SPITE EXTREME WING
Non Dvcor, Dvco
2004 - Behemoth Productions

PAOLO FERRARI CARRUBBA
07/04/2017











Introduzione Recensione
Argento vivo. Espressione idiomatica azzeccatissima per descrivere concisamente la proposta musicale dei liguri Spite Extreme Wing, una delle band black metal più importanti e rappresentative mai esistite nella scena italiana. Una creatura multiforme, dinamica, sempre rampante eppure anche ermetica, crogiolo creativo della passione di un mastermind decisamente eclettico ed istrionico come "Argento": personaggio controverso e carismatico, la cui vigorosa dichiarazione d'intenti artistici risulta più loquace di mille parole. La band nacque nel 1998 a Genova, quando il cantante e chitarrista Argento assoldò Azoth al basso e Fog alla batteria; la proposta musicale dei nostri sin dagli albori era permeata da una forte ricerca concettuale, il frontman più volte in passato ha manifestato una volontà compositiva dedita a una profonda indagine filosofica ed esoterica legata alla rievocazione storica e al risveglio della coscienza spirituale dell'ascoltatore. La poetica del combo nega la funzione della ragione in quanto unica via conoscitiva della realtà, per Argento comporre musica equivale a esplorare le vie della realizzazione del sé, nell'ottica di un'intima ricerca gnoseologica il cui scopo ultimo è quello di soddisfare un primitivo bisogno di liberazione dall'opprimente razionalismo della società contemporanea. La musica di Argento è un vero e proprio testamento cognitivo autobiografico che coniuga la dualità di contemplazione e azione, una sorta di cura dell'essere volta a restituire al soggetto la propria coscienza originale alienata dalla contemporaneità, per elevare l'essenza astratta dell'ascoltatore esortandolo alla ribellione concreta: la rivoluzione dello spirito per il frontman non è solo un mero espediente trascendentale e metafisico ma anche pragmatico, un'autentica soluzione di vita destinata a risvegliare l'uomo dal gelido torpore del vivere post moderno. Il progetto di risveglio spirituale ideato da Argento si estende dal vivere del singolo individuo al ritorno a un'italianità collettiva, per il singer il destarsi dell'anima apollinea corrisponde al risveglio di una coscienza nazionale e patriottica, un romanticismo legato alla tradizione delle radici nazionali che si rifà espressamente alla poetica di Gabriele D'Annunzio. In quest'ottica le liriche degli SpiteExtreme Wingadottano la vicenda storica dell'impresa fiumana come paradigma del connubio tra azione e contemplazione: Nel 1919 Gabriele D'Annunzio guidò 2600 uomini del Regio esercito italiano alla volta della città adriatica di Fiume, lembo di terra conteso tra l'Italia e l'allora neonato Regno di Jugoslavia; il piccolo esercito capeggiato dal poeta occupò la città per 16 mesi con alterne vicende ed esiti diplomatici incerti e controversi. L'episodio all'epoca ottenne un esteso consenso da parte dell'opinione pubblica, e dai nazionalisti più intransigenti venne annoverato come una vera e propria impresa eroica dettata da un ferreo romanticismo patriottico; perciò l'occupazione di Fiume per Argento corrisponde a un'esemplare avventura dal valore didascalico, base concettuale perfetta per un conceptfinalizzato a risvegliare l'assopita italianità