PESTILENCE

Hadeon

2018 - Hammerheart Records

A CURA DI
MICHELE MET ALLUIGI
31/03/2018
TEMPO DI LETTURA:
8

Introduzione

Se si dovesse tracciare con una linea la storia degli olandesi Pestilence, ciò che verrebbe disegnato sul foglio sarebbe un tratto tutt'altro che retto: la storia della creatura fondata da Patrick Mameli nel 1986, si compone infatti di gloriose partenze, screzi, pause, reunion, ricadute e nuove resurrezioni, in altre parole, la pestilenza sonora dei Paesi Bassi è come una gloriosa fenice che rinasce dalle proprie ceneri per tornare a farci scuotere la testa ancora ed ancora. Dopo le voci circolate circa l'album "Obsideo" del 2013, che nelle parole dello stesso fondatore sarebbe dovuto essere l'epitaffio in studio del gruppo, ecco la nuova smentita, un'ulteriore svolta in una carriera interessante quanto contorta che però, a fronte di nuovi cambi di formazione, ci regala un nuovo album, "Hadeon", pubblicato lo scorso 26 gennaio per la Hammerheart Records. Chi segue la band da tempo sa bene che ciò che Memeli e soci ci donano oggi è frutto di una maturazione tecnica lunga e meditata, il cui risultato ben si allontana dalla furia degli albori, quando le prime recensioni collocavano i Pestilence grossolanamente (ma chi avrebbe saputo cosa sarebbe successo con il senno di poi) a metà strada tra i Possessed e i Sepultura di "Schizofrenia". I primi lavori erano infatti ancora crudi e scarni, ma abbastanza di impatto da attirare sul quartetto le attenzioni di diverse label e dei fanatici dell'underground, al punto che le prime due demo "Dysentery" del 1986 e "The Penance" dell'anno seguente, fecero arrivare i Pestilence alle orecchie addirittura della Roadrunner. Bisogna quindi vedere nel Thrash Metal fatto e finito la genesi di una delle band ad oggi ritenute fondamentali del panorama estremo? Sì e no. Sì perchè comunque è proprio nelle sonorità veloci ed alcaline che la matrice generale del sound dei quattro prende forma, no, o meglio, non del tutto, perchè le caratteristiche poc'anzi citate altro non erano che la punta di un iceberg ben più complesso ed articolato, che col passare del tempo avrebbe incamerato anche spunti provenienti dal Jazz e dalla musica fusion, al punto da far considerare i Pestilence tra i fondatori del Death Metal tecnico. Primo vero step in avanti per la band fu la pubblicazione del primo album, "Malleus Maleficarum" (1988) che inziava a modellare quella che era ancora una materia grezza in fatto di stile ma che al contempo vide il gruppo prendere una forma sempre più delineata; nella formazione, in sostituzione del chitarrista storico Rhandy Meinhart (che scelse di dedicarsi al suo nuovo progetto Sacrosant) venne reclutato il virtuosissimo Tony Choy, che pur non diventando mai un membro fisso iniziò ad instillare così nel combo una maggiore attenzione per le sonorità più articolate, alzando notevolmente il livello tecnico generale. È con "Spheres"del 1993 che possiamo considerare conclusa l'esperienza "Thrash" della band olandese (anche se questo tipo di sonorità non verrà mai del tutto abbandonato) per dar vita all'esperienza technical death metal: le ritmiche restano sì veloci ma iniziano a virare verso spunti quali tempi dispari, terzine, sincopati e flem sui fusti ben più complessi dello standard, unendosi a soluzioni di arrangiamento ben ampiamente oltre il confine del powherchord, comprendenti anche accordi dissonanti e scale orientali e neoclassiche, il tutto mescolato in un vero e proprio mix da assalto frontale. Tale svolta stilistica portò un notevole aumento di consensi alla band, ma non passò molto tempo che a causa di alcune tensioni interne il gruppo si sciolse, stroncando praticamente sul nascere un progetto la cui popolarità era in continua crescita; il best of edito nel 1994, intitolato "Mind Reflections", sembra essere l'ultimo chiodo sulla bara dei Pestilence ed i fan devono quindi accontentarsi di un disco contenente il meglio dei primi lavori, un brano inedito ed alcune tracce live. A partire dal 2006 si susseguono le reunion con tanto di nuove pubblicazione alle successive battute d'arresto, facendo "zoppicare" i Pestilence fino ai tempi attuali, come un lebbroso che sembra perdere pezzi di sé lungo il suo trascinato cammino. Eppure eccoci qui, nel 2018, ancora a parlare della band di Patrick Mameli dopo 5 anni da quello che sarebbe dovuto essere l'ultimo album. "Hadeon" è qui, davanti ai nostri occhi, pronto ad incuriosirci con una copertina tanto affascinante quanto criptica: uno sfondo buio avvolge nelle sue tenebre un cervello attorniato da una serie di anelli intrecciati, illuminati dal basso da un bagliore di energia elettrica che diffonde il bianco per tutto l'artwork. Ai lati dell'immagine invece troviamo due giganti di pietra che osservano la genesi di questa materia, dalle cui mani giunte si irradiano dei fulmini che vanno a confluire nella massa di energia centrale. Alla nuova identità stilistica del gruppo olandese fanno ora da controrno degli spunti iconografici altrettanto difficili da interpretare, ogni lavoro dei Pestilence va quindi ascoltato, assorbito e meditato in più riprese, lasciando che sia la musica a calarci in questo universo di filosofia e Technical Death Metal di altissima caratura.


Unholy Trascript

Prima che le chitarre elettriche ci travolgano, l'album viene avviato da un'introduzione strumentale lunga poco più di un minuto dal titolo "Unholy Transcript" ("Trascrizione Empia"). Un soffio di vento ci avvolge e di lì a poco parte uno sviluppo strumentale dalle tinte marcatamente orientali. Immaginate di essere nelle stanze di un palazzo dell'antica Babilonia, le cui colonne si distendono davanti a voi accompagnandosi ai meravigliosi mosaici ed arazzi appesi alle pareti. In fondo all'immenso corridoio vedete il portone spalancarsi ed immediatamente un corteo si avvicina. La voce sussurrata di questo preludio ci lascia immaginare che uno spirito antico si sia diffuso per tutto l'ambiente, abbracciandoci con le sue spire; le percussioni tribali scandiscono la danza delle ballerine che accompagnano dei sacerdoti mentre vengono verso di voi, restate gelati dalla paura e dallo stupore mentre le percussioni e le tastiere vi tengono immersi in questa atmosfera pre cristiana. L'unica nota che spezza l'armonia del tutto è il campionamento di voce cibernetica che ascoltiamo verso la fine, una stonatura industrial futuristica che cozza a tratti con l'orientalità generale, il parlato è talmente distorto che non riusciamo a capire che cosa dica, ma sotto di esso continua la danza orientale; i sacerdoti sono giunti davanti a voi, vi mostrano uno scritto, ve lo aprono davanti e la musica si interrompe, ecco svelarsi il verbo del nuovo album dei Pestilence.


