POSSESSED

Beyond The Gates

1986 - Combat Records

A CURA DI
LORENZO MORTAI
24/05/2019
TEMPO DI LETTURA:
8

Introduzione

Se c'è una band al mondo che negli anni ha acquisito lo status di leggenda, quella senza dubbio sono i Possessed di Jeff Becerra e compagni. Lo scalpore suscitato nel 1985 con quel devastante "Seven Churches" portò la band sulla cresta dell'onda, arrivando anche a condividere il palco per un tour mondiale con i fratelli di sempre, Venom e Slayer. Lo stile innovativo di un disco come il primo prodotto dalla band, aveva avuto l'onore di fare da cerniera fra i vecchi fan, legati ancora all'immaginario heavy di inizio anni '80, con le sue tecniche sopraffine e soprattutto con i suoi ritmi incalzanti, e la nuova ondata che stava invadendo il mondo, quello che di lì a poco sarebbe stato chiamato Death Metal. Svariate bands cominciarono a carpirne violenza e soprattutto possibilità, tant'è che se si leggono interviste a nomi grossi del Death come Schuldiner non si possono non citare i Possessed fra i fondamentali. Seven Churches rimane ancora oggi, e questo viene affermato con nonchalanche anche dai fan thrashers e deathster più accaniti, come uno dei dischi più violenti di sempre, legato a dei riff e ad accordi che ancora oggi dopo 30 anni fanno venire i brividi per la loro carica maligna. Non c'è da stupirsi, quindi, se l'album venne accolto così calorosamente dai molti fan di questa scena così caustica nel rifiutare tutto ciò che poteva essere fuori luogo. L'aura demoniaca del disco, unita a testi altrettanto diretti, fecero entrare la band nelle grazie di tutti quanti. Ora la domanda che tutti si ponevano era: cosa fare adesso? La risposta alla domanda arrivò un anno dopo, esattamente nel 1986. Un anno solamente in cui la band e la sua etichetta, che ai tempi era la storica Combat Records, scrisse materiale su materiale, chiudendosi in sala prove per registrare il secondo full lenght. Fu così che il giorno di Halloween del 1986, i Possessed presentarono al mondo Beyond the Gates. Il disco conteneva ben dieci canzoni, ma come vedremo anche nella loro analisi, la virata che prenderà la band sarà repentina sotto moltissimi punti di vista. Becerra e soci infatti non si sono mai definiti una band Death, ma una band Thrash, anche nel primo disco. Hanno sempre imputato la violenza della loro musica al semplice modo in cui loro amano comporla, punto e basta, senza alcun accostamento. Allo stesso modo qui invece il gruppo decise di sperimentare ancora di più, prendendo una strada tecnica che ad alcuni fans non piacque per niente come si può immaginare. Quasi del tutto abbandonate le sfuriate dell'esordio, il nuovo pargolo vide una maturazione strumentale degna di nota che, unita ad una registrazione maggiormente asciutta ed essenziale, fece storcere il naso ai loro fan. La delusione dei fan fu così grande da determinare un crollo delle vendite per la band, con conseguente rabbia da parte dei membri. Ci vollero anni prima che i fans potessero accettare un disco come questo, che oggi viene ritenuto uno dei lavori migliori eseguiti dai Possessed in studio. Becerra nel tempo ha sempre difeso questo disco, additandolo forse come un po' commerciale rispetto a SC, ma sicuramente ai tempi più facile da distribuire, dato che alcuni negozi ed alcune etichette parallele bandirono l'album anche solamente per la sua iconica copertina, in cui compariva una enorme croce rovesciata. Sulla copertina appare un nero cancello dagli occhi gialli, la cui bocca sono le porte per entrare in un mondo popolato da demoni, mostri e peccatori. Il logo della band nel suo tipico carattere dallo sfondo gotico si staglia sulla parte superiore, con quella coda di diavolo che spunta al di sotto e si staglia anche essa sulla copertina. Curioso il dualismo del colore, rosso e viola, da una parte il colore della morte, dall'altra quello del sangue, un chiaro messaggio di quel che troveremo all'interno. Bando ad ulteriori indugi, estraiamo il vinile lucido dal cartaceo sleeve, posiamolo sul piatto, e prepariamoci a soffrire le pene dell'inferno.

Intro

Il disco viene aperto da una funerea introduzione, l'ideale per aprire le infernali porte che ci stanno per fare da guida in questo incubo su vinile. Le tastiere la fanno da padrone in una melodia sinistra ed affascinante, accompagnata dall'arpeggio delle chitarre a seguire la stessa melodia che sembra essere quasi una versione musicata di una nenia infantile, raccapricciante sotto molti aspetti. Fortissima l'influenza dei film horror di qualche decennio fa, che ben prepara il terreno alla prima traccia, battezzando l'album in maniera tale da far comprendere all'ascoltatore, sin da subito, quanto le "intenzioni di guerra" dei Possessed non siano certo tramontate in questo secondo capitolo discografico.