dell'ascoltatore. Se con "Magnificat" (2003, Beyond?Productions) la band aveva sviluppato l'arco concettuale del risveglio dello spirito attorno a temi folkloristici dalle tinte quasi fiabesche, con "Non Dvcor, Dvco" (2004, Behemoth Productions) la poetica tradizionalista di Argento acquisisce toni ferrei, militareschi ed austeri, giungendo alla definitiva maturità artistica con la realizzazione di un concept di altissimo livello, forte di un'intima ricerca filosofica. Il secondo album della band concretizza al massimo la volontà di creare uno stato ipnotico, un flusso di coscienza, un viaggio trascendente che innalza l'essenza dell'ascoltatore portandolo sul sentiero verso l'illuminazione e l'elevazione spirituale: La retorica decadentista di Argento si manifesta in un vero e proprio edonismo dello spirito, la presa di coscienza di uno stato di moderna rovina e alienazione dell'anima, una condizione di cattività da cui è possibile destarsi solo tramite il risveglio della propria natura profonda, la reminiscenza di un'italianità perduta, la ricerca ultima delle vere origini della propria essenza vitale. "Non ducor duco!" (Non sono guidato, guido!) era il motto dei legionari fiumani, e dunque l'asserzione diviene ora motto del connubio concettuale fra tradizione e rivoluzione, la rivendicazione di un'identità individuale e collettiva intesa come nuovo modo di pensare, diversità ed estraneità rispetto alla società contemporanea alienata dalla massificazione delle idee. Aborrendo la modernità e sentendosi oppressi dalle macchine, dal digitale e della tecnica, gli Spite Extreme Wing registrarono il disco preso in analisi tra le fredde mura di Forte Geremia, una costruzione di fine Ottocento sita sui monti liguri, con l'idea di sfruttare i riverberi naturali del luogo, ottenendo dei risultati a dir poco sorprendenti; plasmando dunque un sound naturale e dinamico, ma anche fortemente incisivo. A detta dello stesso Argento l'idea della location fu assolutamente vincente poiché la roccia del luogo reagiva alle vibrazioni degli strumenti come cassa di risonanza, facendo brillare i suoni di luce propria con sfumature armoniche inaspettate. Onde evitare fraintendimenti di sorta ed errate interpretazioni del concept attorno al quale ruota "Non Dvcor, Dvco", il frontman decise di analizzare ogni passo dell'opera con precisi riferimenti testuali e citazioni d'autore, imprimendo nel booklet del disco le proprie riflessioni, con la precisa volontà di condurre l'ascoltatore sul retto sentiero della realizzazione del sé, un viaggio che sublimerà con il raggiungimento dell'ardente sole interiore: la coscienza assoluta. Analizziamo ora le singole tracce.

A Chi l'Ignoto?
PARTE I: "Le battaglie del sé"
Il breve intro dell'album, "A chi l'Ignoto?" comincia con un disteso tappeto di tastiere, note semplici ed eteree che creano un movimento ondulatorio carico di pathos; la tensione culmina in una marcia militare scandita da rocciosi colpi di tamburo e condita da cori di battaglia. Gli Spite Extreme Wing hanno dichiarato guerra alla modernità, l'aria profuma di tragedia, lo scontro per la riconquista dello spirito perduto sta per iniziare..
"Qui non si tratta di voltarsi da una parte e dall'altra in un letto di agonia, ma di svegliarsi e levarsi in piedi!"
