PERTURBATOR
Lustful Sacraments
2021 - Blood Music
DAVIDE PAPPALARDO
05/10/2021
Introduzione Recensione
James Kent, conosciuto dai più come Perturbator, è probabilmente ad oggi il nome più noto e significativo del fenomeno synthwave, soprattutto presso un pubblico di estrazione metal. Figlio dei musicisti trance e critici musicali Nick Kent e Laurence Romance, il nostro cresce a Parigi entrando sia a contatto con la scena metal estrema della città, sia con il suo lato più elettronico legato al cosiddetto "French Touch". Ecco quindi che contemporaneamente alla sua militanza come chitarrista in vari gruppi black metal underground, inizia a pubblicare poco più che maggiorenne una serie di EP e album digitali legati al lato più oscuro e distopico dell'allora crescente scena synthwave. Suoni, copertine e atmosfere che richiamano in modo esplicito il mondo cyberpunk di film, fumetti, libri, giochi da tavolo e in modo particolare le scenografie al neon degli anni '80, tra città sovraffollate, crimini digitali, corporazioni, pioggia perenne, donne fatali. Grazie a essi il giovane artista riesce in poco tempo a creare una certa attenzione verso la sua proposta, esponendo inoltre molte persone non necessariamente avvezze a certe sonorità alla synthwave. Siamo nei primi anni dieci del terzo millennio, imbastiti da uno Zeigeist nostalgico che perdura ancora oggi, fatto di continui richiami e addirittura remake più o meno riusciti di prodotti culturali fermamente piantati negli anni '80. Se la synthwave nasce come figlia di questo clima culturale partendo dai lati più dolci e legati all'infanzia e adolescenza di molti, tra tramonti, spiagge, auto di lusso, con Perturbator si sporca di nero e subisce impianti cibernetici, creando quella che per la gran parte del pubblico è la sua emanazione più familire. In poco tempo nascono diversi epigoni, portando anche all'uso di termini come darksynth per distinguere la nuova corrente, e altri musicisti come GosT o Carpenter Brut aggiustano il tiro portando anche l'horror e l'occulto, elementi verso cui anche Kent strizzerà l'occhio nella sua discografia. Ascoltando i suoi lavori si nota in realtà un'iniziale aderenza a molti topoi della synthwave "classica", accelerati e resi più incalzanti, man mano però uniti a elementi nuovi come la presenza di tracce cantate con voci femminili, ingerenze dalla scena dance moderna, e ancora più recentemente i primi esperimenti con suoni più duri di estrazione industriale e EBM. Nel mentre una serie di live dove viene anche accompagnato da turnisti regalano una dimensione più fisica al suo suono, lanciando la moda dei concerti synthwave con chitarre e in scaletta con gruppi metal, seguita da molti colleghi e oggi ormai praticamente la norma. Un qualcosa in più fa risaltare il musicista, considerato ormai un pioniere e rappresentante di un certo suono, e l'etichetta finlandese Blood Music, tradizionalmente legata al metal, inizia a pubblicare i suoi dischi in formato fisico, dando poi spazio anche ad altre realtà simili come Dan Terminus e diventando anch'essa sinonimo di una certa nicchia musicale. L'album del 2016 "The Uncanny Valley" segna l'apice di quello che potremmo definire il periodo classico del progetto, dando la forma forse più ridefinita del suo suono synthwave e presentando il maggior numero di tracce con cantato finora raggiunto. L'anno successivo viene rilasciato l'EP "New Model", primo vero momento in cui s'intuisce la necessità da parte di Kent di andare oltre i confini stabiliti con il suo suono. Qui spesso tutto si fa più lento e atmosferico, e vengono inseriti addirittura elementi electro-industrial dai toni decisamente più duri, cosa che allarmerà alcuni puristi pronti a decretare la morte della synthwave. In realtà ci vorranno ben quattro anni per vedere i risultati di questo processo, interrotti solo dal singolo "Excess" lasciato su YouTube senza