PROTOKULT

No Beer in Heaven

2014 - independent

A CURA DI
DAVIDE CANTELMI
27/10/2014
TEMPO DI LETTURA:
8

Recensione

Nel mondo ci sono tantissime realtà musicali di vario tipo, dettate dalla cultura, dagli usi e dai costumi dei vari luoghi. Un genere che rappresenta il manifesto dell’individualità del proprio Paese, il quale grazie ad esso viene esaltato, glorificato ed evidenziato nelle sue peculiarità è senz’ombra di dubbio il Folk, ovvero, la musica popolare. Esiste un sottogenere dell’heavy metal che tiene conto di questo tipo di musica e che si è sviluppato agli inizi degli anni Novanta in Inghilterra ed Irlanda: il Folk Metal appunto. Il successo dell’idea di unire i tipici sound e strumenti folkloristici è stato una vera boccata di aria fresca che ha donato nuova linfa vitale al panorama metal mondiale. Molti gruppi delle più svariate nazionalità hanno inserito il folklore nelle loro composizioni. È innegabile che, a seconda della nazionalità, il Folk Metal abbia differenze più o meno evidenti. Seguendo queste direttive, i Protokult, un gruppo emergente canadese (ma con marcatissime radici est europee, come si evince dalla loro proposta), si sta facendo le ossa nell’ambiente underground ed è giunto al debutto ufficiale nel 2010 con il celebrato “Ancestral Anthems”. Formatisi originariamente come un trio (all'inizio unicamente MartinDawid Mike erano presenti), ben presto la formazione cambiò rotta con l'arrivo di Gregor (tastiere), il quale fece si che i membri del gruppo si interessassero a tematiche molto più impegnate, come la storia e la mitologia. La vera svolta avvenne comunque con l'inserimento di Ekaterina, il cui stile di canto fece si che i Protokult potessero assumere i tratti distintivi che oggi li contraddistinguono. Scherzosamente, la band definisce il contrasto fra le profonde radici metal estreme e il limpido cantato della propria singer come una situazione "à la Bella e la Bestia". Dopo la prima release ufficiale, il gruppo diede alla luce l'EP "Mazena", e subito dopo i canadesi si trovarono ad affrontare una situazione spinosa: l'addio di Gregor lasciò senza dubbio un gran vuoto, ma i nostri non si diedero per vinti. Difatti, la band si affaccia alla seconda metà del 2014 sfornando il disco che ci apprestiamo a recensire, No Beer in Heaven, autoprodotto come il suo predecessore (anche se la band figura tutt'oggi nel roster della "Boonsdale Records", piccola etichetta sotto la cui ala sono presenti anche i Panzerfaust, noto gruppo black metal sempre canadese). La formazione è composta da Martin Drozd (Vocals, chitarre, darbuka, scacciapensieri, sintetizzatore), Ekaterina (Soprano e canti popolari, registrazioni, salterio, zalejka e sopilka), Dawid Slowiak (basso, canti di gruppo), Jeremy Jackson detto Vodnik (chitarre, canti di gruppo) e Mike Matveev (batteria). La copertina dell’album rievoca un po’ le atmosfere dei marinai, mostrando una specie di locanda abbandonata di notte, caratterizzata da un tavolo in cui vi sono un boccale di birra vuoto e un corno-penna, sullo sfondo vi sono delle botti. E’ interessante notare come, probabilmente, il gruppo si sia ispirato allo stile di Caravaggio nell’artwork. Il pittore italiano, infatti, era solito dipingere luoghi bui la cui unica luce era quella di Dio che illuminava i fedeli. Questo concetto particolarissimo è in sintonia anche con il titolo in cui si gioca, appunto, sul fatto che nel paradiso non ci sia la Birra, unico soggetto illuminato da una luce esterna che oltrepassa la finestra della taverna oscura. Da questo riferimento capiamo come i Protokult, che sembrerebbero la solita band folk goliardica e divertente, in realtà dimostrino di essere molto più di tutto ciò. Anche il loro stile musicale è abbastanza eclettico: seppur la presenza di strumenti folkloristici come lo scacciapensieri sia indispensabile per caratterizzare il sound, vi sono influenze di tantissimi generi musicali come il Thrash Metal e il Death Metal.  Gli scopi principali della band canadese sono di mostrare temi disimpegnati all’apparenza ma che nascondono concetti molto più profondi. Allo stesso tempo si intende unire le diverse culture dei membri in un unico mix che non annulli nessuna delle componenti nazionalistiche. Non si può prescindere dal fatto che i Protokult abbiano, inoltre, elementi musicali veramente molto sperimentali e, perciò, lo stile della band è difficile da etichettare.



