POKERFACE
Divide and Rule
2015 - Molot Records
MARCO PALMACCI
06/11/2015
Introduzione Recensione
La grande madre Russia: terra indomabile, fiera, le cui radici affondano nel gelo perenne. Un popolo orgoglioso, dal cuore d'acciaio forgiato nel fuoco di mille battaglie e rivoluzioni, un popolo che ne ha subite di ogni, che si è piegato mille volte ma spezzato nemmeno una. Viste queste credenziali, non è difficile credere che proprio lì, nella terra degli inverni spezza-ossa e delle guerre, sia molto fiorente una scena Metal di tutto rispetto, che sin dagli anni '80 ha avuto qualcosa da dire, continuando tutt'oggi grazie a nuove leve. La Storia appartiene a gruppi come gli Aria, dalla stampa degli 80's considerati nientemeno che gli Iron Maiden russi, un paragone che pesa ma che ha fatto si che il gruppo in questione potesse balzare agli onori della cronaca ed a posteriori addirittura venire inserito nel filone N.W.O.B.H.M. nonostante la provenienza geografica, come già accaduto a band come Anvil od Heavy Load. Una storia costellata di successi ed ottimi dischi, da parte di questi pionieri (da citarsi il debutto "Megalomania", datato 1985 ed il loro terzo album, "Hero of Asphalt", del 1987 ed aperto nientemeno che dall'italianissima "Santa Lucia",storico brano del folklore italiano dedicato al golfo di Napoli), che tutt'oggi continuano inarrestabili la loro corsa, avendo pubblicato il loro ultimo disco nel 2014, il disco intitolato "Through All Times". Da loro si passa direttamente ai Master (da non confondersi con gli americani death metallers loro omonimi), sempre legati agli Aria visto che furono formati nell'87 da ben quattro ex membri di quest'ultimo complesso (nella fattispecie Alik Granovsky, Andrey Bolshakov, Kirill Pokrovsky e Igor Molchanov) anche se decisero di discostarsi da un sound tipicamente Heavy per abbracciarne uno più orientato verso il Thrash/Speed (in questo senso, dischi come l'omonimo "Master" del 1987 o "With a Lee on the Neck" del 1989 sono quantomeno illuminanti circa il discorso fatto attorno a questo cambio di rotta). Balziamo in avanti, giungiamo nei '90 ed imbattiamoci in seguito negli Epidémia, gruppo power metal formato nel 1993 dal chitarrista Yuri "Juron" Melisov ed autori di dischi degnissimi di (più di una) nota come l'esordio in full-length "On The Edge of Time" del 1999 (a precederlo la demo "Phoenix" del 1995 e l'EP "Will To Live" del 1998) o la più recente e splendida Metal Opera "Eleven Manuscript" datata 2004, un concept album basato su di una tolkeniana trama fantasy ideata dallo stesso chitarrista Juron. Carne al fuoco ce n'è, come abbiamo avuto modo di vedere, e non è neanche poca: dal classico all'estremo, tutti i palati possono essere soddisfatti. Arriviamo dunque ai nostri tempi ed occupiamoci di una band figlia di questa tradizione, attiva da poco ma già molto promettente. Si chiamano Pokerface e non hanno nessuna intenzione di essere da meno dei loro illustri colleghi; fautori di un Death/Thrash che molto deve alla sacra scuola degli anni '80, si formano ufficialmente nel 2013 e già nel 2014 danno alle stampe un EP intitolato "Terror Is The Law", e bissano proprio quest'anno pubblicando il loro primo vero full-length, intitolato "Divide and Rule", oggetto dell'analisi odierna uscito proprio lo scorso Agosto. Il gruppo è ad oggi formato da Delirium (voce), la coppia d'asce Nick e Maniac (rispettivamente solista e ritmica) più la sezione ritmica composta da DedMoroz e Doctor (basso e batteria). Per forza d'inerzia, leggendo questi nomi, saremmo subito abituati ad associarli a dei nerboruti thrashers dalla corporatura imponente.. ed invece, con grande sorpresa (in senso positivo) dietro uno dei monicker troviamo una ragazza: parliamo proprio di Delirium, che ribalta una volta per tutte l'insopportabile stereotipo del "sesso debole" per proporci un tipo di cantato che si rifà all'esperienza di Angela Gossow e soprattutto ci dimostra quanto una donna possa (e DEBBA, a personalissimo giudizio di chi scrive) mettersi in gioco anche in tipologie di Metal che non prevedano per forza un cantato lirico / dolce / fastidiosamente etereo. Tutti sappiamo quanto gli stili estremi siano maggiormente indirizzati, fisiologicamente parlando, ad una voce maschile, ma adattandosi al contesto anche una ragazza può fare una gran bella figura. Lo dimostra il fatto che il gruppo è negli ultimi anni divenuto uno dei più gettonati della propria scena, potendo vantare un curriculum di tutto rispetto: appena due anni dalla formazione ed i Nostri possono dire d'aver già calcato il palcoscenico con musicisti del calibro di Megadeth, Annihilator, Kreator, Overkill, Vader, Children of Bodom e Sepultura, giusto per citare qualche nome "a caso". Come suonerà, dunque, questo full-length? Curiosi e scalpitanti ci avviamo ad inserire nel lettore il disco che abbiamo fra le mani.. Let's Play!
