Pripjat
Sons of Tschernobyl
2014 - Bret Hard Records
DAVE CILLO
15/05/2014
Recensione
Dopo aver raccontato degli Scared to Death, thrash band proveniente dalla Bavaria e dedita perlopiù a sonorità americane e dopo aver descritto i berlinesi Reactory, più vicini alle loro radici teutoniche tramite una grande energia di matrice puramente Destruction, continuiamo il nostro doveroso ma piacevole viaggio attraverso le nuove realtà thrash metal provenienti dalla Germania, terra che negli anni '80 è stata un autentico fiore all'occhiello per il genere. Ci sposteremo oggi in Colonia per dedicarci a parlare dei Pripjat, band impossibile da non considerare se si intende narrare della nuova scena tedesca. I nostri vantano d'avere una storia molto particolare, una di quelle storie che possiedono un imprescindibile fascino e che molte band cercano, nella loro scalata verso il successo, di costruirsi per far parlare di sé e per distinguersi dalla massa. La band nasce quando Eugen Lyubavskyy e Kirill Gromada, entrambi di origine ucraina e provenienti da Kiev, si conoscono per caso ad una festa in Germania. I due, appassionati con il cuore alle stesse genuine correnti thrash degli anni '80 e profondamente distanti da qualsiasi influenza "core" e modernismo, decidono prestissimo di metter su insieme una band. A far parte della formazione di partenza si unisce il batterista Yannik Bremerich, amico del cantante e chitarrista Kirill con cui suonava da anni, con il complesso che dopo qualche concerto viene definitivamente completato dall'ingresso di Michael Tomer al basso. Per raccontare delle origini del nome della band e del suo significato è indispensabile passare per la storia di Eugen, chitarrista solista e autore della maggioranza delle liriche del gruppo: il ragazzo infatti è nato in Ucraina solo un mese dopo il disastro nucleare che nel 1986 sconvolse l'Europa e il mondo, essendo in prima persona protagonista della tragedia. Da un paio di documentari presenti sulla rete e dall'introduzione di un video della band pubblicato da "Heavy Metal Made in Germany" apprendiamo che Pryp'jat' (in russo per l'appunto Pripjat) è una città fantasma che fu colpita frontalmente dalla tragedia, essendo situata a soli 3 km dalla centrale e da quel reattore che si rese protagonista del disastro nucleare più grave mai verificatosi nella storia dell'umanità; a causare la tragedia il 26 Aprile 1986 fu un test avvenuto senza prendere le adeguate misure di sicurezza, sebbene non sia escluso che il problema sia stato anche parzialmente dovuto ad un vero e proprio errore di progettazione del reattore. I 50.000 abitanti della città furono fatti "evacuare temporaneamente" solamente dopo 36 ore dall'incidente, ma solo in pochi possono ad oggi raccontare che nessuno di loro sarebbe più tornato a casa: la città conta infatti ad oggi zero abitanti ed è impossibile da visitare a causa dell'alto tasso di radioattività che è tutt'ora di poco inferiore al livello di esposizione considerato mortale. Non aspettatevi dunque che i Pripjat scaglino urla contro il nucleare come fanno altre centinaia di band thrash, perché loro sanno molto bene di cosa stanno parlando e l'hanno vissuto sulla loro pelle. I ragazzi, affascinati da band della scena thrash tedesca anni '80 e amanti a livello quasi maniacale della musica degli Slayer, puntano a proporre una scelta sonora che ripercorra nulla più che quelli che sono i loro amori nella maniera più efficace e violenta possibile; come dargli torto del resto? Essendo la pura passione a muoverli, i quattro dichiarano che non potrebbero mai permettere che la loro musica possa essere un qualcosa di diverso o di contaminato da quelle genuine correnti del thrash degli albori che li hanno tanto fatti innamorare. La band, nata nel 2011, ha sin da subito esternato la sua coerenza e le sue ideologie rendendosi conosciuta per frasi come quella che troviamo nella loro biografia "You can only play metal credibly if you love and live it!" (trad.: puoi suonare metal credibilmente solo se lo ami e solo se lo vivi!). Nel 2012 avevo già avuto grande piacere di ascoltare e di ricevere la loro demo di quattro tracce "Liquidators", ottimo esempio di thrash tirato e tagliente come solo quello anni '80 sapeva essere. Convinta dal lavoro sarà anche stata la Bret Hard Records, piccola label tedesca nata nel 2007 che ha deciso di puntare sulla loro musica e di metterli sotto contratto. Nasce così "Sons of Tschernobyl", album di debutto del 2014 che andrò oggi a recensire. In supporto al loro primo lavoro studio i ragazzi si sono lanciati in un tour europeo di due settimane, opportunità che gli ha dato modo di uscire dai confini del proprio paese suonando anche in Svizzera, Austria e Repubblica Ceca. Prima di passare alla recensione traccia per traccia c'è da fare però un'osservazione importantissima su questo lavoro: il risultato è stato infatti raggiunto esclusivamente tramite il sudore appartenente ai membri della band, in quanto la produzione è tutta opera del chitarrista Kirill, che nonostante la giovane età si è assunto una responsabilità così importante occupandosi anche di mixing e mastering e ottenendo il risultato che andremo tra pochissimo a descrivere.