The Heretic

Ed eccoci a "The Heretic(L'eretico). Si capisce immediatamente come la direzione della band in questo disco abbia leggermente cambiato direzione rispetto a quello a cui ci avevano abituato precedentemente. Il riff piazzato in apertura mostra da subito una riverenza veramente heavy per il loro apporto musicale, uno stile che inneggia sicuramente alla Bay Area, ma con una possanza ed una tecnica di fondo che sembrano più accentuare e richiamare gli stilemi Tech Thrash di metà anni '80.Tutte quelle band che al seguito di un inno fatto di riff impossibili e tecnica sovrumana, si sono fatti strada. Seguono immediatamente alcuni uptempo di batteria in un suono scarno ed essenziale che ha perso molta carica maligna rispetto al primo disco, ma parliamo comunque di un tamburo da guerra che suona cariche infernali. Lo stile che la band ha adottato in questo disco impareremo a conoscerlo durante l'ascolto; vi basti sapere per il momento che si tratta di una serie di chiavi di lettura molto diverse fra loro, che collimano tutte in una enorme scarica di sangue. I Possessed hanno messo tutto sé stessi all'interno di questa seconda release, e complice anche una produzione ottima, l'effetto finale che si sente è da brividi. Le chitarre graffiano a dovere ed una batteria ridotta all'osso per quanto riguarda i suoni accompagna il tutto senza perdere un colpo. La voce dello storico frontman Becerra conserva la sua vena di maligna possanza, soprattutto durante le fasi di acuto; questo potremmo definirlo come il link principale col primo disco, ma si capisce bene che una svolta è in atto. Dopo pochi secondi assistiamo alla prima sezione in tempi medi dal groove roboante ed oscuro, che viene in maniera ferma supportato sia dalle asce a sei corde, che dal cantato laddove presente. E' una sonora danza di morte questa, un inno al male che certamente non si vuole fermare. Il tremolo picking sembra essere dimenticato e soppiantato da uno stile decisamente più thrash metal, senza inflessioni. A dir poco storica la sezione stop and go finale, che convince poco forse i fan del primo album, ma va sicuramente lodata per la sua sagacia compositiva. La sua struttura semplice e diretta viene arricchita da tematiche sempre legate al mondo del male e dell'occulto. La figura dell'eretico viene qui richiamata attraverso parole di plagio quasi, di vittoria e di sacrificio positivo. L'eretico è colui che conosce la vera fama del mondo, il vero volto di ciò che vediamo è nelle sue mani occulte. Per questo motivo viene allontanato senza pietà da coloro che probabilmente non vogliono che la verità venga a galla, ma allo stesso tempo il suo potere non si esaurirà così facilmente. L'eretico alla fine della storia dominerà il mondo col suo pugno di ferro, e questo nessuno lo può fermare. Un pezzo che trasmette un senso di angoscia e tribolazione messi assieme, una serie di movimenti convulsi ed al contempo nevrotici la fa da padrone, con quell'ancestrale ritmo groove qui e là che la fa da padrone per la maggior parte dell'ascolto, senza minimamente preoccuparsi delle conseguenze su noi poveri ascoltatori.

Tribulation

L'ascolto prosegue con "Tribulation" (Tribolazione). In quasi cinque minuti la band decide che deve pestare duro in un mix speed thrash da pettinare i capelli anche ad un calvo. Da subito assistiamo ad una massacro operato in tempi veloci, interrotto da alcuni mid time della chitarra e da alcune rullate assestate divinamente della batteria. Si arriva in questo alla fine del primo minuto quando assistiamo all'entrata dei tempi medi ad introdurre ritornello ma anche una buona carica groove data sempre dalla sei corde suonata in modo quasi compulsivo, nevrotico ma mai caotico.. La fase solista delle sei corde si riaggancia a tempi nuovamente molto secco e veloce, un uptempo crescente che ci fa capire quanta tecnica sopraffina ci sia all'interno di questi musicisti, e quanto lavoro vi sia stato dietro ad un disco come questo. In questi momenti si respira veramente l'aria dello speed di inizio anni '80, un must che la band ha adottato solo da questo disco in poi, se pensiamo al passato sembra quasi di ascoltare due band diverse. La voce continua ad essere l'elemento di continuità più forte con il passato, quella carica maligna non è assolutamente morta, anzi, continua a malmenarci come se non ci fosse un domani. La struttura è più variegata rispetto a quella della traccia posta in apertura ed il testo è sempre a cura del bassista/cantante. . Il testo ci parla di una ipotetica discesa agli inferi, dominata dal dolore e dalla sofferenza. Il mondo attorno a noi sta per finire, anzi, sta già finendo, e noi ci rechiamo dentro la scala che porta all'inferno, fra fiamme ed atroci sofferenze che sono solamente l'antipasto di quello che ci aspetterà per il resto dei tempi Il dolore comincia a crescere, assieme alla sensazione di dannazione eterna per un'anima che non conoscerà pace. Presto essa incontrerà il diavolo che la trascinerà fra le fiamme ed il dolore, non vi è alcuna via alternativa, non ci sono perdoni che possano tenere e che possano cancellare ciò che abbiamo fatto, anzi, ciò che abbiamo fatto sarà l'ago di una sanguinaria bilancia per decidere ciò che dovremo subire, questa è la legge infernale. Il nostro corpo viene fatto a pezzi, gettato nel fuoco e ricomposto per poter essere affettato di nuovo. I dannati escono dalle loro tombe, sacrificano la propria esistenza al male e valicano i confini della terra; ci viene descritto uno scenario che sa molto di film post apocalittico o di quelle pellicole epiche di metà anni ottanta, dove sangue e devastazione la facevano da padrone. Come un metronomo il testo si insinua dentro la musica e viceversa, confermando ancora una volta che i Possessed hanno inserito intere stille della loro esistenza dannata dentro questi solchi neri, e che ancora una volta hanno avuto il coraggio di osare e di varcare confini per altri insormontabili. Siamo dannati per l'eternità, le nostre ali sono di sangue, il nostro nudo corpo viene marchiato dai forconi dei diavoli, e noi solamente ci chiediamo come possiamo uscirne. Non c'è via di scampo in quest'apocalisse ed il tutto si conclude con Satana che regna sovrano in un mondo devastato e comandato dalle forze oscure.

