambio, forza e potenza. Per dare maggiore enfasi al contenuto del testo la band accelera ulteriormente i propri ritmi in quella che, senza ombra di dubbio è la traccia più furiosa dell'intero album, e affida ancora una volta il finale alla batteria di Terror, in questo caso abbastanza canonica per il genere nella sua epicità. Le ultime due strofe, la cui traduzione risulta piuttosto facile anche per chi non mastica la lingua inglese quotidianamente, sono laconiche nella loro brutalità ed efferatezza. In questo caso il gioco melodico è sicuramente orientato verso espedienti meno onirici e ben più crudeli. La melodia a supporto di riff predatori e feroci blast beat risulta essere infatti nera come le gelide notti delle invernate scandinave, quelle che con la loro morsa ghermivano inermi viaggiatori e li stringevano nelle loro terrificanti tenaglie. Dimentichiamoci la bruma seducente della open track e della melodia ispiratrice della title-track, questa volta il tutto è posto in maniera tale da farci percepire il nero del vuoto, dell'oblio, del male fatto persona. E dire che l'inizio non lasciava neanche troppo presagire uno svolgersi così crudele del tutto. Abbiamo un momento più cadenzato e ragionato verso il minuto 1:21, momento nel quale i tempi si dilatano ed anche la melodia sembra quasi divenire più accomodante. Illusione pura, dato che in concomitanza del cantato declamatorio di Nisse il tutto torna a tingersi di pessimismo e disgrazie. Si continua a proseguire su tempi maggiormente "ariosi" fin quando poi la band riprende a martellare senza sosta né pietà. Stiamo parlando dopo tutto del demonio, di Satana, non possiamo indugiare troppo a lungo sulla trascendenza. L'immanenza è quella che comanda, è l'estremismo sonoro, i giochi melodici che anziché stemperare l'atmosfera la rendono ancora più pesante e pregna di sventura. La tetra cantilena che possiamo udire sul finale è l'esempio lampante di tutto questo, anche grazie alla capacità di Nisse di rendere il suo cantato incredibilmente acido e ruvido. Menzione d'onore anche per una batteria estremamente ben suonata e mai, mai noiosa, in grado di passare da violenti blast beat a tempi molto più "ariosi" e ragionati.
When Night Surrounds Me
E' ora la volta della lunga "When Night Surrounds Me (Quando la Notte mi avvolge)" che, negli oltre sei minuti di sviluppo, presenta una sezione ritmica ancor più variegata rispetto alle precedenti tracce. Karlén ci investe come un treno in corsa per i primi tre minuti in cui corriamo il serio rischio di finire sottosopra nel vortice pressante della notte con il suo abbraccio oscuro ed affascinante al tempo stesso. Esattamente a metà traccia un breve intermezzo acustico di pochi secondi suona come una benedizione per le nostre orecchie. Ma perdiamo rapidamente l'ancora di salvezza che i nostri, generosamente, hanno provato a lanciarci e ripiombiamo ben presto nella notte più buia e tenebrosa, venendo scaraventati nell'estremo nord dell'Europa laddove i paesaggi sono aridi e il freddo più pungente che altrove. La notte è ormai calata tutto intorno e siamo costretti a lasciarci sopraffare dalla sua maestosa potenza. La traccia risulta, come detto, divisa in tre tronconi: il primo e l'ultimo settore sostanzialmente identici e tirati fino all'apnea, intervallati da un breve passaggio acustico di notevole pregio. La melodia viene abbinata, (anche se per pochi secondi), alla violenza e i Sacramentum dimostrano, ancora una volta, una maestria tecnica notevole. A livello lirico ritornano le tematiche già affrontate nel primo brano, solamente che al posto della nebbia troviamo in questo caso, nel ruolo di implacabile femme fatale, la Notte stessa. E' al calar del sole che i riti malefici e le nere cerimonie conoscono il loro apice e culmine, è l'oscurità che infonde negli stregoni e nelle streghe il coraggio necessario a misurarsi con forze arcane da piegare al loro volere. Il nostro protagonista è corroso dalla notte, la cui aria egli inspira a pieni polmoni. Il manto del buio si impossessa di lui, la coltre oscura lo abbraccia in maniera gentile e seducente, facendolo abbandonare in un freddo e cadaverico abbraccio. Egli annega in questo mare sconfinato, osserva la luna ed i suoi occhi gioiscono della spettrale visione. Può toccare, sentire, respirare, odorare e gustare la Notte, ogni suo senso è coinvolto in una battaglia che ben presto li vede tutti e cinque venir sopraffatti da questo incommensurabile piacere. Appartenere alla Notte, divenire suoi adepti, è l'unico modo per ottenere la vita eterna. Sacrificare il proprio cuore alla Regina del Male, rifiutare per sempre la luce, spogliarsi d'ogni cosa terrena, futile ed effimera. Solo allora potremo spiegare le nostre ali e spiccare il volo, come angeli della dannazione eterna pronti a servire fedelmente la loro unica signora e padrona, dinnanzi alla quale dovremo per sempre inginocchiarci, senza mai ribellarci.