All is Lie
Il disco è aperto da "All is Lie", a sua volta introdotta da un intermezzo classicheggiante, delicato ed inquietante, degno "aperitivo" di un'esplosione sonora che di lì a poco ci travolgerà senza rimorsi o remore. Un tappeto di tastiera, ricamante una nota acutissima e penetrante, lascia presto il territorio ad un pianoforte dal gusto baroccheggiante, il quale si esibisce in virtuosismi degni di nota e particolarmente apprezzabili, sempre su di un sottofondo basso e grave, oscuro e malvagio. Le note del pianoforte divengono pian piano velocissime, è il preludio alla deflagrazione dell'ordigno: la strumentazione esplode all'unisono e subito notiamo quanto la ritmica spacca - ossa del combo basso/batteria sia intenta a scandire ritmi forsennati sui quali sono le chitarre a dettare legge. La produzione, molto curata ma non stucchevole, ci permette di apprezzare tutti suoni nella loro pienezza ed immediatamente notiamo come sia la chitarra solista a mettersi in luce, dando vita subitamente ad una vera e propria "fuga" nella quale possiamo ammirare una discreta tecnica e non solo folle velocità. Il suono è travolgente, di chiara derivazione teutonico / europea. Non possiamo non scorgere la crudeltà di un Mille Petrozza unita a qualche suggestione Death alla Vader, il tutto è magistralmente unito in un'unica entità creata apposta per far muovere forsennatamente la nostra testa a dei ritmi che, sicuramente, ci metteranno a dura prova. Sfida accettata! Lo strabordante assolo termina in una scandita lunga, rapido giro di batteria e si torna a distruggere con furiosi blast beat.. finché non arriva lei, la nostra Sacerdotessa del Male, ad irrompere con la sua voce demoniaca e meravigliosamente bella. Un consiglio per molti colleghi maschi, urlatori della domenica: prendete appunti ed imparate da Delirium come cantare in maniera estrema, in maniera splendidamente efficace. La nostra alterna growl e scream, in alcuni punti del ritornello, in maniera a dir poco magistrale e subito capiamo di trovarci inseriti in un ottimo contesto Thrash spezza-ossa quando arriviamo al momento di un nuovo assolo, velocissimo e privo di fronzoli inutili, perfettamente sorretto da una ritmica meravigliosamente efficace. Alcune volte, sprigionando tutto il loro potenziale, le asce sembrano addirittura richiamare eco Black Metal nemmeno troppo lontane, tanta è la furia che riescono a scatenare. Ci riprendiamo giusto il tempo per udire nuovamente la voce di Delirium che torna a stravolgere i nostri sensi ed a condurci verso un finale letteralmente "troncato", un brano che termina quasi fosse un arto che viene di prepotenza strappato di netto dal corpo a cui appartiene. Come inizio non c'è proprio male, raramente siamo riusciti a sentire tanta cattiveria in un debut album, durante questi ultimi tempi, parlando prettamente di band underground. Il testo di questa "All is Lie" si presenta sin da subito essenziale e diretto, come del resto è il titolo del pezzo. Delle liriche semplici ed essenziali, che ci narrano di quanto il mondo che ci circonda, con relativi ideali, sia solamente falso e destinato a crollare. Un sistema di idee nobili, come la pace e l'amore universale, risulterà infatti impotente contro l'assalto di un Demone (forse il Principe delle Tenebre, Satana in persona) che trama nell'oscurità, cercando di muovere i suoi servitori come tanti scacchi su di una pedina. Abbiamo vissuto predicando la tolleranza ed il rispetto, moriremo fra atroci sofferenze, dilaniati dalle spade dei diavoli. A nulla è servito cercare di percorrere la retta via, in quanto tutto questo non ci salverà da una punizione severissima ed atroce, anzi. Siamo destinati all'estinzione, alla totale terminazione della specie, perché è scritto nel nostro destino sin da quando siamo nati. Una sorta di nichilismo intrinseco, dunque, pesante come un macigno e perentorio. E' inutile cercare il bene, visto che il Male ci avrà sempre e comunque, e da esso mai potremo sfuggire. Non ci resta che rassegnarci e farci dunque distruggere dalla nera stirpe, soccombendo senza battere ciglio. Combattere ed opporre resistenza è impensabile, il nemico è troppo più forte di noi. Viene citato un "Re" in cui tutti credono ma che alla fine brucerà all'inferno; lecito pensare che si tratti di Dio, l'incarnazione di ogni ideale giusto e nobile che si troverà a cadere giù schiantandosi al suolo con il suo sistema di idee - valori.
Kingdom of Hate
Proseguiamo senza sosta con il secondo brano, "Kingdom of Hate", aperto da tempi maggiormente più cadenzati e meno furiosi. La batteria scandisce un ritmo basilare, un normalissimo 4/4 sul quale si staglia magnificamente un basso carico di groove ed una chitarra che suona si rugginosa ma che comunque è in grado di adattarsi al tutto, risultando anch'essa accattivante. Tutto cambia di lì a poco, in quanto tutto è nuovamente in procinto di inasprirsi e di lanciarsi nuovamente a 100 km orari contro i nostri volti. Così accade: minuto 1:09, le ritmiche ritornano estreme ed il basso (che possiamo udire in maniera molto più distinta) torna a martellare, assieme alle chitarre che sfoggiano un riffing tipicamente Death / Thrash. Delirium sembra in questo brano intenta a cambiare registro, rinunciando al growl e cantando in maniera più tipicamente simile ai dettami della vecchia scuola, ma non sfigurando minimamente né perdendo neanche un quarto della sua grinta. Il suo modo di cantare è sempre esaltante e coinvolgente, riesce a catapultarci dritti dritti nell'Europa dei tempi d'Oro del Metallo Estremo; proprio per mostrarsi a 360°, la cantante dà anche sfoggio di clean vocals in un piccolissimo frangente, facendosi notare quindi per l'estrema versatilità con la quale è in grado di approcciarsi al genere proposto dalla sua band. Minuto 2:16, ritornano i tempi maggiormente dilatati e più grooveggianti uditi ad inizio brano ed ancora una volta è il basso a colpirci maggiormente, suonando in maniera corposa ed emettendo note grasse e grosse. Ritorno alla velocità con l'avvicendarsi dell'assolo, questa volta più articolato che nel brano precedente e se vogliamo anche più lungo e maggiormente ben riuscito, soprattutto per quel che riguarda la velocità d'esecuzione. Note acutissime poste in rapidissima suggestione che ci mostrano sia foga che tecnica, un momento di rara bellezza esaltante come pochi. Uno di quegli assoli che ti fa venir voglia di suonare un'invisibile chitarra durante un live show, uno di quei momenti in grado di scatenare un moshpit selvaggio quant'altri mai.. un assolo che chiude il pezzo in maniera quasi