“No Beer in Heaven comincia subito con la canzone estratta come singolo di lancio, Get me a Beer!: è un pezzo che riprende molto lo stile disimpegnato e divertente di gruppi come Korpilklaani e Trollfest, e già dalle prime battute possiamo notare l’utilizzo dello Zalejka da parte di Ekaterina. La Zalejka uno strumento ad ancia, tipico del folklore  russo; in questo caso dona un’atmosfera goliardica e giocosa al brano. Il tutto è sorretto da un riff di chitarra dal forte sapore heavy metal e da un piccolo assolo caratterizzato da una buona dose tecnica, seguito da un “rutto” che rappresenta una giocosa pausa delle ritmiche galoppanti. Successivamente si odono forti e distinte le note del Sopilka, un altro strumento musicale a fiato tradizionale russo, dal suono simile a quello di un’ocarina, e il pezzo si snoda attraverso duetti vocali tra la voce maschile graffiante e sporca e quella più raffinata del soprano Ekaterina. Le due voci che caratterizzeranno tutto l’album rappresentano le due facce della medaglia: il sacro di Ekaterina, il profano di Drozd. Dopo il refrain caratterizzato anche da canti di gruppo volti ad accentuare lo spirito di compagnia goliardica, il ritmo diventa più lento e il darbuka, un tipo di percussione popolare araba, si distingue rispetto agli altri suoni. Al termine di questa sezione il pezzo riprende il suo schema generale fatta eccezione per uno scream sporco e un assolo molto melodico sorretto sempre dagli immancabili strumenti popolari. Il testo non è molto profondo o filosofico poiché riprende gli inneggiamenti alla birra dei marinai che, dopo una stancante giornata di lavoro, vogliono dedicarsi a bere un po’ in compagnia degli altri. La band, infatti, invita gli ascoltatori a bere in loro compagnia e a trarne godimento poiché la birra rende tutti amici. Curioso è l’auto riferimento nell’espressione “Protokult are drunks” ovvero “i Protokult sono ubriachi” poiché è come se il gruppo evidenziasse proprio il fatto che è unito da una profonda amicizia che lega tutti i membri, tenuti assieme dalla passione per la “bella bionda”. Il ritornello, invece, evidenzia il fatto che non vi sono differenze nei vari tipi della bevanda alcolica tanto amata dai Protokult, l’importante è godere della giusta compagnia. Da questo punto in poi l’album, che sembrava trattare solo temi di questo genere, compie una “strana” evoluzione dedita a celare concetti molto più profondi che riprendono dalla mitologia e da tanto altro. Heaven Cast Me Out è un brano molto diverso dal precedente poiché i toni spensierati svaniscono in sostituzione di una serietà e una complessità maggiori unite da un vago sapore gothic. Il sintetizzatore si sente già nei primi istanti mentre un malinconico arpeggio di chitarra è lo sfondo ideale per le vocals dei due cantanti. Entrambi, questa volta, hanno un timbro delicato e riflessivo da cui è impossibile sottrarsi. Ad un certo punto c’è il colpo di scena: i Protokult danno la prova definitiva di unire tantissimi generi all’interno della loro proposta grazie al growl di Drozd; sembra quasi di assistere a un brano degli Eluveitie privati del loro accento celtico. La struttura della canzone è abbastanza lineare e si riprendono i temi già visti negli istanti iniziali e nel refrain. Il finale, invece, presenta notevoli differenze poiché il ritmo si fa più aggressivo, battente, e il ritornello è ripetuto con una certa veemenza, i sintetizzatori sono più marcati e, soprattutto, il growl di Drozd è chiaramente di matrice Death Metal. In “Heaven Cast Me Out si possono percepire sound di tutti i tipi che rimandano alle più svariate band; molti