Non Physical Existent

Senza troppi indugi parte la successiva "Non Physical Existent" ("Esistente Non Fisico"), ideale per tutti i fan del Death Metal più in your face. Dopo un rapido passaggio sui fusti, la struttura infatti si sviluppa su un quattro quarti di batteria linearissimo ed incalzante, sul quale il drummer rumeno Septimiu H?r?an dimostra la sua precisione. A rendere il tutto decisamente claustrofobico ed opprimente sono le parti di chitarra e basso, i cui main riff, da un iniziale passaggio in shredding si chiudono su degli accenti a tonalità ascendenti, dove il tono sempre più alto, toccato attraverso una pennata netta ed incisiva, ci trasmette un vero e proprio senso di terrore ed ansia verso qualcosa che non riusciamo a vedere ma di cui percepiamo la presenza alle nostre spalle. Proprio le paure ancestrali sono il tema principale della lirica: Patrick Mameli ci conduce per mano in un'incursione attraverso i meandri delle nostre paure più recondite; solo perchè qualcosa non si vede non è detto che non esista e questa amara verità viene dimostrata proprio quando restiamo da soli al buio, percependo tutte quelle presenze che i nostri occhi non vedono. L'anima umana, secondo l'axeman di origini italiane, non è divisa fra la componente angelica e diabolica, Mameli va molto più a fondo con una vena di iconico cinismo, poiché conclude la prima strofa sentenziando che non esistono né paradiso né inferno, ma esiste solo il vuoto più nero, un baratro di tenebra nel quale il nostro spirito si dissolverà per sempre dopo la morte. Nel mentre, gli strumenti continuano a pestare, infarciti di rapide stoccate soliste che arricchiscono ulteriormente un incedere già di per sé abbastanza perforante. Il tupa tupa della batteria infatti si alterna a raddoppi di doppia cassa e blast beat in trentaduesimi, creando ad ogni sequenza un crescendo di velocità che sfocia nel proverbiale tritacarne. Menzione d'onore va inoltre al lavoro del basso di Tilen Hudrap, le cui corde si allineano perfettamente ai ricami delle chitarre superando di gran lunga il "minimo sindacale" che normalmente viene riservato allo strumento. La visione leopardiana di Mameli viene ulteriormente snocciolata nella seconda strofa: è solo una questione di tempo, prima che la mente e l'anima umana debbano sbattere la faccia contro le impenetrabili leggi della natura. L'uomo altro che non è che una pedina nell'immensa scacchiera di un ordine superiore, che passa la propria esistenza recluso in una fossa piena di vermi, dove le frequenze del cosmo gli tartassano la mente frantumando ogni traccia di ragione nel suo cervello. A rendere ancora più solenne l'arrivo del ritornello è la scelta di cantare questo passaggio con un growl decisamente più gutturale: la sentenza secondo cui paradiso ed inferno non esistono e l'essenza umana di anima e mente finirà assorbita da vuoto cosmico viene infatta rigurgitata attraverso toalità vocali bassissime, quasi come se fosse un demonio oscuro a ribadircelo, perciò attenti stolti umani, attenti alle presenze non fisiche, perchè proprio queste entità fagociteranno le poche tracce di luce nella vostra esistenza. La realtà fisica così come noi la percepiamo è solo una parte del tutto, un tassello di un più ricco mosaico che comprende anche quello che la nostra limitata vista non coglie, quindi perchè atteggiarsi a padroni dell'universo, quando ciò che ne abbiamo osservato è solo un miliardesimo della sua totalità?.

Multi Dimensional

Prepariamoci alla scossa tellurica che colpirà nuovamente le nostre capacità sensoriali con "Multi Dimensional" ("Multi Dimensionale"). Dopo aver trattato di ciò che c'è ma non si vede, i Pestilence restano in ambito filisofico trattando ora di ciò che si pone su più piani della percezione. La partenza è nuovamente esplosiva, con la batteria intenta a macerare ossa attraverso una doppia cassa a dir poco mitragliante, mentre le chitarre sfoderano gli accordi dissonanti di cui si parlava nell'introduzione della recensione, combinando tra loro note che, apparentemente, sembrano stonare tra loro, ma che in realta si concatenano secondo sequenze armoniche inusuali e quindi apparentemente sgradevoli al nostro orecchio. La struttura iniziale in apertura si ripete uguale per diversi giri, in modo da far sì che il nostro orecchio si abitui a quella "cacofonia", ma appena entriamo nell'ordine di idee ecco i Pestilence lanciarsi in una sessione old school da cardio palma: quattro quarti serrato ed accordi possenti di chitarra aprono la prima porzione di pars construens del concetto della lirica: esistono diversi piani dell'essere, separati tra loro da distanze insormontabili, e il tutto di questo cosmo è in costante espansione, sempre in continuo divenire. La conoscenza aumenta la propria potenzialità e nasce così una nuova realtà nella realtà attraverso una nuova codifica di codice genetico. Il reale non è più un qualcosa posto davanti a noi, ma una matrioska di sottorealtà che si insinuano una dentro l'altra in un movimento ciclico eterno e Patrick Mameli, in qualità di Io inteso come entità metafisica, si colloca come cancello tra il microcosmo della nostra realtà ed il macrocosmo dell'universo. Passato il ritornello, le cui parole sono recitate sulla struttura già usata in apertura di traccia, ecco partire nuovamente i quattro con una seconda strofa a dir poco abrasiva: la strofa serratissima lentamente si apre nel pre ritornello ed ancora nel ritornello, creando un nuovo crescendo ottimale per farci percepire questo continuo movimento della realtà intorno a noi. L'universo ci investe con una serie di turbolenze impercettibili ma letali, che come una pestilenza minano i nostri organi lentamente fino alla completa dissoluzione. Nella nostra mente, pervasa da un'illusoria razionalità, si annidano i demoni della superstizione e della paura pronti a balzar fuori e ad accecare completamente il nostro raziocinio. L'uomo è l'essere più intelligente? Non nella completezza del tutto: nella dimensione unicamente umana probabilmente possiamo reputarci i più evoluti, ma collocando la nostra dimensione sul piano multidimensionale torniamo ad essere una goccia d'acqua nell'oceano dell'immenso. Le stesse paure ed emozioni negative che pervadono l'uomo sono generate dai demoni che ci invadono la testa, esseri anch'essi abitanti di un'altra dimensione per la quale la mente umana altro non è che un rifugio. Queste entità, come dei trojans cibernetici, oscureranno la nostra vista rendendoci incapaci di cogliere il tutto. La realtà infatti si combina con altre realtà nel supremo puzzle dell'immenso e noi non siamo che un pezzo mancante. Sul finale del brano troviamo un avvincente assalto strumentale, in cui i due chitarristi Patrick Mameli e Santiago Dobles si sfidano in singolar tenzone dando prova di tutta la loro bravura. I due musicisti infatti si alternano in una sequenza di scale che dall'alternate picking (la plettrata alternata) sfociano nello sweep picking per fluidificare ulteriormente l'esecuzione per poi riallacciarsi nell'ultimo ritornello, che sulle parole "Multi Dimensional" sigla il brano in maniera netta.