molte presentazioni, ulteriore spiazzamento per gli ascoltatori a causa dei suoi suoni post-punk pieni di decadenza e malinconia. Chi però ha seguito anche le altre espressioni della carriera dell'artista francese non deve essere troppo scioccato; il suo progetto parallelo L'Enfant De La Forêt, attivo dal 2014, presenta un suono dove noise, musica da colonna sonora, chitarre, ambiet, trip-hop si mischiano sotto un'estetica sadomaso e oscura, mentre con i Ruin Of Romantics viene dato spazio a neri romanticismi dal sapore goth. Era quindi chiaro il desiderio di esplorare altri territori, e inevitabile che la cosa incominciasse a influenzare anche il suo progetto di maggior successo. Ancora una volta, inoltre, concorre un certo clima in seno alla frangia più dark della synthwave, dove diversi nomi incominciano a mischiare il genere con elementi esterni creando ibridazioni come quelle intraprese da GosT, a metà tra darkwave e black metal, o Carpenter Brut con le sue commistioni glam. Il risultato è il disco che andiamo ora a recensire, ovvero "Lustful Sacraments", pubblicato sempre per la fida label finlandese. Celebrato da molte testate come la fine del suono synthwave da parte di Perturbator, in realtà il disco è in linea sotto molti aspetti e suoni con quanto fatto negli ultimi due dischi del nostro, ma allo stesso tempo presenta momenti inequivocabilmente legati ai tratti oscuri degli anni '80, con diversi rimandi al post-punk, new wave, e anche un frangente dal sapore EBM/eletro-industrial che porta avanti il discorso di "New Model". Non un abbandono della synthwave quindi, ma un'ennesima ibridazione che cerca di sposare i tratti già oscuri delle atmosfere noir e cyberpunk del passato con quelli decadenti della musica dark, sempre seguendo la filosofia della ripresa e della nostalgia, rielaborate e reinterpretate, che è alla base del genere stesso. Qui intervengono alcuni ospiti con la loro voce, come gli inediti e misteriosi Maniac 2121 e BELIAL o la band post-punk/shoegaze True Body, dando una maggiore presenza umana al disco e presentando ancora più cantato in tracce che accolgono anche la forma-canzone, mantenendo però alcune bass-line e ritmiche tipiche delle cavalcate synthwave. Un disco che ha fatto molto parlare di nuovo di Perturbator, in realtà non perfetto e con alcuni tratti forzati nella sua unione di suoni, ma che stabilisce quello che forse è un nuovo punto di partenza per il genere e per il suo rappresentante più famoso.
Reaching Xanadu
"Reaching Xanadu" ci accoglie con i suoi timbri grevi e oscuri, raggiunti da ritmiche spezzate e tensioni dal sapore cinematico, unendo tratti di elettronica IDM e plumbee atmosfere che sanno di nostalgia e mistero. Una traccia strumentale che suona come l'introduzione a un film, un pastiche di nemmeno due minuti che ha più un ruolo legato all'economia del disco e alla strada verso la successiva title track, piuttosto che una vera valenza distaccata. Essa ci introduce però ad alcuni concetti del disco, unendo suoni presi dal passato del progetto e tratti più neri e dilatati, anticipando quel suono ibrido che dominerà l'album, senza però svelare troppo. Il sapore cinematografico non è per nulla inedito nella discografia di Kent, e si mantiene la tradizione dove ogni disco è una sorta di film sonoro con una trama non esplicitata, ma presente nei testi e nei video; qui il filo conduttore è quello dell'eccesso, del desiderio, della dipendenza e del sottile filo che separa dall'autodistruzione, sublimazione delle esperienze del musicista passato dall'adolescenza all'età adulta in contemporanea alla sua creatura sonora, scoprendo i piaceri e i vizi della vita del musicista di successo, e anche le conseguenze che si annidano dietro di essi. Un concept decadente che da un aspetto anche più personale e realistico a quei toni noir che sono sempre statti alla base del mondo di Perturbator.