ascoltatori, infatti, potrebbero associare a certi istanti gruppi come Tristania, Moonspell per le vocals iniziali maschili dal sapore gothic e Eluveitie appunto, oltre a moltissimi gruppi rappresentativi del Symphonic Gothic Metal con voce femminile, a “causa” del soprano Ekaterina. “Heaven Cast Me Out ci mostra un testo fortemente incentrato sul contrasto tra il sacro e il profano. Già dalle prime parole capiamo la profondità della canzone: “Don’t need a Bible to tell what’s wrong or right” , “non abbiamo bisogno di una Bibbia per capire cosa è giusto o sbagliato”, una frase che rimarca il carattere profano e pagano del testo. Una volta arrivati in paradiso, al cospetto della porta, e una volta che l’interlocutore fittizio impugna la chiave, il paradiso lo scaccia, probabilmente a causa della sua fede pagana. Il testo è una forte denuncia al mondo cristiano a favore della propria identità religiosa. L’immagine finale, infatti, riassume tutto il senso delle lyrics: “Let’s take a walk in the darkness”, “facciamoci una passeggiata nell’oscurità” e questo è un chiaro riferimento a come queste religioni siano relegate “al buio” in cui non è presente la luce del Dio cattolico. Una metafora indicante l’oscurantismo della chiesa, da sempre abile nel celare e distruggere culture avverse alla propria, relegandole nel “buio” o nella sfera della “malvagità”. Segue My Father’s Word, introdotto dal canto popolare di Ekaterina senza strumenti di sottofondo. Questi ultimi cominciano pian piano a emergere: prima i sintetizzatori, poi le percussioni tradizionali, successivamente la chitarra, la batteria e lo zhaleika con note solenni. Il brano ha un incedere abbastanza lento che riprende molto dall’Epic Metal, e qui è Drozd il protagonista delle vocals, alternate tra timbri più sporchi e alcuni growl accennati. Il pezzo si snoda successivamente tra gli incroci delle parti cantate dai due vocalist e Drozd, in particolare, si dimostra come un artista versatile capace di riprodurre tantissimi timbri vocali. Emblematico è lo scream “Never” che somiglia vagamente a quello di Devin Townsend negli Strapping Young Lad, oltra ai growl molto death metal. Le influenze che concorrono allo sviluppo del pezzo sono veramente le più disparate e variegate, difficilmente in un gruppo si vede tanta ecletticità. Evocativa è la parte dove tutto si placa e uno splendido e dolce arpeggio di chitarra accompagna la paradisiaca voce di Ekaterina e, se ascoltiamo bene, possiamo udire anche il lieve suono dello scacciapensieri. Verso il finale possiamo distinguere sorprendentemente una sezione dal vago gusto Alternative Metal sorretta dalla voce sporca e graffiante di Drozd. Sicuramente questo è un pezzo notevole dalla pregevole caratura, grazie a questa unione di generi diversissimi e opposti tra loro. In conclusione vi è un discorso del padre che termina il brano. La canzone verte essenzialmente sul rapporto tra una persona e la propria patria. All’inizio, Ekaterina ci introduce le parole del saggio padre della landa che ci intima di non rifiutare le nostre origini e a combattere per la nostra terra evidenziando che questo rapporto di lealtà con essa non deve mai essere infranto. La figura del padre è descritta come un qualcosa di eroico, di mitico e di leggendario, probabilmente è sottinteso che sia un guerriero morto in battaglia in difesa del proprio luogo di origine. Il testo ci rimanda alle atmosfere delle tipiche guerre pagane. Possiamo definire questo brano come il puro manifesto dell’affetto verso la propria patria e, in particolar modo, del valore dei propri avi. Flight of the Winged Hussar è uno dei pezzi più complessi dell’intero