PROTEST THE HERO
Search for the truth
2002 - Underground Operations
PAOLO FERRARI CARRUBBA
29/09/2017
Introduzione Recensione
Secondo una considerazione generica e poco attenta, il monicker "Protest the hero" potrebbe essere erroneamente associato all'immenso calderone contemporaneo della scena metal-core, alternative metal americana condita di capelli piastrati, quintali di piercing, citazioni tumbleriane copia-incolla e zero sostanza; tuttavia la band canadese sin dai primissimi esordi si è rivelata una proposta musicale propensa a distinguersi nettamente dalla massa sfoggiando costantemente soluzioni istrioniche e divagazioni variopinte, sfumature sonore decisamente inusuali rispetto alle canoniche tendenze modaiole e radiofoniche che contraddistinguono il calderone sopra citato. La storia dei nostri inizia nel lontano 1999, anno in cui cinque giovanissimi ragazzi canadesi dell'Ontario in età addirittura pre-pubescente decisero di unire le proprie forze e fondare il primo nucleo della band, inizialmente denominata "Happy Go Lucky", nome decisamente giocoso e infantile che rispecchiava in pieno l'età adolescenziale dei ragazzi. Pochi anni più tardi,nel 2002, all'età di soli 15 anni, i cinque riuscirono a incidere e pubblicare la prima demo firmata "Protest the hero", un mini tape ad oggi irreperibile intitolato "Search for the truth": la brevissima incisione di appena due tracce, riesce a mettere in luce sia la fisiologica ingenuità artistica dei componenti dovuti all'età puerile, sia l'enorme potenziale latente che da lì a qualche anno sarebbe sbocciato in espressioni musicali estremamente articolate e contraddistinte da una marcata vena progressive. L'influenza compositiva di natura prettamente prog risulta completamente assente nella release in questione, tuttavia nelle punkeggianti trame chitarristiche dei giovani Tim Millar e Luke Hoskin si riesce già a carpire una buona compattezza ed una certa lucidità compositiva, elementi abbastanza inusuali per l'età dei componenti. Nonostante l'istantanea della band in quel periodo ritragga cinque musicisti alle prime armi, compositivamente acerbi ed immaturi, nell'hardcore punk proposto dai nostri è impossibile non cogliere uno spirito adrenalinico genuino e spensierato, a tratti veramente avvincente;il germoglio di un talento che sarebbe cresciuto a dismisura. La band ha certamente un'impostazione acida e derivativa, si sentono chiaramente le influenze adolescenziali di NOFX, Propagandhi e dei più melodici e commerciali Sum 41, eppure non si avvertono mai nette steccate o passaggi maldestri, la percezione effettiva lascia trasparire una certa cognizione di causa nell'uso degli strumenti; persino la prestazione vocale del teenager Rody Walker, per quanto rimanga immatura e puerile, riesce a suonare comunque energetica e decisamente coinvolgente. In egual misura e con i dovuti limiti imposti dall'età, il comparto ritmico affidato al batterista Morgan "Moe" Carlson e al bassista Arif Mirabdolbaghi risulta adeguatamente solido e versatile, i due riescono a integrarsi perfettamente al tappeto chitarristico creando costantemente una buona dinamica e un incedere rapido ed adrenalinico. Un prodotto, quello che stiamo per trattare, perso fra le sabbie del tempo se vogliamo, sepolto da granelli e granelli di un'instancabile clessidra. Lo scorrere degli anni è inesorabile, un fatto che non ha bisogno di prove a suo carico; un fluire eterno, un divenire perpetuo, il quale non si può fermare, certo... ma può sempre essere indagato, in quanto capace di lasciare una scia da seguire a ritroso, andando sempre più in profondità, cercando, scavando e perché no, imparando. Ho voluto rimarcare, in apertura d'articolo, quanto la band di cui parlo sia estremamente più complessa e particolare di quanto si creda. Lasciarla confinata in una definizione non calzante, in uno stretto ed angusto archivio, in una catalogazione non certo capace di esprimere appieno l'estremo potenziale di un gruppo da porre necessariamente sotto una determinata luce, sarebbe quanto meno uno spreco; in tutti i sensi. Cominciare dal principio è anche un modo per farvi comprendere in toto un percorso tortuoso eppure ricco di sorprese, mostrarvi le mille figure di un caleidoscopio ogni volta con una novità in serbo. E' proprio per questo, che in ambito specialmente