L'album si apre nella maniera più violenta e cruda possibile con "Nuclear Chainsaw": il martellante riff d'apertura si amalgama perfettamente all'infermabile lavoro del batterista che con il suo asfissiante tupa tupa dietro le pelli ci conduce al canto di Kirill, autentica miniera di diamante; la sua voce acuta e tirata è infatti un autentico punto di forza della band, in un risultato che per il genere non può non essere definito entusiasmante in quanto è per alcuni tratti riconducibile alla voce di Petrozza dei Kreator e per altri a quella di Connelly dei Nuclear Assault, con il frontman che viaggia a metà strada fra due dei più carismatici vocalist del genere ferendo i timpani dell'ascoltatore con un carattere che in pochi dietro al microfono possiedono (specie considerando quelli che, come lui, allo stesso tempo si devono occupare dell'esecuzione di un altro strumento). Il lavoro svolto dal cantante/chitarrista in sede di produzione è ammirevole e rasenta quasi la perfezione, in un risultato che supera il suono di band molto più conosciute e che per ottenere tale impatto hanno dovuto scavare nel loro portafoglio per diverse migliaia di euro. Per descrivere come si propone a livello sonoro questo disco potrebbe essere fatto un paragone con quello dei Reactory: ciò che si cerca di ottenere è il conciliare potenza moderna e taglio delle chitarre vecchia scuola ma, in questo caso, se non fosse per un dettaglio il risultato sarebbe da 10 assoluto in quanto anche le basi ritmiche svolgono egregiamente il loro lavoro tramite una batteria che sprizza verità ad ogni colpo ed un basso di assoluta incisività. L'unico "peccato" che non permette il raggiungimento della perfezione a questo sound è quello che abbiamo modo di ascoltare sull'assolo della traccia, qui di pura matrice Slayeriana: le ritmiche chitarristiche, peraltro validissime, sono infatti nel mix un po' troppo seppellite durante tutto l'album dalle parti di chitarra solista ma, tolto questo particolare, risulta realmente impossibile muovere altre critiche verso quanto fatto in sede di produzione. Il brano, che raggiunge il suo apice tramite un rallentamento che a metà canzone ci lascia già assaporare tutte le potenzialità dei ragazzi in sede compositiva grazie ad un validissimo riff, si chiude con un feroce acuto del vocalist e con una chiusura tipicamente da show dal vivo. Le liriche della canzone rappresentano un puro sfogo di protesta che ci lascia intendere quanto, secondo i ragazzi, la musica metal debba trattare tematiche sociali e "sbugiardare" coloro che ci governano: nella prima frase del testo leggiamo subito come la protagonista del brano sia la volontà di farsi ascoltare e di alzare le proprie voci, in una rivolta che si tramuterà in violenza pura a causa della rabbia e dell'odio generatosi e cresciuto man mano con il tempo. Nessun sasso, nessun uso di armi convenzionali: la propria volontà sarà infatti fatta rispettare da niente meno che una motosega nucleare, alimentata dalla benzina e guidata dalla birra, che spargerà distruzione e terrore e aiuterà coloro che protestano a conquistare le strade. Ad irrompere nelle nostre orecchie poco dopo è la seconda canzone, intitolata "Liquidators": il riff d'apertura é un'autentica bomba nucleare (giacché siamo in argomento), e perfetta risulta la scelta di inserire un assolo di chitarra nelle battute iniziali del pezzo. Spettacolare l'attacco di canto della strofa una volta terminata la parte solista, in un risultato di assoluta incisività che culmina con lo spettacolare ritornello. Le ritmiche sono letali per tutto il