Oversoul

Ancora più elevata a livello tecnico è la successiva "Oversoul" ("Oltreanima"), nella quale i Pestilence mettono provvisoriamente da parte la velocità per dar spazio al groove più genuino e di impatto. Ascoltando questo brano, soprattutto nella struttura a tempo dispari dell'apertura, vi verrà spontaneo pensare ai Meshuggah, anche se Patrick Mameli e soci possono a tutti gli effetti definirsi dei veterani dei tecnicismi ancor più della band svedese. Dopo un parlato filtrato, ecco partire un articolato passaggio di chitarra, un rapidissimo incipit prima che il monolite ritmico della strofa inizi a rotolare: la sei corde ed il basso infatto pressano le proprie corde con un tocco pesante e cadenzato, quasi a rendere l'idea di un golem che si alza in piedi ed inizia a camminare, e questo granitico sottofondo fa da contorno ad una nuova lectio di Patrick Mameli. Un autoscatto olografico della realtà ci mostra l'esistenza e la natura dell'anima umana ed essa è un qualcosa di assolutamente totale ed indivisibile, un'unica entità da controllare, assolutamente incapace di esistere senza queste due componenti. Fin dalla creazione, e badate bene, si parla di creazione dell'uomo come nascita fisica sul pianeta e non di genesi in senso religioso, all'essere umano è stata fornita la possibilità di dare un corso alla sua evoluzione e, una volta giunto al termi della vita, auspicare in una rinascita o reincarnazione; in questo testo è particolarmente interessante come visione razionale e visione spirituale restino apparentemente separate per poi confluire all'interno del percorso del cosmo. Aristotelicamente parlando noi viviamo ogni giorno come parti divise, atomi, o più scientificamente cellule, ma tutte equamente correlate all'unità del tutto: ogni singola particella infatti, oltre che come unità a sé, esiste in qualità di parte del tutto e questa sinergia, se non addirittura simbiosi, consente all'uomo di varcare gli ostacoli dell'esistenza fino a raggiungere la piena lucentezza del sole. Indubbiamente, si parla di concetti non propriamente semplici, specialmente se non si possiedono determinati studi umanistici nel proprio background, ma a rendere particolarmente suggestivi i testi di "Hadeon" è proprio la loro cripticitità, che per quanto impenetrabile lascia comunque aperta la porta ad una possibile personale interpretazione. Il brano prosegue sempre maziale e cadenzato, dandoci una brillante prova di come i Pestilence sappiano muoversi su diversi fronti sonori, ed ecco nuovamente un botta e risposta solista tra Mameli e Dobles, un altro velocissimo inciso di puro gusto chitarristico, prima che si riprenda con la terza ed ultima strofa: soggetto ed oggetto giungono alla loro naturale unione, io e realtà confluiscono nel fiume del tempo fino alla suprema sintesi ed il tutto avviene alimentato da un potere superiore che non possiamo percepire ma possediamo dentro di noi. A livello strutturale, seppur più lenta, "Oversoul" vanta diversi passaggi e cambi stilistici che si susseguono, esattamente come le componenti del cosmos superiore, la canzone scorre via ricca ma al tempo stesso piacevole e mai noiosa, fino al rapidissimo passaggio che ne segna la conclusione e sulla scena torna il parlato filtrato iniziale, che ora lascia sulla scena, effetta in delay, la parola "creation" ("creazione"), in qualità di chiave per comprendere il pensiero di Mameli.


Materialization

I Pestilence riprendono nuovamente a spingere sull'acceleratore con "Materialization" ("Materializzazione"), brano che dalla "lentezza" della precedente gradualmente si velocizza per riportare la band olandese sui binari del Death Metal old school, sempre restando di livello tecnico a dir poco impressionante. La partenza è assolutamente impattante, con tutti e quattro gli strumenti che partono all'unisono su un iniziale mid tempo per poi lanciarsi in un quattro quarti da pogo assicurato. I metallari della vecchia guardia estrema apprezzeranno particolarmente questa composizione, dato che le doti tecniche del quartetto vengono qui espresse mediante un'avvincente concatenazione di soluzioni ritmiche che tengono sempre altissimo il tiro del pezzo. Ancora una volta la linea melodica delle chitarre si muove su tonalità ascendenti e discendenti separate fra loro da pochi semitoni di distanza, al fine di rendere ossessivo ed inquientante l'incedere del pezzo. Questa volta l'argomento del testo è molto più "terreno" e soprattutto meno elevato sul piano concettuale ma più vicino agli stilemi del Death Metal: soggetto principale infatti sono dei parassiti che lentamente si insinuano all'interno del nostro cervello e come dei tumori iniziano a proliferare riempiendoci la testa di metastasi. Una volta che essi hanno trovato il modo per insinuarsi all'interno della nostra mente il terrore di tutti i mali esterni ha così modo di materializzarsi dentro di noi ed ora che siamo colpiti da questa malattia occorre un esposizione massiccia alle terapie più d'avanguardia per sperare in una vaga possibilità di guarigione. Nei reami della nostra testa essi si moltiplicano e divorano la nostra corteccia cerebrale, consumando interamente il nostro corpo fino a quando non avranno fagocitato tutto il nutrimento che cercavano, per poi spostarsi su un altro organismo una volta svuotato completamente il nostro. Tutte le paure e le ansie della società moderna si materializzano in noi come dei parassiti che ci divorano il cervello dall'interno ed è particolarmente interessante qui il parallelismo metaforico tra la malattia fisica e l'afflizione della mente. Apparentemente immune a questo virus sono le anime già indebolite dalla superstizione e dalle credenze, le persone completamente avulse al raziocinio non offrono alcun nutrimento per questi parassiti, che invece sono attirati dalle menti lucide che tentano di schematizzare i disagi interiori scomponendoli in infinite analisi. Essere avvolti dall'ignoranza dunque sembra l'unica forma di immunità e l'unico farmaco per superare l'attacco di queste creature sembra essere la regressione fino allo stato primordiale. Lasciamo quindi che la nostra conoscenza "arretri" e a questi tumori mancherà il nutrimento necessario al loro sostentamento.