musicale è sempre bene partire dall'inizio dell'inizio. Dal principio primo, da una sorta di archetipo; indagarlo e rapportarlo al presente, al futuro, cercando di spiegare in maniera consona ad una band di tale portata la sua evoluzione. Un'evoluzione la quale, lo vedremo, non sarà certo così prevedibile o noiosa, neanche scontata, neanche per un secondo. Avviamo i motori della macchina del tempo e partiamo quindi alla scoperta di questa band, scavando nei meandri, ripescando un lavoro dai più dimenticato, ma comunque fondamentale ai fini di una corretta comprensione del fenomeno. Andiamo dunque ora ad analizzare nel dettaglio le due tracce che compongono la prima demo tape dei Protest the hero.
Is Anyone There?
La prima traccia, "Is Anyone There? (C'è qualcuno qui?)" inizia con un mood tremendamente garage rock, amatoriale eppure squisito, i piatti di Carlson introducono il rapido fraseggio del basso, un attacco deciso e dinamico che anticipa un riffing dalla marcata attitudine hardcore punk; le scale del duo chitarristico sono estremamente semplici e seguono un andamento intuitivo, eppure il crescendo che viene a crearsi delinea subito una buona tensione emotiva che invoglia l'ascoltatore a comprendere l'evoluzione del brano. L'intro dunque è affidato a soluzioni tutto tranne che scontate, non abbiamo affatto a che fare con il tipico materiale demo che chiunque si aspetterebbe di sentire da un manipolo di adolescenti. L'impostazione sincopata della chitarra porta la tensione a crescere sempre maggiormente e la batteria scandisce il tempo con grande perizia, un bridge chitarristico semplice ma d'effetto introduce quello che sarà il fraseggio portante del brano, è immediatamente chiaro che la struttura del pezzo per quanto semplice ostenti una certa ricercatezza di soluzioni non banali, i ragazzi ci sanno fare ed intendono mostrarlo sin dall'inizio. Il riff portante risulta arioso e coinvolgente, una cavalcata dinamica con una struttura a spirale, ottimamente supportata dalla velocissima doppia cassa del drummer, l'incedere è compatto ed abbastanza imprevedibile, in pieno stile garage rock, la tensione che viene a crearsi comporta un buon coinvolgimento dell'ascoltatore, e al picco del crescendo un semplice stacco di batteria decreta l'inizio della struttura ritmica su cui Rody Walker esordirà con le strofe: acida ed adolescenziale, l'ugula del cantante infuria con grande adrenalina, ovviamente il testo proposto risulterà estremamente semplice e puerile, ma la performance in questione in fondo è comunque degna di nota e meritevole di rispetto. Lo stile del singer qui è estremamente ingenuo ed immaturo, ben lontano dallo stile istrionico e decisamente inimitabile che nei lavori successivi diventerà elemento fondamentale del trademark del gruppo; in molti tratti il timbro di Rody risulta irriconoscibile, il germe acerbo di una voce destinata a far cantare migliaia di persone pochi anni dopo. "Is anybody there? Is anybody listening? Does anybody care? Can you actually say
That you don't give a shit about your future" Il testo è estremamente semplice e diretto, un'invettiva agli adulti, una denuncia dei problemi giovanili, la voglia di ruggire e ribellarsi e far sentire la propria voce, dalle liriche traspare naturalmente un'attitudine tanto ingenua e genuina quanto immatura ed infantile, giovanissimi animi punk desiderosi di alzare il capo facendo sentire la propria voce e facendo valere i propri pensieri, quella voglia di affermarsi e conquistare il mondo che contraddistingue tutti gli adolescenti. La struttura della canzone si evolve senza grossi colpi di scena, le strofe si rincorrono infuocate e la tensione emotiva culmina con un vivace refrain punkeggiante dall'atmosfera scanzonata; l'idea di incidere cori nel ritornello partecipa nel mantenere alto il livello dell'adrenalina, per quanto abbiamo a che fare con una band di adolescenti, il sound convince e l'ascoltatore non è mai portato a storcere il naso. Nella seconda sezione della canzone potremo anche deliziarci della primissima performance in scream del singer, acida e acerba ma sempre assolutamente convincente. Il brano dunque parte bene e si evolve con perizia e cognizione di causa, i cinque minuti di "Is "Anyone There?" scorrono agevolmente catturando e divertendo l'ascoltatore: buona la prima.
