PITIFUL REIGN

Visual Violence

2008 - Punishment 18 Records

A CURA DI
WALTER ANTONIO LANOTTE
29/03/2014
TEMPO DI LETTURA:
7

Recensione

Il fenomeno del revival del Thrash Metal è arrivato circa poco più di una decina di anni fa, ed ha portato con sè diverse conseguenze, alcune buone e lodevoli, altre non proprio incoraggianti, non molto diversamente da come un'onda che rinfrangendosi porta con sè sia ciottoli che rifiuti. Così, a suon di "Thrash Is Back" (per citare una band a caso) abbiamo assistito a una moltitudine di nuove band che prendono ispirazione dal passato e di vecchie band che si riuniscono, come Testament ed Exodus (anche il metallo italico ha dalla sua alcune reunions di gruppi importantissimi come Bulldozer e IN.SI.DIA.). E' in questo scenario che nel 2008 gli inglesi Pitiful Reign pubblicano "Visual Violence", album di Thrash oltranzista con alcune contaminazioni Hardcore. La sintesi di un background fatto di band come Nuclear Assault e Municipal Waste. La band ha origine nel 2003 con un trio di amici di scuola sotto il nome di Metalegion, a cui si aggiunge nel 2004 Matt Walker al basso e Tom Britton alla chitarra solista cossichè Josh Callis-Smith possa concentrarsi sulla ritmica e sulle linee vocali. Nei due anni successivi il gruppo si impegna rilasciando due EP (24 Litre Killer e Toxic Choke). Ancora due anni dopo, la line up cambia ulteriormente, con gli inserti di Pashby e Britton alle chitarre e di Tom Small dietro le pelli. Dopo un demo, D.I.V.E., la band ottiene un contratto, e il prodotto di tale contratto è proprio quest'album di cui andiamo a scrivere. Prima di passare ai brani, vorrei inoltre menzionare la copertina, fatta da Ed Repka, che rende omaggio ai film horror cult, (con delle VHS), e che già dice molto sulle liriche di quest'album. Ma ora passiamo ai brani proposti.



 



