REBIRTH OF NEFAST

Tabernaculum

2017 - Norma Evangelium Diaboli

A CURA DI
DAVIDE PAPPALARDO
19/12/2021
TEMPO DI LETTURA:
9

Introduzione Recensione

Stephen Lockhart, in arte Wann, è una delle figure chiave della scena black metal islandese, una frangia del metallo oscuro che negli ultimi anni ha ricevuto un gran interesse da parte di pubblico e stampa grazie a uno stile dissonante e a tratti primitivo, a tratti tecnico che mischia la lezione del old-school con le tendenze del orthodox e soprattutto l'influenza dei Deathspell Omega. Irlandese di nascita, il Nostro ha contribuito allo sviluppo della scena black metal sia come musicista, sia come ingegnere del suono; il suo nome compare come bassista della band irlandese Slidhr e degli islandesi Sinmara, e come voce ospite in dischi di nomi chiave quali Svartidaudi e Wormlust. Come produttore e ingegnere del suono ha contribuito in modo imprescindibile allo stile tato caratteristico della scena islandese, riuscendo a creare insieme ai musicisti coinvolti quella atmosfera unica primordiale, sacrale, ma allo stesso tempo elaborata che spesso viene attribuita all'influenza dell'isola e all'isolazionismo, ma che in realtà nasconde radici ben più internazionali e collaborative di quanto molti sospettano. Rebirth Of Nefast è il suo progetto personale tramite il quale esprime la sua visione del black metal ancorata a uno stile molto artistico dove elementi jazz, doom, influenze death e progressive collimano in creazioni che di sicuro guardano alla lezione dei già citati colossi francesi (e non a caso il disco qui recensito è uscito proprio sulla loro etichetta), ma riescono ad aggiungere del proprio superando qualsiasi accusa di plagio. "Tabernaculum" è un'opera che riesce a sposare in maniera unica serrata violenza ed emotiva bellezza, regalando melodie ora nascoste, ora in bella mostra, fuse con sferzate vorticanti e passaggi tecnici, rallentamenti evocativi e doppie casse distruttive. Si tratta di un album che ha richiesto un tempo di gestazione molto lungo, tempo totalmente legittimato dal risultato e dall'attenzione al dettaglio maniacale che esce dopo svariati ascolti attenti. In realtà comunque il viaggio del progetto inizia nel 2006 con il demo "Only Death", pubblicato quando ancora l'artista viveva in Irlanda e caratterizzato da un black metal certamente robusto e ben suonato, ma non così elaborato come ciò che sarebbe venuto in futuro; segue lo split con i compagni Slidhr "Ex Nihilio" dove due nuovi brani del progetto mostrano un avanzamento verso il futuro album mostrando i primi segnali di una visione artistica basata su salde conoscenze di songwriting e produzione dei suoni. Per diversi anni seguirà il silenzio, mentre Lockhart inizierà una nuova vita in Islanda fondando lo Studio Emissary e diventando, come detto in precedenza, una figura centrale della scena locale. Ma nel 2017 quanto finora imparato come musicista e l'esperienza nella produzione di dischi geniali come "Aphotic Womb" dei Sinmara e "Flesh Cathedral" degli Svartidaudi prenderà forma nel primo vero e proprio album del progetto, uscito per la Norma Evangelium Diaboli e caratterizzato anche nel packaging da quell'attenzione alla grafica e ai dettagli tipica dell'etichetta francese. Non ci deve stupire che anche le tematiche affrontate siano in linea con l'estetica e la visione portata avanti dalla scuola orthodox, con testi lunghi e legati a una spiritualità "negativa" con tratti mistici e visioni dalle metafore elaborate sul superamento della carne e l'adorazione della morte come uno stato superiore. Musicalmente parlando, il tutto si realizza tramite sei tracce che superano in alcuni casi i dieci minuti di durata, dalle costruzioni mutevoli, complesse, ma anche emotivamente coinvolgenti, veri e propri viaggi che vanno a costituire un' opera che possiamo senza problemi inserire tra i capolavori del black metal moderno e un disco con un'identità molto forte e dagli intenti artistici certamente realizzati e che trascendono l'idea di una scena, inserendosi in un contesto mondiale che va oltre le facili etichette.

