PANTERA
Vulgar Display Of Power
1992 - Atco Records
FABRIZIO IORIO
24/06/2016
Introduzione Recensione
Continuiamo il nostro percorso attraverso l'importante discografia di una delle band divenuta maggiormente iconaica del mondo Metal in generale; andiamo quindi ad analizzare il nuovo corso dei texani Pantera, giunti nel 1992 al loro "secondo" capitolo discografico della loro, nuova incarnazione. Se "Cowboys From Hell" sanciva indelebilmente una nuova nascita artistica con song influenzate dalla corrente Thrash, denotando al contempo quella personalità unica divenuta un vero e proprio marchio di fabbrica, il successivo "Vulgar Display Of Power" non fece altro che confermare e proseguire questo percorso intrapreso nel 1990, aumentando notevolmente i riscontri di pubblico e critica. Il successo riscosso con Cowboys permise infatti ai Pantera di esibirsi in importanti festival internazionali come per esempio il "Monster Of Rock (In Moscow)" nel 1991, affiancando band già affermatissime come AC/DC e Metallica. Davanti ad un pubblico vastissimo, i Nostri sfoderarono tutto il loro potenziale, riscuotendo enormi consensi da parte del pubblico. Un mese precedente dall'uscita di questo nuovo disco, poi, la band diede alle stampe anche il proprio primo singolo in assoluto, contenente due brani inclusi proprio in questa nuova release, ovvero l'opener "Mouth For War" e "Rise", più altri due registrati dal vivo (originariamente su "Cowboys.."), in occasione del festival sopracitato. Formazione ormai consolidata, vede dunque il carismatico Phil Anselmo alla voce, i fratelli Diamond Darrel e Vinnie Paul rispettivamente alla chitarra e batteria, e Rex Brown al basso. Concentrandoci sul disco che andremo ad analizzare, prima di inoltrarci nel suo ascolto e raccontarvi il suo contenuto, bisogna necessariamente approfondire alcuni aspetti atti a fornirvi un quadro maggiore di questo meraviglioso esemplare di arte messa in musica. Innanzitutto, partiamo dal titolo: l'espressione Vulgar Display of Power è una citazione presa in prestito direttamente dal film culto "The Exorcist (L'esorcista)", pellicola horror del 1973 diretta da William Friedkin; un'opera che narra (meravigliosamente bene) la storia di una ragazzina (Regan) che inizia a manifestare segni di squilibrio una volta rinvenuta una tavola Ouija, strumento mediante il quale viene evocato lo spirito maligno Pazuzu. La protagonista viene quindi posseduta da questo demone, e dopo numerose visite ospedaliere ed esami andati a vuoto, si vedrà costretta a sottoporsi ad un esorcismo per poter scacciare così l'entità demoniaca e tornare quanto prima possibile ad una vita normale. Il titolo dell'album viene quindi pronunciato da Regan durante uno dei riti: quando Padre Damien chiede infatti al demone di mostrare la sua potenza, rompendo i legacci che bloccavano il corpo di Regan al letto, quest'ultima (per bocca di Pazuzu) gli risponde, esattamente: "that's much too vulgar a display of power - sarebbe solo una volgare dimostrazione di potere". Per quanto riguarda la cover vera e propria, bisogna dire che il pugno in pieno volto (messo in primissimo piano) è quanto di più azzeccato si potesse trovare per descrivere al meglio il contenuto musicale all'interno del disco. Si sa, anche le cover rivestono un tassello importantissimo nella resa globale di un album. Anche