album. dalla intro Power Metal veloce e dal suono melodico e compatto. Il riff velocissimo di chitarra è unito a uno scream acutissimo del cantante Drozd. Il pezzo è un cambio di stile continuo: negli istanti successivi si sentono alcuni suoni atmosferici che rimandano a alcuni momenti che ci ricordano i Finsterforst per poi seguire in un intermezzo fortemente contaminato da riff power metal, rimandabili allo stile di band come Rhapsody of Fire, riff molto tecnici che, stranamente, accompagnano una ritmica e un cantato molto folkloristici. Drozd continua ad alternare i suoi timbri vocali creando una variegatura senza precedenti. C’è una grandissima capacità del cantante di passare dal growl allo scream in pochissimi istanti senza creare la minima sbavatura. I sintetizzatori, successivamente, giocano un ruolo fondamentale e precedono un vero paradiso di riff di chitarra che, sempre riprendendo molto dal power, ci donano una perfomance trascinante senza precedenti. Le ritmiche si bloccano improvvisamente e parte una struggente parte in Sopilka “strappa lacrime”. Le note di basso si sentono distinte all’interno di questo momento particolare e si leva la drammatica voce di Ekaterina che ci culla e ci avvolge. Ad un certo punto il ritmo cambia ancora e Drozd si lascia andare in un growl molto acido seguito da fasi Folk Metal abbastanza veloci e un canto di gruppo termina il pezzo. Le lyrics sono incentrate sul valore in battaglia dei soldati che, grazie alle loro vittorie, si circondano di gloria e fama. Il trionfo in guerra, infatti, porta prosperità ai vincitori conducendoli a un’ “Età d’Oro” piena di ricchezza e gioia. Nel testo, successivamente, si fa riferimento a un eroe che uccise i suoi parenti in nome di Dio e il suo nome è onorato dai posteri. Questa parte del brano non può essere capita, in realtà, se non compiamo un piccolo excursus storico circa gli Ussari Alati di Polonia (il titolo della track, infatti, significa letteralmente “Il Volo dell’Ussaro Alato”), il corpo militare che costituì la parte principale dell’esercito polacco nell’antichità: nella canzone, infatti, si fa riferimento alla battaglia di Vienna, combattuta dalle forze austro – tedesco - polacche contro i musulmani di Mohammed, avvenuta 1683 come citano i versi conclusivi della canzone. Fu una battaglia che vide il trionfo dell’alleanza europea e che mise fuori gioco l’esercito ottomano, il quale aveva tenuto Vienna sotto scacco per più di due mesi. I Protokult, che hanno membri provenienti da Russia e Polonia, sono molto affezionati alla loro terra e con questo e gli altri pezzi rimarcano la loro attenzione alla storia e alle tradizioni. Sol Intenction continua a evidenziare l’estrema ecletticità dei Protokult poiché, come al solito, cambiano le influenze e lo stile musicale generale. Si nota con facilità come le vocals di Drozd siano molto ispirate al cantato graffiante del grande ex Misfits e frontman della sua omonima band Glenn Danzig. Il brano ha un sapore molto heavy metal e sono quasi assenti le influenze folk. La canzone inizia con una lunga parte in pulito per poi procedere nella parte ispirata allo stile dei Danzig. Da questo punto la canzone presenta influenze di tantissimi tipi grazie anche al sottofondo musicale di alcuni vocalizzi della cantante Ekaterina. Il pezzo, seppur particolare, presenta una struttura molto lineare con le vocals graffianti che sono presenti in quasi tutta la lunghezza della track. L’assolo molto hard-rockeggiante aggiunge un tocco molto particolare e anni ’90. Ma lo stile dei Protokult non è mai così scontato, e nelle fasi finali si sente chiaramente la presenza del salterio, lo