brano, sebbene questo si basi in gran parte sulle coinvolgenti linee di canto innalzate da Kirill. Dopo circa 2 minuti e 10 abbiamo modo di ascoltare uno dei marchi di fabbrica della band, ovvero l'inserimento di un riff più lento e cadenzato che quasi spezza la traccia in due parti. Ancora una volta, durante l'assolo, abbiamo modo di ascoltare quanto la passione dei ragazzi sia volta verso band come gli Slayer preferendo un'esecuzione violenta e grezza a qualche tecnicismo che sarebbe risultato superfluo e che probabilmente non avrebbe valorizzato allo stesso modo una linea musicale concepita unicamente per "spaccare". Il testo del brano è un puro riconoscimento proveniente dall'anima dei ragazzi ed è rivolto agli eroi che, in seguito della tremenda catastrofe, ebbero l'onore di salvare il mondo: essi giunsero da tutta l'Unione Sovietica e puntellarono la struttura del reattore, lo rinchiusero in un sarcofago di cemento e si occuparono dello smantellamento delle macerie radioattive: il risultato ammonta ad oggi a 10.000 morti, 45.000 malati di tumore e molti altri che probabilmente si ammaleranno ancora. Il brano seguente si intitola "Acid Rain", e la sezione iniziale si mostra al mio ascolto a dir poco pregevole: partito con 4 colpi del batterista, il pezzo prosegue con un riff che fa da ponte al vero e proprio attacco della traccia, letale ancor più della pioggia acida che gli attribuisce il titolo. In questo episodio insolita è la costruzione della strofa, basata su dei semplici accordi di chitarra su cui il frontman costruisce il suo canto, in un risultato a dir poco spettacolare. Molto rockeggiante la prima parte dell'assolo, che in questo caso abbandona i violenti standard di influenza Slayer a favore di una maggiore melodia e orecchiabilità che si unisce perfettamente alla base ritmica, in un passaggio di consegne fra i due chitarristi che porta nella seconda parte ad una maggiore rapidità e aggressività. La canzone è una commemorazione alle vittime civili colpite dal disastro, ed emblematica è in proposito la prima frase "What if your everyday life would be over in a second?" (trad. e se la tua vita di tutti i giorni finisse in un secondo?). Nel brano i poveri abitanti non vengono aiutati come dovrebbero, e la loro morte avviene sotto cieli anneriti e una scrosciante pioggia acida che non lascerà loro alcuno scampo, in un costante pericolo che diffonde il panico in tutta Europa. Il viaggio attraverso questo album prosegue con "Born to Hate", pezzo aperto da un sample vocale. L'avvio di questa canzone è più "di classe" e studiato rispetto agli altri: alla voce si unisce infatti un ottimo arpeggio di chitarra che ci cala al meglio nell'atmosfera della canzone e in ciò di cui narra, con l'assolo melodico introduttivo che si eleva sulla potente e lenta base ritmica introduttiva. Il brano si mostra come uno degli episodi forti del disco, il riff che rompe il silenzio è costituito da ritmiche frammentate e perfette e le urla del vocalist si mostrano all'ascoltatore assolutamente carismatiche e speciali; ottimo anche il lavoro del batterista, che in tutto l'album e in maniera ancor più evidente in questo episodio svolge un compito encomiabile specie dietro la cassa. La parte degli assoli è anche in questo caso grezza ma efficace, e l'alternarsi fra Kirill e Eugen è retto da un riff plettrato e violento come pochi se ne sentono all'interno della scuola stilistica. Le liriche di questo brano sono particolarmente brevi ma ugualmente chiare e concise: il protagonista antagonista, ovvero un politico così preso dal suo potere da non provare