RAZGATE
Countdown To The End
2014 - indipendent

NIMA TAYEBIAN
31/10/2014











Recensione
Il panorama metal italiano si dimostra come sempre fertile, ricco di sorprese per quanto riguarda, in particolar modo, il settore "new comers". E tra le cosiddette new comers è bene citare una band non attiva da lunghissimo tempo ma già capace di impressionare per ricchezza di idee. Una band di stampo thrash chiamata Razgate, con all'attivo sino a questo momento un solo Ep di quattro tracce chiamato "Countdown To The End" (uscito nel settembre del 2014, oggetto di questa recensione) fortemente ancorato alla tradizione "classica" (si legga "Bay Area") e in particolar modo a un certo mood di derivazione Testament e Slayer. Dei primi, ascoltando il materiale a disposizione, è facile evincere il lato più prettamente strutturale e lo spiccato senso il senso melodico mentre della band di Araya si mutua il cantato ad opera di Giacomo James Burgassi (non solo, anche a livello strutturale è possibile evincere qualcosa "à la Slayer"), che a onor del vero sembra una clonazione (o comunque una riproduzione molto ben riuscita) dello stile vocale del buon vecchio "zio Tom". Quando si parla della fusione di due gruppi all'apparenza simili (i non addetti al settore diranno "va beh, è sempre Bay Area") ma in realtà molto distanti tra loro (gli Slayer più rivolti alla costruzione di partiture malvagie, mentre i Testament risultano più "melodici" ed "orecchiabili", forti di partiture potenti ma assolutamente meno votate all'evocazione di inferni immanenti) sono in molti a considerare l'operazione come "scontata": insomma, sono in molti che hanno messo in piedi simili ibridazioni, sempre tra i due gruppi sopra citati, per tirare fuori qualche strana bestia (inutile citare gruppi revival come gli Evile, tanto per tirare fuori un nome) ma mi preme sottolineare quanto la volontà di fondere il sound dei due maestri di cui sopra abbia in questo caso generato un prodotto assolutamente degno di ascolto. Le influenze si sentono tutte "a prima botta" ma è anche facile desumere tra queste trame una certa personalità: insomma, lungi dall'essere un gruppo clone i nostri tirano fuori gli attributi e mettono in campo un lotto di quattro pezzi assolutamente freschi e avvincenti, non ammorbati dal peso delle già citate influenze. Comunque, lasciando da parte le chiacchiere superflue (per farvi un'idea del prodotto ascoltatelo!) direi di dare un breve spaccato sulla band, prima di lasciarvi, come sempre, all'analisi dettagliata delle varie tracce che compongono questo interessantissimo platter. Dunque, i nostri nascono nell'agosto 2011 da un nucleo di tre chitarristi, ossia Giacomo Burgassi, Francesco Martinelli e Mattias Papini, uniti nell'intenzione di mettere in piedi una thrash band. Ben presto viene reclutato Edoardo Natalini alla batteria, dimodo (questo era l'intento dei membri fondatori) di iniziare a suonare anche senza l'ausilio di un bassista. Questa situazione comunque non è destinata a durare, perchè successivamente entra nell'organico il bassista Niccolò Olivieri, evento che coincide con il quasi simultaneo abbandono di Edoardo. La mancanza dell'indispensabile figura di un batterista costringe i nostri a trovare un qualche rimpiazzo alle pelli. Per un anno, nonostante l'ausilio di un batterista "rimpiazzo", la situazione sembra essere claudicante, e sia la vena compositiva che l'attività live stentano a decollare. Tutto cambia (in meglio, naturalmente) quando Edoardo rientra nell'ensemble e Mattias decide di lasciare: i Razgate arrivano così alla formazione definitiva. Le richieste live iniziano ad aumentare e la band oltre ad arricchire il repertorio decide di incedere il primo EP di presentazione, "Countdown to the End", composto (come specificato in precedenza) di quattro pezzi. Nell'inverno 2014 oltre a proseguire con la promozione dell'EP con live ed altre iniziative, la band inizia a pensare seriamente di incidere il primo full, nel quale dovrebbe trovare spazio il repertorio più recente. Un full ancora in attesa di realizzazione, che se conferma la bontà dell'Ep potrebbe rivelarsi un ottimo disco. Bene, detto ciò addentriamoci nei meandri del - sino ad ora - loro unico prodotto, il riuscito "Countdown To The End".