The Lifting of the Veil

"The Lifting of the Veil" ci accoglie nel mondo oscuro del progetto con suoni rituali e sospesi dal drone ossessivo e dalle suggestioni dark ambient, un'introduzione cinematica dai suoni spettrali e dai colpi sospesi e dispersi tra le arie sinistre che si ripetono fino all'esplosione improvvisa fatta di chitarre epocali ad accordatura bassa e batteria pesante come un macigno. Cori gloriosi sottolineano un passo death-doom che mette subito in chiaro la natura ibrida e sperimentale del suono qui incontrato, mentre alcune punte dai riff militanti mostrano sprazzi di robustezza nascosta. Wann interviene con toni aspri e cavernosi perfetti per il suono qui stipulato, introducendo visioni tanto affascinanti quanto spaventose e legate ad altri emisferi esistenziali; la vastità della mente collassa e la luce del mondo lascia gli occhi appannati, poiché c'è una conoscenza spaventosa di se stessi e atti vili di contrizione tra cinque pilastri. Ogni parola suona come un ruggito di un essere antico, mentre in sottofondo suoni lenti e pesanti tessono fredde e malinconiche anti-melodie che creano un mood unico. All'improvviso intervengono suoni di chitarra più pagati e dal gusto jazz, toccate melodiche sopra le quali la voce del cantante si fa sospirata e misteriosa: l' ideale della vita deve crollare per poter alleggerire il veleno della mente, entrando nell'insignificanza una saggezza inenarrabile ci investe, i dolori della carne urlano per essere liberati e i corpi sofferenti provano dolore con visioni di cessazione. Parole che trasudano di una certa spiritualità nichilista che vede nella morte e nell'oblio della carne elevazione e superamento del terreno, mettendo in gioco i temi portanti del disco che legano tutta l'opera al filone orthodox; non troviamo qui le complesse dissertazioni accademiche dei D.S.O o le perversioni bibliche dei Funeral Mist, ma un più vago e mistico stile poetico che si sofferma sullo stato di passaggio tra vita e morte. L'ascoltatore viene ora investito improvvisamente da una veloce doppia cassa unita a riff freddi e bordate dissonanti dal gusto glorioso, una costruzione che collima con rocciosi suoni contratti sui quali intervengono tastiere orchestrali e regali. Il peso della terra è stato molto grande e viene sollevato dalle spalle stanche, mentre seppelliamo un mondo morente e stanco dell'infinità della sofferenza, mentre arriva colui che ha le ali spezzate e le facoltà necessarie a condividere il peso diminuiscono. La musica ripresenta gli assalti veloci, mettendo in mostra tutto il tecnicismo di cui è capace il suono del Nostro, con tratti che danno impeto narrativo alla struttura. Si va così a collimare in una cesura dalle bordate incalzanti di chitarra, un ponte marziale dai rullanti decisi e pronto a esplodere in una nuova parata condita da ruggiti cavernosi. Un mondo in lutto perenne maledice il fato e la sfortuna crudele, senza sapere in un eone di passaggio di un odioso difetto nella natura. Sprofondiamo in un pantano sonoro prima di scoprire gloriose orchestrazioni contratte che regalano solennità alle declamazioni di Wann, rapito nella sua nera lezione: il silenzio e il silenzio totale puntano allo scisma della terra, versando una coppa su bocche assetate, con il sangue di ogni sangue, il fallimento della carne, senza valore e significato. Le grandiosità sonore investono l'etere tra chitarre squillanti e rullanti pestati di batteria, creando una coda epica e dal forte impatto emotivo dove abbiamo anche cimbali cadenzati. Davanti a noi si erge il corpo della vanità, con un cuore che batte, lo spirito globale schiacciato e reso una cosa unica con il dolore dei molti. Il corpo della speranza è trattenuto dall'invenzione stessa, contorcendosi in silenzio e piangendo verso la bestia della terra, mentre la carogna è un trono dorato. Belle melodie e toni vocali rauchi, ma più umani, segnano una coda conclusiva che va a sorprenderci con un fraseggio malinconico e progressivo che riprende il motivo melodico della traccia e lo rielabora in chiave più delicata, offrendoci un finale che chiama in gioco motivi controllati e che si disperde con una digressione persa nell'oblio.