March To Die

Arrivati alla terza traccia, ci troviamo al cospetto di "March To Die" (Marcia per morire). Essa si presenta come una delle canzoni più rappresentative del nuovo stile abbracciato dalla band, il suo riff portante infatti altro non è che un enorme omaggio al tech thrash di band che in quel momento storico stavano vivendo la loro epoca d'oro, citando ad esempio i Voivod come esempio principale, ma potremmo fare tantissimi altri nomi. D'altronde le lezioni impartite al chitarrista da un idolo della sei corde tecnica come Satriani si potevano e dovevano far sentire in qualche modo, ed ecco che infatti i riff della sei corde cominciano a farsi nervosi, veloci e soprattutto legati a doppio filo da una tecnica fuori dal comune, non male se pensiamo ai lidi da cui la band proviene e ciò che ha rappresentato e rappresenta ancora per moltissimi fans del metal estremo. I Possesed sono sicuramente uno dei capisaldi della musica estrema, e soprattutto il primo disco viene considerato una pietra miliare di quel filone, mentre questo spesso viene lasciato quasi da una parte, eppure se lo si va ad ascoltare, capiamo bene che le speranze riposte in un aumento della tecnica sono state esaudite.. La batteria in uptempo segue il tutto senza perdere un colpo in uno stile marziale ed adatto, visto il titolo della traccia. Il tutto viene condito da una atmosfera che si fa old school ad ogni minuto che passa, ogni nuovo segmento della canzone sembra gridare al passato con la sua verve compositiva e le sue ritmiche che fracassano crani a destra e sinistra. La struttura si fa molto semplice, con il ritornello in evidenza ed il resto degli strumenti che continuano ad intonare riff e ritmiche speed metal di vecchia scuola attorno ad un main theme che come abbiamo detto non è da meno. La parte di solo delle chitarre non è altrettanto da meno, con un alternate picking che continua a saggiare la nostra testa e continua a chiederci sangue, aspettandoci che noi glielo doniamo senza troppi complimenti. Si tratta di una serie di tecniche che la band è riuscita a mettere insieme in pochissimo tempo dal primo album, e che ora ci vengono proposte qui dentro le cavità auricolari della nostra testa; si tratta come abbiamo detto in precedenza di un mix abbastanza letale che la band ci propone in questa sessione, ma che riesce a diventare una sorta di nave da crociera infernale per cui abbiamo appena fatto il biglietto. Il risultato finale di una combinazione come quella che stiamo descrivendo, è quella di riuscire ad accontentare tutti quanti, dai fan incalliti ai neofiti che non sapevano nulla della band fino a quel momento. Lo shredding selvaggio sulle corde rimane lo stile principale. Si prosegue su tempi tirati con riffing impazzito sino alla fine in una canzone molto diretta e spoglia di qualsiasi ricamo dall'inizio alla fine, si procede dritti come fusi sulle note del male senza preoccuparci neanche delle conseguenze né tantomeno di quello che possono provocare al pubblico. Le liriche trattano di una discesa negli inferi, probabilmente trattasi di una schiera di condannati a morte, dato che esplicitamente si parla di teste che rotolano. Anche qui torna dunque il tema della discesa verso l'Ade, ma in chiave decisamente più splatter del precedente brano. Qui viene analizzata costantemente la possenza ed il dolore provato dai dannati sulla loro pelle, mentre intorno a loro il male trionfa. Le urla si fanno assordanti mentre il cielo si fa nero e la condanna sempre più vicina. Un testo se vogliamo quasi semplice nella sua struttura, ma che riesce a catturare lo spettatore dalla prima all'ultima nota.