più sentimenti umani, si ritiene quasi una divinità e osserva il mondo dall'alto. Ogni umana necessità d'affetto è persa, consapevolezza e senso di giustizia sono inesistenti, il leader politico è nato per odiare e non proverà alcuna compassione. Si continua con "Snitches Get Stitches", aperta da una sezione di puro stampo hardcore e molto differente dal solito thrash classico proposto dalla band. L'intera traccia si discosta dallo stile tipico dei Pripjat, in una durata complessiva di soli 2 minuti e 30 in cui la feroce voce del cantante si rende protagonista e portatrice di rabbia. Anche per quanto riguarda le ritmiche è insolito per la band proporre un brano composto da soli due/tre riff, quindi è immaginabile che la scelta sia avvenuta appositamente per "rinfrescare" l'ascolto del disco dal tipo di sonorità già ascoltate negli episodi precedenti. Il testo della canzone altro non è che una continua e aggressiva minaccia rivolta agli "infami ", con il titolo del brano che è infatti una colloquiale minaccia che sta a significare che gli spioni riceveranno punti di sutura per quanto fatto. Durante questo continuo inveire ai danni della vittima la mutilazione corrisponderà a quanto sia stato spifferato, con il sangue che ricoprirà il corpo di colui che parla troppo fino a culminare nello stupro. La canzone successiva si intitola "Red Disease": anche in questo caso le danze si aprono con uno stupendo arpeggio di chitarra pulita, con l'inferno che è poco dopo scatenato da un violentissimo riff di pura matrice Kreator con tanto di cassa di batteria a dare il tempo per poi lanciare una scarica sonora che si fa più incisiva che mai. Molto classica la strofa, anche questa di pura influenza teutonica, in un brano che nella sua inaudita dose energica riprende alla perfezione riff dopo riff le lezioni insegnateci negli anni da maestri di chitarra del genere come Petrozza. Stupendo l'arpeggio di metà brano, con l'assolo che lo valorizza pienamente in una difficile proposta dalla forte personalità e dalla godibilissima riuscita. Nelle liriche di questo brano torniamo dopo il breve fuori tema agli argomenti che caratterizzano l'intero album, in una critica sociale e storica verso i disastri causati dall'umanità: tanti cadaveri sono stati sparsi durante i decenni, le cicatrici sono ancora vive e fanno male, e non sarà mai possibile vivere come se nulla fosse mai successo. Si continua con "Destruction Manifesto", settimana traccia di questo full length. In questo episodio, come nel precedente, sono tenute vive e evidenti le influenze che band come i Kreator hanno avuto sui nostri, ma l'ispirazione è colta così sapientemente che è del tutto impossibile muovere una qualsiasi critica all'operato svolto. Il riff iniziale ci riporterà subito ai bei tempi del thrash tedesco in cui brani come "Flag of Hate" facevano scuola spopolando fra i palchi dell'Europa e successivamente del mondo . Dopo la prima parte di chitarra solista, presente nella metà iniziale della traccia, si innalza aggressivo più che mai un riff dal groove più lento e cadenzato, in quella che è una delle sequenze fra le più efficaci di questo debutto (sebbene, per intenderci, ce ne sarebbero di belle parti da citare). In tutto il brano è protagonista l'incessante alternarsi fra il riff più rapido e quello più cadenzato, in una evoluzione che non risulta mai ripetitiva o noiosa ma sempre efficace. Tutto il dissentire dei ragazzi verso la società emerge durante la scrittura di queste liriche, in una convinta critica contro la democrazia occidentale e le sue menzogne: la libertà non è poi