in questo caso c'è effettivamente da spendere due parole sulla realizzazione di tale artwork; questa immagine è infatti una foto ad opera del fotografo Brad Guice, il quale su consiglio della band stessa, decise di immortalare un qualcosa di sicuro impatto per descrivere perfettamente l'album, come appunto un pugno in faccia. Inizialmente si era pensato ad un pugile che colpiva un avversario, ma questa idea alla band non piacque molto perché voleva un qualcosa di più naturale e "doloroso". I Nostri volevano fortemente un qualcuno che avesse i capelli lunghi e che fosse disposto a ricevere un mal rovescio, il tutto ovviamente sotto pagamento. Detto fatto; venne chiamato il modello Sean Cross, il quale iniziò una collaborazione strettissima con Brad, che portò i due ad un legame quasi fraterno. Il povero Sean pare che abbia ricevuto una trentina di "cazzotti" prima che venisse immortalato lo scatto giusto, ad un prezzo di dieci dollari a pugno, ma questa è una versione non confermata dalla band e che probabilmente è stata messa in giro solamente per fare pubblicità e per aumentare l'hype verso questa nuova produzione. Dopo queste piccole curiosità, necessarie per capire a fondo l'universo che gravitava intorno ai Pantera e soprattutto a questo nuovo disco, dobbiamo per forza andare a constatare in maniera empirica se i nostri siano riusciti o meno ad eguagliare il lavoro precedente, che già godeva di un'ottima produzione, ma soprattutto di una vena creativa a dir poco sbalorditiva, con tracce che sono diventate delle vere e proprie leggende del genere Groove. Parlando proprio di produzione, non possiamo non citare Terry Date, confermatissimo dopo l'ottimo lavoro svolto con il disco precedente. Personaggio che anche in questa occasione ha mixato e prodotto (con la supervisione di Vinnie Paul) questo nuovo disco firmato Pantera, rilasciato sempre dalla lungimirante "Atco Records". L'atmosfera, nei "Pantego Sound Studio", era dunque rovente. Stando alle cronache di quegli anni, la band si presentò nello studio in possesso solo di alcune versioni demo dei pezzi "A New Level", "Regular People (Conceit)" e "No Good (Attack the Radical)", tutto il resto venne praticamente scritto e perfezionato in studio. Un'opera dunque molto immediata, creata con il preciso intento di realizzare "uno dei dischi più pesanti della storia del Metal", rifacendoci proprio alle dichiarazioni rilasciate dalla band in quegli anni. Una band che, a quanto sembra, prese assai "sul personale" l'ammorbidimento dei Metallica post "Master of Puppets". Phil, Dime, Rex e Vinnie vollero quindi, contemporaneamente, innalzare la bandiera della "durezza", lanciando un segnale forte: loro non avrebbero mai e poi mai "tradito" i loro fan, rilasciando un disco come "Metallica". Una querelle portata avanti "in sordina", dominata da mezze verità.. ma, di fatto, all'epoca innescata. Dunque, largo al sound duro e devastante, privo di compromessi. Citando un famoso detto, "se il buon giorno si vede dal mattino" le due tracce presenti nel loro primo singolo facevano ottimamente sperare, e quindi non ci resta altro fa fare che analizzare "Vulgar Display of Power" in tutta la sua interezza, per capire se la qualità mantenuta è la medesima di "Cowboys.." o se i Pantera avessero voluto furbescamente pescare i due brani migliori del lotto.