inaspettata, a dirla tutta. Se il brano fosse durato un altro minuto sarebbe stato senza dubbio meglio, anche perché riascoltare Delirium ci avrebbe fatto non poco piacere. Tant'è, comunque sia, il brano funziona e va a ritagliarsi un posto d'onore fra i preferiti dell'intero disco, per quel che concerne la top 3 di chi scrive. Anche in questo caso le lyrics sembrano tornare a parlarci di demoni ed anti-religiosità, ed i Pokerface si scagliano nuovamente contro il sistema di valori della Chiesa Cattolica, mostrandoci una sorta di ribaltamento di quest'ultima, vista dal punto di vista dei nuovi dominatori, ovvero i Demoni. Una volta che la guerra sarà vinta dagli eserciti di Satana, le acquasantiere saranno colme di sangue, in cui i bambini verranno battezzati per consacrarli al principe delle Tenebre, loro nuovo padre. Dio è ufficialmente un lontano ricordo, il Male ha preso il sopravvento del nostro mondo ed i templi eretti in onore del Padre Celeste sono ormai divenuti edifici ove ogni tipo di perversione ed atto sacrilego viene commesso. Sodomia, sangue che scorre a fiumi, crudeltà inimmaginabile: il sacro è sottomesso al profano e possiamo udire, nei corridoi e nelle navate, le eco delle risate dei diavoli i quali godono immensamente nell'atto di diffondere la loro "buona novella". Satana è l'unico dominatore e dinnanzi a lui dobbiamo inginocchiarci, dovendogli cieca obbedienza. I dogmi cristiani sono ormai un lontanissimo ricordo e guai a rimembrarli; da loro dobbiamo fuggire via come dalla peste, è un sistema di valori che non ci appartiene più, da considerarsi sovversivo. Adorare quel Dio equivale a siglare la propria condanna.. non che qualcuno possa salvarsi anche in caso contrario. Satana presto si stancherà di dominare e ci ucciderà tutti, in un atto di malcelato sadismo. Un vero e proprio genocidio che non risparmierà nessuna vita.
The Chessboard Killer
Brano di ben più ampio respiro si dimostra "The Chessboard Killer", con i suoi quasi sei minuti di durata. L'inizio è affidato alla coppia di chitarre, intente a ricamare una suggestione dal flavour quasi "Epic", coadiuvate da un flauto in sottofondo. Una sorta di "Power" ma ben più massiccio, un'atmosfera subito distrutta in mille pezzi dall'irrompere di un riff meravigliosamente Thrash 'n' Heavy nel suo incedere, similissimo per attitudine a quanto offerto dai Megadeth post "Rust in Peace". Una galoppata sempre meravigliosamente coadiuvata da una batteria essenziale e da un basso protagonista, che presto rende la sua identità ben più "appuntita" andando a sconfinare in ritmiche più serrate, sulla quale la voce di Delirium torna a sfoggiare un ottimo growl che per certi versi ci ricorderebbe un Alexi Laiho prestato al Thrash. Piccolo momento di rilassamento generale verso il minuto 1:49, in cui una nera melodia ci accompagna facendoci udire un rallentamento di pregevolissima fattura, degno dei momenti migliori del Melodic Death di forgia svedese. Di melodico, però, i nostri vogliono mostrarci ben poco, e difatti si riparte subito con un assolo al fulmicotone, non bello quanto quello di "Kingdom.." ma comunque estremamente valido. Delirium è un fiume in piena, la mattatrice di questa mattanza estrema, e notiamo come i nostri decidano in seguito di alternare la velocità al rallentamento "oscuro" già udito in precedenza. Ottimo modo per rendere un pezzo lungo non scontato e noioso, ed arriviamo al minuto 3:31 in cui i Pokerface sembrano quasi riprendere in pieno un momento ben definito della sempiterna "Raining Blood", con delle singole battute a singhiozzo, scandite con la precisione di un metronomo. Non si cade nel plagio perché alcune variazioni ci fanno notare più una somiglianza che una "copia", e notiamo come il tempo generale tenda ad accelerare donando al contesto quasi una parvenza di " 'n Roll", anche se presto i blast beat ricompaiono e le chitarre tornano a mordere all'impazzata come dei nervosi serpenti a sonagli. Basso fra i protagonisti maggiormente apprezzati del brano, ancora una volta sugli scudi, e dopo una buonissima sezione strumentale la nostra Delirium torna a picchiare duro con la sua voce abrasiva e caustica, sfrigolante come un bicchiere d'acido lanciato contro un muro. Nuovo assolo, nuovamente velocissimo ed assai meglio di quello udito prima, che ci mostra come le doti chitarristiche di questi Pokerface siano di molto superiori alla media ed il brano può dirsi concluso. Un'avventura di quasi sei minuti andata via con la stessa velocità di un treno sparato al massimo su di un binario in perfetto rettilineo.. altri punti a favore. Si cambia registro e questa volta i Pokerface abbandonano le tematiche più prettamente sataniche per volgere i loro interessi verso un fatto di cronaca nera del loro paese. "The Chessboard Killer" è difatti lo pseudonimo con cui è universalmente noto Aleksandr Picuskin, uno dei serial killer più violenti ed efferati della storia, sulla cui lista di sangue sono segnati i nomi di ben 48 vittime. Il testo descrive passo dopo passo il suo carattere ed il suo modo di uccidere: Aleksandr era un ragazzo mentalmente disturbato, che passò larga parte della sua vita in un centro di igiene mentale e che iniziò ad uccidere per il puro gusto di farlo. Il suo primo omicidio sarebbe dovuto avvenire in combutta con un suo amico, ma quest'ultimo si rifiutò all'ultimo momento, terrorizzato dall'idea. Fu così che Picuskin lo uccise, per paura che egli confessasse quanto progettato. Da allora fu un escalation di follia, l'uomo cominciò ad adescare persone nei parchi con scuse banali ma all'apparenza veritiere. Proposte innocue come un po' di consolazione (fingeva d'aver da poco perso il cane) o una bevuta di vodka assieme.. il tutto terminato con una martellata o con il ferimento a morte con il coccio più grande della bottiglia. Alcune volte era solito buttare le sue vittime, direttamente da vive, nelle fognature del parco, luogo che solitamente destinava ai cadaveri. Venne soprannominato l'assassino della scacchiera (questo il significato in italiano di "chessboard") perché era solito barrare con una "X" le caselle (per l'appunto) di una scacchiera che possedeva. Una scacchiera è costituita da 64 caselle, ed il suo folle piano prevedeva il barramento di ogni casella, per arrivare dunque a 64 vittime scelte a caso e considerare "conclusa" questa sua "missione". Le liriche dei nostri riescono a descriverlo in pieno come il folle che era, e questo virare su una vicenda differente dal solito "satanismo" a buon mercato non può che sorprenderci e farci guardare al gruppo con maggiore interesse.