così libera, la sicurezza non così sicura, e in una sorta di autentica filosofia orwelliana il solo diritto di pensiero può trasformarsi in una ragione per cui si viene uccisi. La penultima traccia è denominata "Toxic": il pezzo, che parte aggressivo più che mai sin dal primo istante, mantiene riff rapidi e aggressivi che per tutta la strofa supportano le taglienti linee vocali. Il primo rallentamento arriva durante il ritornello, che spezza la velocità in un cambio di tempo che si mostra dall'impatto assoluto. La rabbia di Kirill che urla "Fuck your way, Fuck your trends, Fuck your style, Fuck your idols" ci conduce ad un nuovo rallentamento composto da semplici accordi sulla chitarra che ci fanno strada verso l'assolo, che è uno dei più riusciti di questo album grazie all'azzeccata melodia che chiude il pezzo riportandoci al riff portante di chitarra. Come nella quinta traccia, nelle liriche di questo episodio vengono momentaneamente abbandonate tematiche di critica sociale: i protagonisti sono qui infatti i thrashers, i maniaci del genere che non riescono a vivere senza il loro tipo di musica preferito sparato dritto nelle orecchie. Accanto a questa forma di dipendenza vi è il disgusto verso qualsiasi corrente differente dalla propria: coloro che sono schiavizzati dalla moda e dalle loro star saranno colpiti più duramente che mai, in un regno che verrà conquistato dai più potenti. Questo formidabile disco di debutto si chiude con la title track "Sons of Tschernobyl", vera e propria perla di questo album: aperto dagli energici colpi del batterista, a seguire vi è una stupenda apertura che sulle sue note ci riporterà immediatamente agli Slayer dei tempi di Seasons in the Abyss. Una volta terminata l'introduzione in primo piano c'è il violentissimo riff che ci lancerà cattivo più che mai nel pieno della violenza sonora presente nell'ultima sana dosa di thrash propostaci da questi quattro ragazzi tedeschi. Piuttosto classica la base ritmica della strofa, che sulle pregevoli urla del vocalist si alterna al più semplice ritornello, in cui semplici power chord di chitarra accompagnano il canto in quello che appare come il minimo sforzo ma con il massimo della resa. Dopo 3 minuti e 20 arriviamo alla parte che ritengo assolutamente tra le più valide dell'intero album: ascoltiamo il breakdown che ci porta ad un lento riff di pura matrice old school, riff che si mostra straordinario anche nella sua incisiva variazione. L'assolo, alternato fra la parte più rock eseguita da Kirill e la sua conclusione più rapida ed heavy ad opera di Eugen, calza a pennello nelle tematiche della canzone e valorizza a pieno questa title track, chiusa dai rilevatori di radiazione (contatori Geiger) che i nostri pongono al termine dell'episodio. Nel testo di questo spettacolare brano si torna a trattare della tematica più cara ai nostri per eccellenza, ovvero la tragedia nucleare che ha condizionato loro e il loro paese. Il brano intende ricordare quanto avvenuto segno per segno, ricordando quanto grave fu l'incidente e quanto tremende siano le conseguenze. Lo scopo ultimo del brano è quello di far comprendere quanto tremendo un disastro nucleare possa essere, invitando a prendere le determinate precauzioni perché una cosa del genere non si verifichi mai più in futuro. In realtà a seguito di questa traccia, che dovrebbe essere l'ultima, c'è una versione di Liquidators (il secondo brano) in lingua russa. Insolito è l'ascolto della canzone per chi non sia abituato alla lingua, ma la scelta appare particolare e quindi degna di rispetto per carattere ed originalità.