Astral Projection

Prepariamoci a salpare oltre i confini dello spazio con "Astral Projection" ("Proiezione Astrale"), brano decisamente più lineare dei precedenti ma che consente ai Pestilence di sviare provvisoriamente dai loro temi preferiti per far sì che Mameli e soci possano condurci nei meandri inesplorati della galassia. Giusto per essere "spaziali" in tutto e per tutto, la traccia viene infatti avviata da un fade in di tastiere, il cui effetto possiede una forte connotazione space rock, ma si tratta di pochissimi secondi, prima che i quattro facciano decollare il loro space shuttle con un quattro quarti serrato ed un riff di chitarra puramente death metal. Come anticipato, questa composizione appare maggiormente standard e meno articolata, ma state tranquilli, la vena sperimentale del gruppo non tarderà a farsi sentire: dopo aver passato la prima porzione di testo, ecco che la prima strofa si divide immediatamente in due blocchi, nell'ultimo dei quali il tempo rallenta drasticamente lasciando sulla scena unicamente la batteria, i sintetizzatori ed una voce robotica. Il testo della canzone narra appunto di un viaggio nello spazio, viaggio che ben presto dalle stelle passerà ad essere una metaforica introspezione dell'anima: un volo astrale ci conduce infatti tra lo spazio ed il tempo, viaggiando alla velocità della luce, ma questa supersonica esperienza si rivela contemporaneamente una profonda immersione nella verità unica ed assoluta: la vita è solo una bugia e che non si muore mai davvero. Prontamente, quasi come se lo shuttle giungesse ad un primo attracco galattico è ora la voce robotizzata a proseguire lo snocciolamento del testo, immaginate quindi che Patrick Mameli ceda ora la parola all'alieno cyborg che ci accoglie nella stazione spaziale, il quale, ci introduce a ciò che avverrà di li a poco; le navi spaziali della nostra mente ci conducono ogni giorno alla gloria del paradiso o alle radici del male, viaggiando alimentate dall'energia del tutto e solo i pensieri saranno la materia prima di questo carburante. Concluso questo cibernetico inciso, la traccia parte ora con un mid tempo che si rivelerà essere il pre ritornello: il tutto procede lento e cadenzato, con la batteria che passa progressivamente dai quarti agli ottavi e le chitarre che insieme al basso allungano le loro note con un efficace bending. La velocità resta comunque dimezzata e a parlare ora è nuovamente la voce robotica; questo extraterrestre osserva come il nostro corpo altro non sia un'unità di più particelle subatomiche ma tutto questo è insignificante una volta che il corpo umano giunge alle soglie del cosmo. A darci una stabilità corporea è l'energia positiva generata dai nostri chakra e lentamente fluttueremo verso un buco nero nel quale il nostro corpo si dissolverà fino a non avere più massa. Prontamente i Pestilence riprendono a martellare con l'efficace pre ritornello, il pezzo quindi torna ad essere una piece di Death Metal cavernoso e sulfureo, con un agguerritissimo Mameli che cinicamente sentenzia quello che è il nostro destino: come una cometa, l'essere umano passerà attraverso gli eoni del tempo e nonostante egli abbia proliferato per secoli sulla terra non sarà altro che una traccia infinitesimale nell'esistenza di un universo ben più vasto ed eterno; ogni sua azione infatti è solamente un puntino nell'immensa linea del tempo, distesa tra passato e futuro posti agli antipodi, tutto succede simultaneamente alla nostra patetica vita, non ci rimane altro da fare che farcene una ragione. Dopo questa amara constatazione dell'inutilità dell'umanità i Pestilence tornno a spingere con lo sviluppo iniziale, la batteria riprende con il quattro quarti e nella nostra mente torna l'immagine del volo cosmico che conduce noi presuntuosi umani al cospetto di civiltà ben più evolute e degne di far parte dell'immenso ciclo dell'esistenza. La proiezione astrale volge alla conclusione con un'altro botta e risposta solista di Mameli e Dobles, che nuovamente ci regalao un asssaggio della loro maestria prima che i quattro convergano sul devastante sviluppo ritmico old school; una mazzata conclusiva e poi la brusca conclusione, con la musica che cade nel vuoto come ogni vana gloria dell'essere che si reputa il più evoluto di tutti.

Discarnate Entity

Con l'inizio della successiva "Discarnate Entity" ("Entità Disincarnata") i Pestilence ci regalano una splendida piece di melodia: ad avviare la traccia sono infatti le chitarre elettriche, le quali, su un sottofondo di sintetizzatori, si distendono attraverso una parte incisiva e sentita: mentre una esegue un arpeggio in pulito, l'altra si lancia in un ottimo passaggio solista, ma anche questa momento di respiro viene volutamente interrotto con un nuovo start al vetriolo. La partenza è infatti netta e diretta quanto un pugno nei denti, un vero e proprio must per tutti i fan del Death Metal vecchia scuola con tanto di doppia cassa in trentaduesimi e riff a dir poco tagliagole. Questa volta, Patrick Mameli ci guida negli oscuri abissi della psiche umana regalandoci un testo particolarmente introspettivo e buio; l'argomento principale infatti è la depressione, un male terribile che affligge l'individuo lasciadolo in balia delle paranoie e dell'assoluta mancanza di stimoli verso qualunque cosa. Proprio nel momento in cui l'essere umano è sommerso nel proprio vuoto emozionale, l'entità appare dal nulla ed inizia ad influenzare la persona con un'altra dose di energie negative, la tristezza è il cibo di questa misteriosa creatura ed ella brama di vederci soffrire quasi come se fosse la sua perversione principale. Dal soggetto isolato infatti la lirica passa lentamente a parlare di noi, l'axeman olandese infatti usa il discorso diretto per descrivere questa condizione, mettendoci al centro di una metamorfosi distruttiva che ci conduce verso l'abisso interiore. Immediatamente siamo avvolti da un'aura di oscurità che ci avvolge, ci stritola e ci lascia a terra spenti come vittime di un prosciugamento psichico ed e proprio questo momento di debolezza mentale che viene sfruttato dall'entità per darci il definitivo colpo di grazia. Conclusi i primi due terzi del pezzo, nel quale la struttura si è mantenuta su una linea abbastanza standard (sia ben chiaro, tenendo sempre presente che si parla dei Pestilence, famosi per la varietà continua di riff e cambi di tempo) l'ultima porzione della composizione vira totalmente su una nuova idea compositiva: dal quattro quarti precedente, la batteria di Septimiu H?r?an passa ad un tempo dispari degno dei più grandi nomi technical death, questo inciso dalle tinte jazz viene inoltre arricchito da un nuovo ritorno delle tastiere ma è solo una breve parentesi prima che si riparta nuovamente a dar mazzate nei denti con l'avvincente tupa tupa iniziale. I Pestilence ora viaggiano sull'alternanza di passaggio in your face e sessione più erudita, creando un andirivieni di tecnica e potenza davvero coinvolgente; dal mosh pit assetato di sangue si passa all'assaporare una dimostrazone di tecnica sopraffina, poi via di nuovo a dar spallate e di nuovo ad alzare le corna al cielo di fronte ad una maestria impeccabile, il tutto mentre il growl famelico continua ad inneggiare all'entità disincarnata che si nutre della nostra tristezza. Una volta arrivati alla conclusione del brano, possiamo tranquillamente affermare che "Discarnate Entity" riassume in se tutta la filosofia e la carriera dei Pestilence, dagli albori thrash fino al presente tecnicamente sopraffino, se non conoscete la band e volete farvi un riassunto di oltre trent'anni di carriera, questo pezzo può essere il vostro Bignami.