Existence
Nuovi rimandi ai Vader nella successiva "Existence", che si rifà enormemente al Death di stampo europeo non dimenticando comunque di mostrare le radici Thrash dei Pokerface. Si parte subito all'impazzata con una coppia di chitarre intenzionata a non concedere sconti e subito giunge alle nostre orecchie la vocalist, questa volta anch'essa maggiormente spostatasi su lidi Death. Il brano è un'autentica macina, un bulldozer travolgente come pochi e soprattutto è in grado di non abbassare nemmeno di un quarto il livello di questo disco, che sta viaggiando a vele spiegate verso una degnissima promozione. Si continua a velocità folle sino al secondo 0:42, momento in cui la band rallenta ed anche la cantante si concede a tonalità più basse e gutturali. Si sfrutta un ritmo ben più cadenzato e dilatato, per poi ripartire di lì a poco in maniera prorompente e velocissima. Sopraggiunge un piccolo momento solista e Delirium torna a mordere, giostrandosi nuovamente fra i canonici tempi esasperati ed i momenti più carichi di groove che vengono nuovamente sfruttati. Udiamo successivamente un assolo eseguito in maniera "definitiva" e non solamente accennato, ed è in questa sede piacevolissimo notare come il gioco fra ritmica e solista sia a dir poco perfetto, con una chitarra intenta a sparare l'una dopo l'altra note intente a creare una melodia aspra e disturbante, e l'altra a supporto, ricamando riff pesanti come macigni ed oscuri come una notte di tempesta. C'è da porre un particolare orecchio al minuto 2:08, momento in cui le chitarre si danno ad una sorta di inquietantissima nenia ed i tamburi battono in maniera "sacrale", neanche stessero officiando un sabba nero in un bosco, accompagnando una vittima verso il palo di tortura. Un momento destinato a tornare dopo una nuova alternanza di velocità / ritmiche maggiormente groove, i tamburi maledetti e le chitarre nere chiudono un brano breve ed incredibilmente efficace, anch'esso destinato a ritagliarsi un buon posto d'onore ad ascolto ultimato. Il testo torna in qualche modo a narrarci delle gesta di un adoratore del Diavolo, sempre più visto come il sovrano di un mondo ridotto a suo parco giochi personale. I Nostri ci dicono di vivere intensamente la nostra esistenza, donandoci al Male e compiendo ogni tipo di nefandezza. Si vive una volta sola, come si suol dire, e la vita è troppo breve per sprecarla dietro a qualche dogma o "imposizione" ecclesiastica. Al bando la morigeratezza: uccidiamo, beviamo sangue, facciamo valere la legge del Maligno. Questo è il vero senso dell'esistenza, divenire dei veri e propri "Zombie" di Satana, degli strumenti nelle sue mani. Lo "Zombie", nella tradizione voodoo, altri non è che un corpo soggiogato da uno stregone, il quale impossessandosi dell'anima di una persona riesce a far fare ad essa tutto ciò che egli vuole. Lo Zombie può vivere dopo la morte perché vive per servire il suo padrone, e finché questo lo terrà soggiogato nemmeno un colpo in fronte potrà impedire al servitore di assolvere i suoi compiti. Questo è ciò che i Pokerface ci dicono di divenire, dei totali non-morti nelle mani di Satana, il quale potrà disporre di noi come meglio vorrà e crederà. E non dovremo opporci, lui sa qual è il nostro bene e ci ricompenserà con la vita eterna, se sceglieremo di votare a lui le nostre anime.