The First Born of the Dead

"The First Born of the Dead" esplode subito in una cavalcata black metal dalle doppie case spacca ossa e dai ruggiti cavernosi, un assalto crudele che investe l'ascoltatore con i suoi muri di chitarra e batteria come un fiume in piena. Wann ci chiede in modo inquisitorio dov'è il dio investito di luce, dov'è la sua grazia che salva, e ci mostra il figlio della promessa che si contorce su un pavimento dorato. Parole ricche di una carica distruttiva verso l'immaginario salvifico cristiano, ben rappresentate dal suono martellante e dai chiari tratti black metal sottolineati da dissonanze taglienti e vortici sonori. Il cantante rincara la dose chiedendoci dove sia la tranquillità dell'esistenza e la realizzazione di un significato, mostrandoci lo scarto di lembi impuri nella crudeltà della nascita strappata senza prematuramente. Il seme dell'avversario lucente vede un peccato originale che è un regalo non nominato, un riconoscimento volontario della natura nella sua infinita saggezza. La furia senza sosta ricorda quella della scuola svedese e del così detto norsecore, ma la cavalcata selvaggia va a infrangersi contro una cesura dal fraseggio intermittente, spezzato, che viene interrotto da digressioni prima di mutarsi in una bella marcia dai colpi possenti e dai giri evocativi; veniamo sorpresi da un duetto gotico con la voce femminile di tale Edda Guðmundsdóttir, in una sezione che ricorda il doom nero dei Triptykon e che mette in gioco la natura mutevole dell'album e la maestria nelle soluzioni adottate da Lockhart. La coda avanza con i suoi tratti emotivi, incontrando pure assoli dalle scale melodiche magistralmente sviluppate in chiavi altisonanti che mantengono un gusto lento. Andiamo a scontrarci contro una nuova oasi oscura di silenzio, dove sopravvivono solo suoni spettrali come in un precipizio dark ambient che perdura a lungo. Nuovi suoni altisonanti ci risvegliano con il loro movimento dissonante, sottolineato da alcuni motivi in sottofondo che prendono poi piede con la loro epicità orchestrale; un trionfo di songwriting che mette in gioco un certo gusto avant-garde pronto a sorprendere l'ascoltatore e a portarlo in territori non necessariamente evidenti. Ma la svolta è dietro l'angolo, e una serie di bordate taglienti ci riportano verso suoni più serrati, mentre il cantato cavernoso torna con le sue visioni: un bambino nasce nella sua immagine, ricoperto di sangue e gridando, disperato, nel nome della forma umana decaduta, in comunione con canali sacrosanti. Il fascio di luce conosce tutto, ma è allo stesso tempo nato con depravazione e innata malvagità, un veicolo di carne su ossa, come nulla più delle bestie, e noi siamo fallimenti di Dio. Trotti costanti accompagnano le parole con scariche ripetute e taglienti, cesellate dai colpi di batteria prima di esplodere in nuove orchestrazioni dissonanti e spettrali. Per affogare a speranza dello scopo, per annaffiare il mondo con la sofferenza, quando ogni voce ha gridato nel silenzio, noi siamo statue di cenere pronte per il vento. Parole dalle terribile solennità nichilista che lasciano spazio ai loop di chitarra squillante fatti per consumarsi nell'etere e concludere la traccia con un fraseggio scheletrico che come un fantasma aleggia nel nulla.