Subdivisions

Arrivati alla strumentale "Subdivisions" ("Suddivisioni") tutti i bassisti e più in generale gli appassionati delle quattro corde si preparino ad asciugarsi la bava alla bocca, perchè siamo di fronte all'unica traccia del brano non scritta dal mastermind dei Pestilence Patrick Mameli bensì dal bassista Tilen Hudrap. Il musicista sloveno è in forza alla band olandese fin dall'anno scorso, ma i suoi servigi sono resi anche ad altri progetti come Keller, Paradox, Vicious Rumors e Scepsis. Se siete fan dei Cynic non potrete adorare questa splendida performance solista di poco più di un minuto di durata, costituita unicamente da tre strumenti, pochi, ma capaci di creare una magia davvero degna di nota. Partiamo dalle tastiere, un suono etereo e di ampio respiro che mantiene per tutto il tempo un accordo di sottofondo il cui unico compito è quello di fissare sulla tela la tonalità del brano e poi arriviamo allo strumento principe, il basso, che si lancia in una frenetica sequenza di scale facedoci sentire ed apprezzare la fluidità delle dita sulle corde in ogni sinfogolo passaggio. Dopo una iniziale serie di armonici infatti, siglata addirittura da un gong per dare, oltre alla cesura della battuta, anche un alone di tribalità alla composizione, le mani di Hudrap iniziano a formicolare come dei ragni sullo strumento rendendo idealmente le note come dei puntini colorati su un foglio bianco. Immaginate di trovarvi di fronte ad uno specchio d'acqua ed iniziate improvvisamente, con le dita di entrambe le mani, a "punzecchiare" la superfice in maniera fulminea; la serie di infiniti cerchi concetrici che si formerà rende perfettamente l'idea di fluidità e morbidezza con cui questo dotatissimo bassista si regala un momento per sé all'interno del disco dei Pestilence. Di tanto in tanto, a seguire le note del quattro corde, si presentano anche delle percussioni tribali riverberate a scandire l'esecuzione con qualche accento, viene quindi naturale ritornare con la mente alle sale del palazzo di Babilonia dell'introduzione grazie a queste sonorità. Pur trattandosi di una piece tecnica "riservata" a pochi, "Subdivisions" è davvero gradevole, forse grazie anche alla sua breve durata, ma chi può dire se un paio di minuti in più avrebbero reso il tutto una mera prova di autocompiacimento o, al contrario, avrebbero concesso al musicista un maggiore spazio per esprimersi? Al vostro udito l'ardua sentenza. Quello che si può affermare con assoluta certezza è che questa estemporanea divagazione solista ci offre anche un giusto attimo di respiro prima di tornare nuovamente nella mischia.

Manifestations

Con l'inizio di "Manifestations" ("Manifestazioni") è ancora il basso ad essere protagonista, dato che l'incipit è affidato nuovamente alla sezione ritmica attuale dei Pestilence composta da Tilen Hudrap e Septimiu H?r?an. Basso e batteria partono insieme serratissimi, rendendo l'intero comparto ritmico devastante come un carro armato che avanza impetuoso. A rendere ancora più aggressivo questo poderoso sviluppo sono inoltre le chitarre, che fanno il loro granitico ingresso con un main riff che trasuda attitudine old school ad ogni secondo. Con questa composizione infatti i Pestilece puntano ad un approccio più diretto ed immediato, tornando indietro a quell'attitudine thrash che ha caratterizzato i loro primi lavori, la differenza sostanziale, ovviamente, sta nella maggiore caratura tecnica e qualità di suoni con cui quell'attitudine aggressiva e graffiante torna in auge del 2018, concedendo quindi al gruppo un provvisorio tuffo nel passato ma suonando con il livello attuale. Ad elevare "Manifestations" è il tema della lirica, che riconduce i quattro su argomenti decisamente elevati e filosofici come, in questo caso, le manifestazioni del divino di fronte alla percezione umana. La divinità, da itendersi come concetto metafisico e non da limitarsi a questa o quella religione, si mostra all'essere umano attraverso l'unità del tutto, che la rende la sua più lampante e chiara manifestazione; mostrandosi per ciò che è, però, ciò che trascende l'umana dimensione ci ipnotizza e ci pietrifica attraverso una gamma di frequenze che ci scuotono la mente ed imprimono in noi il verbo dell'oscuro manoscritto empio di cui si accennava nell'introduzione del disco. Una volta insinuatesi in noi, queste onde di influssi malvaggi iniziano ad impregnare la nostra anima diffondendosi in tutta la sua essenza, stratificandosi come fogli che lentamente ci ricoprono come un drappo funereo, al punto da trasformarci in involucri vuoti privi di un qualunque pneuma. Queste sono le manifestazioni, influssi maligni che prendono vita nell'apparire della divinità e si insinuano nell'uomo sotto forma di una nebbia plumbea che tutto pervade, seguendo un progetto divino superiore al quale noi esseri umani non possiamo prendere parte se non in qualità di forme di vita passive. Il concetto di fondo della lirica dunque è particolarmente machiavellico ed articolato, ma questa complessità è controbilanciata da una parte musicale decisamente in your face e più semplice da seguire: la batteria infatti procede sempre lineare sul quattro quattri, passando dai sedicesimi ai trentaduesimi e concedendosi qualche ricamo stilistico saltuario senza mai addentrarsi in soluzioni troppo astruse. La sei corde ed il basso invece si muovono in maniera semplice ma al tempo stesso geniale: tutte le idee che emergono nel corso del pezzo infatti sono delle varianti al tema del main riff, ogni passaggio dunque viene modellato su delle variazione alla sequenza di note principale, il che ci consente sempre di restare al passo con la traccia senza mai perderci, dato che ad ogni variazione possiamo percepire quelle sonorità come un qualcosa di familiare al quale i Pestilence ci hanno preparati ed "abituati" grazie all'avvincente sviluppo iniziale. Sul finale del pezzo i due chitarristi si alternano ancora una volta con le rispettive performance soliste, a dare il calcio d'inizio questa volta è Santiago Dobles, al quale si accoda poi il mastermind della band poco prima del ritornello concusivo, dove un netto ed enigmanitco "Manifestations" chiude questo ritorno alle origini dei Pestilence.