Uno dei particolari che ho più amato di questo lavoro è il come l'intero album lasci la sensazione di star attraversando un viaggio attraverso il tempo: certo, ritrovarci nel bel mezzo della crisi nucleare dell'86 non è ciò che di più affascinante può avvenire, ma tramite la sincera rabbia che i ragazzi lasciano trasparire nota dopo nota le classiche tematiche di "critica sociale" assumono una marcia in più. Sicuramente la stupenda voce di Kirill fa il suo, caratterizzandosi dalla stragrande maggioranza dei vocalist per quel timbro particolarmente acuto che nel thrash metal calza a pennello, se affiancato a quello stile "tirato" e "aggressivo" che al ragazzo di certo non manca. In ogni traccia di questo brano trasuda passione, passione pura per il genere suonato, e per un amante di questo tipo di sonorità come me queste sono cose che colpiscono, specie considerando che il nuovo materiale thrash uscito recentemente si è sempre dimostrato meno coerente e genuino rispetto a quello delle origini. Ovviamente non è possibile attribuire tutto il merito alla voce, perché come detto tutta la band fa il suo: il valore dei riff è molto alto, talvolta quasi incommensurabile, il lavoro di Yannik alla batteria è a dir poco perfetto e il modo in cui, colpo dopo colpo, il basso nella produzione sia ben distinguibile nel suo essere affiancato alle chitarre, costituisce una perla in più per questo album. Ciò che personalmente mi auguro è che questo lavoro giri come merita e che non ci siano pregiudizi dati dalla somiglianza di band come talvolta i Kreator, talvolta gli Slayer: riff dopo riff, i quattro dimostrano di saperla lunga sul genere dandogli un carattere proprio, anziché limitandosi a seguire gli standard introdotti dalle suddette band. Le due band non vengono "imitate" in maniera ben distinta ed evidente, ma il fascino delle ritmiche alla Hanneman e quelle tipiche di Petrozza si conciliano tra loro in un ibrido perfetto che quasi può essere definito un miracolo. Il risultato non sarà forse particolarmente originale, sebbene non manchino spunti interessati, ma ripeto che ad ogni modo l'album non deve essere assolutamente valutato per quell'aspetto. Il lavoro non è perfetto, intendiamoci, e il mio voto estremamente positivo (9) proviene da questa serie di fattori che ho incredibilmente amato in questo full length. La pecca principale è con ogni probabilità quella relativa alla scaletta scelta per i brani: dal primo momento in cui ho ascoltato il lavoro ho avuto infatti la sensazione che le tracce potevano essere posizionate in modo più efficace; il carisma della title track "Sons of Tschernobyl" sarebbe stato a dir poco perfetto per aprire il lavoro, dimostrando più qualità rispetto alla selezionata "Nuclear Chainsaw" e facendo così capire da subito di che pasta la band è fatta. Non che disdegno l'inizio volgare ed estremo, per carità, ma sono in questo caso sicuro che un'apertura più di classe avrebbe sin da subito mostrato le qualità della band distinguendola in maniera ancora maggiore dalla massa uniforme di band che dilaga in questa thrash revival. Accanto alla critica è doveroso riconoscere però un lato positivo molto importante riguardo la caratterizzazione delle tracce: molto spesso in questo disco noterete infatti come i ragazzi scelgano di chiudere le canzoni in una maniera tipica degli show dal vivo; questa, visto l'insieme di caratteristiche che appartengono a questo complesso, non può che essere una particolarità estremamente apprezzabile in quanto aggiunge a queste 10 tracce un ulteriore tocco di autenticità e genuinità che non guasta mai. Per far capire in maniera molto breve e concisa a voi lettori la qualità di questo full, basterebbe dire che il livello è superiore al 95% delle proposte thrash arrivate dal 2000 in poi (mica male eh?). Come non dargli una possibilità dunque? Come di consueto, concludo la recensione lasciando un giudizio complessivo sulle liriche che in questo caso è assolutamente d'obbligo: se dovessi infatti attribuire un voto a quanto scritto questo rasenterebbe la perfezione, in quanto i Pripjat sono così vicini alle tematiche trattate da lasciarci quasi commuovere: nessuno come loro potrebbe farci immedesimare nei racconti di cui trattano, in una continua riflessione sociale e politica che terminato l'ascolto lascerà il segno. Nulla di negativo da dire su liriche di brani come "Snitches Get Stitches" e "Toxic", in quanto da musicista del genere so bene quanto sia piacevole e lecito interrompere, in un paio di brani, le tematiche di carattere politico affrontate nel resto del lavoro, spesso per omaggiare la propria cultura musicale da cui ci si sente tanto rappresentati e che giorno dopo giorno condiziona le nostre vite. Ascoltate questo album, dategli una possibilità, per voi non sarà tempo assolutamente perso.
1) Nuclear Chainsaw
2) Liquidators
3) Acid Rain
4) Born to Hate
5) Snitches Get Stitches
6) Red Disease
7) Destruction Manifesto
8) Toxic
9) Sons of Tschernobyl
10) Liquidators (versione russa)