Phantasm

Dopo una botta come questa, ci aspetta la calma: "Phantasm" (Fantasma). In oltre quattro minuti di durata, la presente canzone rappresenta forse uno dei brani più ragionati del disco, il riffing di base si ispira palesemente ai mostri sacri del Thrash anni '80 di primo pelo, quelle band come gli Exodus che avevano gettato le basi per un genere che ancora oggi riesce a radunare folle oceaniche intorno a sè. Sin dal riffing posto in apertura, possiamo carpire tali influenze, e come abbiamo ripetuto già moltissimi fans dell'epoca ma anche oggi rimangono quasi spiazzati dalla scelta della band, che neanche dopo un disco mostra una virata così potente e soprattutto così particolare come quella operata qui. La voce di Becerra si fa sofferta e spalmata su una struttura che annovera comunque alcuni cambi di tempo, altrimenti l'ascoltatore sarebbe annoiato dopo tre secondi di canzone. Di per contro il resto della band si prodiga in una canzone dalle ritmiche del passato, un enorme calderone sul fuoco in cui inserire di tutto, dal male al sangue passando per la nostalgia e la sperimentazione, c'è spazio per tutti Il riffing si mantiene sempre serrato al punto giusto e l'atmosfera generale del disco ne giova, soprattutto durante alcuni intermezzi inseriti in maniera davvero intelligente per spezzare altrimenti la monotonia soprattutto delle parti di chitarra, che rischiavano di essere davvero mono tono per tutta la durata della canzone. La voce ritualistica di Jeff aiuta molto una composizione che al terzo minuto si getta poi su una tecnica comunque sporca ma che strizza anche essa l'occhio allo speed ottantiano. Tutto questo viene immensamente aiutato dalla band a suonare, che dopo un bagno enorme di tecnica, riesce a star dietro non solo alla voce di Becerra, ma allo stesso tempo a non risultare mai banale in alcun frangente della canzone. L'insolito finale ornato di oscuri arpeggi pone il sigillo su di una composizione ben strutturata, con vari cambi di tempo ed un livello di intensità che non conosce cali grazie, appunto, alla sua varietà stilistica. Anche qui il tema ricorrente torna ad essere l'anima ed il suo vagare per la terra senza alcuna meta dopo aver abbandonato il mortale corpo in cui era imprigionata. Destinata forse a vagare per sempre, l'anima continua la sua corsa sui campi del mondo, desiderosa solamente di un po' di pace, che forse troverà quando il destino avrà deciso che ne ha abbastanza di lei. Nonostante la durata sia abbastanza lunga rispetto ad altri brani in scaletta, il pezzo in sé per sé risulta abbastanza scarno, quasi banale in certi passaggi, eppure al contempo troviamo anche delle soluzioni di continuità abbastanza geniali che mettono punti fermi alla discografia dei Possessed, e fanno di questo disco un altro piccolo diamante della loro corona. Ripetiamo, si poteva decisamente fare di più specialmente nella sezione centrale, laddove le parti della sei corde spesso risultano un pochino ripetitive, anche se è una monotonia che di certo non stanca, ma per certi versi ci fa muovere la testa come se fossimo in preda ad un raptus. Probabilmente, ed alcuni video dell'epoca ne sono testimoni, questa traccia dava il meglio di sé dal vivo, grazie a quella composizione così semplice che su un palco poteva scatenare tutta la sua furia omicida.

No Will To Live

La prima metà si interrompe con "No Will To Live" (Nessuna volontà di vivere). Un riff brutale ed al tempo stesso chiassoso e non banale supporta la parte principale di questa enorme traccia da sette minuti quasi, messa in piedi dalla band dobbiamo dirlo in maniera davvero egregia sotto tutti i punti di vista. Questa folle marcia su tempi veloci non conosce pausa per circa tre minuti. Un esercizio di stile che sia ai tempi che oggi da molti viene criticato, da altri giudicato come inutile. Personalmente lo ritengo geniale, una parte che da una band abituata a pezzi da tre minuti scarsi con tutta la violenza possibile intrisa al suo interno, sceglie di intraprendere una strada mai vista prima, e lo fa non ponendo l'accento sul cantato, quanto sulla tecnica di suono che viene adottata in questo frangente. Ne viene fuori una intensità fuori dal comune, un enorme bestione alato che si staglia sul campo di battaglia, e vuole mietere ancora più vittime all'interno dello scontro. Intensità pura che rimanda agli albori del genere e dimostrazione che quando la band decide di alzare il tiro, ha ben pochi rivali in materia. I tempi medi che seguono servono solamente a darci una fase di respiro prima che il brano ricominci a martellarci le corde vocali ed i crani come se non ci fosse un domani. La voce di Becerra segue il tutto con la sua solita timbrica sofferente. Questo alternarsi di prolungate sezioni veloci alternate a momenti in cui la canzone prende una piega inaspettata, crea una sorta di pendolo oscillante fra buio e luce infernale che brilla soprattutto per senso di genialità. Ricorda a tratti quello che in frangenti più moderni hanno fatto anche bands come i Midnight, ma non solo. Il solismo delle chitarre sulla parte finale è quasi solamente accennato, quasi a voler sottolineare la natura da cazzotto pieno in faccia di questa canzone. La struttura della canzone esattamente come era accaduto per la precedente viene ridotta ai minimi termini, grazie ad un sapiente lavoro di taglia e cuci che viene svolto dalla band; non dimentichiamo ovviamente anche l'ottimo lavoro di post produzione che venne effettuato sul disco, e che permette di apprezzare anche i velocissimi cambi di tempo che si susseguono come impazziti. Qui la struttura è ridotta all'osso giacché troviamo solamente tre o quattro diversi pattern per tutta la durata ma l'impulsività e la violenza sonora riescono a colmare questa semplicità strutturale rendendola una vera a propria fucilata. Un testo molto sviluppato tratta tematiche apocalittiche e scenari post-guerra spaventosi. La morte aleggia nell'aria, se ne sente l'odore che si staglia sul campo di battaglia, corpi sgraziati giacciono con arti mozzi e sangue ovunque, ma il Diavolo ne vuole ancora. Chiama Satana, suo padre, dal più profondo degli inferi, e lo invita a banchettare con lui di quel che è rimasto. La scena è raccapricciante, ma purtroppo possiamo fare ben poco per risolvere questo problema. Il film che ci si palesa davanti fa venire la pelle d'oca, con quella immagine di Satana che scende, anzi risale dal suo trono fatto di ossa e sangue, per calcare la terra col fare di un condottiero. Un accenno delle sue dita e l'esercito infernale si risveglia, degno della miglior pellicola sanguinolenta della storia cinematografica; un brando che allinea un testo semplice e diretto con una musica altrettanto coinvolgente ed al contempo epica, che risucchia l'ascoltatore dentro ad un vortice che si prende tutto quanto e non ti lascia andare facilmente.

