PORTAL

Vexovoid

2013 - Profound Lore Records

A CURA DI
FABIO MALAVOLTI
31/03/2013
TEMPO DI LETTURA:
8,5

Recensione

Non adatta ai deboli di cuore. Si potrebbe riassumere con questa breve frase in cosa consiste la musica degli australiani Portal, formazione originaria di Brisbane che da ormai quindici anni porta avanti il proprio, particolarissimo concetto di suonare death metal facendolo evolvere rilascio dopo rilascio. Ispirando i propri testi ai racconti horror del celebre scrittore Howard Phillips Lovecraft, sono giunti al quarto full lenght della loro carriera, che li ha visti protagonisti di una crescita lenta ma costante ed una conseguente accumulazione di pareri positivi dai fans e dalla critica, e forti di una produzione nettamente migliorata rispetto agli albori e di un consolidato rapporto con la canadese Profound Lore Records (Antediluvian, Disma, Evoken, Mitochondrion e Vasaeleth, tanto per citare alcune fra le più promettenti leve di death metal e affini). Si scrive death metal ma si legge caos, dissonanza e massacro uditivo. "Vexovoid" rappresenta il passo successivo rispetto al buonissimo "Swarth" che ci venne dato in pasto quattro anni fa, un ulteriore tassello che il quintetto ha aggiunto per fare un altro passo in avanti nel suo maledettissimo e lugubre percorso che hanno deciso di intraprendere. Prima ancora di ascoltare il disco (premetto che non avevo resistito, precedentemente avevo ceduto dinanzi al piccolo assaggio di "Curtain", rilasciata qualche mese prima del rilascio del disco) mi era balzato all'occhio un particolare: il breve minutaggio (appena trentacinque minuti in totale) degli otto brani costituenti del platter, che in fin dei conti non sorprende più di tanto, visto che anche nei predecessori la band ha sempre cercato di concentrare il suo mix di atmosfere orrorifiche e disturbanti in tempi molto ristretti. Lo stile dei Portal sta progressivamente diventando un trademark inconfondibile basato su chitarre distorte all'inverosimile, tanto da apparire come un fastidioso e pungente ronzio e sull'alternanza di ritmiche pachidermiche ed altre feroci, martellanti. L'ampio uso di effetti non coinvolge solamente l'apparato strumentale, ma anche quello riguardante il cantato, tanto da far sembrare le soffocate growl vocals di The Curator come soffocate urla provenienti da una lontana cripta. Queste caratteristiche contribuiscono ad originare un contesto scenografico impressionante, catapultandoci con la mente proprio dentro uno dei macabri racconti dello scrittore statunitense (a proposito di scenografie, curiosa anche l'esecuzione dal vivo della band, i cui membri appaiono sempre travestiti da boia, ad eccezione proprio del cantante che é solito portare una stravagante maschera). Come dicevo prima, Vexovoid cerca di limare ulteriormente il suono con qualche accorgimento a livello di songwriting rispetto a Swarth, in cui -a mio avviso- la band finiva sporadicamente per risultare troppo un po' piatta e monotona, e ciò contribuisce a rendere l'ultimo parto più godibile ed affascinante. Sì, malgrado il disco di cui sto parlando, credo che sia il termine giusto da accostare ad un lavoro così macabro, tenebroso, lugubre e cacofonico, una sorta di eco ultraterreno di temibili mostri celati in chissàquali dimensioni, a noi sconosciute. Il caos regna sovrano sin dagli istanti iniziali dell'opener "Kilter": una serie di riff ipnotici amalgamati ad una batteria martellante fanno da costante accompagnamento ad un'atmosfera malsana e soffocante. La prova di The Curator dietro al microfono é un'allucinante schizoidia, puro nichilismo sonoro che pare provenire dall'interno di una cripta, mentre le chitarre, nonostante si ripetano in qualche loop continuo tutt'altro che trascendentale e niente più, riescono ad attanagliare l'ascoltatore, ad intrappolarlo in un angolo buio della propria mente ricoprendolo totalmente con il puro vomito sonoro emesso dalla corde con l'ausilio di pesantissime distorsioni. Siamo appena alle battute iniziali ed il mayhem ha già iniziato a prendere il sopravvento, e "The Back Wards" prosegue l'oscura carneficina cominciata con Kilter ma con un ritmo a tratti più funereo, ad altri tratti più incalzante che si traduce in autentica schizofrenia