Cries From A Restless Soul
Il compito di traghettarci oltre metà album è affidato alla evocativa "Cries From A Restless Soul (Lacrime di un'Anima irrequieta)" che, a mio avviso, incarna alla perfezione la definizione di melodic black metal. Le "lacrime di un'anima irrequieta" si palesano ancora una volta come un viaggio attraverso una foresta oscura nella solitudine più completa verso l'ineluttabile destino che ci condurrà al riposo eterno. Il trio appare in stato di grazia, illuminato nella sua pienezza dal sacro fuoco del talento che tanto copiosamente investì la scena musicale svedese in quegli anni. Le atmosfere magiche che i tre sanno regalare si adattano magnificamente al testo proposto e vanno a formare un connubio perfetto, una simbiosi totale tra la sezione strumentale e quella lirica. Le pennellate di melodia si fanno più frequenti ma, incredibile a dirsi, ciò non toglie minimamente energia al brano che, anzi, risulta veloce, aggressivo e cattivo dal principio sino alla sua conclusione. L'inizio è subito dettato da uno stacco di batteria, seguente al quale un veloce blast beat comincia a dettare sostenutissimi tempi sui quali torna a palesarsi una melodia che definire meravigliosa sarebbe un insignificante eufemismo. Ella torna nuovamente a trasportarci in dimensioni parallele alla nostra, non umane, incredibilmente vicine eppure così lontane alla nostra esperienza "carnale". Per comprendere a fondo quanto stiamo sentendo dobbiamo fare appello al nostro sesto senso, spingerci oltre le barriere, tentare il salto nel vuoto. La chitarra di Anders, poi, va letteralmente a braccetto con la poliedricità ritmica di Nicklas, il quale non si sofferma solamente sui blast beat ma anzi riesce a sostenere anche ritmi più contenuti, donando grande varietà alla struttura del brano. La melodia di chitarra, infatti, segue la batteria porgendole la mano, facendosi guidare in questo cammino ora feroce ora elegante, sempre e comunque dominato da un'aura di ossianica memoria. E' come se i nostri avessero deciso di mettere in musica un paesaggio dei loro luoghi natii, per intenderci. La voce di Nisse, poi, è ancora una volta perfetta per donare al tutto ulteriore drammaticità. Il lieve effetto eco della quale beneficia la fa sembrare quasi proveniente dalle segrete di un castello immerso nei boschi. Dicevamo, l'essenza del Melodic Black Metal, proprio perché in questo disco sono presenti giochi melodici d'assoluto livello. Da notare il minuto 2:23, momento nel quale la chitarra comincia letteralmente a galoppare spostandosi nuovamente sui lidi medievaleggianti à la Satyricon, ben adagiandosi su di un blast beat marziale e precisissimo, ora più "quadrato" ora più selvaggio. Il tutto continua a svilupparsi su questa trama sonora fino al minuto 3:30, momento nel quale una piccola pausa ci introduce una chitarra pesante e solenne, intenta poi a lanciarsi nuovamente in una particolarissima galoppata melodica ancora una volta dal flavour Satiresco. Comincia quasi un momento solista in cui le note vengono emesse addirittura in maniera molto più pulita del normale, un clean davvero inaspettato e gradevole, sino a giungere al minuto 4:20, in cui tutto tace per un secondo per poi riprendere ripresentandoci la melodia che tanto ha saputo catturarci. I tempi di batteria divengono molto meno aggressivi e più cadenzati, i tamburi scandiscono quasi una marcia sulla quale le note di chitarra camminano compatte in schiere inarrestabili e così ci avviamo alla definitiva conclusione. Il testo di questo brano, in accordo con la musica, sembra essere uno dei più introspettivi mai composti dai Sacramentum. Il protagonista delle lyrics è infatti immerso in una solitaria atarassia nella quale sembra a tratti crogiolarsi, anche se in linea di massima si ritrova a soffrire la solitudine. A cercare di consolarlo