Timeless

Ben diversa è la successiva "Timeless" ("Senza Tempo"), con la quale i Pestilence tornano a viaggiare a bpm elevatissimi regalandoci una nuova prova di tutto il loro valore tecnico. Fin dai primi secondi infatti la canzone non ci concede un attimo di respiro, un rapido passaggio sui fusti e poi si parte con un tritacarne umano dove la doppia cassa di Septimiu H?r?an macina ossa e budella a furia di trentaduesimi. Le chitarre si lanciano furiose in un vero e proprio vortice di note, dove allo shredding serrato, il cui scopo è sostenere il cantanto, si alternano articolati saliscendi di scale negli incisi, trascinandoci con violenza in un vortice di furia sonora. L'unico momento di stacco, se così lo si può definire, è il dimezzamento di tempo che intercorre tra la strofa ed il ritornello: da una sequenza all'altra infatti si passa dal quattro quarti al mid tempo facendo qundi rallentare, ma solo di poco, il nostro headbanging per poi ripartire a spron battuto. Particolarmente interessante è la parte riservata all'assolo, dove a tenere altissimo il tempo è la doppia cassa di batteria, ma rullante e campana del ride passano rispettivamente agli ottavi ed a iquarti, dando un incedere più disteso alla parte. Anche il basso e la chiarra ritmica decelerano provvisoriamente, lasciando così alla chitarra solista un maggiore spazio di manovra per questa nuova colata di note eseguite con perizia soopraffina. Siamo sempre nell'elevato come argomentazioni: Patrick Mameli infatti ci accompagna in un excursus indietro nel tempo fino all'archetipo della civiltà, quando la realtà altro non era che un fiume di pensieri ed il tempo stesso non era ancora definito con il concetto attuale. La realtà stessa era costituita unicamente dall'allineamento degli astri, che come puntini luminosi nel cielo tracciavano la linea che avrebbero seguito gli eventi per il concatenarsi del destino. Gli antichi erano in grado di dare spiegazione di ciò che accadeva attraverso il loro rudimentale sapere, dove divinazione ed aruspicismo erano i segreti con cui poter interfacciarsi con gli dei e i primi rudimentali pensieri umani si spargevano nel mondo come granelli di un'unica clessidra. Nel ritornello, il chitarrista e cantante olandese assume ora i panni di portavoce di quegli antichi sapienti, rimarcando con decisione che loro sono i profeti senza tempo, coloro che esistono abbagliati dalla pura luce del sapere metafisico e la loro filosofia vive nei secoli senza corpo tangibile né età calcolabile. Così è stato e così sempre sarà: le regole di ciò che è fisico, cioè che esiste, e di ciò che non lo è, e va dunque al di la della percezione, continueranno a seguire la loro codifica al di fuori della nostra curiosità e di ciò che i nostri occhi sono in grado di vedere; per gli uomini moderni infatti queste leggi sono troppo criptiche e questo sapere è talmente antico, ancor più del tempo stesso, che il cervello umano non potrà mai possedere gli elementi necessari a comprenderlo. Tra spazio e realtà si cela quindi la linea di confine di questo ordine superiore ed insieme positivo, ying e yang si mescolano secondo un principio primo più ancestrale dell'uomo. Solo i profeti antichi sono in grado di comprendere queste leggi, ma il loro sapere è talmente vasto che sono diventati essi stessi delle idee metafisiche, sublimando dallo stato solido dei loro corpi a quello etereo e diventanto dunque parte dell'aere dell'universo. Loro sono i creatori della realtà e del vuoto eterno, i navigatori del mare astrale che guideranno i vascelli della conoscenza verso l'eternità e noi umani siamo dei mozzi che cadono in mare sballottati dalle onde della tempesta e vengono lasciati a mollo nell'oceano.

Ultra Demons

Particolarmente grintoso è l'attacco di "Ultra Demons" ("Ultra Demoni"), che pur calando nuovamente i bpm ci colpisce al volto senza troppi fronzoli: lo start infatti è serratissimo, dopo pochi secondi di feedback iniziale, con un fischio simile a quello di un elettrocardiogramma piatto che ci trapana il cranio, la batteria ci incalza con uno sviluppo lineare a doppia cassa spianata, mentre le chitarre ed il basso viaggiano su un main riff articolato le cui battute vengono scandite da un'ultima nota accentata. I Pestilence optano nuovamente per un tempo dispari, ma nonostante questa apparente avanzata sincopata, il tiro è decisamente granitico. La band dunque martella senza sosta con una potenza ineguagliabile, muovendosi compatta e dinamica in ogni passaggio fino alla parte centrale del pezzo, dove ancora una volta emerge la vena jazz fusion del combo. Dalla mitragliatrice iniziale ecco che gli olandesi passano ad uno sviluppo più progressivo, dove Patrick Mameli ci regala una nuova chicca solista siglata dal suo tocco tra i più rinomati del genere. Si parla ancora di creature ultraterrene, un argomento quindi simile a quello di "Discarnate Entity" o "Materialization", con la sostanziale differenza che in questa lirica l'approccio è maggiormente scientifico, pur mantenendo comunque una connotazione spirituale. La chiave di accesso dentro di noi per queste creature demoniache è la nostra debolezza, che viene descritta come come il portale vero e proprio attraverso cui gli ultra demoni entrano in noi. L'aggettivo "ultra" assume un significato ben preciso, esso ifatti non conferisce ai demoni solo una particolare possenza ma ha una radice più classica, volendo significare "ciò che sta oltre" la percezione umana. I demoni qui descritti dunque non rientrano nelle catagorie finora elaborate dall'uomo, ma si pongono ad esso come un qualcosa di sconosciuto e non catalogabile e per questo motivo da ritenersi particolarmente temibili. Come naturale conseguenza di questa osmosi attraverso cui i demoni si insinuano in noi prende forma forse ciò che più mina l'essere umano a livello di debolezza, l'goismo; l'assoluta mancanza di interesse verso gli altri individui ci isola da essi rendendoci custodi privati di questo male da cui nessuno può curarci, fra i tanti dubbi legati all'essenza dell'umanità vi è tuttavia la certezza che essere egoisti ci continuerà a plagiare nei secoli attraverso un processo di infestazione lento ma costante. Tutto ciò si ripercuote come un caos che dilania le meningi dell'uomo, pure dello stesso narratore Patrick Mameli, che, per riallacciarsi all'approccio scientifico succitato, riesce a quantizzare ed individuare questo stato di pandemonio mentale ad un solo khz di frequenza. Su questa determinata banda dunque passa una vera e propria scarica elettrica che ci affetta il cervello in due, lasciandoci in preda ad un dolore straziante fino a bruciarci completamente e lasciarci a terra inceneriti come carbone. Una volta che questi demoni si sono insinuati in noi iniziano a stratificarsi nelle varie fibre che costituiscono il nostro organismo e come dei fogli si incastrano nelle varie intercapedini facendo da spessore per questo male impossibile da definire. A causa dell'intrinseca, ma al tempo stesso approssimativa, razionalità forzata dell'uomo, queste creature non si riescono a vedere ed iniziano così a traviare la nostra percezione del reale: mentre cerchiamo di arginare le loro mosse, i demoni si sono già impatroniti di noi. I frutto della loro manipolazione, dopo l'egoismo, sono i sette vizi capitali, comportamenti che altro non sono che i sintomi dell'infezione avvenuta da parte degli ultra demoni. Ormai dobbiamo rassegnarci; superbia, accidia, lussuria, ira,gola, invidia e avarizia sono gli effetti collaterali di un farmaco come la razionalità che su di noi non agisce una volta che queste entità hanno compiuto il loro contagio, e su un'ultima avvincente sferzata solista di Santiago Dobles il pezzo si chiude fulmineo come un colpo apoplettico.