-Julius Evola

Non Dvcor, Dvco
"L'azione come tramite per la realizzazione del sé"
L'imponente title-track dell'opera, "Non Dvcor, Dvco" si apre con un secco e militaresco rullo di tamburi. Immediatamente incalza il riff portante dell'opera, un fraseggio severo e violento che improvvisamente diviene vorticoso e sempre più dinamico, le chitarre infuriano in una marcia sanguinaria, il chirurgico drumming di Rigel non lascia superstiti: l'ascoltatore si trova catapultato sin dal principio nella furia della battaglia, il risveglio dello spirito è ribellione e rivoluzione, dunque necessariamente un processo conflittuale, il confronto è in media res, per ascendere dovremo prima sporcarci le mani nel nero sangue della trincea. L'azione entra subito nel vivo, lo svolgimento è repentino ed implacabile, soltanto al termine dello scontro ci sarà spazio per la contemplazione; ma il messaggio di Argento è chiaro: prima l'azione e poi la contemplazione. Il muro di suono creato dalla band è un baluardo distruttivo e totalizzante, le mitragliate costanti ipnotizzano l'ascoltatore creando un'atmosfera marziale densissima. In seguito alla cavalcata iniziale infuria la prima strofa: "Marcio da solo, perchè d'altro uomo passi non seguo, ma guardo lontano" Il frontman apre le danze ringhiando un'ode all'individualità e alla lungimiranza, il primo passo per il risveglio è l'insurrezione, un capo chino è più propenso a toccar terra che cielo, perciò Argento esorta l'ascoltatore ad alzar gli occhi verso l'orizzonte e scrutare il sogno, il destino dell'uomo può essere scritto solo da chi è padrone della propria coscienza. Il fiume impetuoso del fraseggio portante continua a scorrere alimentato dal feroce e preciso drumming di Rigel, abile sostituto del batterista originario Fog, e dunque al culmine della tensione gli argini si annientano ed esplode l'enorme refrain del brano: "Legione dove ogniun di sè è il più fiero! "NON DVCOR, DVCO!" Griderà il condottiero,che non è uno e non è più solo!" La legione fiumana si muove ed agisce come un'idra dotata di mille teste ed una sola coscienza, 2600 cuori legati da un unico sentimento di passione e devozione nei confronti della gloriosa Madre Patria, tanti cuori, eppure un solo battito che intona l'inno di uno scopo unanime: se le strofe lodavano l'individuo, ora la visione si sposta su una collettività accomunata da una volontà ferrea, lo spirito italico corrisponde a una coscienza collettiva irrefrenabile. La canzone si sviluppa con una struttura lineare ed ipnotica, il martellamento è continuo e, nonostante la durata notevole, il pezzo non cala mai di dinamicità, la tensione rimane costante grazie al ritmo perennemente al cardiopalmo. "Così è finito il sogno fiumano. "NON DVCOR, DVCO!" Gridiamo ancora Noi,per ricordare e per agire!" Lo scontro termina e la prima reminiscenza inonda il legionario ormai comandante di sé stesso, il ricordo dell'impresa fiumana incendia la memoria e la tradizione dell'azione eroica torna a vivere nel cuore dell'ascoltatore. La titletrack dell'opera è un paradigma, un pezzo monumentale ed anthemico, il primo grande inno di un concept pregno di ispirazione patriottica e genuina spiritualità: una vera gemma nera.

In Su la Vetta
La contemplazione come tramite per la realizzazione di sé: l'ascesi.
"Mira: la vetta è vicina innanzi a te. Ecco: (la) via pel raggiungimento di sé." "In Su la Vetta" è introdotto da un riff massiccio, il fraseggio è arioso e granitico, i toni si fanno immediatamente epici ed evocativi. La cavalcata continua con andamento ripetitivo ed ipnotico, eppure l'attenzione rimane costante e la tensione è altissima: è il suono della rivoluzione, la rivolta dello spirito è in atto e i pilastri della modernità e dell'omologazione vacillano, la luminosità del riff portante è la colonna sonora della rivalsa di un animo che per troppo tempo giacque assopito in una malsana quiete letargica. Il legionario si scrolla di dosso l'antico sentore di stantio e si erge pronto per marciare verso la vetta del sentiero per l'ascesi, passo dopo passo il sole è sempre più vicino al volto dell'avventuriero: "Guarda sotto il tuo stivale cosa c'è: nebbia, rovine e piccoli esseri. Ora sei libero da quel mondo che, morto, voleva uccidere anche te!" l'esortazione all'individualità continua, Argento invita l'ascoltatore a tagliare definitivamente i ponti tra lo spirito apollineo e l'omologazione decadente della civiltà moderna, la massa è opprimente e l'unico sollievo possibile è dato dal rifiuto categorico della società impura. Terminata la strofa il riffing portante si fa sempre più incalzante e scaturisce in squisite aperture melodiche forti della complicità del basso di Azoth, e repentinamente il frontman intona un epico refrain: "Mai più berrai dalla loro fonte impura.Dimentica la loro infamia che eterna dura!" L'ascesi contemplativa corrisponde all'integrazione delle inedite virtù conoscitive ottenute grazie al distacco dalla realtà sensibile, con la neutralizzazione delle facoltà di raziocinio: la realtà conosciuta solo tramite l'intelletto era impura, ora l'individuo abbandona l'idea della ragione come unica fonte conoscitiva della realtà per abbracciare la via ascetica e ottenere un nuovo livello di conoscenza. In sostanza il legionario diviene condottiero del proprio destino abbandonando radicalmente i dettami della ragione imposti dalla civiltà moderna: imparare equivale a disimparare, l'annullamento del vecchio "io" partorisce una nuova coscienza, sintesi ultima del processo di illuminazione. Dopo la seconda strofa la struttura del brano diventa meno lineare, c'è spazio per una digressione data da un disteso tappeto di tastiere che si intrecciano con chitarre acustiche, su questo inedito sostrato sonoro Argento decanta il secondo refrain. "Mai più vorrai compagnia umana.Dimentica il volgo per l'immateria arcana!" Il legionario è ormai asceta, la civiltà è un ricordo lontano, il vago eco di un incubo terminato d tempo, il protagonista ha raggiunto la vetta del proprio spirito e toccato il grado sommo dell'essere, la seconda reminiscenza è definitivamente compiuta. Terminato il refrain i toni si distendono e la digressione acustica si protrae in un lungo intermezzo melodico che lascia respirare l'ascoltatore. Verso la fine del brano il riffing torna epico e serrato, la doppia cassa di Rigel interrompe il ritmo ipnotico con una rullata decisa, lo stacco di batteria introduce dunque l'ultima, splendida strofa: "Ora sei vento, nebbia e frana che muove l'assurda e vil natura umana!Mai più avrai occhi ciechi d'uomo." Il legionario, asceta e spirito novello è ormai pronto per abbandonare il primitivo guscio umano, la realizzazione della coscienza assoluta conduce il neonato animo all'astrazione dalla materia concreta, il protagonista ha proteso ed elevato la propria essenza verso vette esistenziali così eminentida riuscire ad abbandonare i propri obsoleti schemi fisici, e potersi identificare nell'assolutezza degli elementi naturali.

La Torre del Silenzio
PARTE II: "Le rovine al tramonto di Dio"
Il superamento di Dio come tramite per la realizzazione di sé
L'asceta raggiunta l'illuminazione, si scioglie non solo dal vincolo umano ma anche da quello divino. La quarta traccia dell'album, "La torre del silenzio" è introdotta da un riff massiccio e dinamico, ancora una volta dall'andamento ondoso, martellante ed ipnotico. Man mano che il concept vira verso lidi metafisici e trascendentali, anche se il sound rimane roccioso, le atmosfere si fanno sempre più eteree e distese: la matrice ipnotica della seconda parte dell'opera è di stampo chiaramente Burzumiano, e lo stesso Argento a più riprese indica Burzum e i Darkthrone come propri massimi riferimenti artistici, tuttavia l'impronta norvegese in questo caso non scade mai nella mera emulazione, infatti la personalità stilistica degli Spite Extreme Wing brilla costantemente di luce propria grazie a soluzioni compositive sempre sorprendenti, l'attenzione dell'ascoltatore non cala mai. Conclusa la sfuriata dell'incipit, il cantante continua l'epopea delle vie dell'illuminazione: "Giunsi sì sulla più alta cima, tra arcane nubi e incontaminati cieli. Guardai dalla Torre di Babele e vidi regni d'oro e imperi d'avorio, re