strumento russo simile a una piccola arpa che fa conservare sempre quel tocco folkloristico allo stile. Il testo è molto criptico e di difficile interpretazione. Quello che si può chiaramente dedurre è come l’anima sia più forte del corpo e continui a conservare i sentimenti di protezione verso i propri cari anche dopo la morte. Infatti, il personaggio fittizio sembra essere mosso da desideri di vendetta verso l’uomo sposato dalla madre. Le motivazioni di tale sentimento non sono espresse chiaramente nelle lyrics, ma possiamo portare avanti svariatissime deduzioni come il tradimento, o l’uccisione di qualcuno. I Protokult, però, si concentrano maggiormente sul lato psicologico del protagonista che sembra essere mosso dalle fiamme della vendetta, che evidenziano sia protezione affettiva che puro odio vendicativo. La sesta traccia, Edge of Time, riprende sia gli aspetti power della quarta “Flight of the Winged Hussel e sia le influenze heavy metal degli altri pezzi, partendo subito con un assolo di forte respiro. Le parti iniziali cantate da Ekaterina devono così tanto all’Heavy Metal old school che sembrano un riadattamento in soprano di artisti come Warlock o Lita Ford. Gli strumenti tradizionali non tardano ad arrivare assieme al cantato di Drozd sempre puntuale e variegato tra scream e growl di primissimo piano. L’impostazione generale della canzone riprende molto l’Epic Metal e le atmosfere pagane. La pausa, evidenziata dagli effetti sonori dei sintetizzatori, precede un assolo molto melodico dalla tecnica non elevata. Il ritmo rallenta, le parti assumono un vaghissimo sapore doom, ancora seguite da un nuovo assolo più elaborato. Degna di particolare menzione è la complessa ritmica di batteria in sottofondo, basata su un’accentuata poliritmia. “Edge of Time riprende i temi espressi dalla seconda traccia “Heaven Cast Me Out” poiché si riaccendono i contrasti tra il mondo pagano e la cristianità. Sin dalle prime battute i Protokult affermano in modo totalmente esplicito che i bellicosi pagani proteggono con fierezza la loro tradizione e la verità che è stata sempre nascosta dai dogmi di Cristo. I difensori del paganesimo sono sempre pronti a difendere il loro onore, anche con il sangue, persino nei tempi difficili come si evince in questo estratto del testo: “For Onor and Memory we Defend” ovvero “noi difendiamo, per l’onore e per la memoria”. Gli Dei non solo rappresentano gli ideali da difendere, ma anche coloro che non abbandonano mai il cuore dei fedeli e li spingono a combattere, appunto, per la memoria degli avi. I nemici insisteranno sempre che la loro via è quella da seguire ma i pagani saranno sempre irremovibili e difenderanno i loro ideali in qualsiasi modo possibile. Sanctuary è un pezzo pressoché strumentale fatta eccezione per i piccoli accenni di canto popolare di Ekaterina. Si presenta come un brano estremamente sperimentale che presenta al suo interno persino suoni elettronici. La prima metà del pezzo si basa su un arpeggio pulito di chitarra che si ripete pedissequamente. Il brano è diviso centralmente dalla parte in cui il sintetizzatore regna sovrano con i suoi effetti elettronici. La seconda metà, invece, riprende una struttura simile alla prima ma con l’assenza dell’arpeggio tradizionale e con una maggiore attenzione per il basso e la batteria.  