Ad aprire le danze ci pensa la title track "Countdown To The End" ("Conto alla Rovescia per la Fine"), un concentrato purissimo di thrash Bay Area fortemente debitore degli Slayer e dei Testament (ma questo ormai si era capito, no?). Solo cinque minuti, ma di un intensità tale da far rabbrividire molti colleghi tanta è la carica sprigionata e la la capacità di fare breccia nei cuori dei metalheads. Come restare indifferente di fronte ad un pezzo (uno dei più riusciti di questo esiguo lotto) capace di fondere con estrema sapienza l'attrito di due dei più grandi nomi della scena americana? Impossibile direi, soprattutto se siete incalliti "thrashers retrò". L'inizio è affidato a pochi secondi di silenzio, a seguito dei quali si parte in fade in con un riff slayeriano molto teso e di forte carica aggressiva. Verso il ventesimo secondo piccolo cambio di tempo che ci affida in toto ad un riff più controllato e meno cinetico. La situazione cambia nuovamente circa venticinque secondi dopo, quando subentra la voce estremamente "à la Araya" di Burgassi e le ritmiche si fanno nuovamente tese ed arrembanti. Ci si affida ad un riffing circolare veloce e privo di orpelli, molto diretto, essenziale, assolutamente adatto ad esprimere incandescenti bagliori di rabbia repressa. La voce e il riffing sono ben sostenuti dalla batteria che, evitando virtuosismi, si limita ad accompagnare (bene) la struttura testè creata, tutta all'insegna dell'aggressione all'arma bianca. Al cinquantesimo secondo il rifferama diventa - pur non perdendo un oncia della sua compattezza - più evocativo, aprendosi ad un breve frangente in cui emerge un flavour più melodico (adatto a stemperare la compattezza del brano). Si ricomincia dal minuto in poi nello stillicidio di cui sopra, testosteronico, tutto impostato sul solito riff circolare in avanzamento continuo come una macchina da guerra. Al minuto e venti un break, con un lavoro di chitarra (un riff, destinato ad essere ripetuto diverse volte. Stavolta la voce di Burgassi è accantonata) stridente ma pregevolissimo. Da qui in poi la "salsa" non cambia: gli schemi di cui sopra vengono ripetuti e a parte un ottimo solo di grande efficacia proposto verso il terzo minuto lo schema rimane lo stesso, abbastanza scevro di sorprese. Il testo sembrerebbe incentrato sulla depressione e sulla consapevolezza di non contare nulla, in un mondo cieco, sordo ed ignorante. Tutto ciò che ci circonda è potenzialmente una menzogna e non dobbiamo fare altro che attendere la nostra morte ("Io non sono nessuno.. sono solo un altro numero. Sento il Nero, Sento il Nero che cresce dentro di me? [nero inteso come oscurità, ndr] Sono privo di volto, Sono l'ombra lì dietro, Sento il Nero, Sento il Nero crescere dentro di me.. Ricordi chef anno male, lì nel profondo.. spine nell'anima."). Un riff dai connotati neanche troppo velatamente epicheggianti da il via alla successiva "Asylum" ("Manicomio"). Il riff introduttivo, molto melodico si chiude oltrepassato il primo minuto, quando un cambio di tempo da il via ad una parte più quadrata e granitica, impostata su tempi medi, forgiata nel più impenetrabile dei metalli per accompagnare la voce stentorea e irosa di Burgassi in una nuova, eccellente performance. Il riff, circolare, viene reiterato più volte sino allo scoccare del secondo minuto, quando i ritmi accelerano lasciando da parte le partiture marmoree precedentemente udite. Il riff di accompagnamento diviene un pizzico più cesellato, ma usato in veste di mero comprimario, adombrato dalla potente performance del vocalist. Verso i due minuti e dieci la voce lascia spazio al riff, ora nudo, che privo dell'ausilio della voce inizia ad emanare in solitario tutta la sua carica distruttrice. Alla soglia dei due minuti e mezzo un break interrompe tanta foga e ci si ritrova in un frangente più soffuso, strutturato