Mouth For War
Iniziamo la nostra analisi con "Mouth For War (Discorsi di Guerra)", ed immediatamente veniamo colpiti da una introduzione di chitarra molto pesante, resa ancor di più tale da una sezione ritmica a dir poco imponente. Se le prime battute sondano il terreno per preparare l'ascoltatore ad un qualcosa di più possente, ecco che il sound esplode letteralmente in sonorità bestiali ed adrenaliniche. Successivamente ritroviamo quel Groove iniziale non troppo sostenuto, che a differenza dei momenti precedenti viene adesso esaltato dalla voce di Anselmo con rinnovata grinta. La strofa fila via che è un piacere, mentre i compagni di Phil si dimostrano subito suoi perfetti collaboratori di distruzione. Il mid tempo offerto da Vinnie Paul è arricchito da una doppia cassa che si destreggia molto bene senza essere per forza continua, ed il risultato è a dir poco eccezionale. Un ultima parte di strofa cantata con una marcia in più, ed un tripudio di tom, crash, splash e chi più ne ha più ne metta, ed ecco che il ritornello ci cattura all'istante in un vortice di assoluto piacere musicale da far venire la pelle d'oca. Una parte pazzesca dove la band realizza uno dei più bei chorus a livello voce/strumetale che si fossero mai potuti sentire, parlando anche a posteriori, della loro intera discografia. Vien fuori una energia incredibile, la quale viene a sua volta incanalata durante le prime battute per poi esplodere come una supernova ogni qualvolta ci viene riproposto il ritornello di questa splendida song. Il riffing è estremamente chirurgico e devastante, mentre il basso di Rex Brown macina frequenze penetranti da stordire in un raggio ampio chilometri. Dopo un'altra strofa molto simile alla prima parte di brano, finalmente ritroviamo il chorus pazzesco che caratterizza la song e sul finire andiamo ad ascoltare un assolo perfetto con sovraincisa anche la parte di chitarra ritmica, per dare una carica maggiore ed uno spessore più ampio a questo solo decisamente ben riuscito. Terminata questa parentesi (che serve proprio a dividere il brano a metà) ecco che dopo qualche breve parte cantata a dir poco aggressiva, si parte con una cavalcata sonora micidiale con tanto di doppia cassa a tratti martellante, un riffing veloce quando serve ed una voce spettacolare che di fatto chiudono (con tanto di cattiveria sonora finale) un brano leggendario, pazzesco e fresco ancora oggi, Un pezzo che molte band dei nostri tempi possono solo sognare di comporre. Si potrebbe andare avanti ad elogiare una canzone del genere, ed ogni aggettivo non renderebbe comunque giustizia ad un brano ad alto coefficiente di adrenalina. Il testo, poi, è un grido di puro odio; un odio determinato, urlato per dichiarare guerra a qualcuno. La parola chiave è "vendetta", una vendetta che viene continuamente urlata a squarciagola perché il protagonista del testo si rende conto di aver sbagliato troppe volte nella vita. Ora si sente talmente frustrato da incanalare mucchi di odio, da poter liberare al momento opportuno. La sua forza è la stessa che risiede nell'animo di ognuno di noi, ed il rilascio costante di rabbia risulta essere più efficace di qualsiasi medicinale. Qui la band vuole insegnarci a non tenerci tutto dentro, a non accumulare troppa rabbia derivata a delusioni, torti o soprusi. Bisogna cercare una valvola di sfogo per far uscire questa furia in maniera graduale, cercando di non farla esplodere tutta in un colpo per evitare tragedie o colpi di testa sgradevoli. C'è un momento che tutti noi passiamo, dove è necessario chiudere gli occhi e riflettere sulla realtà che ci circonda. La paura di fallire è grande, le delusioni arrivano, ma il volere il successo è la base per rialzarsi ed imparare dagli errori. Viene fatto un esempio: "Come un coltello nella carne, dopo la vita la morte", una frase che spiega che anche la vita stessa è messa a dura prova e che la morte non è il fallimento del ciclo vitale, ma è la fine di una prima parte di percorso; un sentiero che continua dopo la nostra morte. Quindi, questa dichiarazione di guerra che viene fatta non è nient'altro che uno sfogo verso la vita, o meglio, verso chi (nonostante le già grandi difficoltà) vuole metterci i bastoni tra le ruote. Un grido verso le ingiustizie e le difficoltà che dobbiamo costantemente affrontare fino alla fine dei nostri giorni.