Beyond The Gates

Il prossimo brano è la title track dell'album, ovvero "Beyond The Gates" (Oltre i cancelli).  Il suo riffing portante, posto subito all'inizio della canzone, si conficca all'interno del nostro cervello come la spina di una sanguinosa rosa rossa, e ci rimane per lunghissimo tempo. I tempi medi entrano ben presto in scena a supportare quel riff mentre l'ugola di Becerra non conosce alcuna sosta, alcun attimo di respiro. I cambi di tempo sono veloci, numerosi e repentini. Geniale anche l'idea di usare delle parti di synth qui e là, che possono adattarsi fedelmente a quella che è la natura sperimentale del disco, e continuare così la tradizione iniziata qualche traccia fa, ma stupendo ancor di più lo spettatore che rimane spiazzato nel sentire i Possessed svolgere un lavoro come questo. Il clangore delle spade si fa più forte man mano che andiamo avanti nell'ascolto, l'asta della difficoltà viene messa in modo sempre più alto dalla band stessa, ma questo senza dubbio non spaventa gli ascoltatori, che anzi riescono a seguire tutto quanto con moltissima disinvoltura. La breve durata della traccia, tre minuti, impone quasi un troncamento alla fine. Ne avremmo voluta forse di più, magari anche solo un minuto, se non altro perché la genialità del riff portante unito a quelle sezioni sperimentali di cui abbiamo parlato in precedenza, meritavano ancor più attenzione senza ombra di dubbio. Si tratta non solo della title track, ma anche di quella che possiamo considerare come la regina del disco; un brano in cui la band ha riversato tutta sé stessa, con una attenzione maniacale per i dettagli e soprattutto una attenzione enorme anche in fase di post-produzione, con una serie di elementi qui e là che ne fanno un brano geniale sotto tutti i punti di vista. La sezione più esaltante sicuramente è quella appena citata qualche riga fa, ovvero i synth; siamo nel 1986, una scelta del genere in un disco di una band come questa, poteva anche significare un suicidio artistico considerando il pubblico a cui era rivolto; eppure i Possessed vennero accolti nuovamente come eroi, persone che erano riuscite a varcare una soglia impensabile, quella della chiusura mentale. Un'impronta progressiva d'avanguardia, magari non voluta, ma di grande importanza. Le parole del testo rimandano nuovamente a temi maligni; questa volta possiamo immaginarci un giovane che per la prima volta si inginocchia di fronte all'altare di Satana e ne invoca il nome, quasi in modo reverenziale, senza sapere ciò che lo aspetta. Questo adoratore del male si prostra, in ginocchio, davanti all'altare. Egli chiede al signore delle tenebre di accompagnarlo oltre le porte, ove vi è solo sofferenza. La title track di questo disco è forse uno dei più grandi omaggi alla vecchia scuola che possiamo trovare: una commistione di generi che fanno da padrone per tutta la durata dell'ascolto, e che riescono non solo a noi annoiare uno spettatore o un ascoltatore casuale, traendolo dentro alla propria trappola, ma allo stesso tempo riescono a darci l'ennesima prova della genialità di questo gruppo. Si parla di una commistione enorme, all'interno possiamo trovare sia quel Death primordiale che tanto fu caro agli ascoltatori della prima release, ma anche elementi enormi provenienti dalla sacra scuola di inizio anni '80. Quello che è interessante osservare quando questo disco venne pubblicato, furono le dichiarazioni della band che spesso mal si accostava all'accezione di Death Metal, preferendo quella di Thrash o di Speed/Thrash con qualche elemento estremo che sapeva di morte e distruzione. Questo fa capire che quegli stili che fecero storcere il naso agli astanti del 1986 non erano che parte integrante della vita e degli ascolti della band, si trattava solo di renderli vividi nella memoria.