Layers Of Reality

Riprendiamo a mischiarci un po' le ossa con la penultima canzone dell'album, "Layers Of Reality" ("Strati Di Realtà"), la cui attitudine marcatamente old school farà andare su di giri tutti gli amanti delle sonorità aggressive e martorianti. Nessuna scala in sweep picking o campionamento di tastiere a far da preludio, solo un tupa tupa brutale snocciolato da Septimiu H?r?an senza alcuna pietà; nemmeno il benchè minimo spiraglio di respito, cassa, tullante e charleston sono gli unici componenti del set che predominano l'invincibile sviluppo ritmico, sinergicamente affiancato da un basso lineare che non svolta nemmeno per un istante. Il main riff di chitarra è ossessivo, claustrofobico, come se una mano scheletrica ci afferrasse per la collottola ed iniziasse a scuoterci fino a farci perdere conoscenza. L'unico frangente nel quale la struttura del brano sembra aprirsi provvisoriamente è il ritornello, dove sulla parola "layers" ("strati") la sequenza di due note discendenti di tonalità si distende per pochi secondi, dopodichè si viene rigettati nuovamente nel tritacarne dei Pestilence. Dal punto di vista compositivo, questa traccia si pone come un file "zip" di quanto sono in grado di fare i Pestilence: qui infatti troviamo tutto ciò che un fan del Death Metal possa andare cercando in un brano, la furia omicida in primo piano, poiché da una band chiamata pestilenza non si dovrebbe voler altro se non una scarica di violenza sonora, velocità che come abbiamo già apprezzato abbonda copiosa ed un pizzico della tecnica che ha reso famosi i quattro musicisti del combo olandese, senza però esagerare, dato che "Layers Of Reality" risulta marcatamente più immediata rispetto ad altre composizioni dell'album. Ad elevare ulteriormente la struttura per uniformarla meglio ai canoni dei Pestilence è il tema focale del testo, che ancora una volta viaggia sul filosofico di matrice schopenhaueriana e kantiana: la realtà così come noi la percepiamo non è costituita da un unico "blocco" di oggetti posto di fronte ai nostri occhi, ma è suddivisa in stradi, ognuno dei quali si distigue dagli altri per le sue caratteristiche precise e ben definite. Ciò che noi prendiamo per postulato essere la realtà altro non è che un frammento del tutto, la nostra percezione quindi è labile ed assolutamente pressapochista, la verità assoluta non si nasconde in maniera ancestrale nella nostra memoria, come alcune teorie sostengono, anzi, nulla di più lontano dal vero, dato che la verità non si trova collacata in un unico punto ma è suddivisa sui vari strati del reale. Essi però non appaiono organicamente sovrapposti come i ripiani di un mobile, ma si intersecano tra loro in una trama articolaa e vasta quanto un labirinto. La nostra mente tenta di farsi forza invano, dato che gli elemnti a disposizione per riuscire a penetrare questo mistero non sono sufficienti. Per prima cosa infatti occorre nutrire il nostro ego non con la vanità ma con la conoscenza, ed è una cosa che non è così facile come sembra, poiché la realtà si rivela a noi complessa ed illusoria, come un muro con più finestre che non danno tutte sullo stesso paesaggio, ma al contrario ognuna ci offre panorami diversi. Tutto esiste nel qui ed ora in maniera simultanea ed è questo che la nostra mente primitiva non riesce a capire: gli strati sono ben divisi ma non facili da vedere, eppure ci sono, le leggi del bene del male restano intatte, e forse questo è uno dei pochi punti fermi che abbiamo, ma esiste un nucleo ben più profondo da raggiungere per ottenere la conoscenza. A debilitarci nuovamente è la nostra debolezza causata dall'egoismo (ecco quindi il collegamento tematico con la traccia precedente) che ci distoglie dal percorso rendendoci sempre in ritardo rispetto alla tempistica del reale. La realtà si stratifica secondo un criterio preciso ed in un dato momento, un istante esatto che noi manchiamo sempre per pochi secondi, risultando sempre i ritardatari della rigida timeline dei fenomeni del cosmo.

Electro Magnetic

Il disco si chiude con "Electro Magnetic" ("Elettromagnetico"), il cui titolo ben esprime la velocità alcalina di questa traccia conclusiva. Dopo una rapida introduzione, nel quale ascoltiamo il suono di una scarica elettrica che si diffonde, ecco i Pestilence partire di nuovo in quarta con uno sviluppo ritmico che non lascia scampo. Anche in questo caso è l'attitudine old school a predominare, la ritmica di batteria infatti viaggià serrata sul tupa tupa calpestandoci le ossa senza pietà ma a differenza di "Layers Of Reality", Mameli e soci puntano adesso su spunti compositivi maggiormente articolati. Il main riff di chitarra infatti si costituisce attorno ad una complessa sequenza di note sempre in continua evoluzione, una vera e propria cascata di pennate che non solo dimostra, come se ce ne fosse bisogno, l'immenso livello tecnico della band ma inoltre ci tiene sempre desti a livello di attenzione. Pur non essendo un riff immediato, anzi tutt'altro, la velocità ed il tiro con cui esso ci viene mitragliato nei denti fa di questo pezzo un giusto compromesso tra la piece di Technicl Death Metal pura e la sequenza di calci in faccia vecchio stile. Le note sono particolarmente serrate, tanto che nella strofa ci sembra quasi di apprezzare una concatenazione di passaggi più simile al Black Metal, eppure siamo su tutt'altro pianeta, quello dei Pestilence, che chiudono in bellezza il loro nuovo album con un pezzo diretto e senza pei sulla lingua che vi trita le viscere senza nemmeno offrirvi da bere. Dal punto di vista lirico viaggiamo ora tra lo scientifico ed il pensiero filosofico di Leibniz: l'universo è costituito dall'interazione molecolare che i vari atomi hanno tra loro, i quali, si mescolano in un vortice di nero cosmico che trasuda negatività. Tutte queste forze oscure altro non sono che la quintessenza di una forza elettromagnetica che ci scuote e ci piega come foglie sotto il peso della sua potenza. All'interno dei vari reami della natura vi è poi una creatura famelica che si nasconde è si ciba del sangue e dei pensieri degli esseri viventi, un vampiro psichico che affonda i suoi canini dritto nei nostri cervelli per svuotarci e lasciarci a terrà vuoti e privi di ogni essenza vitale. Di questo essere non vi è prova tangibile, ma solo la sua maligna presenza, ecco quindi il perchè non siamo in grado di vederlo ma siamo destinati a subire le sue aggressioni senza minimamente poter provare a difenderci. Proprio con l'arrivo del ritornello, dove il pezzo vira su un incedere particolarmente più articolato, ecco che Patrick Mameli sembra descrivere un modo per ripurificare gli esseri umani infettati dal vampiro. Per rigenerare questi esseri ormai ammorbati interviene l'Hadeon, che qui viene interpellato in qualità di elemento dominatore delle forze fondamentali conosciute nel mondo fisico; esso anima delle nuove creature misteriose capaci di combattere il vampiro, ed anche queste forze sono extraterrestri ed ignote all'uomo, quindi non siamo in grado di spiegare questo processo secondo la nostra ragione. Durante tutto il percorso lirico concettuale di "Hadeon" dunque, l'umanità appare come una parte assolutamente irrilevante e minimale del cosmo superiore, un granello di polvere sul marchingegno metafisico che si muove e segue il suo percorso senza minimante curarsi dei sette miliardi di inutili che popolano il pianeta. Il brano nel mentre prosegue ancora su una nuova alternanza di strofa e ritornello, dove il tempo accelera e decelera secondo schemi tipici del jazz, e non limitandosi dunque ai soli intervalli regolari. Un ciclo si chiude, un altro prende avvio e così sarà per i prossimi millenni, mentre noi umani restimiamo inermi e ciechi nel tentare di osservare e dicifrare questo ancestrale ed eterno ordine supremo.