Into The Inferno
Giungiamo al giro di boa con la traccia numero cinque, "Into The Inferno", che nelle sue battute iniziali sembra infatti un rifacimento thrash della monumentale "Black Sabbath", traccia omonima dell'omonimo debutto di Ozzy e co. Stesso andazzo oscuro ed inquietante, solo che il contesto viene enormemente inasprito e reso per l'appunto più congeniale alla proposta di un disco come "Divide And Rule". I Pokerface tributano degnamente il leggendario riff di Tony Iommi, comunque non per moltissimo, visto che al secondo 00:21 un veloce riff di chitarra solista (con la ritmica impegnata a rombare a mo' di motore) ci dà il benvenuto nel brano vero e proprio. Basso e batteria in grandissimo spolvero (soprattutto il basso, incredibilmente favorito da una produzione ad hoc) e si parte con un assalto questa volta ben più trashy che come udito in "Existence". La voce di Delirium, dal canto suo, continua a stagliarsi su territori ben più "duri" e continua sorprenderci, sembrerebbe quasi di udire quella di Maniac ai tempi di "Deathcrush", volendo cercare di renderla maggiormente più tecnica ed assimilabile a livello di sound e produzione. Si va incontro ad un rallentamento importante verso il minuto 1:27, in cui la cantante sfoggia la sua attitudine Black Metal e la band tutta preferisce recare inquietitudine con tempi maggiormente più lenti che forsennati, anche se tutto questo risulta essere solo il preludio ad un nuovo assalto sonoro, che sfocerà poi nuovamente in quella sorta di tributo ai Black Sabbath udito in precedenza. Minuto 2:11, si ritorna a celebrare il Sabba Nero e su quella sulfurea lentezza comincia ad essere ricamato l'assolo, che si snoda su di una ritmica che pian piano riprende a picchiare senza ritegno. Il momento solista è breve e va all'unisono con i mutamenti passo passo del background basso - batteria, le chitarra ritmica al solito è una preziosissima alleata e la vocalista torna ben presto a ruggire come una fiera leonessa. Si rallenta di nuovo, a lungo, per permetterci di rifiatare dopo una corsa a perdifiato e tutto è pronto per l'ultimo assalto, che ci mostra una batteria che non accusa per nulla la fatica e che anzi, ci dà dentro ancora di più. Riferimenti biblici nelle lyrics, che ci narrano questa volta, con tutta probabilità, della tentazione di Satana ai danni di Cristo, durante la sua permanenza nel deserto. L'ultimo assalto del Diavolo al figlio di Dio fu infatti compiuto in quel luogo arido ed inospitale: Satana cercò in tutti i modi di far desistere il Messia dai suoi compiti, cercando di portarlo dalla sua parte per poterlo finalmente eliminare, privando il mondo dell'avversario più temibile alla sua scalata al potere. Cristo resistette strenuamente e riuscì alla fine a non cedere alle lusinghe del Demonio, il quale passò dapprima a minacciarlo ed in seguito a cercare di demoralizzarlo. In queste parole, l'uomo che dovrebbe rappresentare Cristo sembra comunque avere la peggio. Il Diavolo suona letteralmente la campana e fa sentire la sua presenza come non mai, immettendosi nella vita del malcapitato, facendolo letteralmente impazzire. L'alba si tinge di rosso sangue, Satana ha vinto e l'anima più importante è ora suo appannaggio totale. Cristo ha perso e non avrà altra speranza se non quella di augurarsi per lo meno dei tormenti di non grave entità. Il potere del diavolo sembra proprio inarrestabile, se nemmeno Dio reincarnato in un uomo è riuscito a fermarlo, chi mai potrà? Ancora una volta il messaggio è chiaro: arrendersi sin da subito al nuovo Messia è la cosa migliore.
Human Control
Si entra nella seconda metà del disco con la traccia numero sei, "Human Control", che ci propone senza cambiamenti alcuni o scossoni un Thrash / Death grezzo fino al midollo e fieramente "attitudinale", rispettante in tutto e per tutto la coerenza e le "regole" che il genere impone. Non abbiamo, in queste battute iniziali, una struttura, in questo caso "variegata" o comunque complessa, tutto si basa su di un riffing violentissimo e su di una sezione ritmica incessante. Ascoltiamo leggerissimamente di meno, comunque, basso e batteria, che martellano quel tanto che serve a far sentire la loro presenza, anche se in questo caso sono le chitarre ad avere maggior lustro. Si continua velocissimi sino a metà brano, quando la sete di sangue dei nostri si placa grazie ad un rallentamento ben calibrato e dai ritmi carichi di groove. Arriviamo alla seconda metà ed alla conseguente fine, e notiamo come in tutto il pezzo la voce di Delirium si sia volutamente resa più cupa e sguaiata, andando a conferire il giusto mordente ad un pezzo che sembra essere creato per la velocità e null'altro, anche per quel che concerne il momento solista che arriva proprio verso la fine, mostrandoci ancora una volta la gran tecnica del duo d'asce e la perfetta sincronia fra di loro. Nulla di eccezionale, insomma, un pezzo che inaugura una nuova parte nel disco in cui il trend rimarrà sempre coerente sino in fondo, senza mai andare ad esplorare altri territori. Il testo di "Human Control" si configura come un testo di protesta e sfida contro varie istituzioni. Questa volta la figura dello Zombie è posta in maniera negativa, proprio perché abbiamo scelto di farci assoggettare dalle persone sbagliate: la Chiesa e la Società sono difatti viste come i nostri nemici peggiori. La prima, con l'arma della paura, ci impone di seguire i suoi dettami e fa in modo di preservare la propria onnipotenza, ritagliandosi uno spazio importantissimo nella res publica che nessun politico potrà mai insidiare; la seconda, invece, viene vista come un'entità atta a distrarci da tutto e tutti, mediante l'arma più potente ovvero i mass media. Televisione, giornali, blog, internet.. tutto è visto come uno strumento atto a schiavizzarci riempiendoci la testa di idiozie prive di senso, facendoci perdere di vista i veri valori della vita, impedendoci di combattere per ciò che realmente potrebbe essere utile alla nostra causa. Preferiamo sgranare un rosario o sorbirci l'ennesimo show in TV, piuttosto che rimboccarci le maniche e conquistarci ciò che ci spetta di diritto, ovvero la nostra vita. Il tutto svanisce come in una bolla di sapone, i Pokerface ci dipingono come una banda di lobotomizzati incapaci di comprendere ciò che li circonda, e tutto è destinato a rimanere così, immobile, nel corso dei secoli.