The Beast of The Apocalypse

Arrivati all'ottava traccia del lavoro, "The Beast of The Apocalypse" (La Bestia dell'Apocalisse), notiamo un ritorno ai riff brutali che la band proponeva ad inizio carriera, in particolare quella del primo disco, ma anche qualche elemento che abbiamo incontrato sulla nostra strada durante questa seconda release. Particolarmente riuscito risulta essere il riff durante la sezione veloce, che all'orecchio arriva come granitico, solido e soprattutto violento al punto giusto, quel tanto che basta per far sanguinare le orecchie. Dal punto di vista compositivo stiamo assistendo ad un disco che riserva sorprese una dopo l'altra, una serie di canzoni che non ci saremmo mai aspettati da un gruppo che qualche tempo prima aveva sfornato un album come SC. Si tratta lo ribadiamo di un passo davvero importante per i Possessed; cantare e scrivere canzoni come queste non è da tutti, anzi, non è da quasi nessuno. Eppure loro ce l'hanno fatta, vuoi per la loro bravura, vuoi anche per la continua voglia di stupire il pubblico con le sue continue trasformazioni, perché come ben sappiamo anche gli altri due album che caratterizzeranno la loro carriera, ma anche l'ultimo recentemente uscito, sono perle di rara bellezza una diversa dall'altra, ognuna con le sue peculiari caratteristiche che lo rendono unico agli orecchi dell'ascoltatore. Le sezioni soliste delle chitarre sin intrecciano in un turbinio da capogiro, il tutto sempre su tempi fulminei e veloci. I riff di chitarra sono vere e proprie passate di rasoio a secco sulla pelle, che tagliano e sanguinano oltre ogni immaginazione. Una sequela di colpi ben assestati che la band intende tirarci prima di lasciarci andare, anche perché le tracce successive sicuramente non sono da meno in quanto a violenza e soprattutto a sagacia compositiva. La struttura breve di tale traccia non pregiudica la bontà dei segmenti, che alternandosi in questo modo quasi ci fanno apparire come storditi, come in preda ad una enorme brezza alcolica, e ci lasciano sul campo pieni di lividi. Come quasi sempre, le parole sono a cura di Becerra, e ci descrivono l'ennesimo scenario da film horror. Una enorme bestia risorge dalle proprie ceneri dopo secoli di silenzio, ed inizia a mietere le sue vittime in cerca di sangue e carne, sangue e carne, solamente questo vogliono le sue fauci. Non si fermerà finché ogni traccia di esistenza sulla terra non verrà cancellata, finché ogni millimetro di felicità non sia solamente un lontano ricordo. Qui abbiamo invece una brusca virata verso le origini, e la scelta poteva essere altro che simbolica; creare una sorta di ponte fra passato e futuro, fra quello che fu quel Seven Churches che ancora oggi fa gridare al miracolo per la sua bellezza estrema, ed allo stesso tempo aprire uno spiraglio verso qualcosa di nuovo e mai sentito. Di spunti nuovi dentro Beyond ve ne sono molteplici come abbiamo avuto modo di osservare, ma allo stesso tempo abbiamo anche tracce come questa che strizzano l'occhio alle origini, fiere e risolute nel loro essere brutalmente cattive. Si tratta di una scelta dettata forse dal cuore che dalla testa, o forse semplicemente il naturale scorrere della musica che veniva scritta ha portato a questo risultato.

Seance

Prossimo brano in scaletta è "Seance" (Seduta). Nuovamente la band decide che è il momento di pestare duro con gli strumenti, ed ecco che l'incubo di nuovo prende forma nella nostra testa. L'incipit rende subito l'idea di come sarà la traccia. Una serie di riff senza sosta, senza alcun passaggio melodico la fanno da padrone, sono legati solamente dalla voce, che strappa direttamente i vessilli dal cielo e li innalza così che tutti possiamo vederli. Parliamo di nuovo di una canzone tritura ossa e spara sangue da tutte le parti; la band in prima linea continua a martellarci il cranio e la cassa toracica senza sosta, chiedendoci di starle dietro mentre loro in non troppo silenzio continuano a saggiare le capacità di sopportazione del nostro dolore. In un contempo quasi cronometrico la voce fa da contralto alle note che vengono suonate, rendendo il pezzo una sorta di panzer inarrestabile che si trascina dietro un cadavere, il nostro. I passaggi sui rullanti da parte della drum machine introducono dei brevissimi tempi medi, che vengono però spazzati completamente via dalla furia compositiva delle chitarre ma soprattutto della batteria stessa, che dopo aver prodotto quei brevissimi tempi medi, si da ad un blast senza sosta, come se stesse letteralmente suonando il nostro cadavere martoriato già dalle canzoni precedenti. La volontà distruttrice della band non conosce limiti ed il finale arriva scoppiettante prima che ce ne accorgiamo, fra fuochi d'artificio ed una sorta di conclusione in progressione che viene improvvisamente tagliata sul finale. Una struttura lineare e sagace al tempo stesso, degna di una band come questa. Una struttura molto scarna amplifica l'impatto di questa traccia, valvola di sfogo da parte del gruppo. Un testo che invece rispetto ai precedenti risulta quasi banale, ma parliamo di una veggente, una zingara, che viene interrogata da un uomo sulla venuta di Satana sulla terra, ed essa risponde che quest'ultimo verrà presto, ma per salvare il mondo un modo esiste, bisogna sacrificare della carne. L'uomo allora provvede uccidendo un cervo, ma egli sa dentro il suo cuore che quello è un sacrificio inutile, perché il diavolo verrà comunque a bussare alla porta del mondo, qualunque sia l'azione che viene compiuta. La valvola di cui parlavamo prima qui viene aperta in tutta la sua interezza, rivelando un gruppo in stato di grazia, capace di saltare come morti e le loro ossa su un campo di battaglia. Non ci dimentichiamo infatti che questo può essere considerato come il testamento biologico della band, quel disco che quando viene ascoltato fa presagire solamente il meglio. Si tratta di un album completo sotto ogni punto di vista, e tracce come questa ne sono la prova. Se dobbiamo trovargli per forza un difetto lo andiamo a ricercare nella monotonia dei testi; belli, epici e tutto quel che vogliamo, ma alla fine ruotano attorno ai soliti quattro concetti, che ci sta anche su un disco come questo, ma alla lunga può anche stancare l'ascoltatore.