Alignment Divine

"Alignment Divine" ci assalta con un muro di chitarre freddo e vorticante dove strumento a corda e batteria si uniscono in una trama gloriosa, sottolineata da linee malinconiche e da vocals sature di riverbero. Il Gran Maestro di cerimonie dispiega nuove visioni nichiliste che sembrano recitate da una dimensione lontana e non terrena, contribuendo all'atmosfera creata. Un universo è morto, ma la carne continua a rimanere ferma, la terra compie un ultimo moto mentre si allontana dalla luce di un sole che collassa, bruciando in una discesa divina dalla forma materiale. Parole che consegnano immagini apocalittiche e profetiche, che hanno il gusto della rivelazione oscura, supportata da un suono decisamente black metal, magistralmente mosso tra suoni serrati e motivi epici; le immancabili dissonanze mantengono un certo gusto "orchestrale" tra gli assalti ritmici e i loop di chitarra lanciata. Andiamo così a sprofondare in una cesura segnata da uno stop improvviso, fatta di cori in lontananza e fraseggi spettrali. Un rituale interrotto altrettanto velocemente dalla ripresa della cavalcata selvaggia, il tutto con un impeto sempre ben presente e coadiuvato dalla convinzione di cantato e strumentazione; la coscienza universale si libera, con un'eruzione verso una fiamma invisibile. Una mancanza di peso concettuale diventa l'esplosione più utile, predetta mille volte come faville nell'occhio della mente. L'orchestrazione da forma sonora alle immagini cosmiche e terribili nella loro grandezza, generando una celebrazione sonora che annichilisce nel caos ordinato l'ascoltatore e allo stesso tempo lo guida nelle trame musicali portate avanti insieme all'impianto tematico. E' solo naturale che il senso di impotenza davanti alla realtà universale diventi sempre più evidente: non c'è conoscenza di un corpo celeste, e nemmeno un senso nel chiedersi perché andiamo verso una luce che diminuisce, come un gregge senza pastore, una sensazione senza fine come se ci nutrissimo da una fonte morta. Il veleno diventa l'acqua della vita, che spazza via la nostra futilità; ritornando a una forma vuota diventiamo la vibrazione nell'aria. Aperture maestose danno sottili melodie pregne di malinconia esistenziale, mentre i colpi di batteria duri e cadenzati scandiscono il movimento fino a una nuova pausa. Ora bordate dure scolpiscono una marcia lenta, ma inesorabile, che sembra ricreare l'inesorabilità dello scorrere degli eoni e del trionfo dell'entropia. Nel vuoto fatto di corpi che fluttuano, decadendo dal calore della carne, il sangue scorre senza direzione e nella cacofonia del silenzio l'occhio diventa chiaro tra le mura della mente, così come la presenza di un'emanazione nera diventa sentita per tutti. Un ultimo movimento negli occhi viene visto da tutti coloro che hanno la vista, una lama in un corpo già morto che fa scorrere il sangue su piani orizzontali. La maestosità dell'orrore cosmico trova corrispondenza nell'impassibilità della musica squillante e trionfante, dove vocals infernali s'incastrano perfettamente con i loro toni cavernosi e improvvise esaltazioni incontrate da fredde melodie. Tra labirinti di permanenza vengono spinti via gli dei, e i loro veli luminosi di idrogeno, tornando anch'essi a una forma vuota. E come per ricreare tutto questo, una terza pausa offre un oasi ambient dove suoni lontani creano un senso di vuoto forse ancora più raggelante delle cacofonie precedenti, portando il brano nell'oblio e nel silenzio.