interviene la foresta, con le sue bellezze naturali, le quali sembrano voler cercare di fornirgli tutta la compagnia di cui egli ha bisogno. L'uomo sente antiche ed arcane voci chiamare il suo nome in lingue ormai dimenticate, ascolta il vento e si bea delle possenti visioni degli alberi che, con la loro imponente stazza, quasi impediscono alla luce di investire il suo volto. Il nostro protagonista è in balia dei suoi stessi ricordi ed un passato particolarmente doloroso sembra rivivere secondo dopo secondo nel suo cuore, provato da mille battaglie ed ormai stanco. Egli aspetta qualcuno simile a lui con il quale condividere il suo dolore ma sa già che nulla di questo accadrà. Rimarrà seduto ai piedi delle querce, ricordando e soffrendo, trovando di quando in quando consolazione nell'antica bellezza della foresta, cullato dalle sagge e gentili parole del vento.
Obsolete Tears
I ritmi tornano immediatamente sostenuti con la seguente "Obsolete Tears (Lacrime Antiche)" che, a dispetto del nome che porta (come del resto tutto l'album a detta di chi scrive) non suona obsoleta nemmeno dopo un milione di ascolti. Protagonista è ancora una volta il lavoro dietro le pelli, caratterizzato da una folgorante sequela di blast beats al fulmicotone che eleva Rudolffson al ruolo, peraltro come detto in precedenza mai riconosciutogli appieno, di batterista guida per l'intero movimento. Tra "lacrime obsolete" e "saggezze dimenticate", stavolta siamo proiettati indietro nel tempo, in un'epoca di intelligenze superiori e sagge forme di magia nera e, al cospetto di bagliori viola nel cielo notturno, non ci resta che versare lacrime per quel passato glorioso e sapiente. Notiamo come l'aggressività generale sia sempre e costantemente mitigata da un incedere molto più epico che aggressivo. Sicuramente il lavoro di chitarra richiama le gelide esperienze di molti connazionali e colleghi scandinavi della band, così come le vocals, sempre splendidamente demoniache e sofferte, ruvide ed abrasive. Dicevamo, però, di un incedere che tradisce forse un'anima "Epic": la grande imponenza della melodia torna infatti ad essere assoluta protagonista, in un album ormai definitivamente candidato a divenire uno dei simboli di questa particolare corrente del Black Metal. Non dimentichiamoci che, appena un anno dopo "Far Away From The Sun", il mondo avrebbe fatto la conoscenza di un altro indiscutibile masterpiece del Melodic Black Metal, ovvero il trionfo di sinfonie demoniache noto come "Enthrone Darkness Triumphant", firmato Dimmu Borgir ed universalmente noto come cardine e simbolo di questa corrente. Per dovere di cronaca, è bene ricordare però anche e soprattutto esperienze come quella descritta in questo articolo, non lasciando al "mainstream" il monopolio del tutto. Questo brano è il simbolo di questo discorso, un pezzo / disco magari non universalmente noto ma incredibilmente emblematico, che riprende a piene mani da altri grandi maestri dell'estremo melodico, ovvero i Dissection; una ripresa sapiente e personale che sfocia dunque in tracce come "Obsolete Tears", capaci di mostrarci un mondo a sé stante, etereo e demoniaco al contempo, perso fra nebbie e notti perenni. Il testo sembra, in virtù di questa capacità di evocare paesaggi, molto simile a quello descritto nella precedente track. Come anticipato in apertura di descrizione, questa volta la Foresta decide di parlare in maniera molto più solenne e chiara, ricordando al protagonista storie di uomini vissuti secoli or sono ma mai dimenticati. Storie di eroi, guerrieri, grandi condottieri, molti dei quali antenati dell'uomo che, perso in una selva oscura ma per nulla intimorito da essa, sta ad ascoltare in religioso e serafico silenzio. Le imponenti ombre proiettate dalle montagne disegnano oscure figure, il panorama è troppo ispiratore per poter