A New Level
"A New Level (Un Nuovo Livello)" inizia con una chitarra che stride in maniera spropositata, per poi iniziare a martellare letteralmente, sostenuta da una ritmica a dir poco fumante, con basso e batteria che comprimono ed annichiliscono il nostro cervello ad ogni passaggio. Vinnie è addirittura capace di accarezzare il ride in maniera tale di risultare minaccioso. Il basso di Rex Brown, invece, in queste battute iniziali è a dir poco fondamentale ed il suo apporto per creare un muro invalicabile (composto da frequenze bassissime) risulta decisamente incisivo. Dopo una bravissima pausa dettata dal silenzio più totale, si parte finalmente con una prima parte strumentale caratterizzata da continui maltrattamenti di rullante da parte del drummer, e si arriva ad una prima strofa che trova un Phil Anselmo particolarmente aggressivo e coinvolgente nello svolgere la funzione primaria di questa parte di brano, ovvero destreggiarsi vocalmente alla perfezione sopra una struttura musicale non esattamente semplice ed a volte intricata. La cattiveria espressa dal frontman ha insito in sé un qualcosa di magico, e coinvolge emotivamente alla grandissima. Il chorus poi è talmente pesante che le urla di Anselmo riescono anche ad accentuarne l'incedere, facendo letteralmente pesare ancora di più la forza gravitazionale, piegandoci in due. Altra brevissima pausa, questa volta di qualche decimo di secondo, e si riparte alla grandissima con il solito connubio di cantato effervescente e base sonora impeccabile, devastante. Ancor più devastante risulta essere la base su cui poggia il ritornello, ed anche se è leggermente più lenta delle strofe, porta con se un carico di adrenalina disumano. Improvvisamente colpi di tom ripetuti annunciano una sezione chitarristica piuttosto particolare, frangente dopo il quale il buon Dimebag esce ancor di più allo scoperto con un assolo spettacolare, assecondato magnificamente dal fratello, il quale con una doppia cassa piuttosto tecnica ed il solito rullante martoriato, risulta essere un compagno perfetto di distruzione. Alla conclusione di questo assolo, il volume diventa più flebile ed una voce molto soffusa preannuncia quindi l'ennesima esplosione musicale. Si riparte con il ritornello, che gode di una pesantezza incredibile, dove il basso diventa assoluto protagonista insieme alla voce cattivissima di Phil. Il brano prosegue dunque in questo modo per poi lasciarsi andare ad una ritmica schizofrenica, trovata che di fatto chiude questa song incredibile. Dopo la terremotante opener, qui siamo di fronte ad un macigno messo in musica, una frana lenta e costante che al suo passaggio è in grado di fare letteralmente tabula rasa di tutto. Che cos'è, quindi, questo nuovo livello che la band ci presenta nelle liriche? Semplicemente, è la voglia di una vita nuova, che vada a sostituire quella ormai vecchia e logora. Non è facile però ottenerla, anche se le difficoltà vengono superate quando tornano in mente quei ricordi orribili che di fatto ci invogliano a cambiare definitivamente la nostra esistenza. Tutto, pur di confinarli nell'oscurità. Nel testo, la band ci chiede di rimanere uniti, soprattutto durante le difficoltà, e ci viene quasi da supplicare che tra di noi ci sia questa unione, proprio perché uniti vinceremmo, divisi verremmo senza dubbio spazzati via. L'unica cosa che ci divide è solamente la morte, e per questo dobbiamo "ringraziare" questo finto ordine dai tratti militareschi, che ci manda continuamente al macero senza preoccuparsi dei nostri sentimenti e delle nostre aspettative di vita. Un tempo tiranno, in poche parole. Siamo impazienti, perché ci rendiamo conto ogni giorno di quanto il tempo a nostra disposizione sia sempre meno, e nell'attesa di acquisire questa nuova vita, dobbiamo stringere i denti e non arrenderci a questa vecchia; perché è proprio questa nostra permanenza "nel vecchio" che ci ucciderà senza pietà. Il problema di fondo è, ora come ora, quello di non puntare al meglio ma anzi di accontentarsi della mediocrità. La comodità di adagiarsi sugli "allori" segnerà quindi la nostra fine.