di pietra su eterni troni dello spirito, immortali faraoni con occhi d'abisso." La poetica di Argento acquista toni sempre più astratti e fiabeschi, eppure le allegorie che utilizza figurano sempre immagini concrete e dal forte significato, il brano ancora una volta è una critica aperta nei confronti della civiltà: l'asceta che fu legionario nel capitolo precedente aveva raggiunto la vetta del proprio spirito, e ora lo stesso si trova nella posizione di poter criticare aspramente ciò che gli occhi della coscienza assoluta gli consentono di vedere; gli occhi d'abisso dei dominatori della terra si pongono in antitesi alla visione chiara dell'asceta illuminato, l'uomo è cieco, egli potrebbe vedere, tuttavia la sua coscienza materiale ed effimera è accecata da una fremente bramosia di potere."Allungai allora una mano per cogliere, inglobare in me il divino infinito. Cercai sì di chiudere nel palmo Il Tutto, possederlo, per diventar io stesso Dio." L'illuminazione diviene dunque ora auto-teismo, la coscienza assolutacogliendo a pieno il proprio potenziale, anela fisiologicamente ed inevitabilmente a superare il concetto di dio, divenendo divinità di sé stessa, il tutto diventa il nuovo dato materiale, estendibile a una dimensione infinita e inconcepibile per il comune e profano intelletto umano. Il brano si sviluppa sul riff portante rappresentato dall'incipit e la struttura in questo caso sarà lineare estraordinariamente ipnotica, la tragicità dei fraseggi ripercorre la narrazione del frontman, le liriche offrono un repentino colpo di scena nel concept e conseguentemente i toni si fanno sempre più epici e concitati: "Ma ecco che caddi, precipitando lesto, tornando alle rovine dalle quali ero scappato,credetti sì di essere solo un uomo. Debole carne." Lo spirito inaspettatamente tentenna, forse l'idea di abbandonare la propria natura umana era una mera illusione della carne, dunque l'assoluto regredisce per un istante ad asceta, l'illuminato torna ad essere uomo e mortale, tuttavia nell'attimo esatto della regressione l'animo si rende conto di essere davvero depositario di una verità più alta e comprende la natura dell'accidentale cambio di stato regressivo: "Ma ora comprendo: ho eretto la torre per guardar dentro di me.La torre è il Dio, che non mi vuole svelare l'arcano di questo infinito che già, lo sento, mi appartiene." L'asceta comprende di aver peccato di tracotanza, la vera via per l'illuminazione non era erigersi oltre Dio, bensì trovare l'assoluto nella propria interiorità, superare il bisogno della divinità e far crollare la torre dell'illusione; ancora una volta l'asceta espande la sua essenza e nella propria intimità trova la propria assolutezza spirituale: Dio è il silenzio. Il finale della canzone presa in analisi è mozzafiato, uno dei momenti più alti dell'intera opera, Argento offre all'ascoltatore una performance estremamente carica di sentimento ed emotività, la strofa conclusiva corrisponde a un immenso picco concettuale, il coronamento di un brano da incorniciare, pura arte, emozione in costante divenire.

Decadenza
Il brano preso ora in analisi, "Decadenza" corrisponde a un interludio strumentale colmo di atmosfera, un sapiente espediente ottimamente sviluppato per dar respiro all'ascoltatore in previsione di quello che sarà il gran finale di questo splendido album. La chitarra di argento intona un fraseggio sommesso ed etereo che ricorda vagamente l'intro della famosissima ballad "One" dei Metallica;lontani echi di bombardamenti sferzano la quiete del fraseggio portante, la malinconica melodia portante, dalla seconda metà del pezzo verrà suonata dal pianoforte di Azoth, una soluzione delicata che plasma un'atmosfera densa e plumbea. Il titolo risulta tremendamente azzeccato ed in linea con il sound proposto, il delicato basso di Azoth si è messo in primo piano per creare fraseggi mesti, dal sapore autunnale: l'ascoltatore percepisce perfettamente il gelo, la sofferenza del campo di battaglia. Una piccola perla strumentale che non passa inosservata. Il suono di un vecchio ed usurato grammofono introduce l'ultima suite del disco..