Restless Dead

Penultima traccia del lavoro è "Restless Dead" (Morto senza riposo), ancora una volta punta tutto sulla violenza e la velocità di esecuzione di quest'ultimo. Pare quasi che la band abbia aspettato la fine del disco per sparare le sue cartucce in linea con la tradizione perpetrata nel primo album, una scelta davvero poco peculiare ma se ci pensiamo bene è anche geniale, lasciare la suspance per poi spazzare via tutto con un mitra gigantesco. Una devastante introduzione di batteria ben presto ci lascia a dei momenti enormi della batteria, dove non vi è alcun modo di scampare dall'oblio in cui la canzone ci vuole gettare. C'è fumo e distruzione attorno a noi, vi sono elementi di dolore e di sofferenza, la morte avanza sul campo e si prende tutto quello che si poteva prendere, soprattutto il nostro cuore. Le chitarre come impazzite tormentano l'aria e la rendono densa ed oscura, elettrica sotto ogni punto di vista. Una pioggia di sangue che ci ricopre da capo a piedi, senza alcuna sosta. Non c'è un attimo di riposo sino ai primi tempi medi, dopo i secondi minuti di ascolto. La canzone man mano che procediamo verso il finale si fa decisamente più aggressiva ed ancora più veloce, nonostante già gli rpm siano settati in modo molto alto. La prima sezione solista delle chitarre risulta molto impulsiva mentre la seconda è quasi la quiete dopo la tempesta, un mid time quasi posato e calmo rispetto a quello che abbiamo ascoltato fino ad ora. Una bordata notevole anche se le composizioni degli ultimi minuti scorrono in maniera forse meno geniale di altre soluzioni che abbiamo ascoltato all'interno di questo disco. La mera velocità di esecuzione talvolta sembra essere solamente messa lì per spirito di bravura, ma manca qualcosa. Non stiamo dicendo che sia un brutto pezzo, semplicemente che all'interno di questo album vi sono tracce molto più sagaci dal punto di vista compositivo. Il testo della traccia in questione mostra nuovamente temi cari alla band, in questo caso zombie e morti viventi che risorgono dalle proprie tombe in cerca di carne fresca da mangiare. In particolar modo si narra la storia di un corpo chiuso in una bara, e della sua prima venuta dopo la trasformazione in morto vivente. Si sentono urla durante la canzone, pianti strazianti di quell'anima che non sarà più pura, ma solamente un altro strumento di morte che vagherà sulla terra. Il morto che verrà fuori avrà la bava alla bocca, completamente desideroso di carne fresca da mangiare e sentir spezzarsi ossa sotto ai suoi ormai marci denti; la sua pelle diverrà blu come la notte, il suo corpo saprà di decomposizione, i capelli cadranno ed il suo fisico si affloscerà su sé stesso, ma lui ormai è divenuto una perfetta macchina da guerra, e quelle urla che i Possessed hanno inserito durante l'ascolto certo non ci fanno presagire niente di positivo, ma solamente il lento ed inesorabile avanzamento della morte sui palchi della terra, già ricolma di cadaveri fumanti.