Dal titolo possiamo evincere che i Protokult abbiano mirato alla creazione di un pezzo fortemente atmosferico che rimandi al senso di sacralità pagana dei santuari tipici. L’ottava traccia, “Desert Scourge”, riprende riff in stile heavy metal ed “oriental” metal, e si presenta come un brano molto aggressivo grazie anche all’aggiunta di elementi sinfonici (aggiunti mediante sintonizzatore). Le vocals di Drozd sono molto più gutturali che mai grazie a un growl in stile fortemente Death Metal. Sarà azzardato ma un ascoltatore attento può percepire, addirittura, una piccolissima parte che rimanda al Symphonic Black Metal grazie al sintetizzatore in sottofondo e a uno scream abbastanza acido. I Protokult fondono di tutto in questo pezzo: Heavy Metal, Folk Metal, Technical Death Metal grazie ad assoli veloci ed elaborati, successivi ai growl, e atmosfere orientaleggianti. La presenza dello scacciapensieri e del Darbuka creano la perfetta atmosfera dei deserti. Il cantato di Drozd continua ad essere eclettico e pieno di sfaccettature mentre Ekaterina si lascia andare in canti dal tipico sapore arabo. Il pezzo si conclude con riferimenti al mondo orientale estremamente marcati dalla strumentazione. I canadesi continuano a dimostrare in modo efficiente tutta la loro ecletticità e la loro sapienza nel saper miscelare genere di tutti i tipi. Il deserto è il posto dove tutti i sogni svaniscono e dove le speranze vanno via; il protagonista si interroga sul fatto se i propri sogni possano sopravvivere in un mondo dove una fantomatica Lei prende controllo di tutto e tutti. Le persone sono ridotte in schiavitù dalla lussuria e dal peccato e la loro anima è risucchiata sempre di più da questo circolo vizioso. I Protokult ci introducono a una realtà misantropica quasi come le melodie che si intrecciano con il testo stesso. Il flagello del deserto, così come il titolo della canzone resta, è un monito a non riempire la nostra testa di false illusioni poiché la rovina può sempre essere vicina. Questa fantomatica “Lei” di cui non vi sono riferimenti espliciti, potrebbe essere identificata con tantissime cose ma, considerando il deserto come il teatro perfetto dei miraggi, possiamo identificarla con l’illusione di un mondo migliore. Questa, infatti, riducendo la visione degli uomini, li obbliga a essere schiavi e, alla fine, a raccogliere tutti insieme i loro guai. Siamo giunti, quindi, alla nona traccia: Gorale. Il brano è scritto interamente in lingua polacca e parte con un tono altamente folkloristico che riprende, appunto, la tradizionale musica balcanica grazie all’immancabile inserimento degli strumenti tipici che abbiamo citato finora. Ekaterina si lancia in un canto popolare sostenuto in sottofondo da basse vocals di Drozd. La struttura ricorda quella di una ballad folk dove la chitarra acustica funge solo da accompagnamento. Le atmosfere sono bucoliche e i toni sono molto delicati. Ad un certo punto però i Protokult ci sorprendono con una svolta inaspettata: il ritmo diventa molto più veloce e il brano prende un sapore heavy metal sempre accompagnato dall’alternanza solita della voce dei due cantanti. I riff prendono spunti anche dall’Hard Rock, come si accadeva nella quinta traccia “Sol Intenction, e presentano i Protokult in tutta la loro versatilità e freschezza. Un assolo di chitarra finale seguito dalle vocals di Ekaterina ci porta alla fine del brano. I Gòrale sono degli uomini di montagna che sono soliti vivere sui monti Tatra ancora oggi, e rappresentano una gioiosa alternativa alla tecnologia e agli affanni della vita moderna. Questi uomini, infatti, hanno una grande attitudine al lavoro e sono molto socievoli con il prossimo, vivendo la vita alla giornata senza alcuna sorta di stress. Dalla traduzione del testo si possono riscontrare facilmente queste idee poiché, dopo che i Protokult si interrogano su come abbia fatto l’uomo di montagna a raggiungere la sommità del monte, lo incitano a salire ancora