Disperazione - Il Ciclo Si Chiude
Siamo ora giunti all'ultima, lenta e monolitica canzone dell'opera: "Disperazione - Il Ciclo si Chiude" il brano preso in analisi è concepito come un ampio e cadenzato crescendo atmosferico, la prima metà del brano risulta piuttosto semplice e lineare, in linea con la malinconia ostentata nell'interludio strumentale. Gli intrecci melodici saranno i protagonisti della sezione iniziale, il basso di Azoth giocherà dunque un ruolo fondamentale nella creazione di soluzioni atmosferiche figlie del Burzum di "Filosofem" (1996, MisanthropyRecords). Per certi versi le ritmiche adottate in questa composizione risultano più vicine al doom che al black metal, solamente con il massiccio intervento di doppia cassa della sezione finale potremo riscontrare sentori prettamenteblack: abbiamo dunque a che fare con il brano più sperimentale del lotto, e senza dubbio "Disperazione" rappresenta l'ennesima gemma del genio compositivo dei liguri. Le ruvide vocals di Argento ancora una volta si inseriscono agevolmente sul disteso tappeto ritmico, la narrazione è eterea e malinconica, ormai la dimensione umana è distante, l'anima assoluta osserva la totalità degli esseri e dalla sua posizione privilegiata biasima la rovina dell'uomo, causata dall'insaziabile fame di potere intrinseca nella natura della specie: "Vedo vento, pulviscolo e rovina. Al tramonto incolore dell'uomo e del suo Dio." L'atmosfera è polverosa e crepuscolare, le liriche hanno un sapore decadente ed apocalittico, la fine dell'uomo è un evento inevitabile, la rovina è la vera protagonista della tragedia messa in scena da goffi attori, la cui volontà è dettata unicamente da un irrazionale istinto autodistruttivo. Un primo picco emotivo è rappresentato dal refrain, semplice ma disarmante: "L'uomo e il suo tramonto.Dio e il suo tramonto" La poetica decadentista del frontman inizia a impregnarsi di quel nichilismo caro al filosofo teutonico Nietzsche: nel concept erano apparsi altri riferimenti al pensatore, ma se prima Argento faceva riferimento a un florido spirito apollineo e alla visione attiva di un nichilismo positivo, ora i toni si fanno sempre più cupi e fatali, il peso dell'eterno ritorno degli eventi sta schiacciando l'uomo sotto un'indissolubile cortina di odio e autodistruzione, il tramonto del genere umano incombe. "Non - più vita - per l'uomo -che è -in rovina" Questo è l'atroce mantra, la litania del frontman che decanta l'armageddon in un crescendo finale da mozzafiato. Il riffing si fa sempre più serrato, e il brano finirà in media res, la vera sezione conclusiva del crescendo sarà infatti affidata all'outro strumentale dell'album.

Il sole di notte e la rivolta
"Il sole di notte e la rivolta" inizia esattamente dove era terminato il pezzo precedente, chi scrive effettivamente non comprende a pieno la decisione di spezzare il crescendo finale di "Disperazione" creando una coda, in fin dei conti il serratissimo riff che compone l'outro in questione è un'accelerazione che si inserisce perfettamente sul finale della sesta canzone: abbiamo a che fare con una sfuriata assassina, l'ultimo grido disperato di un'umanità morente; il pezzo preso in analisi è una breve composizione strumentale, eppure il combo in meno di tre minuti riesce a concentrare tutto il suo potenziale distruttivo, il severo fraseggio portante di Argento e l'efferata batteria di partecipano alla creazione dell'ultimo, grande muro di suono dell'opera. Una vera sassaiola: il finale al cardiopalmo di un album a dir poco fondamentale.