Carrion Is a Golden Throne

"Carrion Is a Golden Throne" continua le visioni apocalittiche dell'album e i fiumi di chitarre contornate da attenzioni al dettaglio che rendono l'esperienza d'ascolto un viaggio sonoro che richiede un ascolto non passivo. Giri altisonanti di chitarra e drumming martellante ci investono come un fiume in piena, mentre il cantato da orco non viene meno al suo ruolo declamatorio e altrettanto esaltante ed esaltato. Troviamo qui il manto della terra, in un danzare di fiamme nel cielo, mentre lo spirito sale nelle altezze della morte, bruciando un condotto fallimentare. Sospesi sopra un corpo annerito, da un'età di miseria e corruzione, la morte dell'uomo nell'occhio di Dio brilla con la sua finalità mentre l'abominio dell'uomo viene lanciato nell'abisso. Nuove visioni dunque di disprezzo verso l'uomo, la sua natura, e la sua caducità, che insieme al culto della morte come verità universale sanciscono in modo inequivocabile la vicinanza con il movimento orthodox e i temi delle band chiave di esso, nonché naturalmente con la filosofia dell'etichetta che ha dato alle stampe il disco sesto. Anche musicalmente l'assalto dissonante e impotente ci rimanda a quel mondo, in una cascata sonora intrisa di fervore e misticismo nero; allo stesso modo l'inserzione di passaggi tecnici con un fraseggio ossessivo e dal gusto meccanico, mostrano quel sapore verso la sperimentazione tanto caro ai moderni messaggeri dell'entropia. Vediamo il crogiolare in fumi accecanti, mentre viene abbracciata una sostanza che scompare, parole di verità che non vengono ascoltate dai corpi, privi di coscienza e significato. Viene così illuminato il tempio della carne, percorso dell'occhio coperto. Il fiume nero incontra quindi orchestrazioni squillanti e drammatiche, in un'intensità sonora ben orchestrata, ma destinata a interrompersi all'improvviso. Come in un film durante una scena di tensione, tutto si fa sospeso mentre alcuni suoni si perdono nell'etere. Ma la struttura è qui mutevole e irrequieta, legata a un gusto quasi progressivo che non rinuncia a nuovi galoppi distruttivi dai rullanti di batteria combattivi e dai versi rauchi gridati. La vanità si frantuma e sanguina, privata dall'elemento mortale, sospesa su un pavimento fatto di mani che afferrano, sporche di sangue e sporco. Tutto è fatto di corpi senza vita che ululano maledizioni ai venti, anneriti dagli elementi e fermi. Una cesura dai fraseggi delicati e dalle voci quasi sospirate crea un ponte progressivo fato di botta e risposta tra chitarra e batteria, interrotto da alcuni improvvisi assalti prima di perdersi in una landa desolata fatta di momenti jazz sospesi come spettri in lontananza. La cerimonia sonora striscia con i suoi accenni sommessi, aprendosi poi a belle melodie malinconiche pregne di una malevolenza che si rivela in un movimento lento e grandioso che richiama il lato più doom del progetto. Costruzioni di chitarra regalano epici vortici orchestrali che tessono linee sonore dal forte impatto emotivo, dove ancora una vota troviamo la voce Edda Guðmundsdóttir in un duetto gotico che anche qui regala nuovi connotati alla traccia. Una coda grandiosa fatta di doppia cassa e rullanti ci trascina in una sequenza black metal veloce e accattivante; ma il songwriting è senza quieta, ed è destinato un cambio di registro che ci riporta verso atmosfere lente e dalle chitarre altisonanti. La grande sentinella dei cancelli ci accoglie, perdendo del pus dalla pelle spaccata, mentre il piano orizzontale si rivela spezzato e fa trasudare i fumi neri dell'abisso, ricoperto da una fiamma. Il pezzo si chiude con una batteria marziale in solitario, che si muove i lontananza fino al giungere del silenzio.

Magna - Mater - Menses

"Magna - Mater - Menses" ci porta subito sulle coordinate di un black metal martellante e veloce, fatto di muri di chitarre e drumming in doppia cassa, un attacco che investe subito l'ascoltatore come un fiume in piena onirico e solenne. Contornato da vocals cavernose, il marasma sonoro ci conduce verso lidi cosmici pieni di portento e mistero; le parole celebrano la decadenza dell'umano e del divino, sempre attraverso le solite immagini metaforiche e misteriose che hanno un sapore mistico. Morendo come il sole mattutino, sanguiniamo su pavimenti di un bianco cocente, tra il fetore di ferro e carne che brucia. Un'eviscerazione della divinità mentre era incinta, una regina della decadenza e della corruzione, che mostra il suo regno saccheggiato circondato da fumi e vapori ustionanti, indebolita da offerte sospirate. Noi consideriamo il suo corpo come nostro, e riempiamo le sue ferite con lingue curiose e il suo utero con la cenere. Immagini che rimandano a temi di distruzione e dissacrazione, forse del mondo e della realtà intesi come il "divino", una decadenza che è celebrazione dell'entropia e della morte. Lo strato sonoro conosce solo alcune brevi interruzioni preparatorie, seguite da doppie casse spacca ossa e bordate dissonanti, mentre poi si rallenta con maestosità più evocative e ariose, cesellate da giochi ritmici dal gusto tecnico. Giungiamo così verso un abisso sonoro dilatato, fatto di fraseggi sommessi che strisciano, lontani come fantasmi nell'etere, ripetendo i loro motivi insieme a parole solenni dal gusto cinematico. La lunga sessione non può che essere interrotta da un tripudio di pelli pestate e ruggiti rauchi, un'esaltazione quasi orchestrale che rielabora le arie più evocative del black metal. Un fiume nero fatto di dissonanze e batteria assassina, ossessivo nei suoi riff circolari ripetuti; ora viene prospettato un utero dal quale tutta la vita muore senza il dolore della nascita, pregando per la morte prima della fine mentre si è ridotti in un guscio, un derelitto distorto. Bellissimi passaggi vibranti e controllati ci consegnano marce malefiche dove una voce aspra declama le visioni finali dell'incubo sonoro: indebolita dalle offerte sussurrate, con la pelle piena di bolle e oli ustionanti che coprono i piedi dei morti, una patetica speranza del morire nel vedere i figli in onoranza funebre. Il grido delle voci vieni interrotto, e vediamo il cuore del malformato che con non batte più con dolore, e la verità nasce nell'ultimo sussulto. Un motivo pesante, quasi industriale, si riapre a corse lanciate e ad atmosfere maestose, conducendo l'ascoltatore verso una coda ambient dai motivi drone, sconvolta senza preavviso da bordate compulsive in una chiusura metal decisamente ben orchestrata, un perfetto epitaffio per la traccia.che si chiude con cori misteriosi in sottofondo.