rimanere impassibili. Le lacrime dunque sgorgano in automatico dagli occhi provati dello spettatore, che ricordando un glorioso passato non può fare altro che commuoversi, quasi questo gesto potesse effettivamente rendere omaggio a tutto ciò che lo circonda. I Maestri delle Nere arti che vissero ben prima che lui nascesse, quell'antica sapienza della quale egli è ormai il depositario e geloso custode.. la foresta gli narra tutto questo ed egli, stoicamente, piange "lacrime antiche" decidendo con queste di suggellare la sua condizione di erede spirituale dei grandi Maestri. Immersosi in questo mondo di antichi sussurri, aperto il portale per l'immortalità, il protagonista si lascia alle spalle tutto ciò che è mortale per accogliere a braccia aperte il potere che lo renderà eterno ed indimenticabile a sua volta, fin quando non arriverà il momento in cui sarà egli ad essere ricordato, quando sarà nuovamente l'antica foresta a narrare le sue gesta ad un nuovo adepto che ne raccoglierà l'importante eredità.
Beyond All Horizons
Giungiamo ora alla summa compositiva dell'album, nonché a mio avviso dell'intera carriera discografica dei nostri: quella gemma dal valore inestimabile che prende il nome di "Beyond All Horizons (Oltre ogni Orizzonte)" la quale, con i suoi quasi sette minuti, risulta anche la traccia più lunga del platter. La band, conscia di stare per realizzare qualcosa di unico, ci concede un minuto di calma estatica in cui a farla da padrone è l'incessante movimento della marea dell'oceano che si infrange sulla battigia. Un boato fragoroso, simile ad un tuono in una notte di tempesta, ci immette di gran carriera all'interno del nostro cammino "Oltre ogni orizzonte" che si materializza all'interno di un sogno sbiadito dove il riposo è eterno ed oceani di oscurità ci trasportano con gagliardia. Stiamo dormendo completamente nudi al di là di ogni orizzonte appunto, dove si trovano tutte le infinità e il respiro della morte è calmo e claustrale. Lo spirito, tuttavia, è in festa sul trono dei desideri perché siamo riusciti a schiudere le porte della peste che stava marchiando a fuoco il nostro corpo. "Nell'inferno a me destinato, di cui sarò signore supremo, il paradiso avrà il suono di urla disperate e lacrime ardenti". Subito dopo l'onirica introduzione è finalmente tempo per la batteria di Nicklas di cominciare a scandire un ritmo incalzante ma per nulla forsennato, quasi "gentile" nel suo modo di porsi, ed anche la chitarra sembra voler essere assai prodiga di melodie epiche e coinvolgenti, le quali scorrono via con un'insolita ma apprezzatissima delicatezza. I ritmi si inaspriscono col proseguire dei minuti, quando si ritorna a martellare blast beat e tutto diviene estremamente più malvagio e "freddo" nel modo di porsi, quasi una slavina stesse effettivamente piombando su di noi per travolgerci. Ci sono nel proseguo delle piccole alternanze di blast beat e tempi più cadenzati, finché questi ultimi non prendono definitivamente piede ed il brano prosegue su questa andatura. Ritorna la componente "epica" e la melodia assurge nuovamente a grande protagonista, rimanendolo anche quando Nicklas torna a sfoderare il suo drumming più forsennato ed estremo. Anche l'ugola del singer diviene più "sguaiata" e violenta, tornano ben presto le alternanze di blast beat e ritmi più "ariosi", alternanza seguita nuovamente dall'incedere magniloquente ed epico già udito in precedenza, il quale stavolta sfuma per concludere definitivamente la track. Un timido e mesto arpeggio ci pone infatti il definitivo addio di un brano in grado di stamparsi in maniera indelebile nelle anime e nei cuori di ogni amante di questo genere musicale, e non solo. La sezione lirica è praticamente chiusa al minuto 3:35 in cui i ritmi vengono rallentati per circa una trentina di secondi in cui anche noi possiamo