Lustful Sacraments
"Lustful Sacraments" è la prima traccia vera e proprio del disco, probabilmente non a caso omonima al titolo dell'album stesso. Essa è dotata comunque di un testo ancora minimale e dalle poche parole, più intento a suggerire piuttosto che narrare esplicitamente, gettando però le basi per i temi di ricerca disperata di un senso esistenziale che non viene trovato. Sul piano musicale invece veniamo subito lanciati nelle novità del disco, tra chitarre ariose ad accordatura bassa e drum machine cadenzata che si muove tra melodie tristi ed evocative. La nostalgia verso gli anni '80 della synthwave cambia qui soggetto toccando il lato dark dell'epoca, tra Sisters Of Mercy e Bauhaus, presentando anche un cantato pieno di riverbero e leggermente nascosto nell'impianto musicale. Notiamo già ora una tendenza del disco, ovvero la presenza di cantanti che sono più dei narratori o meglio dei crooner, effetto questo che a volte limita le potenzialità delle tracce sotto il profilo lirico. Il narratore ci presenta una visione legata alla copertina del disco, giocata sul contrasto cromatico tra il nero delle ombre e i colori caldi delle luci di un fuoco, intorno al quale avvengono baccanali di cui vediamo solo delle ombre proiettate. Vie lunghe che si estendono tra i saloni, dove noi sappiamo perché siamo giunti fino a qui, cercando un Dio che non troviamo, così come non troveremo delle risposte. Poche parole come detto, ma che consegnano pienamente il mondo estetico del disco e della traccia, decadente, dal romanticismo nero, impregnato del onore di una sorta di eroe tragico che invano cerca un senso per un'esistenza dettata dal caso, tra vizi, passioni, aneliti verso una divinità che non si trova in nessun luogo. La musica si apre a parti ariose e dall'epicità evocativa, e non risparmia alcuni timbri elettronici più grevi che coniugano gli elementi synthwave con i nuovi innesti post-punk. La struttura si basa molto sulla durezza delle ritmiche messa in contrasto con i suoni di synth pregni di emotività, creando contrasti semplici, ma effettivi. Al quarto minuto raggiungiamo una cesura fatta da loop soavi, raggiunti poi da un fraseggio e da rullanti cadenzati: ecco che una cascata di colpi secchi e arie ulteriormente gloriose stabiliscono un climax dove effetti elettronici si amalgamano alle chitarre e alla batteria.
Excess
"Excess" prosegue il discorso musicale del disco, questa volta però accelerando i tempi e affidando il cantato all'ospite Maniac 2121, capace d'imprimere un timbro profondo alla sua interpretazione che, pur senza far gridare al miracolo, mantiene una certa competenza e riesce ad adattarsi al suono vivo e presente. Colpi in quattro quarti di drum machine spingono avanti una cavalcata meccanica basata su una linea vibrante, pronta a esplodere in loop di chitarra dai suoni inevitabilmente nostalgici e dal ritornello incalzante. Quasi un sospiro, la voce del cantante ci descrive i suoi eccessi, come oggi abbia preso troppo (riferendosi non apertamente, ma in modo intuibile, alla droga) nello stesso modo in cui ha già fatto nei giorni precedenti. Si rende conto di non poter vivere senza, caduto in un abisso demoniaco dove il vizio si sta prendendo la sua vita e tutto il resto, rendendolo semplicemente un uomo senza un'anima. Musicalmente l'urgenza del comparto musicale traduce in note l'agitazione esistenziale e l'atmosfera febbricitante del suo stato mentale, pronto a esplodere come nella cantilena incalzante del ritornello in una celebrazione e allo stesso tempo denuncia dell'eccesso che lo domina e lo controlla. Sessioni quadrate si aprono quindi a loop di chitarra squillante dal sapore dark, unendo le logiche quadrate della synthwave alle malinconie del post-punk e offrendo anche alcune bass-line distorte che vanno a potenziare il senso di oppressione che si nasconde sotto ai tratti più emotivi. Cesure più aperte ci mostrano bei fraseggi di chitarra contornati dai colpi duri della drum machine, in un gusto quasi industriale che richiama gli esperimenti di gruppi come The Neon Judgement in campo post-punk, ma mantenendo sempre una certa semplicità strutturale che collima in parti ambient dai tratti oscuri. Ecco quindi il finale dove alcuni colpi cadenzati annunciano un'ultima corsa lanciata verso la dissoluzione sonora. Con sopresa, la cosa però non finisce qui: un po' come succedeva con i Depeche Mode di "Violator", troviamo una coda sonora fatta di climi elettronici dai suoni diafani, che languidamnete ci porta verso la traccia successiva.
