QUEEN
The Miracle
1989 - EMI
NIMA TAYEBIAN
09/09/2012
Recensione
A seguito del loro trionfale Magic Tour, i John Deacon, che decide invece di godersi la famiglia rilassandosi nella sua casa al mare di Biarritz): Monserrat Caballè, "Barcelona", (un album che tenta, peraltro riuscendoci, di fondere il rock con la musica lirica. Un esperimento di raro fascino e gusto), Brian May si butta su una serie di collaborazioni (tra cui quella con i Black Sabbath e con i Livin in A Box). Al termine di questa rigenerante pausa i quattro si riuniscono e decidono che da questo momento in poi tutti i nuovi pezzi saranno firmati solo ed esclusivamente con il monicker Queen, testimonianza in più della loro unione, anche aldifuori del mondo artistico: inutile ricordare il legame extraprofessionale fondato sull'amicizia dei quattro, destinato a durare nel tempo (anche oltre la morte di Mercury) risultando assolutamente inossidabile. I quattro passano tre settimane ai Townhouse Studios di Londra registrando una serie di nuovi pezzi, che successivamente vengono valutati insieme analizzando collettivamente cosa scartare e cosa lasciare: nell'album, battezzato. Zeppeliniano sino al midollo (sembra quasi di trovarsi di fronte ad un brano ispirato alle sessions di Presence in versione aggiornata e riveduta), il pezzo si offre in pasto agli ascoltatori con un botta e risposta tra le vocals di Mercury e la chitarra di May. Il pezzo, più sincopato rispetto al frizzante precedente, prosegue con quel vago flavour à la Zep, con Mercury che accompagna con la sua magnetica voce i vari stop and go di chitarra. A un minuto e ventisei un inatteso frangente frizzante, da party, appunto, rompe la struttura sonora offrendo all'ascoltatore un inusuale cambio di atmosfera. A seguire, un momento estremamente pacato, sorretto comunque dalla voce grintosa di Mercury, ed immediatamente il brano torna su binari più dirompenti, hardeggianti. Con il terzo brano, The Miracle, ci troviamo di fronte ad uno di quei pezzi divenuti ormai classici nella discografia della Regina. Il brano inizia con dei toni elegiaci, idilliaci, trasognati. Dopo pochissimi secondi si inserisce delicata la voce di Mercury declamando "Every drop of rain that falls in Sahara Desert says it all/ it' s a miracle/All God's creation great and small, the Golden Gate and Taj Mahal/That's a miracle..." aumentando grinta in un crescendo emozionale di grande intensità. Il pezzo, nel suo continuum prosegue in toni quantomeno eterei, in un'atmosfera che ci immerge in un ideale estasi dei sensi, mentre Mercury ci spiega, in una sorta di Nirvana raggiunto, come ogni cosa che ci circonda sia in realtà un piccolo miracolo, e che sarebbe un miracolo anche la pace sulla terra e la fine di tutte le guerre, cosa che tutti attendiamo. Una serenità mondiale raggiunta, un equilibrio dei sensi, una perfetta armonia che porti un globale senso di stabilità..
Il brano è ricordato come uno degli evergreen dei Queen: di pregevole fattura, grazie al sapiente giostramento delle atmosfere e alla solita grande prestazione di Freddie Mercury, è sicuramente un pezzo che si lascia ricordare e già dopo il primo ascolto finisce per stamparsi nella testa dell'ascoltatore. Con il pezzo successivo, The Invisible Man: il pezzo parte con i sussurri di Mercury (I' m the invisible man...) e dopo non molto ci troviamo in una sequenza elettronica che fungerà da struttura per tutto il brano. Grandiosi come al solito gli assoli di May. Il testo, neanche a dirlo, parla di questa strana creatura, l'Uomo Invisibile, sfuggevole, privo di amici a causa della sua stranezza (Non ho mai avuto un vero buon amico, non ho un ragazzo ne una ragazza...) Notevole il videoclip del pezzo, strutturato attorno a dei personaggi dei videogiochi (i Queen) che fuoriescono dal pc per interagire con un simpatico ragazzino: un dischetto entra da solo nel computer e dopo poco si scatena il putiferio. Il ragazzino sta cenando con i genitori, le luci iniziano a lampeggiare in sala da pranzo ad intermittenza, il giovane si alza, corre nella sua stanza e....inizia a giocare al suo videogioco!