Age of Terrorism
Partenza lenta per la traccia numero sette, "Age of Terrorism", che nelle prime fasi si basa su di una chirurgica doppia cassa, una batteria precisa e marziale nella sua perizia. Il modo in cui il drummer tiene il tempo sul quale poi si stagliano le chitarre è a dir poco alienante tanto è puntuale, un metronomo umano che permette alle asce di stagliare su cotanta maestria una sibilante cantilena, ossessiva ed oppressiva. E' l'urlo della cantante a squarciare questo clima, permettendo ad un riff di chiara scuola Slayer di subentrare in tutta la sua prepotenza. Forse il pezzo maggiormente U.S. Thrash dei nostri, ce li mostra alle prese con l'esperienza di King e soci, riprendendo da loro il meglio e ponendocelo dinnanzi agli occhi in maniera egregia, ma a dire il vero non troppo personalissima. Se sostituissimo la voce della giunonica vocalist con quella di Tom Araya potremmo quasi dire di trovarci dinnanzi ad un outtake di uno degli ultimi dischi dell'Assassino, soprattutto per quel che riguarda l'impalcatura del brano tutto. Il momento solista soprattutto risente dell'esperienza di King (forse il più tirato in causa per quel che riguarda l'attitudine "casinista") ed Hanneman (il gusto per dei passaggi particolarmente veloci, squillanti e d'effetto), ed in generale il clima sembra non volersi discostare dall'American Thrash di forgia più prettamente Slayeriana. Non che la cosa ci dispiaccia, ma in un disco mediamente lungo (parliamo di dieci tracce) è bene sempre cercare di non abbondare con i cosiddetti fillers. Brani come "Into the Inferno" o la stessa open track hanno una loro personalità ben definita e sanno coinvolgere, altri come "Human.." o questa "Age of Terrorism" sembrano costruiti unicamente per allungare il discorso. Episodi pregevoli, per la verità, ma non a tal punto da meritarsi una menzione d'onore. Altro testo che affonda le radici nella quotidianità politica della vita Russa, andando a parlare di terrorismo. Come tutti sappiamo, la tematica sembra riguardare molto da vicino la nazione di provenienza dei Pokerface, in quanto il governo russo starebbe in effetti combattendo in maniera decisa i gruppi terroristici di natura soprattutto islamico-integralista, ovvero tutta quella frangia di combattenti che minacciano il mondo in nome della loro fede, che deve essere l'unica contemplabile ed esistente. Senza poi scordarci altre vicende che hanno visto la Russia, ai tempi dell'URSS, direttamente coinvolta in situazioni molto particolari (la crisi missilistica ai tempi dell' "alleanza" con la Cuba castrista). Proprio per sottolineare la loro posizione anti-militaristica, i thrashers russi ci spiegano cosa è per loro il terrorismo, ovvero l'ennesimo mezzo con il quale i potenti riescono a dominarci, creandoci ad hoc dei nemici posticci da combattere. Siamo troppo impegnati ad odiare determinate etnie guardandole come "nemiche" a prescindere, anziché focalizzarci sui veri problemi della vita, come quelli della mala politica, della corruzione dei nostri governi, della sete di potere che sta rovinando il mondo e di conseguenza la nostra vita. Siamo portati unicamente ad essere terrorizzati dal prossimo eventuale attentato; una strategia, questa, subdola e crudele: se abbiamo paura di tutto ciò, distoglieremo l'attenzione da altro, ed i piani alti potranno così continuare le loro ruberie indisturbati, con noi rintanati in casa a gettare odio contro il "cattivo" di turno, inquadrato dalle telecamere di qualche giornalista d'assalto. Attentati terroristici molto spesso foraggiati dagli stessi governi (basterebbe ricordarsi degli "Anni di Piombo" italiani e di tutte le polemiche ad essi correlate) proprio per instaurare un definitivo clima di terrore che plagi le nostre menti inducendoci a pensare ciò che loro vogliono, cioè che in realtà il Potente è il liberatore che giunge come un eroe a salvarci dal terrorista cattivo, e non è certo il boia silenzioso che, nell'ombra, affila l'accetta per recidere la nostra testa una volta per tutte, mentre noi siamo intenti a guardarlo con gli occhi di chi ammira il proprio salvatore.
Killed By Me
Un riff alla teutonica introduce la track numero otto, "Killed By Me" ed il contesto si sposta su versanti maggiormente europei che americaneggianti, fondendo comunque la rabbia dei Sodom ad un gusto per la composizione tipico di personaggi come Dave Mustaine od il già citato e compianto Hanneman. Con il tiro che questo brano subito dimostra, capiamo che i nostri hanno ripreso in mano le redini del gioco e ci tengono ancora a far vedere maggiore personalità, spingendo sull'acceleratore ed esasperando la situazione fino a farsi scoppiare le loro stesse coronarie. Un brano che si poggia su di un gioco di riff rabbiosi ma ugualmente molto tecnici, eseguiti a grande velocità ma privi di sbavature, mentre il cantato di Delirium è ancora una volta un fulgido esempio / dimostrazione di come ci si dovrebbe approcciare al canto estremo. Pagherei oro per sentirle urlare "Nuclear Winteeeeeer!!", ma questa è un'altra storia. L'andatura continua mitigando leggermente i giri del contachilometri, facendo in modo che il pezzo corra ugualmente ma con il fare di un carro armato pronto a distruggere ogni cosa. Un incedere violento ma comunque sia maestoso, imperiale quasi, come un Juggernaut che lesto si appresta ad infrangere (spazzandole via) le difese nemiche. Giungiamo al minuto 1:38 e tutto rallenta improvvisamente, il clima è insopportabilmente (nel senso buono) pesante e plumbeo, i suoni infernali e sulfurei, c'è addirittura posto per una voce effettata quasi "robotica", "spaziale" similmente a quanto accade in alcuni frangenti di dischi come "Killing Technology" dei Voivod, anche se sono le urla sguaiate della frontgirl a farla da padroni, ed il piacevole intermezzo "cyber" dura relativamente poco. Si riprende a correre alla grande dopo la "pausa" (se così si può definire) e vieniamo messi dinnanzi ad un nuovo momento solista ben inserito ed eseguito, anch'esso di Voivodiana memoria, se vogliamo. L'impianto generale in effetti sembra richiamare a gran voce le oscurità spaziali.. d'altro canto, nello spazio profondo, nessuno può sentirci urlare. Le lyrics ritornano a spalmarsi su concetti di Satanismo più o meno "acido", parlando sempre di un Satana ormai conquistatore che comincia a muovere i suoi alfieri contro i nemici di cui sbarazzarsi urgentemente. La persona che in questo caso è protagonista delle parole del testo è difatti un sicario del Demonio, killer dal sangue freddo assoldato dal Principe delle Tenebre per uccidere quanti più oppositori possibili. Notiamo come l'assassino sia esperto e non provi per nulla rimorsi, anzi, sembra addirittura fiero della sua opera e del suo modo di comportarsi, godendo in special modo quando scorge la paura negli occhi della sua prossima vittima. Se c'è maggior gusto a combattere contro un avversario all'altezza della situazione, è ancora più bello terminare senza pietà la vita di un innocente stuzzicante. C'è la possibilità infatti di instaurare con la vittima un sadico gioco psicologico, fingendo magari clemenza ma poi sparandogli un colpo in mezzo agli occhi quando meno se lo aspetta. Viene ribaltato inoltre il concetto di "Inquisizione", questa volta non visto più come un organo agente per conto della Chiesa ma proprio per il demonio stesso; un organo incaricato di cacciare, selezionare ed uccidere tutti gli eventuali avversari di Satana.