Secret Devotion
"Secret Devotion" vede la presenza del progetto shoegaze/post-punk True Body, che con il suo apporto offre uno dei momenti più emozionali e melodici del disco, una sorta di richiamo ai suoni techno-pop più gotici, ed è impossibile non richiamare in causa i già citati Depeche Mode e lavori come "Violator", ma anche "Music For The Masses" e "Black Celebration". Ecco quindi una ritmica robusta sorretta da synth roboanti e da un cantato lascivo e baritonale, intento a illustrare immagini vampiresche fuse con allusioni ben più allarmanti e tratti di noia e disperazione esistenziale, ancora una volta portando avanti l'immagine di un'esistenza decadente e segnata dal vuoto. Il nostro sangue è sulle labbra di una persona amata, che deve inginocchiarsi per noi, intenta a suggellare l'atto con un bacio mentre l'amore è qualcosa di vivo nei nostri occhi e nelle nostre menti. Riff di chitarra si affacciano tra i rullanti di batteria, ma presto veniamo raggiunti da ariose malinconie dal gusto emotivo, e di conseguenza anche il cantato assume tratti più melodici e passionali. Qualcosa giunge a noi, e sappiamo che gli latri piangeranno, noi ci proveremo sperando di esserne ancora capaci. Tutto sembra così diverso ora che abbiamo premuto il grilletto, e vorremmo mostrare come si può uccidere a comando. La musica raggiunge così un ritornello saturo di riverberi vocali e dal galoppo costante, climax sonoro e tematico che in realtà annuncia una sessione dalle suggestioni mutevoli. Un lento bacio basterà a mostrare tutto, siamo andati giù al tempio (altro richiamo alle immagini della copertina, e collegamento tematico del disco?) che si trova in un non luogo, siamo tornati indietro stanchi di un ciclo malato, vogliamo ripulirci, ma vivere da deboli ha il suo costo (ora la voce diventa una narrazione), e basta dare poco per perdere molto, ma promettiamo che non perderemo più. Torniamo quindi ai ritornelli già incontrati e alle loro evoluzioni, raggiungendo ancora il climax fatto di colpi ossessivi e vocals filtrate passionali, ripetute fino alla loro conclusione insieme a suoni fischiati e infrante con un assolo di drum machine che diventa la base per una coda conclusiva più dura e tetra, che anticipa i temi del epzzo successivo.
Death Of The Soul
"Death Of The Soul" è il momento più elettronico e duro del disco, richiamo ai suoni di "New Model" e traccia che tocca suoni EBM ed electro-industrial, suoni che Kent ha sempre dichiarato come vicini al suo gusto e sensibilità. Qui troviamo come ospite una voce femminile semplicemente chiamata BELIAL, intenta a recitare il testo in cirillico che ci consegna tratti di dissoluzione e promesse di falsa eternità dal sapore nichilista e distruttivo, rispettando il titolo del disco e il clima duro e oscuro della traccia. Una bass-line tipicamente EBM sorregge ossessioni ritmiche fatte di kick pesanti, mentre in sottofondo tetri tratti noir stabiliscono un substrato malevole. Alcuni elementi synthwave trovano spazio grazie a synth vibranti e parti spezzate, stabilendo un collegamento con il passato, mentre alcune oasi sonore più emotive riportano in gioco, per poco, le ariosità post-punk che caratterizzano l'album. Chiudiamo gli occhi, vogliamo qualcosa in più, vogliamo essere lasciati andare non sentendo più nulla, nessun male, sarcasticamente asserendo che solo noi siamo felici ed eterni al contrario degli altri, perché ora siamo nel nulla della morte. La seconda parte della traccia vede un maggior spazio per i tratti cinematici del suono, mettendo da parte i climi più roboanti iniziali e chiudendo il viaggio con chitarre malinconiche seguite da code ambient.