Silent Genocide
La seconda traccia "Silent Genocide (Genocidio Silenzioso)" parte immediatamente in quarta: le chitarre di Millar e Hoskin sono sugli scudi, il fraseggi dei due si rincorrono rapidamente e con incedere versatile e dinamico, l'andamento del brano è imprevedibile ed assolutamente adrenalinico; l'attitudine punk e garage rock è ancora ben presente, ma la sezione ritmica questa volta è più pesante e massiccia, per certi versi si riescono a cogliere persino punte di proto thrash; in ogni caso abbiamo a che fare con una varietà di soluzioni che si integrano perfettamente a vicenda. La ritmica è sapientemente costruita su una lunga serie di stop and go, ogni strumento partecipa a creare sincopi che fanno sussultare l'ascoltatore, per quanto l'incedere sia più vicino al punk che al metal, il muro di suono risulta compatto e denso. Fraseggi fulminei sono alternati ad aperture melodiche abbastanza elaborate, se le strofe si sviluppano su ritmiche tipicamente punk, i bridge e gli stacchi tra una strofa e l'altra contengono una certa dose di groove, in definitiva abbiamo dunque a che fare con un brano che presenta molte più soluzioni metal-oriented rispetto a quanto accadeva nell'opener. "Lives will be lost, and children will die. But in response our nation does nothing but lie." Le liriche sono ancora una volta estremamente semplici e dirette, Rody Walker inveisce contro l'ipocrisia della società guerrafondaia, il brano è dunque un'inno anti-bellico in puro stile Propagandhi: gli echi del bellissimo "How to Clean Everything" in tal sede risuonano ferocemente riportando in auge la gloria del viscerale hardcore punk statunitense della metà degli anni 90; una lezione che i giovanissimi Protest the hero avevano decisamente interiorizzato, facendola propria al meglio e traendone una notevole ispirazione artistica. Mettiamo subito in chiaro che nonostante i chiari rimandi stilistici a quel modo di intendere l'hardcore punk, i nostri nella loro ingenuità riuscirono a sfoderare immediatamente il loro talento con una proposta musicale sì derivativa ma mai veramente scontata. Il punkeggiante refrain del secondo brano risulta squisitamente coinvolgente e diretto, un primissimo anthem che anticipa i grandi refrain che Rody Walker interpreterà in futuro; la struttura del brano dopo il ritornello diventerà abbastanza lineare e prevedibile, ma ripetersi e susseguirsi delle medesime strutture ritmiche adeguatamente articolate proposte all'inizio del pezzo continueranno a deliziare l'ascoltatore; in conclusione possiamo affermare che anche la seconda canzone che compone questo brevissimo demo corrisponde a una composizione assolutamente degna di nota, da promuovere a mani basse.