Dead the Age of Hollow Vessels

"Dead the Age of Hollow Vessels" segna la conclusione del nostro viaggio, un brano annunciato da alcuni battiti di batteria in solitario, seguiti da chitarre malinconiche e doppia cassa veloce e devastante. La coda sonora viene arricchita presto da ruggiti aspri che ci consegnano per l'ultima volta visioni pregne di spiritualità nichilista e nera perfettamente in linea con i temi del disco. Noi siamo le mura di un tempio, che crollano sui sofferenti, il sale nella ferita, un'offerta della vigna dove la linea di sangue ha perso i suo vigore, provocando la fuoriuscita degli spiriti dal corpo. I suoni serrati vanno a dispiegarsi con le loro trame squillanti e dalle scale elaborate, scontrandosi con distorsioni e improvvisi passaggi rallentati dai fraseggi affascinanti, alfieri di sessioni doom dal passo lento e monolitico. La carne dell'espirazione cammina tra i corridoi della nebbia, per permeare una roccia frastagliata in modo da creare l'immagine orribile di colui che non ha occhi e che sorge dalle fiamme accecanti, mentre fluidi vitali scorrono in una cascata verso l'alto. La mano destra dell'avversione divina si muove, lanciando un'ombra su una sfera di vapore. Paesaggi mentali e sonori legati tanto alla carne quanto al divino, dissacrati dall'inevitabile decadimento che diventa un atto spirituale da celebrare. I movimenti più lenti vengono giostrati tramite dialogi tecnici tra ritmica e chitarre distorte, creando una dimensione sospesa e spettrale che ricrea egregiamente le parole del testo. Cavalcate più possenti ristabiliscono una ferocia dai tempi medi che però è destinata presto a sprofondare in un precipizio dove sopravvivono solo colpi di batteria e cori spettrali in sottofondo. Variazioni di tempo improvvise che conferiscono un sapore narrativo alla musica, e che vedono nuovi passaggi arricchiti da melodie squillanti e misteriose. Invochiamo l'intervento della pietà che spazza via l'ascesso dell'anima che ha un'emorragia nel suo nucleo. Vengono pronunciate parole in una lingua dimenticata, che trasformano le vene in pietra, elevando i monumenti della morte, presagi delle fiamme che s'innalzano, cancelli verso l'interiorità. I fraseggi melodici si ripetono in una bella sessione che genera un pathos imponente ed evocativo, ripreso di seguito da una marcia dai rullanti dilatati e cori spettrali che si alterna con il movimento precedente in un'aria ricca di gusto progressivo. Giungiamo così a uno stop che segna la ripresa dei tratti più caotici, tra colpi di batteria che suonano come martelli su incudini e chitarre distorte ora trattenute, ora lanciate in corse nere e fredde. Il testo termina narrandoci di come venga generato del grottesco in tutti i volumi odiosi degli altri, in un'elevazione senza premio, l'unico pentimento della partizione in un'epoca morta fatta di vuoti vessilli. Le parole finali vengono ripetute in una sequenza ossessiva che s'interrompe con un fraseggio squillante che si struttura in un bellissimo assolo ricco di malinconia, firma della conclusione che si disperde nell'etere.