The Other Place
"The Other Place" è una traccia strumentale che fa un po' da spartiacque tra le due metà dell'album, un episodio dominato dai sempre presenti colpi di batteria elettronica e da arie sonore melodiche e malinconiche, potenziate dagli innesti post-punk anche qui presenti, e soggetto ad alcuni cambi di tempo che ci consegnano un movimento dinamico. Data la natura strumentale e il ruolo più presente di tratti cinematici e suoni di synth, si tratta forse del momento più vicino al passato del progetto, pur usando come detto anche i nuovi suoni che dell'album. Un senso onirico ben rappresenta il titolo della traccia, un altro luogo indefinito che potrebbe essere uno spazio mentale, così come una dimensione mistica e occulta; la mancanza di testi lascia libero spazio all'interpretazione dell'ascoltatore. Ecco quindi suoni profondi sottolineati inizialmente da passi lenti, cadenzati e duri, mentre aperture ariose lasciano spazio a suoni evocativi e pieni di tristezza. Arrivano anche i loop di chitarra ad accordatura bassa, pronta ad accompagnare anche galoppi più concitati, destinati ad assumere identità più elettroniche prima di incontrare di nuovo lo strumento a corda in una chiave più distesa e placida. Non mancano ritorni ai suoni iniziali, in un andamento fatto per creare movimenti mentali e cinematici, giocando con alcune suggestioni emotive. Raggiungiamo così una corsa sorretta da una ritmica ancora più concitata e dai suoni di chitarra, destinata a chiudersi presto concludendo il nostro viaggio con un dialogo campionato.
Dethroned Under A Funeral Haze
"Dethroned Under A Funeral Haze" vede il ritorno di Maniac 2121 in una traccia dalle atmosfere plumbee e dilatate, giocate su synth gotici, passi rallentati, fraseggi notturni e aperture melodiche evocative. Le vocals mantengono un gusto baritonale arricchito di riverberi, mantenendo uno scenario nebbioso e dalle tinte scure; esse ci parlano della morte e degli ultimi istanti di vita, in un testo quindi decisamente lugubre e conciso nei suoi versi che compongono una sorta di poema decadente. Lasciamo che le nostre bracciano scendano giù, e che la nostra pelle diventi grigia, mentre lasciammo questo luogo passando dall'altra parte. Il nostro corpo è sul terreno, di faccia, e sappiamo che non vedremo un altro giorno. Siamo solo uno spreco, e chiediamo di essere lasciati a marcire. La musica mantiene quindi una marcia funerea lenta dove i colpi di batteria sono dilatati e i fraseggi ripetuti in loop, mentre improvvise onde di tastiera consegnano tratti quasi cosmici, presto però sostituiti dal mantra portante. Molti dei topoi del mondo dark anni '80 sono qui volutamente presenti sia sul piano testuale che sonoro, la struttura vede la ripetizione delle sequenze descritte fino al raggiungimento di una cesura dominata da tensioni elettroniche subliminali; essa prosegue in una coda cinematica dal sapore dark ambient, che cambia registro mostrando l'elemento immaginifico caro alla produzione classica di Perturbator. Quasi un "pezzo nel pezzo", che va a consumarsi nella traccia successiva. Un episodio dalle buone atmosfere, ma che suona un po' come un pastiche e segue una scrittura abbastanza semplice e minimale, risultando meno elaborato rispetto ad altri episodi del disco.
Messalina, Messalina
"Messalina, Messalina" ci accoglie con una drum machine potente e pestata, contornata da suoni dal gusto industriale; ecco che synth squillanti e vocals sommesse, quasi radiofoniche, ci introducono in un melodramma intinto di romanticismo nero, per un testo che ancora una volta usa volutamente temi cari al mondo dark anni '80 e a gruppi come The Sisters Of Mercy. Una misteriosa figura femminile è la protagonista delle parole enunciate, forse legata alla figura storica della moglie dell'imperatore romano Claudio, passata nella storia come figura legata a storie di lussuria, perversione, decadimento, e anche come complice con il marito della messa a morte di varie figure scomode. Insomma, un perfetto simbolo per i temi di desiderio e decadenza che dominano il lavoro. Tutto è pieno di amore e devozione, mentre aspettiamo un segno, un fine che giustifichi i mezzi, un monumento per il nostro piacere. Ripensiamo alla copertina del disco, alle ombre di persone inebriate che danzano in un baccanale post-gotico all'interno di una cattedrale cyberpunk, e non è difficile legare queste parole a quell'immagine. Le mani di Messalina guidano il nostro percorso mentre la notte si avvicina, in un viaggio fatto di sporco e follia, nel quale ci diciamo che non possiamo fallire. Ecco che la musica conosce accelerazioni dalle galoppate robuste e maestose, in un ottimo connubio di ritmica, tastiere e chitarre ad accordatura bassa che si dimostra probabilmente il momento migliore in un lato B un po' sottotono rispetto alla prima metà del disco. Assoli di batteria e versi inquietanti ci portano verso una ripresa dei synth imperanti ed epici, mentre una nuova corsa offre momenti ancora più altisonanti grazie a strati di chitarra allungati. Una sorta di falso finale è riservato a tratti malinconici dai drone notturni, che come da abitudine vanno a collimare con fraseggi delicati e strati spettrali, creando una lunga coda che va a scontrarsi con una sequenza di batteria monolitica e suoni emotivi, consegnandoci un climax dove compare anche un rullante molto black metal. Rallentamenti ulteriori creano un'atmosfera acida e quasi distorta, in un non-tempo dove anche le chitarre si fanno quasi doom, in un songwriting inventivo che chiude così il pezzo.