prendere fiato per un momento. Brolycke e Rudolffson, come già detto, si cimentano abilmente con i loro strumenti per un breve periodo quando, quasi inaspettatamente, il cantante ci travolge nuovamente con il suo growl muscoloso ripetendo, in maniera ancor più lapidaria, le ultime due strofe del testo. "Io sono il dominatore di tutti gli orizzonti, l'oscurità è la nostra luce, i nostri cuori neri e indomiti si sono aperti per accogliere pensieri maestosi. Oltre ogni orizzonte Io ho abitato ed ho ottenuto il diritto alla forza suprema. Questa è la notte in cui mi sono perso. Io sarò giovane per l'eternità e avrò la forza infinita dei sogni. Tale è la mia volontà che manifesto eretto e fiero, in questa piramide di fuoco". Un vero e proprio "proclama", se così vogliamo definirlo: la fine di una sorta di viaggio iniziatico (possiamo ricollegarci forse all'ascetismo dei due testi precedenti) che finalmente consacra un protagonista a Maestro supremo di determinate arti oscure. Il dominatore di un mondo perso a metà fra la veglia ed il sogno, in cui non riusciamo bene a distinguere cosa è vero e cosa effettivamente non lo sia, una terra "di mezzo" sul quale un unico e potente dominatore, ora, si staglia imperialmente per imporre la sua forza e la sua capacità di soggiogare qualsiasi cosa al suo volere. Volontà fiammeggiante pronta ad ardere qualsiasi ostacolo che gli si parrà davanti.
The Vision and The Voice
La prossima "The Vision and The Voice (La Visione e la Voce)" è probabilmente la canzone che meno rimane impressa nella nostra memoria, pur non avendo demeriti particolari. Anche dal punto di vista lirico, essa non si discosta poi troppo dal resto della compagnia: ci troviamo, infatti, di fronte ad un testo altamente evocativo in cui siamo in grado di vedere le creazioni dal profondo della nostra anima e di udire le voci dagli abissi dei nostri pensieri. Abbiamo la facoltà di chiamare i morti, di destarli dal loro assopimento e di condurli in un lago bollente. Di nuovo dunque un ritorno a tematiche assai introspettive, in cui abbiamo un protagonista in grado di rendersi pienamente cosciente dei suoi poteri grazie alla capacità che ha di ascoltare dentro sé stesso. Le antiche voci sono le sue degne compagne e fidate consigliere, egli può vedere e toccare ciò che crea grazie al dominio assoluto che può esercitare su questo mondo. Antichi poteri, saggezza secolare, tutto è stato incamerato nel suo cuore e pronto ad essere utilizzato, spargendo oscurità in ogni dove. Un autentico mago delle ombre, in grado di sconfiggere ogni avversario, di piegare ogni opponente grazie ai suoi poteri, giunti dopo una profonda ed importante meditazione, compiuta a mo' di percorso iniziatico. Parlando del lato più strettamente musicale, si parte immediatamente con la furia iconoclasta tipica del Black Metal, quasi il brano si fosse scordato della maestà melodica sfoderata nelle ultime track ed avesse deciso di mostrarsi come una traccia ben più aderente a determinati stilemi ben più "tradizionalisti" che innovatori. I blast beat sono furiosi e l'ugola del cantante sembra stata strappata dalla gola del demone supremo in persona, ed anche la chitarra preferisce un incedere violento ad uno maestoso o comunque epico/medievaleggiante. E' solo al minuto 2:09 che il tratto tipico di questa band, ovvero il protagonismo di una particolare ed imperiale melodia, viene ripreso ampiamente per qualificare una seconda parte di brano molto più "riflessiva" che aggressiva in maniera ferina. Si segnala, in questa seconda parte, una sezione solistica interessante in cui Brolycke dà sfoggio di tutto il suo talento chitarristico. Ben presto però si ritorna a picchiare in maniera assai decisa, fino alla definitiva conclusione. Un brano che di certo non stona ma neanche aggiunge troppo di nuovo a quanto sentito.
