Planethard

No Deal

2012 - Music/Orion's Belt Records

A CURA DI
ROBERTA D'ORSI
24/08/2013
TEMPO DI LETTURA:
7

Recensione

Nascono del 2004 i Planethard, inizialmente come cover band hard rock di gruppi quali, Bon Jovi, Skid Row, Guns'n'Roses, Motley Crue ed altri. Nel dicembre dello stesso anno il gruppo registra un mini cd intitolato So Good, che contiene un intro e quattro tracce. Cominciano le esibizioni live tra le quali menzioniamo quella all'Inkubo Cafè di Milano nel 2005, in cui i Planethard offrono al pubblico una jam session con Marc Lynn e Leo Leoni bassista e chitarrista dei Gotthard, che in quell'occasione presentavano l'uscita del nuovo album "Lipservice". Questa emozionante esperienza ha permesso alla band nostrana, ulteriore visibilità cosa che li ha portati ad essere scelti per partecipare a vari festival all'interno di importanti locali come l'Alcatraz. Nel 2006 i Planethard, con l'ausilio del produttore Alessandro del Vecchio, iniziano la registrazione del primo full lenght "Crashed on Planet Hard" contenente dieci canzoni nello stile hard rock/alternative, scelto dalla band. L'anno successivo nel mese di gennaio, un altro grande balzo in avanti per i ragazzi si palesa con l'apertura del concerto di una grandissima band dell'hard rock, gli Europe! E nel mese di giugno dello stesso anno, sono i Planethard a dare il via alle danze del Gods of Metal, condividendo il palco con Scorpions, Thin Lizzy, Motley Crue e Velvet Revolver. Nel 2011 i Planethard registrano il secondo lavoro "No Deal" sempre avvalendosi della produzione di Alessandro Del vecchio, l'anno successivo l'album viene rilasciato per la RNC Music/Orion's Belt Records. Il passo successivo è l'inizio del No Deal Tour, che parte il 14 aprile 2012 con l'esibizione allo Show Case @ ROCK ON THE ROAD, in seguito i Planethard si esibiscono il 23 giugno al Gods of Metal ed il 25 novembre aprono il live dei Gotthard, all'Alcatraz di Milano. La line up del gruppo è composta da Marco Sivo alla voce, Marco D'andrea alla chitarra, Alex Furia al basso e Stefano Arrigoni alla batteria; entriamo nello specifico e vediamo un po' questi quattro ragazzi cosa ci hanno riservato nelle dodici tracce di "No Deal". L'opener del cd è "Ride Away" che gode anche di un video ufficiale. La canzone parla di una strada alternativa da seguire in una vita malinconica. Già dalle prime note è evidente lo stampo hard rock del gruppo e le sonorità del passato che hanno ripercorso con le cover. Chiaramente la formula della modernità prevale, ma quelle reminiscenze appartenenti alla fine degli anni '80 e della decade del '90 sono più che palpabili. La traccia ha di per se una struttura piuttosto comune, con strofa e ritornello, qualche cambio di ritmo rende la traccia varia ed a due terzi circa dalla fine, il breve assolo con tanto di pedale wah wah ha quel non so che di Slashiano! Il riff di "This World" si rivela cattivo ed accattivante costruendo una strofa pungente in antitesi con la morbidezza del refrain. Ascoltando Marco Sivo mi sono stupita di come la sua timbrica sia diversa nei Planethard rispetto a quando cantava nei Time Machine. Sembra quasi una voce diversa, in realtà Marco ha saputo brillantemente adattare il suo prezioso strumento al contesto sonoro nel quale abita. Per cui un plauso va a lui ed al suo spirito di adattamento vocale, da evidenziare anche i chorus ben eseguiti e calzanti perfettamente con l'atmosfera. La traccia è un auspicio ad un mondo migliore, in cui si annienti la corruzione ed in cui si possa vivere in pace ed amore gli uni con gli altri. Il seguente pezzo "Abuse" vede una collaborazione illustre coi Planethard, la cantante Masha degli Exilia si presta ad un graffiante duetto vocale assieme a Marco. La struttura del brano prende una piega strong, il corposo songwriting spicca all'udito dai primi secondi di ascolto, il suono della chitarra è pulito e potente. Il ritmo è sempre sostenuto con i colpi alle pelli a mantenerne alto il livello. Abuse è una sorta di minaccia del protagonista ad uno stupratore, si chiede come faccia questo individuo a vivere dopo quello che ha fatto e si augura di trovarsi faccia a faccia con lui per fare un gioco. Dopo una partenza un po' in sordina con le prime due tracce, l'anima del disco ha una ripresa piuttosto energica, la precedente Abuse ne è un esempio e si continua su questa scia con "Wings in Vain". Lo stampo alterative è sviscerato da ogni nota, il songwriting pungente evidenzia durezza senza tralasciare un’ accattivante melodia. Verso metà canzone un sorprendente momento acustico alla chitarra dal sapore spagnoleggiante attenua l'atmosfera del brano, un ponte adornato da luci soffuse in un percorso musicale fatto di neon e luci stroboscopiche. Il protagonista arriva alla fine del suo ciclo vitale, senza aver chiarito il senso di quell'esistenza e si chiede perché