God Says
"God Says" vede la presenza del gruppo gothic/doom HANGMAN'S CHAIR per un finale del disco che vocalmente ricorda molto i tratti di Gavin Friday dei Virgin Prunes, soprattutto nel ritornello arioso ed emotivo. Musicalmente, la traccia ci accoglie con suoni plumbei e sospesi, instaurando un'atmosfera delicata che configura sin da subito il pezzo come una "ballad" di chiusura, naturalmente sempre dalle tinte scure e tenebrose, ma qui con una forte fragilità esistenziale. Dopo una intro fatta di synth, chitarre gotiche e cantato sospirato e dolce ci accolgono in un suono intimo che tira il punto della situazione sul tema del disco, descrivendo il mondo al neon che ci circonda e la sensazione di gelo che proviamo, portandoci a considerazioni sulla mancanza di un divino nella realtà, fatta in realtà di decadenza e autodistruzione perseguita in nome della soddisfazione dei nostri piaceri e vizi, dove l'unica risposta che possiamo ottenere a delle preghiere, è un messaggio di assenza. Inseguiamo quindi la sensazione di gelo dentro, di disgrazia, mentre le luci al neon lampeggiano intorno a noi come milioni di pire infuocate per riti pagani. Tutto è nostro ora, e sappiamo che lo bruceremo consumandolo, e ci chiediamo cosa possa dire Dio davanti a tutto questo. Il cantato strisciante si mantiene sospirato, quasi come le ultime esalazioni di un coro stanco, mentre synth notturni si aggiungono in sottofondo incrementando un lento crescendo basato su suggestioni e atmosfere cinematiche. Inseguiamo dei corpi sconosciuti avvolti in coperte che non ricordiamo, e sappiamo che il figlio di Dio non potrà mai risplendere come la figlia del Diavolo (probabile riferimento al vizio), Dio ci dice che non possiamo fare qualcosa, e noi di rimando la facciamo in modo da sentire il proibito. Ecco che all'improvviso la musica ci conduce con i suoi tratti di synth verso un'esplosione di effetti baritonali dalle distorsioni evocative e dai fraseggi neri, base per il ritornello emotivo pieno di pathos, esplosione sonora di una disperazione prima trattenuta: nel brivido della notte, tra luci misteriose, viaggiando sotto la luna, andando avanti e avanti, sentiamo solo che Dio ci dice che è via e non ci darà alcuna risposta, in un'esistenza dove non troveremo mai un senso o significato scritto per noi, lasciandoci alle nostre scelte, inevitabilmente distruttive. Una conclusione senza lieto fine quindi per il tema decadente dell'album, dove il vizio rimane imperante in un mondo ormai decaduto, rappresentante la situazione esistenziale dell'uomo e artista dietro la musica di Perturbator.