Dog Fight

A chiusura del disco troviamo una piccola traccia strumentale, chiamata "Dog Fight" (Combattimento da cani). Col suo minuto e mezzo di durata risulta essere quasi una ghost track, che poteva essere tranquillamente legata alla traccia precedente. Questo perché in realtà consta solamente di una serie di riff incatenati l'uno all'altro, alcuni dei quali senza una apparente connessione logica. Sembra più un esercizio di stile del chitarrista che però a parità di utilità all'interno del disco non porta molto. Volessimo legarlo al titolo potremmo dire che i riff che sentiamo sono i denti dei cani che combattono in una morsa ferale che si spegnerà solamente quando uno dei due esalerà l'ultimo respiro a terra, coperto dal suo stesso sangue. Una traccia che ripetiamo, a titolo personale di chi sta scrivendo, poteva essere tranquillamente legata alla precedente, che siccome risulta essere una delle tracce più deboli di tutto il pattern, probabilmente con questa piccola aggiunta avrebbe acquisito punti in più da spendere nel giudizio. Un combattimento che finirà ovviamente con la morte di uno dei due cani, finché l'altro non esalerà l'ultimo respiro il papabile vincitore continuerà ad attaccare, ad affondare i denti aguzzi e ricolmi già del sangue avversario sul collo e sul corpo, sempre più in profondità, sempre cercando di staccare letteralmente brandelli della carne dell'avversario. Questo andirivieni della musica viene accentuato ancor di più se ci si para davanti una scena come questa, ricolma di violenza orribile e spesso reale in tantissimi posti. La musica funge quasi da taumaturgico essere che ci rivela la verità, e che ci mette in guardia da tutto il marcio che alberga nel mondo che tanto cerchiamo di difendere, ma che spesso viene abitato più dai lupi che dalle pecore.

Conclusioni

Il voto di questo disco è pieno così come lo vedete per molte ragioni. Innanzitutto è un disco assolutamente ben prodotto e ben mixato, con un ottimo lavoro di produzione dietro, si vede che la Combat investì molto sulla band in questo frangente, ed i Possessed vennero ripagati da un egregio sound generale. In secondo luogo per chi ama il Thrash questo disco è una manna dal cielo; riff veloci, canzoni apocalittiche che si intrecciano con altre dal sapore quasi teutonico sotto certi aspetti, testi che inneggiano al male, chitarre distorte all'inverosimile che si chiedono solamente quanto altro sangue dovranno versare per noi. In terzo luogo invece abbiamo di fronte un lavoro in cui vi sono anche elementi sperimentali come abbiamo detto, una serie di soluzioni stilistiche che giovano al carattere del disco in moltissime occasioni, ed in altrettante fanno saggiare la capacità compositiva della band. Come abbiamo affermato durante l'introduzione del disco, quando uscì venne accolto quasi come un tradimento dai fan storici della band, che certamente accettarono a malincuore le virate nerd quasi che la band aveva trovato in questa seconda release. Per fortuna il tempo è il miglior medico di tutti i mali, ed il disco è stato recuperato in qualche modo anche dai fan storici, ed oggi campeggia nella collezione di qualsiasi appassionato. Compratelo e consumatelo sia se siete amanti delle sonorità classiche, sia se siete amanti dell'estremo, perché non dimentichiamoci che di estremo qui dentro ve ne è abbastanza, alcuni main riff sono di una cattiveria brutale, le loro strutture e soprattutto i testi alle volte fanno quasi male da quanto riescono ad essere sopra le righe. Allo stesso modo compratelo se amate il Thrash vecchia scuola, perché qui ne troverete quanto ne vorrete. Chitarre a rasoio che non vedono l'ora di affettarvi per bene il volto, batteria sempre in prima linea ed il tutto viene aiutato sempre di più dalla produzione, che non è assolutamente un dato che può mancare in un disco che si rispetti. Quindi, nonostante al momento del lancio venne accolto in quel modo, possiamo affermare oggi senza dubbio che Beyond the Gates è un disco completo sotto ogni punto di vista, probabilmente la naturale evoluzione di SC, il suo lascito ancor più vero e maturo, quello dove la band ha spremuto ancora una volta quelle stille di sagacia e di maligno che albergavano nelle loro malate menti, ed il risultato è sotto gli occhi di tutti ora come allora. Abbiamo detto diverse righe fa che questo può essere considerato il testamento biologico della band, e qui in conclusione possiamo affermarlo con ancor più convinzione; si tratta di un disco che a tratti può risultare quasi strano considerando la band da cui è stato scritto e suonato, ma se da una parte è così, dall'altra troveremo tracce epiche sotto ogni punto di vista. Seven Churches aveva aperto la strada del male, questo "Beyond The Gates" ci ha rivelato cosa ci aspetta alla fine dell'esistenza, ovvero una enorme e copiosa cascata di sangue. Un disco che tracima odio e raccapriccio sia per quanto riguarda le musiche sia per quanto riguarda il correlato spirito di vendetta che aleggia per tutto l'ascolto. Compratelo anche se non siete fan della band, anche se magari conoscete poca roba di loro, comprate e consumate questo disco, sono certo che non ve ne pentirete minimamente. Quando le qualità sono oggettive, c'è ben poco da discutere. E allora, cosa aspettate anche voi a varcare i confini del male?

1) Introduzione
2) Intro
3) The Heretic
4) Tribulation
5) March To Die
6) Phantasm
7) No Will To Live
8) Beyond The Gates
9) The Beast of The Apocalypse
10) Seance
11) Restless Dead
12) Dog Fight
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