Conclusioni

"Tabernaculum" è il culmine di anni di esperienza e preparazione, un'opera creata non per offrire brani qualunque che fanno numero e che si aggiungono all'ormai sterminata schiera di band black metal presenti al mondo, ma per narrare una storia unica in modo imprescindibile e con una visione artistica chiara e totalmente dedicata allo scopo dell'album. Certo, non si tratta esattamente di un'entità unica e isolata da qualsiasi contesto musicale odierno, come accennato varie volte in fase di recensioni diversi elementi sonori e tematici rimandano inevitabilmente ai modi dell'odierno orthodox black metal e alla scuola "avantgarde" dei Deathspell Omega, inevitabile paragone per qualsiasi band post-duemila che si approcci al black metal con elementi tecnici, dissonanti e sperimentali, ma l'ispirazione funziona più come una fratellanza che, per fortuna, come un plagio. Qui abbiamo una grande attenzione verso melodie ora nascoste nella composizione, ora più in bella mostra, e per una certa componente doom che rallenta il tutto in favore di passaggi evocativi. Non mancano le sferzate cacofoniche, ma non viene mai raggiunto il livello di parossismo dei Funeral Mist o le geometrie folli dei già citati francesi, e c'è un certo collegamento vivo e pulsante con il black "classico" che ci rimanda a quel sincretismo che spesso ritroviamo nella scena islandese alla quale Lockhart è inevitabilmente legato data la sua attività come musicista e produttore nell'isola. In realtà l'album è tutto tranne che freddo, a discapito dell'attenzione tecnica che è stata riservata alla sua composizione, il cuore presente nel artwork della copertina è presente nella musica. Certo, un cuore nero e pieno di nichilistica essenza, devoto all'esoterica adorazione della morte come verità immane dell'universo; questa devozione nera investe la musica offrendo melodie e costruzioni piene di pathos e bellezza oscura. Non si tratta di un disco facile, non come detto nel senso che raggiunge i livelli di osticità più estrema di cui sono capaci altri nomi, ma perché diversi dettagli e soluzioni possono essere apprezzate solo dopo diversi ascolti. Come detto quindi un'opera che per sua intrinseca natura non può essere fruita come un ascolto passeggero fatto con poca attenzione, un atto questo che in un'epoca sempre più fatta di ascolti passeggeri in streaming può essere considerato controcorrente (anche se in realtà ben pochi dischi di un certo black metal underground potrebbero essere considerati un ascolto da fruire in modo passivo e casuale). L'album non è totalmente passato sotto i radar e ha ricevuto commenti abbastanza positivi e anche entusiastici, ma allo stesso tempo non ha avuto lo stesso passaparola di altri nomi della scena odierna, rimanendo in qualche modo più un'opera conosciuta dagli addetti ai lavori e dai fan più curiosi del metallo nero, volendo una delle gemme nascosta di una scena che, per quanto tacciata spesso dai puristi di aver snaturato l'essenza del black metal e di non offrire nulla d'interesse, ha invece spesso semplicemente elevato ancora di più elementi da sempre presenti in questi suoni cercando un approccio artistico decisamente coerente con quell'ideale di distacco dal mondo odierno e dalle sue regole. Al momento la discografia dei Rebirth Of Nefast è abbastanza scarna e vede un unico labum vero e proprio. In un'intervista del 2019 il Nostro ha parlato di possibili nuovi lavori e di una maggiore attività live, ma il tutto come idee e senza promesse concrete, anche in virtù dei tempi impiegati per la realizzazione di "Tabernaculum"; un chiaro senso di perfezionismo guida la sua attività musicale, preferendo una produzione ponderata e dai tempi dettati non da pressioni esterne. Dovesse anche essere che quanto qui ascoltato rimarrà l'ultima e più completa testimonianza del suono ed estetica del progetto, quest'ultimo dovrebbe comunque avere un posto di rilievo tra i nomi del black metal moderno, grazie a un disco che mette in gioco tutta l'arte e l'elevazione di cui il genere può essere capace e che lo rendono una delle espressioni più uniche del mondo musicale estremo e anche non.

1) The Lifting of the Veil
2) The First Born of the Dead
3) Alignment Divine
4) Carrion Is a Golden Throne
5) Magna - Mater - Menses
6) Dead the Age of Hollow Vessels