sonora. Le zanzare si fanno ancora più insistenti e disturbanti, nel frattempo Ignis Fatuus si rende protagonista di un working puramente malsano e vorticoso, martoriandoci per bene i timpani. Il marasma sonoro prosegue poi imperterrito con la già citata "Curtain". Alcuni colpi di batteria introducono l'ingresso in scena di un riff serrato che ci spalanca le porte degli abissi e ci fa sprofondare nella più totale misantropia, seguito da un altro, più frenetico grazie al supporto di un tessuto ritmico corposo e dinamico. La sezione successiva si snoda prima attraverso l'evocatività ancestrale emanata dalle chitarre e poi nel "momento clou" del brano, quello centrale, in cui i continui cambi di tempo dettati da Ignis Fatuus sembrano elevare al di sopra di noi un mastodontico leviatano. L'outro é un qualcosa che più caotico di così non si può: il suono proveniente dalle chitarre é autentica claustrofobia, mentre i maligni sussurri di The Curator sono un respiro mortale che ci sfiora le orecchie. Terminato l'ascolto di questo brano mi vien da pensare solo una cosa: che i Portal non sono assolutamente normali, non può la mente umana concepire un'opera così caotica e tramutare il "suonare strumenti musicali" in una sorta di perversione sonora. Eppure é proprio così, perché Curtain é probabilmente il brano più contorto ed insano che la band di Brisbane abbia mai concepito. L'apertura di "Plasm" é intricata, vorticosa e tiratissima. Le chitarre sono ancora una volta protagoniste di un ruolo di primo piano, un uragano impazzito che non lascia via di scampo, le zanzare sono ancora più insolenti del solito e sembrano veramente arrabbiate.. A sostenere un wall of sound così pesante c'é ancora una volta la sezione ritmica, fortemente sollecitata in questa occasione ma mai imprecisa. Verso la metà del brano ciò che udiamo é un ronzio nel vero senso della parola, non si tratta di una similitudine per rendere più comprensibile il suono trasmesso delle chitarre. E' un segno che l'outro del brano é iniziato, ed é tempo di sprofondare ancora più in basso, qui siamo all'interno di un pozzo senza fondo che ci condurrà verso l'inferno sonoro vero e proprio, dove non regnano fiamme abbaglianti ma il buio assoluto. "Awryeon" é un brano contorto dall'inizio alla fine, non solo nel songwriting ma anche nel testo, vessillo di un astrattismo veramente indecifrabile e criptato. Nonostante dopo quattro brani le abbiamo praticamente sentite tutte, questa composizione riesce ancora a sorprenderci con il suo intermezzo, pregno di un'oscura e diabolica evocatività. L'elevata intensità ritmica della batteria, il minestrone composto dai vorticosi riff di chitarra, il growl (?) é una sorta di pece vomitataci nelle orecchie dal disumano vocalist con estrema rabbia e ferocia. Dopo un outro simile a quello di Plasm, é il momento della brevissima "Obmorphia", 160 secondi di follia sonora nei quali prende piede la cacofonia che i Portal riescono ad evocare dai loro strumenti, veri apparati diabolici, entità malefiche che si scagliano senza pietà sul malcapitato ascoltatore. Basta udire le prime note dell'intro per rendersi conto che si é nuovamente a cospetto di un brano che non segue assolutamente nessuno schema, trattandosi di una randomica rappresentazione musicale del caos, disciplina in cui i Portal, lo possiamo affermare con certezza, se la cavano piuttosto bene. I Portal, nella loro particolarissima dimensione, sanno essere persino magniloquenti, e lo dimostrano con la closing track "Oblotten", dove un riff ipnotico, accompagnato da synth sinistri e lugubri, aprono le macabre danze di un brano disturbante come pochi. Se fin'ora Vexovoid vi ha fatto correre i brividi lungo la schiena, preparatevi a risvegliarvi dentro un vero incubo. Il mood che permea l'album non varia più di tanto, ma la malignità dei Portal qui raggiunge un nuovo livello combinando nichilismo, perversione e misantropia. Grumi di pece che scorrono davanti ai nostri occhi, lentamente ed inesorabilmente, trascinando dietro di sé ciò che rimane della nostra mente, segregata nel vortice di oscurità e pazzia che costituisce questa nuova, disumana opera targata Portal.


1) Kilter 
2) The Back Wards 
3) Curtain 
4) Plasm
5) Awryeon 
6) Obmorphia 
7) Oblotten