Presto fuoriesce Mercury (the Invisible Man), dotato di un paio di occhiali futuristici dalla montatura verde, e poco dopo è seguito a ruota dai suoi compari, che si mettono a suonare nella sua stanza. Al termine del brano i quattro stanno scomparendo per tornare nel loro mondo, Deacon lancia il suo cappello al fanciullo, e in breve anche questi si trova catapultato nella loro magica dimensione. Rain Must Fall parte scoppiettante, allegra, con dei frizzanti giochi di percussioni. Esattamente come il pezzo precedente sembrava evocare nei ritmi l'incedere di una locomotiva in corsa, il brano in questione sembra dare l'idea dei picchettamenti della pioggia battente del titolo. Il pezzo si mantiene su toni dolci, quasi fiabeschi, e l'aria che si respira è soave, primaverile. Brano gradevole ma non troppo incisivo, trova il suo maggiore punto di forza in un magistrale assolo del solito grande May. Con ...). Risalta su tutto l'apporto vocale straziato di Mercury, pregno di dolore, rammarico, e i soliti voli pindarici di May. Azzeccato l'uso delle voci filtrate a 3 minuti e dieci circa, destinate a ritornare in chiusura del brano a condire saporitamente alcuni magistrali svolazzi del divino May. Il brano in questione è sicuramente più efficace del precedente, molto più incisivo e dal testo quantomeno significativo. My Baby Does Me si mantiene su un andamento soft, pacato, di grande classe e gusto. Il pezzo sembra plasmato ad hoc per evidenziare la prestazione di un Mercury in grande spolvero, capace di modellare a piacimento la sua ugola come un artista modella la sua duttile creta. Su un tappeto ritmico loopato Mercury gigioneggia con la sua cristallina capacità canora, intervallato da sopraffini giri di chitarra dell' inossidabile May, capaci di dare più splendore a questo piccolo gioiello. Si arriva alla fine del viaggio con la grande Was It All Worth It, scatenata rock song. Ancora una volta si parte in fade in: dopo una quarantina di secondi, riscaldati i motori, il pezzo parte in tutto il suo ruggente dinamismo. May verga un riff di notevole potenza corazzato ulteriormente dagli implacabili colpi di batteria di Taylor. Poco dopo il minuto subentra la voce di Mercury che con notevole grinta declama un testo quanto meno introspettivo: " What is there left for me to do in this life?/Did i achieve what i had set in my sights/ Am i a happy man, or is this sinking sand/ Was it all worth it..". Il singer si chiede "ne è valsa la pena?" rimembrando sul suo passato in cui ha vissuto tante avventure all' insegna del rock' n roll. E la sua risposta, alla fine, non può essere che si. Il pezzo, conclusa la parentesi hardeggiante dal quarantesimo secondo al subentrare della voce di Mercury si mantiene su binari rock comunque solidi, riscaldati ad intervalli regolari dalla chitarra di May, instancabile dispensatrice di emozioni: assolutamente stupendo il solo guitar che prende il via dai 3 minuti e 37. L'album, il penultimo della discografia dei Queen (non considerando il postumo Innuendo, 1991) è un lavoro di grande intensità, ricco di pezzi di incredibile fattura, decisamente più solari se paragonati a quelli presenti nel suo immediato successore. Ben cinque sono i singoli estratti (I Want It All, Breakthru, The Invisible Man, Scandal e la title track) da cui sono stati poi realizzati cinque ottimi videoclip (oltre ai celeberrimi video di The Invisible Man e Breakthru mi piace ricordare quello di The Miracle, che vede un esibizione di quattro bimbi - sosia dei vari Queen). Consiglio caldamente il disco a tutti gli amanti della buona musica, rock e non: in particolare a tutti quelli che conoscono già molti dei pezzi ma hanno bisogno di approfondire l'album con maggiore attenzione e ai vari neofiti che si stanno gradualmente avvicinando al magico mondo della Regina.
1) Party
2) Khashoggi's Ship
3) The Miracle
4) I Want It All
5) The Invisible Man
6) Breakthru
7) Rain Must Fall
8) Scandal
9) My Baby Does Me
10) Was It All Worth It