su delicati cesellamenti di chitarra e sulla voce di Burgassi ora meno sguaiata (ma non eccessivamente: il vocalist mantiene comunque la sua carica abrasiva pur moderando i toni. La voce rimane dunque "cattiva" anche se, a parere personale, si potevano usare registri anche più "delicati"). Dopo non molto il vocalist finisce nell'oblio per lasciar spazio ai raffinati svolazzi d chitarra, molto seducenti e dotati di un non indifferente appeal, anche se questi è destinato a riaffiorare a seguto dei tre minuti e trenta. Un urlo belluino ai tre minuti e cinquanta ci riporta dunque a partiture non troppo dissimili da quanto ascoltato in precedenza. Ancora una volta parti più quadrate alternate a frangenti vitaminici, testosteronici. E il tutto condito da una voce arcigna che suscita la gioia del thrasher più incallito. Il testo è incentrato molto probabilmente sulle confessioni di un assassino rinchiuso in un manicomio criminale. La segregazione gli pesa, subisce il peso dell'alienazione, ma al contempo capisce che l'istinto omicida non può essere segregato a sua volta, un istinto che lo renderà per sempre pericoloso. ("Urli e grida, dentro di me.. Pioggia fredda, fuori da qui? Non potrò mai essere libero, Pagherò il prezzo della mia vita, Un altro numero che muore Il teatro della pazzia mi imprigiona, guardo il mio mondo che non esiste. Sto perdendo la testa, sento delle voci: "Uccidere è il mio gioco.." "Dolore è il mio nome"). La terza traccia "Flames Inside You" ("Fiamme Dentro Te") è introdotta da un riff meccanico, quadrato. Intorno al ventesimo secondo il pezzo prende velocità scortato da un riff più dinamico, introducendo una ventina di secondi dopo la voce astiosa di Burgassi. Intorno al minuto la sezione ritmica arrembante si concede un frangente nuovamente meccanico e stoppato per introdurre il refrain, molto magniloquente, declamato in maniera enfatica dal singer. Qui la sezione chitarristica predilige cesellare un tappeto più freddo la cui funzionalità è subordinata a scortare la belluina voce di James. Al minuto e mezzo si ricomincia, con il riff dinamico di cui sopra a sorreggere la struttura, prima di una ripetizione dello schema già visto con il ritornello magniloquente introdotto da un riff stoppato. Verso i due minuti e venti un'interessante solo guitar penetra nel brano come una baionetta donandogli maggiore carica. A rafforzare il solo ci pensa poi una accelerazione batteristica piazzata quasi alla fine di quest'ultimo, un utile escamotage che finisce (prevedibilmente, ma va bene) per donargli una componente extra di carica. Ancora un paio di ripetizioni del refrain alla soglia dei tre minuti, quindi un ritorno del riffing meccanico iniziale, e l'intrusione di un arpeggio serpeggiante adagiato su quest'ultimo, che inaugura un nuovo svolazzo solistico, stavolta gemellato alla parte ritmica (la stessa di cui sopra) che non viene smorzata ma reiterata ad libidum. Nel testo sembra quasi che qualcuno abbia scoperto la verità circa l'inutilità dell'esistenza, e per questo viene schernito. Una volta saputa la verità, è il terrore che permea le nostre menti, e chi in qualche modo si trova a beneficiare della nostra condizione, non può fare altro che sfregarsi le mani ed essere contento del nostro dolore, in quanto potrà sfruttarci con maggiore facilità ("Io, io posso percepire le tue paure! Tu, tu non riesci a smettere di piangere! La verità, è ciò di cui hai bisogno.. le fiamme dentro di te Tu, tu non puoi credere, non puoi credere a questo mondo! Le parole che ti dico sono lame, per te."). La conclusiva "Wasteland" ("Terra Abbandonata") conclude con una certa continuità l'ep compatto e senza cali di tensione, proponendo esattamente come i suoi interessanti predecessori un'autentica esplosione di compattissimo thrash di reminiscenza old school. L'apertura è affidata a un giro di