"Ma c'è chi ride folle perché già sa,
chi ha visto il sole calare e Dio morire,
chi vedeva il vero perché questo ardiva,
chi già sapeva la fine vicina.
Vili increduli innanzi alla furia
del Dio che calpesta l'ultima rovina.
L'uomo inghiottito dal primordiale artiglio
del Dio risorto per l'ultimo colpo.
L'uomo e il suo tramonto.
L'Europa e il suo tramonto."

Conclusioni
"La nostra immagine sarà sempre legata al buio notturno, ma ciò non ci rende opposti al Sole, la notte è attorno a noi in quanto età oscura, noi non siamo espressione del Kali-yuga, ma rivolta dal Kali-yuga."
- Argento.
In ultima battuta, l'autore si sente di affermare a cuor leggero che Non Dvcordvco rappresenta un'opera criminosamente sottovalutata non solo per quanto riguarda il panorama metal nostrano, ma anche europeo, e per certi versi mondiale. L'album preso in analisi corrisponde a un pregiato testamento artistico, un lavoro maturo e complesso, forte di una solida cognizione di causa e di un'innegabile perizia compositiva, ma anche di raffinati e complessi spunti di riflessione e di analisi della realtà storica presente e passata. Il dualismo costante tra azione e contemplazione - tradizione e rivoluzione, che funge da base concettuale per tutta l'opera, è sintomo concreto ed inattaccabile di una intensa e profonda ricerca filosofica in fase creativa. Chi scrive ha volutamente evitato di entrare nel merito di eventuali connotati politici e probabili risvolti ideologici, poiché in questa sede l'arte si tratta come tale, e in tal caso si evince un forte base concettuale che rende l'album una creazione artistica completa, un'opera a tutto tondo. Argento nelle interviste rilasciate in passato ha sempre manifestato la volontà intima che influenza la propria vena creativa, per il cantante comporre musica è un processo viscerale, che corrisponde a mettersi a nudo parlando della propria natura contemplativa attiva. Il frontman in quest'ottica si è reso aedo di un idealismo di alto spessore intellettuale, nella stesura dei testi si evince il desiderio, se non addirittura il bisogno di comunicare un valore morale direttamente alla coscienza dell'ascoltatore; chi scrive sostiene apertamente che gli spunti di riflessione contenuti nelle liriche del platter, se saputi interpretare a dovere, possono assumere una concreta valenza didascalica e filosofica: Argento intende esortare genuinamente l'ascoltatore all'elevazione spirituale, alla crescita interiore, al rifiuto dell'omologazione della società, e alla riscoperta di lontani valori patriottici. Una ricercatezza concettuale di simile caratura è più unica che rara nel genere, se consideriamo l'altissimo livello compositivo e performativo, i lettori potranno agevolmente rendersi conto dell'effettivo valore artistico di un album imponente come Non DvcorDvco. Un lavoro del genere in origine non fu certamente concepito per una distribuzione internazionale, tuttavia chi scrive sostiene senza remore che il disco preso in analisi sia annoverabile tra le colonne portanti del genere anche al di là dei confini nazionali: abbiamo a che fare con una perla dimenticata, una gemma rimasta isolata, sepolta nell'ambito dell'underground italiano, eppure un lavoro che non ha niente da invidiare ai classici norvegesi del genere. Per ricercatezza compositiva, volontà sperimentale e solidità concettuale, Non DvcorDvco è considerabile non solo come il grande capolavoro dei compianti Spite Extreme Wing, ma anche come uno degli album black metal più belli mai composti. Un classico dimenticato, da riscoprire e tramandare ai posteri. Capolavoro senza tempo.
"SI SPIRITVS PRO NOBIS, QVIS CONTRA NOS?"
- Gabriele D'Annunzio

2) Non Dvcor, Dvco
3) In Su la Vetta
4) La Torre del Silenzio
5) Decadenza
6) Disperazione - Il Ciclo Si Chiude
7) Il sole di notte e la rivolta