Walk
"Walk (Cammina!)"è caratterizzata da un inizio solitario di chitarra, un riff piuttosto semplice che però riesce a catturare l'attenzione fin da subito. Raggiunto da basso e batteria, questo riff (messo praticamente in loop) prende la forma perfetta per reggersi da solo senza bisogno alcuno di trovate "strane" atte eventualmente a cambiare la struttura. Arriva il momento dell'ingresso della prima strofa da parte del singer, il quale si destreggia perfettamente su questa continua base lenta e pesante. Un leggero cambiamento lo possiamo osservare, o meglio sentire, quando ci viene presentato un pre-chorus che viene raggiunto a breve dal ritornello vero e proprio, il quale scandisce a chiare lettere: "Respect, Walk!", con la prima parola che viene spezzata letteralmente a metà per creare quell'enfasi che sopraggiunge subito dopo con la parola "Walk". Un leggero cambio a livello di batteria in questo chorus lo si può sentire, ma rappresenta solamente la maniera per esaltare il tutto, per poi far ritornare il brano ancora su tempistiche lente ed ossessive. Altra strofa e si continua imperterriti a martellare con queste sonorità implacabili che schiacciano il cervello dell'ascoltatore fino a spappolarlo, ma quando tutto sembra volgere senza alcun tipo di cambiamento a livello struttrale, ecco che (dopo qualche battito di tom da parte di Vinnie Paul) arriva l'assolo del fratello Dimebag, momento capace di splende di luce propria. Un frangente che magari non spiccherà per chissà quale tecnicismo o per chissà quale carica innovativa; semplicemente si fa apprezzare e riconoscere, esalta chi lo suona e noi che ascoltiamo, reggendosi da solo senza quasi l'ausilio del compagno Rex Brown, il quale comunque dona un apporto importante per l'ottima riuscita di questa espressione solista. Successivamente, torniamo ad ascoltare nuovamente quelle manganellate sonore che molto lentamente finiscono di annichilirci, conducendoci allo sfinimento; "botte" che di seguito lasciano finalmente "libera" la chitarra, che fino a questo momento veniva stoppata a ripetizione (mantenendo comunque alto il livello della song). Il brano si conclude quindi con una parte totalmente strumentale che via via sfuma fino a non farci udire più nulla. Parlare di "Walk" come solamente di un mero episodio di questo disco sarebbe un'eufemia. Questo pezzo è la dimostrazione di come con semplici accordi e praticamente con un unico guitar riff, si possa creare un qualcosa di magico e meraviglioso, potente e devastante. Ad un primo e disattento ascolto si potrebbe trovare il brano un po' monotono e magari poco ispirato, tuttavia sono del parere ce ci troviamo di fronte ad una manifestazione di creatività sopraffina resa nella maniera più semplice e diretta possibile, e con un cantato sopra le righe che sottolinea l'importanza artistica di quanto abbiamo ascoltato. Non a caso, con il passare del tempo, "Walk" è divenuta un simbolo, una meravigliosa icona che i Pantera non potevano non permettersi di eseguire dal vivo. Chiaro che se la paragoniamo a "Mouth for War", per estrosità ed inventiva, perde un po' su tutti i fronti, ma a livello di impatto vero e proprio siamo testimoni di un monumento incredibile da tramandare ai posteri. Per fare un esempio chiaro di come questa song sia entrata nell'immaginario collettivo, condizionando intere generazioni, vi riveliamo una piccola curiosità della quale non molti di voi saranno a conoscenza. Robert Szatkowski, meglio noto come Rob Van Dam e conosciuto ai più come lottatore di wrestling, ha usato proprio "Walk" come sua theme song, spargendo il verbo Pantera in ogni luogo in cui si è esibito. Parlando delle liriche contenute, andiamo a trattare l'argomento del rispetto. Il rispetto che noi diamo alle persone e soprattutto agli amici, e che pretendiamo ci diano a loro volta. Un qualcosa di semplice, sulla carta giusto. Tuttavia, non è sempre così; anzi, molte volte veniamo trattati a pesci in faccia da chi si professa nostro amico, ed