Conclusioni
In ultima battuta possiamo affermare che il demo tape "Search for the truth" rappresenta un esordio acerbo, immaturo e in parte sicuramente anche derivativo eppure al contempo anche sorprendentemente promettente, la prima, adolescenzialeincarnazione artistica di un gruppo che pochi anni dopo avrebbe calcato palchi di larga portata. Nonostante i limiti fisiologici presenti nella release, rappresentati sia dall'età dei componenti che dalla forma di demo stessa, la demo tape risulta estremamente interessante e coinvolgente, nessuno ascoltando le due tracce analizzate penserebbe di avere a che fare con una band di quindicenni. Ulteriore nota di merito va alla produzione: nonostante la release non sia nemmeno un EP ufficiale, i suoni risultano sempre nitidi e graffianti, l'impatto sonoro del garage punk-rock dei canadesi è dunque supportato da una più che ottima resa audio. La demo in questione deve essere dunque considerata e valutata in qualità di testimonianza, una vera e propria istantanea del primo nucleo di una formazione giovanissima ed inesperta quanto avvincente, una band che era destinata a creare un grande scalpore nella scena musicale contemporanea. I giovanissimi Protest the hero pochissimo tempo dopo la pubblicazione della demo, anche spinti dal notevole consenso e dal riscontro positivo guadagnatosi grazie alle prime due canzoni della release, mutarono radicalmente pelle, decisero di evolversi ed intrapresero un arduo percorso di crescita e sperimentazione, dunque i nostri si dedicarono a sonorità estremamente più complesse ed elaborate di quelle proposte in questo acerbissimo tape: i nostri già l'anno successivo pubblicarono lo splendido EP "A calculated use of sound", una raccolta di brani decisamente elaborati e colmi di influenze progressive metal e mathcore, un netto passo avanti rispetto al debutto. Per Rody Walker e compagni il passo dal garage al successo fu veramente breve, i nostri compresero ben presto che per sviluppare al meglio il proprio sound e compiere un percorso di crescita che li avrebbe resi una band concretamente innovativa, era necessario compiere un'importante scelta stilistica: innanzitutto risulta dunque necessario rimarcare il netto distacco tra la vena compositiva poliedrica dei nostri ed il generico metal-core della scena americana, definire i Protest the hero una mera formazione metalcore risulta infatti un errore madornale, sin dagli esordi i cinque ragazzi canadesi gettarono le radici della propria proposta musicale nell'hardcore punk di matrice statunitense, e più tardi a queste sonorità riconducibili al post hardcore si aggiunsero fondamentali influenze progressive, ma il gruppo non ha mai suonato ne composto materiale prettamente riconducibile al termine metalcore. Il combo con i lavori futuri plasmerà una forma di progressive mathcore decisamente più melodica di quella proposta dai famosissimi colleghi "Dillinger escape plan", dunque il percorso artistico della band sarà una costante scalata, un'inesorabile ascesa verso il successo che coinciderà anche con una costante, poliedrica crescita artistica, i nostri in futuro non risulteranno mai scontati, derivativi o ripetitivi a livello stilistico e compositivi, infatti il combo si evolverà di album in album proponendo sempre soluzioni inedite e variopinte in grado di rapire l'ascoltatore ed innovare: in definitiva la demo analizzata in questa sede non rappresenta altro che il primo, accattivante, adrenalinico e genuino vagito da garage di una delle band più istrioniche ed influenti della scena musicale contemporanea. Ciò rafforza quanto affermato nella intro: partire dal principio è sempre la cosa migliore. Capire al meglio un discorso artistico, indagarlo in ogni sua (seppur minima) sfaccettatura... questa demo era per forza di cose una tappa obbligata. Se non altro, quando arriveremo a disquisire di ben più consistenti release, potremo tenere a mente il principio, ciò che fu. E constatare quanto esso si sia evoluto, trasformandosi e migliorandosi, giorno dopo giorno, sino ad arrivare agli straordinari ed odierni risultati.
2) Silent Genocide