Darkness Falls For Me
La canzone precedente, come detto, non ha punti deboli, mantiene lo standard qualitativo generale su livelli eccelsi e svolge alla perfezione il compito di portarci alla conclusiva "Darkness Falls For Me (Le Tenebre calano per me)", anche nota come Far Away from the Sun (Part Two). La nona ed ultima traccia è qualcosa di più di una semplice outro song, benché la funzione sia sostanzialmente quella. Anche l'indemoniato Karlén si concede un minimo di meritato riposo e si limita a decantare la breve parte lirica dove, quale chiusura ideale del viaggio iniziato 40 minuti prima, ricompare la fitta nebbia che ci aveva accolto ad inizio album. L'ora è dunque giunta per noi, il nostro corpo ormai esausto e sfinito si lascia cadere a terra, l'oscurità eterna ci coglie mentre siamo distanti, distanti dal sole. Le energie del trio si esauriscono dopo due minuti, la seconda parte, solo strumentale, suona quasi come una sorta di testamento artistico per i Sacramentum che pare vogliano concedersi gli ultimi istanti tutti per loro e fissare, così, nell'eternità quel momento tanto solenne e tragico, come se avessero intuito che, mai più in futuro, sarebbero stati in grado di ritrovare una analoga forma di ispirazione artistica e di stile esecutivo. Un suono acuto e sinistro, degno del miglior film horror, parte al minuto 3:28 per poi deflagrare in uno scoppio lontano, contenuto, esattamente trenta secondi dopo, ultima manifestazione sonora di questo maestoso Far Away From The Sun. Anche le lyrics, nella loro estrema brevità, sembrano avere un carattere tipico del "congedo". Il viaggio si è ufficialmente concluso, la nebbia torna ad avvolgere un protagonista che, ritiratosi in perenne esilio nelle lande ove aveva ritrovato la sua vera essenza, è finalmente pronto a lasciare la vita mortale per donarsi completamente al trascendentale. Ormai egli è un'entità pura e superiore, nessuno mai potrà raggiungere i suoi livelli di perfezione spirituale; tutt'uno con la notte, con l'oscurità, egli è il Re incontrastato di tutto ciò che vediamo e non vediamo.