di più per sfuggire all’oscurità del mondo sottostante (ed è qui che la canzone prende musicalmente la piega Heavy Metal). È come se la band preferisse notevolmente lo stile di vita dei Gòrale rispetto al proprio poiché si sottolinea, alla fine del brano, che dato che il mondo si evolve verso l’oscurità, è lì che devono rimanere per sempre. Anche qui c’è un piccolo riferimento al motivo goliardico del bere la birra in compagnia, sottolineato già dalla traccia introduttiva del disco, poiché in “Gòrale” c’è un riferimento alla ragazza del cantante che è già ubriaca mentre si fa festa. La decima traccia è Summer’s Ode, la quale inizia come una semi ballad che riprende moltissimo le strutture hard rockeggianti. Potrei paragonare la voce del cantante a quella dei Lordi in alcuni frangenti, data la sua attitudine a graffiare molto il timbro. Il brano si presenta in seguito e definitivamente come una ballad dalla forte carica atmosferica distinta sempre dall’alternanza tra le timbriche dei due cantanti. Le parti sono in generale molto calme e scandite da una forte attenzione per le melodie, grazie alla presenza molto forte di parti struggenti e lente di chitarra in pulito. I Protokult danno un’ulteriore prova di tutta la loro versatilità musicale proponendo un brano di difficile catalogazione che ha influenze di tutti i tipi. I sintetizzatori nella parte centrale creano il giusto tocco di delicatezza e dolcezza mentre, successivamente, tutti gli strumenti si placano per evidenziare uno splendido e lento assolo di chitarra acustica dalle atmosfere fortemente gotiche che, in seguito, viene accompagnato da un riff di chitarra elettrica in sottofondo. La fine del pezzo riprende leggermente la struttura iniziale donandogli, però, un accento più aggressivo grazie alla voce taglienti del vocalist. La canzone associa l’estate ad un qualcosa di felice e duraturo del quale, però, vi sono sia un suo inizio sia una fine. È un brano che ci invita a non arrenderci seppure i momenti piacevoli siano destinati a finire,  poiché potrebbero sempre tornare, proprio come l’Estate. Inoltre, il testo evidenzia che in caso di caduta sia fisica sia psicologica ci sarà sempre un’altra persona che ci tenderà le mani e ci aiuterà a rialzarci. I versi finali al contrario evidenziano il sentimento nostalgico dei bei tempi poiché si dice chiaramente: “I Must Accept it’s come to this, Summer’s gone-I know”, “devo accettare che si è arrivati a questo, l’estate è finita, lo so”. Il sentimento dell’accettazione della propria condizione è sottolineato proprio dalla consapevolezza che tutto è finito e che si può sempre ricominciare. Razbival Okovi Perun, l’undicesimo brano, è un canto popolare guidato, dall’inizio alla fine. Completamente da Ekaterina e quindi, musicalmente, non ci sono elementi di rilievo salvo il tuono conclusivo che conclude il tutto. Come già accennato musicalmente non ci sono discorsi importanti da condurre ma, tematicamente, è interessante scoprire come il canto popolare russo rimandi alla successiva track, “Water of Life, l’acqua della vita, ovvero la vodka. Secondo la cultura slava, infatti, la vodka rappresenta un’acqua miracolosa capace di portare in vita i morti e curare le ferite. Nel testo c’è un riferimento al dio pagano dei tuoni, dei fulmini e della guerra Perun, il quale risulta avere una diretta connessione con questa pioggia miracolosa. Infatti, con il primo tuono, si ha il primo giorno di primavera e le nuvole, colpite dal fulmine, gettano l’acqua della vita sulla Terra. Water of Life conclude questo full-length dei Protokult ed è la canzone più lunga di tutto l’album, con i suoi otto minuti