Conclusioni
"Lustful Sacraments" è inevitabilmente un album che segna uno spartiacque nella discografia di Perturbator e probabilmente anche nella storia della synthwave, genere legato indissolubilmente alle vicende dell'artista francese. Possiamo tranquillamente dire che fa parte di una serie di dischi usciti negli ultimi tre anni che hanno instaurato le basi per una "post-synthwave" che è allo stesso tempo evoluzione e superamento del genere. Sì, perché evolvere un genere dai canoni abbastanza minimali e precisi come la synthwave comporta anche superarla verso altro, processo che assume connotati diversi in base all'artista. Se i Gunship hanno raggiunto un buon compromesso instaurando elementi pop e strutture rock, GosT è finito per "evoluzione parallela" a suonare più come un progetto dark electro/Harsh EBM per via delle vocals black metal e i suoni più duri del suo ultimo album, mentre Carpenter Brut ha creato un curioso glam rock a tinte elettroniche. Kent prende qui spunto dalle sue esperienze parallele citate nell'introduzione a questa recensione, scartando però gli elementi più estremi, sia a livello sonoro che grafico, a favore di quelli che più si conciliano a quello che possiamo considerare il suo progetto più "commerciale" (termine da usare molto con le pinze per un genere che rimane in qualche modo underground, nonostante la popolarità degli ultimi anni). I modi, i temi, i suoni del post-punk e della darkwave anni '80 vengono ampiamente cannibalizzati e fusi con l'elettronica cinematica degli ultimi album, mantenendo una struttura spesso minimale ed essenziale, sulla quale vengono innestate chitarre malinconiche e ospiti vocali dai toni gotici. Come detto in fase di recensione, gli elementi industriali di "New Model" hanno qui completo lascito solo in "Death Of The Soul", mentre per il resto del disco siamo in un'adorazione costante degli anni '80 più neri e decadenti. L'esperimento non è un fallimento e riesce a creare un'atmosfera coerente che, come da abitudine per il Nostro, crea una sorta di concept album non apertamente dichiarato, dove anche i testi creano un tema comune, qui votato al vizio, decadenza, suggestioni gotiche, autodistruzione consapevole. Però siamo anche non davanti al capolavoro che alcune riviste, prese probabilmente dall'entusiasmo delle novità apportate al suono, hanno fatto intendere. Se la prima parte del disco risulta essere quella più forte dove vengono presentate le nuove idee in maniera diversa in ogni episodio, nella seconda insorge qualche ripetizione e semplificazione della formula; inoltre per quanto competenti e adatte alle tracce, le vocals qui ospitate non fanno sinceramente gridare al miracolo, e se confrontate con quelle dei protagonisti della stagione dark anni '80 come Peter Murphy, Carl McCoy, il già citato Friday o anche Andrew Eldritch e Dave Gahan, ne escono svantaggiate, e il fatto che spesso i riferimenti usati dai cantanti siano proprio loro, non aiuta. Sorprende il fatto che nessun "big" della scena compaia come ospite, ma bisogna anche pensare al già citato fatto che per quanto Perturbator sia il nome più di successo della synthwave, il suo sia un mondo underground e più ristretto, anche nelle conoscenze e finanze. Insomma, l'album suona come un lavoro riuscito, ma con qualche pecca che non lo fa diventare l'opera più realizzata della sua discografia. Sicuramente, siamo davanti l'inizio di un nuovo percorso che se sviluppato in futuro potrà portare a grandi cose, forse le più grandi fatte sotto questo nome. Kent ha dimostrato con i suoi progetti paralleli di poter anche sperimentare in modo ostico e fuori dagli schemi, ma bisogna vedere fino a che punto vorrà e potrà spingersi con Pertubator senza rischiare di perdere una gallina che fa uova non forse d'oro, ma comunque pregiate. Una maggiore presenza di elementi industrial/EBM bilanciati con quelli post-punk e qualcuno che aiuti in fase di songwriting a elaborare certe parti delle tracce potrebbe far fare quel passo in più verso una fusione completa tra il vecchio e il nuovo (anche se il nuovo in questo caso è storicamente più vecchio del vecchio, come da tipico paradosso da epoca post-internet). Ma aldilà delle ipotesi e voli pindarici, nella realtà abbiamo un buon disco che lancia la seconda parte della carriera del musicista e che gli è valso molte copertine ed interviste in ambito metal con tanto d'immagine a d'uopo tra capelli lunghi e chiodo d'ordinanza, consacrando il legame ormai stabilito da anni con quell'universo (e qui viene da chiedersi se non sarà proprio il metal il prossimo innesto nel suono di Kent) e lasciandoci un album piacevole da ascoltare forse con parsimonia per non stancarci della sua atmosfera abbastanza uniforme, ma dagli indiscutibili punti d'interesse e con alcune punte decisamente ben realizzate.
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2) Lustful Sacraments
3) Excess
4) Secret Devotion
5) Death Of The Soul
6) The Other Place
7) Dethroned Under A Funeral Haze
8) Messalina, Messalina
9) God Says