il testo lo dice chiaramente. A volte ci capita persino di essere totalmente infastiditi dalla presenza di determinati soggetti; ma purtroppo, il messaggio non viene da loro recepito. "Vuoi insinuarti sotto la mia pelle, e vuoi chiamarti amico? Io ho molti amici come te", qui si capisce la volontà di allontanare certe persone, parlando al plurale, proprio perché in tanti si rivelano degli infingardi traditori. Troppi sono in realtà delle dannate sanguisughe, approfittatori, attendenti solo il momento propizio per pugnalarci alle spalle. Allora ci assale quella voglia di balzargli addosso, di scagliarci con tutte le nostre forze su di loro per fargliela pagare e con gli interessi; ma alla fine, a cosa servirebbe? A farci stare meglio solamente per un momento? Probabilmente non ne varrebbe la pena. Eppure, non possiamo reprimere il nostro istinto, non possiamo essere quello che non siamo, ed allora allontaniamo questa gente dalla nostra vita in modo da non fargliela più intralciare, riprendendo così il nostro cammino. "La tua bocca corre quando non ci sono", anche qui la frase è piuttosto eloquente: quando siamo insieme a questi individui, veniamo spesso idolatrati e rispettati, ma appena ci allontaniamo un attimo, essi parlano alle spalle come i peggiori vigliacchi, perché non hanno il coraggio di affrontarci faccia a faccia. Ed è proprio qui che il rispetto viene a mancare, per colpa di queste persone perdiamo anche la fiducia verso gli altri ed alla fine non ci rimane altro che il restare soli e proseguire il nostro cammino, esiliati da tutti e da tutto.
Fucking Hostile
Passiamo ora a "Fucking Hostile (Fottutamente Ostile)", e subito dopo un bel one-two-three-four da parte del singer, si parte in quarta con una ritmica forsennata e devastante. Nemmeno il tempo di capire cosa stia succedendo, e la prima strofa arriva a colpirci duramente, sfoggiando una carica esplosiva incredibile, mentre la sezione ritmica e la sei corde di Darrel spazzano via ogni cosa. Un attimo di respiro lo si avverte quando ci troviamo in prossimità del ritornello, dove possiamo notare un piccolissimo rallentamento, con una chitarra spettacolare ed una voce decisamente sugli scudi. Il ritornello vero e proprio gode di una freschezza rinnovata e si conclude con la frase che dà il titolo alla canzone leggermente, frase pronunciata da una voce filtrata e carica di effetto. Un effetto vincente che arricchisce notevolmente questa prima parte, tirando un po' il freno ad una macchina in corsa. Seconda parte, e si riparte alla grande con una velocità sostenuta che toglie il respiro. Altro chorus ed assistiamo ad una parte sonora di grande spessore emotivo, che lascia spazio ad un assolo velocissimo ed ipertecnico nella prima parte, e più ragionato e consono nella seconda. Il tutto viene spazzato via nuovamente dall'ennesima parte sonora che pesa come un macigno con tanto di doppia cassa e riff sparati a mille. Alla conclusione, viene ripetuto più volte "Fuckin Hostile", sempre con voce leggermente effettata, espediente che chiude di fatto un pezzo / una mazzata incredibile, che rispecchia in pieno la copertina di questo "Vulgar Display of Power". Parliamo di un brano di breve durata, ma talmente intenso da rimanere basiti per la forza che i Pantera hanno saputo sprigionare in così pochi minuti. Al contrario del pezzo precedente, che faceva della lentezza e dell'esasperazione il proprio punto di forza, qui siamo di fronte ad una mazzata sonora vera e propria, dove gli strumenti diventano roventi e le tonsille bruciano per intensità e per violenza propagata. Liricamente parlando, ci troviamo dinnanzi ad un testo assai impegnato. La band va a infatti a criticare aspramente quelle che sono le istituzioni del proprio paese (non parlando del Texas ma degli Stati Uniti in generale). In primo luogo viene preso di mira l'allora presidente americano George Bush, bersagliato da versi offensivi, nei quali egli viene dipinto come un elemento scatenante una nausea totale in