Una fugace sfuriata delle due chitarre armonizzate (che sembra quasi Xentrix, per rimanere in campo inglese) introduce "Visual Violence", la title-track. Dopo il fraseggio, subito siamo testimoni del primo riff, piuttosto cadenzato a cui ne segue un altro, quello su cui si adagia la voce del singer, che ci narra della violenza come forma di evasione dalla politica e dai mass media corrotti, (da buoni appassionati di film horror, citando nuovamente la copertina) A 0.50 vi è un'ottima variazione del riff, prima dell'immancabile ritornello dove i cori urlano prepotentemente "Visual VIolence". La struttura del brano non è ricercata, ma è piuttosto efficace e risulta sostenuta egregiamente dalla sezione ritmica. Inoltre la sezione solista gode di una discreta fattura melodica e a 2.43 vi è un assolo breve ma che ben s'inserisce nel contesto, prima di lasciar spazio ad un godibile riffone, a 3.04, che insieme ai cori ricorda piacevolmente gli EvilDead di Annihilation Of Civilization. Un'azzeccata variazione chiude il brano. Il pezzo successivo, "Human Coleslaw" appare più deciso e dal riffing più serrato, partendo in quarta fin dall'inizio. A 0.11 si comincia con un po' di sano headbanging e poco dopo s'inserisce il cantante, con una linea vocale lievemente più cattiva della precedente. Il testo è collegato al precedente, ed anche qui è la violenza che la fa da padrone. Un piatto fatto di carne umana viene servito ad una povera famiglia texana, rimasta con poche possibilità di sopravvivenza, fino a quando non sfruttano la forza di un loro ragazzo. Altro non è che la storia di Texas Chainsaw Massacre ed il testo è colmo di riferimenti al film horror cult del 1974. Il ritornello, anche questa volta con gli immancabili cori ce lo conferma, arricchito però da un acuto che rompe la piattezza del ritornello stesso; segue un'ottimo assolo (che parte con un fraseggio sulla scala diminuita) per poi passare alle consuete sfuriate in plettrata alternata, senza mai perdere l'approccio melodico. A 2:13 un piacevolissimo riff da mosh pervade i nostri colli, mentre Josh continua a sputare rime acide sulla violenza del film. Un buon pezzo. Peccato per la conclusione con il ritornello. Infatti il passaggio dall'ultimo riff al ritornello risulta troppo ostico. Le influenze della Bay Area si fanno ancor più palesi nel titolo del pezzo successivo, che rimanda a capolavori come C.O.T.L.O.D. dei Testament, "D.I.V.E." (già apparsa in un EP della band), un buon mid-tempo, dalla forte carica mosheggiante. A 0.58 il singer irrompe sulla scena e sembra immergerci nell'atmosfera di un concerto Thrash, dove tutti noi possiamo scaricare la rabbia e dare il via alle danze, come il valzer tossico ci ha insegnato. "Thrash upon the stage, the time is here to rage", per usare le parole di Josh. Un riff monocorde ci fa gridare a squarciagola "Dive", con tutta la forza di un buon thrasher. Ma cos'è un concerto Thrash? Josh ha la sua risposta nella strofa successiva. Energia e rabbia, una battaglia, sul palco e sotto, e tu, metallaro, non ti puoi fermare! Dive! Dopo il consueto ritornello (tra i migliori del disco), parte un riff più lento che produce del facile headbanging, su cui si inserisce una variazione, anche dissonante, della chitarra, prima che parta l'assolo. Un altro buono spunto nella sezione solista, tra i valori aggiunti di questo album sicuramente. A 3.58 parte un riff particolarmente azzeccato su cui ben ci stanno i cori, e che viene ulteriormente impreziosito dalla variazione nel drumming. Buono inoltre il passaggio che porta di nuovo al ritornello e la successiva, leggiadra variazione su cui si posa l'acuto del singer. "Over, over, over Again!" Ancora Mosh! E un po' di Pit! Passione e attitudine. Questo è il Thrash, secondo la band. Tra i brani migliori del disco. Il quarto pezzo del disco è "Fatality" con cui si ritorna su lidi più violenti. Pregevole l'intro, fatta di rapidi scambi melodici, anche armonizzati, fra i due chitarristi mentre tessono con sapienza il riff. In particolare il fraseggio che introduce il riff successivo, a 0:30, apre benissimo per il singer. Ancora violenza, questa volta in un famoso videogioco, Mortal Kombat, ed in particolare l'attenzione è dedicata alla famigerata "fatality", una mossa finale con cui si può far fuor l'avversario e vincere l'incontro. Mentre i nostri ci mostrano i loro omaggi alla violenza sia del passato che della modernità, tra film horror cult e videogiochi picchiaduro, si fa notare piacevolmente qualche acuto che arricchisce la linea vocale (un po' simile alle altre) ed un ritornello mosheggiante ed abbastanza riuscito. La strofa successiva appare meno ripetitiva grazie al fatto che il singer canta solo sul basso e sulla batteria, scelta che sicuramente rende più godibile il riff successivo. Dopo il ritornello un buon assolo, con delle ottime variazioni melodiche armonizzate (che risultano molto godibili), aumenta il valore del brano, prima di lasciare spazio ad un riffone. Siamo riportati al ritornello ed anche stavolta il passaggio risulta un po' ostico. Questa pecca nel songwriting rovina la conclusione del brano, nonostante qualche buono spunto vocale. Una maggior lunghezza e una struttura più particolare arricchiscono il brano successivo "Malevolence of the Butcher", che parte più cupo, con un arpeggio in pulito che ricorda un po' "Battery" dei Metallica, e che lascia lentamente spazio all'introduzione delle due chitarre