Conclusioni

"Hadeon" è sicuramente un disco articolato, complesso e strutturato ma che sa comunque arrivare dritto al cuore dei fan non solo dei Pestilence ma più in generale di tutti coloro che amano sconquassarsi il cervello con sonorità estreme e tecniche. Patrick Mameli e compagni si sono fatti aspettare, addirittura mettendo in giro voci sulla prossima fine dell'avventura della band, ma come una splendida donzella si fa aspettare sull'uscio per poi farsi perdonare regalandoci emozioni intense durante la serata, allo stesso modo ha fatto questo nuovo full lenght del gruppo olandese. Bisogna comunque fare una premessa: gruppi come i Pestilence non sono purtroppo alla portata di tutti sia sul fattore strumentale che concettuale, la loro generale complessità machiavellica su entrambi i fronti, ahimè, "isola" proposte come questa ad una metaforica "elitè" di ascoltatori più predisposti verso quest tipo di sonorità. È un dato di fatto che in giro abbondino i classici ascoltatori che ricercano la facilità e l'immediatezza in un disco, ma è altrettanto vero che le stesse parole "facile" ed "immediato" rappresentano dei concetti puramente soggettivi ed opinabili: per chitarristi come Parick Mameli, per esempio, è facile suonare un riff in sette quarti terzinato o suonare in sweep picking a 150 bpm, cose che per musicisti meno allenati risultano invece piuttosto impervie, quindi dove porre la linea di confine tra il complesso ed il semplice? Ma andando oltre queste discussioni filosifiche, ciò che importa è che per chi invece possiede un orecchio ben allenato e preparato per assimilare dischi technical death, "Hadeon" è un'emozionante avventura, una specie di spedizione pionieristica in un mondo più vasto e complesso. Immaginate dunque la vostra abituale dimensione come costituita solo da sonorità non particolarmente complesse, Patrick Mameli è l'esploratore che vi prende per mano e con un machete nell'altra vi fa strada all'interno di una giungla la cui fitta vegetazione è composta da tempi dispari, sonorità dissonanti, intervalli irregolari e quant'altro, e lo stesso si può dire dei testi: il musicista olandese, ma di origini italiane, non cela assolutamente la sua passione per determinati argomenti umanistici che spaziano dalla filosofia pura, alla spiritualità fino alla fantascienza. Le liriche di queste tredici canzoni prendono dunque i concetti e le teorie di Isaac Asimov, Immanuel Kant, Arthur Shopenhauer e di Gottfried Leibniz e le mescola all'interno di un calderone il cui brodo è fatto di un Death Metal altamente raffinato. Per ottenere questo risultato i Pestilence si sono presi il tempo che era loro necessario, ben cinque anni lo separano dal predecessore "Obsideo" e benchè nel mentre le uscite e l'attività live del gruppo non si siano mai fermate, la scrittura dell'ottavo capitolo discografico ha riechiesto una lunga gestazione, che però è stata pienamente concretizzata con un risultato degno del nome che porta sulla copertina. Dal punto di vista squisitamente artistico infatti, l'attesa dei fan può dirsi appagata sotto ogni aspetto ed anche per quanto riguarda la postproduzione siamo di fronte ad un album perfettamente in linea con gli stilemi di uno dei nomi capostipite di un genere. Le registrazioni di "Hadeon" si sono svolte tra il giugno ed il settembre del 2017, passando dai tedeschi Spacelab Studios agli sloveni DMN Studios per poi giungere al mastering finale eseguito ai celebri Unisound Studio in Svezia. Ogni singola fase quidi è stata vagliata e seguita non solo dal sempre attentissimo Patrick Mameli ma anche da uno staff tecnico assolutamente all'avanguardia, il meglio in circolazione per ottenere un disco che suonasse grosso, pesante e potente ma anche fluido e cristallino, il giusto connubio per ottenere la "cicciosità" sulle parti ricche di basse, come i passaggi in palm muting e i breakdown ritmici ed allo stesso tempo la liquidità e la freschezza degli arrangiamenti solisti, che fanno di ogni passaggio di chitarra una goccia pura e rinfrescante quanto l'acqua di un ruscello di montagna. Quanto contenuto in questo album dunque è un prodotto assolutamente al top della propria gamma e benchè questi pezzi risultino particolarmete articolati e complessi (anche chi scrive ha necessitato di un ascolto ben più sostenuto e scaglionato delle singole tracce) nulla vieta di porre una maggiore attenzione a questa tracklist per arrivarne a snocciolare l'essenza. Se vi aspettate che "Hadeon" si riveli in tutta la sua complessità al primo ascolto, magari mentre siete impegnati a svolgere tutt'altro, siete fuori strada, ma se invece volete cimentarvi in un ascolto più meditato ne resterete particolarmente sorpresi: prendete dunque questo lavoro come una teglia di lasagne al forno: ci impiegherete mezza giornata per digerirla ma ne sarà valsa la pena. Se la pecca di "Hadeon" è quella di stupire i pochi, di contraltare quei pochi ne resteranno non solo soddisfatti ma letteralmente a mandibola scardinata per il positivo stupore.


1) Introduzione
2) Unholy Trascript
3) Non Physical Existent
4) Multi Dimensional
5) Oversoul
6) Materialization
7) Astral Projection
8) Discarnate Entity
9) Subdivisions
10) Manifestations
11) Timeless
12) Ultra Demons
13) Layers Of Reality
14) Electro Magnetic
correlati