mai ha dovuto soffrire così tanto per poi morire senza una spiegazione. Con "To Tame Myself" la percezione uditiva si ammorbidisce, la struttura del brano comprende una strofa dall'andamento setoso impreziosito da chorus melliflui che mi ricordano tanto quelle belle ballate pop - rock anni '70/'80. Il ritornello si rinvigorisce mantenendo intatta la poetica melodiosa d'impostazione. Bella l'interpretazione di Sivo, semplice con alcuni momenti mozzafiato. Rincalziamo nuovamente il ritmo con "Nothing for Free" il cui assetto sonoro è vario e ben congegnato; la chitarra si cimenta in sferzate aggressive, bilanciandosi con frangenti leggermente più soft ma sostanzialmente eseguendo riff e mood "pesanti". La voce di Sivo verso metà brano mi ricorda molto l'interpretazione sarcastica e horrorifica che un grande come Alice Cooper riesce a dare. Per quanto riguarda la sezione ritmica è abile nel sorreggere i ritmi eseguiti. "Another Myself" si spegne e si perde nei crismi di un classico singolo commerciale, non posso assolutamente dire che sia una brutta canzone, ma non "prende" se non fino a qualche istante prima del solo finale. L'altro se stesso citato dal titolo è un demone interiore che lentamente divora il protagonista, mutandone l'identità. Il punto di vista di un criminale che ha commesso uno sterminio di massa è il fulcro significativo delle liriche di "Mass Extermination", il protagonista deve fare i conti con i ricordi e gli incubi del male fatto e vivere nel tormento e nella bugia, ogni giorno per non essere scoperto. Il pezzo prende il via con una galoppata all'insegna della voracità, una fame stemperata da attimi di sazietà esecutiva, il tutto bilanciato e dosato nei cambi ritmici che si palesano. I musicisti fungono da supporto a Sivo, vero mattatore in questo brano, costruendogli la giusta strada da percorrere, una strada fatta di mattoni solidi, con esecuzione compatta e mai discorde. D'Andrea con le sua chitarra poi arricchisce il tutto attraendo con tocco pungente. Di semplice concezione e di facile ascolto "Empty Book of Friends", senza particolari parti caratterizzanti è probabilmente, proprio per questo motivo, anche più lunga del dovuto, poiché si protrae ripetitiva verso il finale. Detto ciò la parte iniziale mi piace così come la melodia ed i cori sempre giusti e mai sopra le righe. Gradevole il solo a metà pezzo col suo bridge davvero azzeccato. Cos'hanno fatto i Planethard in questo disco che mi ha sorpresa piacevolmente? Realizzare una cover a dir poco strepitosa!!! Parlo di "Sign of The Times" uno dei successi del controverso ed affascinante Prince. La riedizione dei Planethard è un concentrato di adrenalina; accattivante l'arrangiamento, sexy ed al contempo pungente l'interpretazione di Sivo; l'impronta della chitarra lascia un solco sulla sabbia di un tappeto sonoro grondante veemenza. Senza stravolgerne troppo l'originale, è stato concepito un riadattamento di questo pezzo in modo eccelso, cosa che nemmeno i Muse sono riusciti a fare, riuscendo a farmi risultare pesante una delle canzoni più belle di Prince. Complimenti ai Planethard per la loro brillante cover e per la scelta del pezzo. L'impronta poppeggiante di "Until Tomorrow Comes" proprio non mi va giù, fortuna che il buon D'Andrea smorza quest'atmosfera TakeThattiana con le sue corde sempre roventi. Non me ne vogliano i Planethard ma preferisco passare oltre, arrivando alla traccia conclusiva di questo "No Deal". E per fortuna "No Reason to Lie" si discosta dalla precedente tematica sonora, riprendendo i canoni stilistici del rock secco e deciso, nella cui veste il gruppo mette meglio in risalto le proprie capacità esecutive. Benché il songwriting sia piuttosto lineare, la traccia convince, l'ascolto è fluido ed il ritmo trascina, i riff hanno la giusta corposità, il tocco alle pelli è decisivo ma non invadente. In definitiva una buona conclusione. Il secondo lavoro dei Planethard è la dimostrazione che se si vuole si va avanti, non rimanendo delle meteore che lasciano una scia soltanto la prima volta che passano. Quando le idee sono chiare, il materiale a disposizione è efficace e si ha la voglia e la forza di procedere verso un cammino, la strada davanti non può che essere in discesa. Nel panorama rock italiano ci sono gruppi valevoli che purtroppo rimangono nella nicchia e che hanno sicuramente molto di più da dare, di altri gruppi pseudo rock che sfornano canzonette per adolescenti isteriche. La speranza è che un giorno la medaglia si rovesci, nel frattempo noi della nicchia ci godiamo la vera musica come quella dei Planethard.


1) Ride Away
2) This World 
3) Abuse feat. Masha Mysmane 
4) Wings in Vain 
5) To Tame Myself 
6) Nothing for Free 
7) Another Myself
8) Mass Extermination
9) Empty Book of Friends 
100) Sign of The Times
(Prince cover)
11) Until Tomorrow Comes 
12) No Reason to Lie