chitarra ipnotico e veloce, che viene portato avanti per una ventina di secondi tra vari stop and go, prima di prendere il via definitivamente senza interruzioni, libero di scivolare in velocità per un'altra trentina di secondi. Quindi, superata la soglia del quarantesimo secondo ci si incanala in un rifferama più ragionato, mantenuto su toni più bassi dell'introduttivo ricamo chitarristico. Un rifferama abbastanza cupo ed opprimente che introduce dieci secondi dopo la voce di Burgassi, e che mantiene il vaticinato presupposto di fungere più che altro da base alla performance canora, per quanto si hanno sprazzi in cui la voce viene accantonata per permettere a tale cesellamento strutturale (anonimo ma funzionale) di passare in qualche maniera in primo piano. A un minuto e cinquanta il refrain, melodico ed evocativo, capace di spezzare il senso soffocante avvertito sino a questo momento. Oltrepassati i due minuti ancora uno svolazzo vorticoso speculare a quello sentito nel frangente introduttivo. Da qui si ripete lo schema del primo troncone, in maniera siamese a quanto già sentito, fino al refrain. A tre minuti e venti un break, tutto sommato molto prevedibile ma perfettamente contestualizzato. Un break che introduce uuna parte calma, tranquilla, abbastanza evocativa, giostrata inizialmente su ricami in sordina di chitarra e su un uso parsimonioso della batteria. Poi il tutto scivola, grazie al lavoro di chitarra, verso una parte più "epica" e venata di grandeur, non scevra da un retrogusto molto malinconico. Quindi, oltrepassati i quattro minuti e dieci ci si rincanala in una parte sorretta dall'ormai abusato giro ipnotico iniziale. Ultimo troncone, fondamentalmente speculare al primo, sorretto comunque a tratti da una performance più incazzata di Burgassi. Il testo sembra impostato fondamentalmente sulla depressione, vista come un'arido deserto desolato, dove nessuno è presente e dove siamo consapevoli di venir sepolti, una volta giunta la nostra ora. La nostra tomba sarà la sabbia rovente, e nessuno potrà piangerci su ("Cammino da solo attraverso queste terre abbandonate, senza sentimenti che mi facciano sentire vivo. Uno strano vento soffia su ciò che vedo, cancella le orme che lascio dietro di me. Cammino da solo attraverso queste terre abbandonate, il sole brucia, La sabbia sarà la mia tomba, ma non smetterò comunque di soffrire Terre abbandonate dentro di me.. terre abbandonate dentro di me? Cammino da solo attraverso queste terre abbandonate, Lacrime nei miei occhi").
In definitiva ci troviamo di fronte ad un ottimo Ep, decisamente riuscito e capace di sferrare istantanee baionettate al cuore del thrasher più incallito. Ci troviamo di fronte a sole quattro tracce, ma che tracce ragazzi! Tutte estremamente avvincenti, potenti, realizzate a regola d'arte. Se i nostri continuano su questa strada siamo del tutto sicuri che il primo full length potrà rivelarsi un piccolo capolavoro da incorniciare, capace di rivaleggiare, forse, con tanti grandi e veterani mestieranti del settore. Per il momento comunque un Ep è ancora troppo poco per dare una stima definitiva della bravura della band, e naturalmente si sceglie un voto non troppo "espanso" (che comunque premia la loro capacità) in attesa di avere e visionare altro materiale. Che, siamo sicuri, non tradirà le aspettative degli ascoltatori ne della critica. Se chi ben comincia è a metà dell'opera, i Razgate hanno senza dubbio mostrato grande talento e decisione, nella loro proposta. L'appuntamento alla "consacrazione" è solo rimandato a quando i nostri avranno da proporci un full - length denso di idee e spunti come questo EP. Allora, credetemi, ci sarà di che gioire. Giovani leve come loro sono la dimostrazione che il verbo del metallo è ben lungi dall'essere estinto!

1) Countdown To The End
2) Asylum
3) Flames Inside You
4) Wasteland