con un riff in palm mute molto cadenzato e decadente (quasi sulla scia de I Fiori Del Male di Baudelaire), mentre l'arpeggio si fa distorto e un'insolita variazione, sostenuta dal basso, sviluppa in maniera coerente e graduale un buon riff; a 1:10 si ritorna nel Thrash più oltranzista con l'inserimento del cantante. L'argomento? La violenza (non l'avreste mai detto, eh?), stavolta rappresentata dalla figura del macellaio pazzo (topòs del Thrash, citiamo "Mad Butcher" dei Destruction giusto per fare un esempio) e della sua malvagità, sfogata brutalmente sulle sue vittime e al brutale spettacolo di ciò. Inoltre nel brano è presente il primo ritornello del disco senza cori di supporto, a testimonianza di un songwriting diverso e più particolare. La struttura comunque pur essendo diversa dal solito, non stravolge i canoni della forma canzone, ed assistiamo di nuovo ad una strofa e al ritornello. Si presenta un nuovo riff, ed una piacevole variazione con armonizzazioni a 2:49, che lascia spazio al basso, mentre si riprende lentamente l'arpeggio iniziale in pulito. Un assolo, un po' deludente e poco melodico, questa volta, si inserisce nella scena, prima che l'arpeggio apra le danze ad un riffone a 4:57 sostenuto bene da alcuni stacchetti di basso e batteria. Un altro assolo, questa volta più ispirato e violento, prima di un'ennesimo riff su cui il singer continua a sputare frasi pregne di violenza. Anche la conclusione del brano, risulta più particolare, con un riff atmosferico e poi di nuovo l'arpeggio in pulito. Altro episodio molto riuscito dell'album. Il sesto pezzo del disco è "Rapid Deployment" con cui la band fa capire di essere interessata anche a tematiche sociali. Il colpevole è il sistema giudiziario inglese, che pare troppo severo per azioni minime quali la detenzione di droghe leggere, ma che è anche troppo permissivo su reati molto più gravi. Dopo un inizio abbastanza incisivo, si fa largo il main riff, un po' scontato (e le linee vocali non aiutano di certo). Una variazione introduce il ritornello, di nuovo con i cori. Il brano non decolla, nonostante il riff dopo il ritornello costituisca un facile momento di headbanging e di mosh. In generale sembra il brano meno riuscito, forse anche per via della monotonia delle scelte stilistiche che, arrivati al sesto pezzo, risultano poco interessanti. Neanche un buon assolo, con tanto di armonizzazioni al vetriolo riesce a far molto per alzare il livello generale. Il brano si conclude con un buon riff su cui la chitarra costruisce un'azzeccata melodia. Si palesa ancora un vago interesse sociale in "Push to Prime", polemica critica al potere della società moderna, ed alle varie guerre tra le potenze per il controllo del petrolio. Il Thrash senza compromessi. Non potremmo definire diversamente l'inizio, il cui riff funge anche da riff principale, su cui poi si sviluppa il ritornello. E dopo che i cori hanno pronunciato ossessivamente il titolo del pezzo, si fa notare un ottimo riff, anche questa volta fugace. La struttura è ancora semplice con la consueta strofa e il consueto ritornello. Il riff successivo presenta alcune influenze più hard rock e poi si parte con uno scambio di assoli come nella miglior tradizione Thrash. Anche questo brano, per lo stesso motivo del precedente non riesce ad emergere, nonostante ci sia da menzionare una conclusione particolare. Il manifesto poetico e lirico, di cui i Tankard sarebbero fieri, di quest'album è il pezzo successivo, "Thrash Boobs And Zombies" con cui ritorniamo su argomenti meno impegnativi. Ci viene descritto l'edonismo dei thrashers più oltranzisti, dediti al divertimento tra metal, sesso e film horror, mentre cominciamo un riff ben sostenuto dagli stecchetti di basso e batteria. Successivamente il singer canta cos'è secondo lui l'attitudine e un riff che in alcuni punti sembra un arpeggio introduce il ritornello. La struttura della song è la stessa delle altre, e dopo un'altra strofa ed il ritornello, piacevolmente appare un riff più serrato, a cui viene dato più spazio per imprimersi e per introdurre l'assolo, ancora una volta melodico ed ispirato. Un altro riffone da pit si presenta verso la conclusione del brano, mentre si ritorna al riff iniziale e ad altre linee vocali che appaiono studiate meglio e che concludono bene il brano.



 



In conclusione, questo album di certo non si pone il problema di essere innovatore, ma si propone come un ambasciatore di mosh e di headbanging, e di conseguenza i brani non godono di strutture particolari, ma tendono ad avere pochi riff, e a puntare più sull'impatto che su altri elementi. Compito riuscito parzialmente, perché alcune soluzioni nel songwriting e la piattezza delle linee vocali rendono alcuni brani meno godibili. Da citare comunque un certo approccio nella sezione solista e una produzione ben fatta (ad opera di Steve DiGiorgio) , in cui tutti gli strumenti hanno un certo spazio nel mix. L'estetismo della violenza è ciò che ci viene proposto, nel bene e nel male, con tutta l'attitudine che solo il buon vecchio Thrash sa dare, per la gioia dei suoi fan più oltranzisti. Da consigliare agli amanti del genere, ma che potrebbe risultare a tratti un po' noioso per chi non è solito a certe sonorità. 



 



Tracklist:





01 - Visual Violence

02 - Human Coleslaw

03 -  D.I.V.E.

04 - Fatality

05 - Malevolence of the Butcher

06 - Rapid Deployment

07 - Push to Prime

08 - Thrash Boobs And Zombies