Conclusioni
In sede di giudizio finale possiamo, senza timore di essere smentiti, scomodare l'aggettivo capolavoro (altrove usato a sproposito) per descrivere questo album. "Far Away From The Sun" è un disco magnetico, coinvolgente come pochi, la cui sezione strumentale è praticamente impeccabile dall'inizio alla fine. Il lavoro di chitarra è semplicemente mirabile e variegato, i riff sono mutevoli e di gran classe, la parte del drumming e corposa e non presenta sbavatura alcuna, il basso svolge il suo onesto compito di accompagnamento sonoro e l'assalto vocale che ci offre Karlén non sfigura al cospetto dei più grandi vocalist del genere. La sezione lirica è, se possibile, ancora migliore. I Sacramentum, anche grazie alla già citata felice scelta di spostarsi in un piccolo villaggio rurale, furono in grado di isolarsi dal contesto di morte, violenza, odio xenofobo e disperazione che li circondava all'epoca e composero otto perle di assoluto pregio. Le ambientazioni sono curate nei minimi dettagli e con dovizia di particolari, sembra di leggere delle poesie d'autore e l'ascoltatore viene calato appieno negli scenari descritti, tra foreste di ghiaccio, castelli misteriosi e boschi odorosi. Le melodie sono incantevoli e le atmosfere create ad arte dal trio si susseguono come in una spirale senza fine, ora terrificanti e spettrali, ora oniriche e sognanti. La sola "Blood Shall be Spilled", come ricordato più sopra, si distacca dal resto della compagnia e tratta temi blasfemi e satanisti, tanto cari, invece ad altre band conterranee, ma se ne differenzia, in maniera sostanziale, per la velocità di esecuzione assolutamente superiore agli standard del periodo. Un album di certo non facile che, probabilmente, non riuscirete ad apprezzare al primo impatto ma che, ancor più difficilmente, vi stancherete di ascoltare una volta che lo avrete fatto vostro in ogni sua sfaccettatura. Se sarete in grado di assorbire il primo ascolto spiazzante, i successivi faranno crescere la vostra passione per esso fino ad un livello estatico, "Far Away From the Sun" è una esperienza di vita totalizzante. L'unico appunto che si può muovere, che avrà purtroppo una valenza rilevante sul proseguo della carriera del gruppo, è costituito dalla colpevole intempestività con cui esso fu immesso sul mercato. Le sessioni di registrazione terminarono, infatti, ad inizio estate del 1995 ma, a causa di una certa forma di apatia che colpì la band a lavoro ultimato ed anche per le ristrettezze economiche dell'etichetta produttrice, non venne dato alle stampe prima del mese di maggio dell'anno seguente. Una sottigliezza tecnica che parve di poco conto allora ma che, alla lunga, costò cara ai tre dal momento che, l'anno precedente, il mercato discografico era stato segnato dall'uscita di lavori del calibro di "Storm of the Light's Bane", "Vittra", "Kiss the Goat" e "Ancient God of Evil" per rimanere nel genere affine, senza dimenticare pure "Slaughter of the Soul" e "The Gallery" sul versante più melodico. Il debutto sulla lunga distanza dei Sacramentum fu comunque accolto positivamente dalla critica specializzata ma, anche in virtù di una simile concorrenza che si era mossa in anticipo e con qualità almeno pari a quella proposta da Brolycke e compagni, rappresentò il canto del cigno del terzetto svedese che, demotivato dalla piega che stava assumendo il panorama musicale attorno a loro, virò, con fortune alterne, su sonorità di stampo death - thrash nei successivi due platter, prima di far perdere, ad oggi, in maniera definitiva le proprie tracce. Va comunque detto, per completezza di informazioni, che la band non ha mai comunicato lo scioglimento in via ufficiale. L'album, divenuto ben presto irreperibile ai suoi tempi, è stato saggiamente ristampato nel 2013 dalla potente major "Century Media", che aveva già provveduto a mettere sotto contratto il gruppo dopo la prima pubblicazione. Ciò ha consentito ad un più ampio numero di persone di poter godere di una simile opera d'arte mirabile. Se ancora non lo avete fatto non lasciatevi sfuggire nuovamente l'occasione e fate vostra una copia di questo "Far Away From The Sun", state certi che non vi deluderà. E se, durante i 46 minuti di ascolto, chiuderete gli occhi per un momento, vi sembrerà di scorgere in lontananza, nei pressi di un castello imponente circondato da un mare in tempesta e sotto un cielo color indaco, un trio di giovani nordici con i loro vestiti di pelle scura ed i bracciali borchiati divertirsi un'ultima volta e suonare come ai vecchi tempi. Lontano.. lontano dal sole.. oltre ogni orizzonte di magnificenza!
2) Far Away From The Sun
3) Blood Shall be Spilled
4) When Night Surrounds Me
5) Cries From A Restless Soul
6) Obsolete Tears
7) Beyond All Horizons
8) The Vision and The Voice
9) Darkness Falls For Me