Shut Up!
Penultima traccia del disco, la nona "Shut Up!" è aperta dai ritmati tamburi di una batteria dal flavour quasi tribale. Le chitarre inizialmente decidono di assecondare il drumming, ma il tutto è unicamente un preludio atto ad introdurci quello che, forse, è il brano più smaccatamente Death Metal del combo. La durata è pressoché esigua, appena tre minuti, ma tanto basta per farli scatenare in un assalto da ossa rotte e carni dilaniate. Raramente si era sentita un'attitudine così belluina in una band ed i Pokerface, a discapito di un monicker che non richiama certo brutalità o violenza, riescono a tessere una trama così estrema da riuscire a conquistarci, siamo noi amanti del Thrash o del Death e nemmeno necessariamente della mescolanza del suddetto. Viene ripresa la ferocia di band come Possessed e Death prima maniera, i nostri non si scordano comunque di essere europei ed ecco che possiamo udire anche un pizzico di Kreator, che di certo non fa mai male. Tutte band seminali per lo sviluppo del Metallo della Morte, qui chiamate in causa per mostrarci un brano grezzo e maleducato, sorretto da una coppia di basso e batteria che sembra poter esplodere da un momento all'altro, con a supporto due chitarre rombanti, roboanti e letteralmente fendenti, taglienti quel tanto che basta a spararci in faccia una sequenza di note affilate come rasoi. La voce della Nostra, neanche a dirlo, è fantastica, e possiamo udire un leggero cedimento a ritmiche più thrash oriented verso il minuto 1:06, in cui torna in auge anche il basso, ben più presente e "coraggioso". In seguito udiamo una squillantissima chitarra solista, che dapprima ricama un riff ossessivo e da codice penale per quanto riguarda l'infrazione dei limiti di velocità, ed in seguito si lancia in un assolo anch'esso al fulmicotone ma estremamente preciso. E' difficile analizzare questo brano senza muovere le dita andando a tempo con il pezzo, seguendo la batteria e scrivendo alla velocità della luce, quasi distruggendo i tasti del computer. La violenza viene nuovamente mitigata da ritmiche più gooveggianti verso il minuto 2:39, quando la batteria riacquisisce il suo sound "tribale" ed il brano si spegne sfumando, lasciandoci ancora interdetti da tanta potenza e ferocia. Potenza e ferocia che si riversano nelle liriche, dirette a mo' di invettiva archilochea contro il credente di turno, impegnato come suo solito a far proselitismo. Non è un attacco alla Fede in se, quanto a chi utilizza quest'ultima non per migliorarsi spiritualmente, ma per cercare di convertire chi è innocentemente disinteressato dall'idea di avere un Dio. "Stai Zitto!!", viene urlato a questi predicatori ambulanti, che arrivano molto spesso a divenire violenti e fastidiosi se educatamente gli comunichiamo la nostra volontà di non abbracciare il loro credo. I Pokerface li vedono solo come dei gran chiacchieroni e nulla più: secondo il gruppo, a certi "pastori" non interessa nulla di Dio, cercano solamente un pretesto per arricchire la loro "setta", portando acqua al loro mulino per soddisfare i propri tornaconti personali. Magari sono loro i primi a peccare ed a commettere chissà che nefandezze, e proprio per questo, come ci comunicano i nostri, le loro parole fanno ancora più schifo che normalmente. Il concetto di Fede è oggigiorno completamente spoglio della sacralità e dell'intimità delle origini: va benissimo ricercare un Dio, ma non è giusto imporlo o cercare di convincere qualcuno, con l'inganno, ad abbracciare una determinata ideologia. Sarebbe meglio se tutti ci facessimo i sacrosantissimi affari nostri, rispettando le idee altrui e vivendo la nostra vita in santa pace.
Divide and Rule
Il gran finale è riservato per la titletrack, "Divide and Rule", aperta da un riff che sa molto di Slayer prima maniera, di temi d'oro dello speed e di quello che venne in seguito considerato come "Black Metal" ante litteram. Un riff che ci ricorda pezzi come "Die By The Sword", proprio per citarne uno, e che sembra intenzionato a chiudere il disco lasciando intatta l'attitudine old school dei nostri, senza sconfinare in altri lidi. Un brano dunque che prosegue su cantate lineari, in cui la voce della frontgirl sembra quasi, pur rimanendo su canoni rochi ed estremi, imitare l'andamento di quella tipica di molti cantanti Hardcore Punk: "parlato" veloce e quasi senza sosta, a perdifiato. Il brano prosegue a martoriare ed a mostrarci un animo a Stelle e Strisce (fortissimi i richiami anche ai primi Metallica, oltre che alle primavere degli Slayer), giungiamo ad un piccolo rallentamento verso il minuto 1:12, complice un solo che si rende più "serpeggiante" che violento, non rinunciando ad una controllata velocità d'esecuzione ma sempre snodandosi su tempi mitigati. Una sezione in cui possiamo udire alla perfezione la doppia cassa tenere un tempo preciso e marziale è dietro l'angolo, subitamente viene scandito il riff d'apertura ed il brano può proseguire con un nuovo momento solista, questa volta giostrato su tempi molto più veloci di quelli uditi pocanzi. Ritorna per gli ultimi sussulti la nostra Regina Nera ed il brano può così avviarsi verso il definitivo finale, con un'ultima esplosione di ritmo e chitarre, in maniera onesta e coerente. "Dividi e Conquista", il testo è questa volta dedicato in pieno al Principe delle Tenebre, del quale ci è narrata la genesi. Egli è nato nelle profondità dell'oscurità allevato dai demoni ancestrali, crescendo è riuscito a comprendere appieno di quali facoltà egli disponesse e così si è preparato per insidiare la vita umana. Egli è il Diavolo, il divisore, quella voce in noi che riesce a possederci e ci porta a staccarci dai nostri fratelli, perché assieme siamo forti ma divisi deboli. Satana sa benissimo che per soggiogare la razza umana deve riuscire a metterne i vari esponenti l'uno contro l'altro. Politica, Religione ecc. tutto può far brodo e tutto è funzionale alla causa di questo seduttore, che con il suo aspetto rassicurante e con la sua parlantina sciolta ed ammaliante riesce a soggiogarci in un battibaleno. Egli ci divide, ci fa combattere, ci pone all'interno di battaglie che conduciamo o subiamo a seconda dei casi. Niente e nessuno potrà staccarci dalla sua morsa, una volta che ci consapevolmente ci saremo gettati nelle sue mani. Insomma, per quel che riguarda il Satanismo, la band sembra distaccarsi da un certo tipo di cultura filosofica per proporci una figura quasi stereotipata del Demonio, lontana dalla crassa ed esaltante rappresentazione dei Venom e comunque distante dalle oniriche rappresentazioni dei Mercyful Fate. Dei testi non propriamente ben congeniati, un po' ripetitivi, che molto meglio rendono quando spostano la loro attenzione su altre tematiche come i serial killer o la protesta sociale.