e quarantasette secondi. La traccia inizia con lo schiacciapensieri che dona il tocco folk al pezzo che, però, è caratterizzato da riff fortemente Heavy Metal. Disseminati per tutta la canzone ci sono i classici strumenti del folklore russo già evidenziati precedentemente volti a creare l’atmosfera pagana a cui i Protokult sono molto cari. L’atmosfera iniziale è abbastanza goliardica dato che l’acqua della vita è, appunto, la vodka. Le vocals si alternano sempre tra growl, voci graffianti e scream con un assoluto equilibrio mentre le chitarre presentano notevoli influenze che vanno dal Thrash, all’Heavy, al Death. Ci sono riferimenti all’iniziale “Get me a Beer! sia nelle melodie che nelle lyrics, e il brano si snoda cambiando continuamente genere. Ad un certo punto il tutto si calma e diventano le percussioni le padrone incontrastate del brano, fino a quando non entrano in gioco le chitarre che, ritmicamente, scandiscono le note degli strumenti folkloristici. La parte finale presenta un forte gusto black (sottolineo, infatti, come il Pagan Metal riprenda fortemente i suoi caratteristici del black metal) grazie all’uso dei blast beat. I Protokult, quindi, sono riusciti a creare un pezzo che mescola benissimo sound estremi a suoni più goliardici. È curiosissimo notare come il riff in dissolvenza riprenda quello di “Gòrale”. Dall’inizio del testo si possono notare i costanti riferimenti alla cultura slava e alla loro concezione della vodka come l’acqua che dona la vita a tutte le cose. Anche i Celti si uniscono alla danza forsennata degli Slavi poiché anche loro sono affascinati da questo mondo pagano e sono, in un certo senso, accomunati dalle stesse tradizioni. La vodka che è bevuta fieramente da entrambe le civiltà dona il fuoco e l’ardore e, seppur annebbi la vista, fa conservare il controllo delle proprie facoltà dato che la forza degli Dei guiderà sempre gli animi degli uomini.



Cosa dire dei Protokult? Si può affermare di tutto su questa band canadese, poiché il suo stile è talmente variegato, poliedrico e variopinto da essere una realtà interessantissima dalle grandissime potenzialità. Sentendo il primo singolo della band senza esplorare le altre tracce dell’album ci si illude facilmente che i Protokult siano la solita band Folk Metal goliardica e disinteressata. Invece nel loro stile c’è un’ecletticità senza precedenti, che evidenzia una forte padronanza della musica e una grande capacità di comporre strutture più o meno elaborate che possano colpire tutte le fasce di ascoltatori. Seppur alcuni momenti del disco non siano completamente esaltanti ed offrano degli stacchi leggermente monotoni e privi di coesione ai vari brani, è innegabile che i Protokult abbiano prodotto un lavoro impegnatissimo, completo e, sicuramente, molto divertente e significativo. Se volete unirvi a loro per bere un sano boccale di birra ascoltando dell’ottima musica comprate questo “No Beer in Heaven”, e gioite grazie alla loro geniale maestria. Se poi vorrete cimentarvi nell’analisi dei testi, come avete visto, potrete anche acculturarvi e scoprire usi e costumi tipici della cultura slava. Da una band canadese, di certo, è una cosa totalmente inaspettata ma saremo sicuramente soddisfatti dallo scoprire come i Protokult abbiano esposto questi temi e abbiano prodotto una musica di ottima qualità, destinata ad essere ricordata da tutti coloro che si cimenteranno nell’ascolto.


1) Get Me a Beer!
2) Heaven Cast Me Out
3) My Father's World
4) Flight of the Winged Hussar
5) Sol Intention
6) Edge of Time
7) Sanctuaries
8) Desert Scourge
9) Gorale
10) Summer's Ode
11) Razbival Okovi Perun
12) Water of Life