Conclusioni
Tirando le somme, possiamo dire di trovarci dinnanzi ad un debut non certo "innovatore" o comunque sia "innovativo". Visto il genere trattato era quantomeno impossibile aspettarsi una variazione sul tema che fosse significativa o comunque di una portata tale da riuscire a cambiare le regole di un genere come a loro tempo fecero band già citate come Voivod o Megadeth. Un paio di pezzi risultano quasi come dei "filler", andando ad appesantire forse un album che avrebbe trovato in una tracklist più snella (forse) un punto guadagnato in più. Mettiamo poi che la cura del sound e la sua resa sono effettivamente riuscitissime, forse troppo, andando a rendere la proposta in studio dei Pokerface magari un tanto troppo "plasticosa", benché comunque non a livelli fastidiosi o comunque da disprezzare. Se si vuole sposare un certo tipo di attitudine, però, è sempre meglio non osare mai in determinati sensi. Mi spiego meglio: avendo avuto modo di recensire prodotti estremi per certi versi simili a "Divide and Rule" (e faccio riferimento a band come Orgiastic Pleasures o Nerocapra), ho notato che molti "colleghi" dei Pokerface tendono a suonare in maniera più viscerale, rendendo il loro sound volutamente "grezzo" proprio per ottenere il massimo, visto il genere proposto. Si parla di un Death - Thrash Metal che non può beneficiare, per forza di cose, di troppe superproduzioni. Per questo tendo a considerare migliori album come "Mefisto Manna" o "Manifesto Barbarico", pur comunque non potendo assolutamente stroncare "Divide and Rule", anzi. Nonostante questi difetti che ho evidenziato, penso che l'album abbia un'ottima qualità intrinseca, che risiede nella passione che ogni membro riversa nei propri strumenti. Si sente che sono a loro agio, che è il loro mondo, il loro genere. E' la loro vita, la loro causa: sono Metallari volenterosi di farsi conoscere e di divorare i palcoscenici, non sono certo qui per pettinare le bambole, come si suol dire. Il terreno che hanno scelto è stato battuto da molti, ma è proprio la loro squisita attitudine estrema e veritiera a renderli una macchina da guerra niente male. Possiamo quasi vederli adolescenti, ascoltando questo disco, mentre si esaltavano per capolavori come "Pleasure to Kill", "Persecution Mania" o "Reign in Blood".. e quasi quasi torniamo tutti un po' più giovani, riscoprendo quella sanissima voglia di far casino in compagnia, ascoltando i suddetti dischi, bevendo a più non posso e pogando come ossessi. Una componente, questa, da non sottovalutare: basterebbe un po' meno maniacalità e perfezionismo per rendere questo disco una vera e propria cannonata in pieno stomaco.. ma ripetiamo, essere troppo pignoli non va mai bene. E se dei grandi nomi li hanno voluti come loro spalla, un motivo dovrà pur esserci. La promozione è fuori discussione, ma li aspettiamo comunque "a Settembre" per vedere come sarà il successore di "Divide and Rule". E' lecito aspettarsi molto, da un combo con questo potenziale. Menzione d'onore poi va fatta per la scelta di optare per una cantante donna, infrangendo definitivamente delle insulse barriere sessiste che vedono le ragazze come "eterni angioletti" dalla voce bianca, fasciate in abiti vittoriani, intente a gorgheggiare imitando malamente Tarja Turunen (che unica è, ed unica rimarrà, con buona pace degli imitatori). Chiariamoci, la frontgirl in questione non viene lodata "perché donna", sarebbe un discorso sessista a sua volta; è oggettivamente di una brava cantante che parliamo, e sfido chiunque a dire il contrario. Grande padronanza del growl, ottimo scream, voce "thrash" da vecchia scuola ed anche clean (in quel rarissimo caso) più che apprezzabili. Il discorso intrapreso vuole semplicemente far capire come sia giusto, lecito e doveroso dare una possibilità, abbandonando preconcetti sia da un lato sia da un altro. Nessuno si loda a prescindere, ma nessuno va mai distrutto altrettanto facilmente. Ben venga, in un contesto troppo stereotipato, una voce femminile così estrema e violenta, che ci fa comprendere quanto in fondo, il "gentil" sesso sia portatore sano di artigli quanto noi uomini, e che esiliare una persona da un genere solo perché "donna" (e stranamente per questo, "sensibile" a prescindere) possa essere quanto di più sbagliato possibile. Quante Delirium ci sono, lì fuori? Caparbie e passionali, potenti e forzute? Sarebbe ora di iniziare a dargli una possibilità, non trovate?
2) Kingdom of Hate
3) The Chessboard Killer
4) Existence
5) Into The Inferno
6) Human Control
7) Age of Terrorism
8) Killed By Me
9) Shut Up!
10) Divide and Rule