chiunque, soprattutto nei cittadini americani, costretti a vederlo in tv ogni giorno. "Se tu potessi vederti, quando parli sembra tu ti stia masturbando", è una frase di totale disapprovazione verso colui che continuamente si mette davanti alla telecamera e vuole incantare i propri cittadini, risultando oltremodo ridicolo e facendo perdere credibilità a tutto il paese. Vuole, il "presidente", far credere a tutti i costi che lui è lì con noi, insieme a noi, rassicurandoci che un giorno andrà tutto bene e che risolverà ogni situazione scomoda. La verità è che siamo soli, abbandonati al nostro destino e lasciati vagare nella nostra terra senza una meta precisa. La seconda parte, quindi la seconda strofa, è una accusa verso un'altra istituzione americana, ovvero le forze dell'ordine. Migliaia di persone muoiono ogni giorno, ci sono stupri, saccheggi, omicidi, ma sembra che si pensi solamente ad arrestare chi si fa una canna o stampi biglietti falsi. Allora vacilla la convinzione di cosa sia giusto o sbagliato, di cosa sia lecito o di cosa non lo sia. Questi signori in divisa dovrebbero servire e proteggere i cittadini, invece servono solamente questo stato corrotto che non si cura seriamente dei veri problemi che lo circondano. Terza strofa ed ultima parte di brano, i Nostri vanno a colpire direttamente la chiesa. Ci vengono propinate queste storie "fantastiche", il cui protagonista è questo Dio capace di guardarci sempre, soprattutto mentre diciamo le preghiere, perché Dio è ovunque e veglia su di noi. Dicono che esistono cose di cui non possiamo godere a causa proprio della lotta tra inferno e paradiso, che molte situazioni piacevoli nascondono invece la coda del diavolo. Dio ed il diavolo, usati a turno come minaccia:"Ragazzino, vieni che ti manderò al creatore", frase che alle orecchie di molti impauriti suona come un rumore frastornante di un edificio che crolla. Eppure basta poco per rendersi conto che tutte quelle storie in realtà sono solo menzogne. Tuttavia, troppo spesso non ci è dato saperlo. I Pantera scelgono dunque di ribellarsi ad un sistema viscido e menzognero, decidendo di andare contro tutto e tutti, imponendo di fatto il loro unico e vero dogma: la libertà e la capacità di ribellarsi.
This Love
Con un arpeggio leggermente distorto che fa da introduzione, parte quindi "This Love (Questo Amore)", quinta traccia di questo album. Questo sound continua con l'accompagnamento di Vinnie Paul (il quale tocca leggermente il bordo del suo rullante), in concomitanza con l'ingresso vocale di Anselmo. Avendo ascoltato le song precedenti, non si può non rimanere stupiti dalla timbrica pulita e passionale che ci viene proposta ad inizio brano. La chitarra continua a proporre delle note piacevoli all'ascolto, che però sembrano voler nascondere un qualcosa di oscuro che cerca di manifestarsi man mano che si prosegue. Il basso svolge anch'esso un lavoro importante nel farsi sentire in maniera decisa, ma allo stesso tempo risulta particolarmente delicato e morbido. Qualche piatto inizia a farsi sentire, e quando i battiti a bordo rullante cominciano a farsi persistenti, capiamo di trovarci dinnanzi ad una sorta di preannuncio di un qualcosa di più poderoso. In effetti, dopo qualche breve istante, un brevissimo solo precede una piccola parte molto più aggressiva e potente, che però si smorza subito ritornando alle sonorità più delicate che ne avevano caratterizzato l'inizio ed una buona porzione del brano. Si ripete quindi la parte precedente con tanto di leggero assolo da parte di Darrel, e si riprende con un bel ritornello bello carico di rabbia che però questa volta non viene interrotto da un repentino ammorbidimento generale, anzi, ci viene proposta una parte strumentale poderosa con un guitar riffing esaltante sotto ogni punto di vista. Un passaggio da pelle d'oca che non può far rimanere immobili, dinnanzi a tanta potenza sprigionata. Altra piccola pausa e torniamo sui binari iniziali, ma questa volta arricchiti da un assolo bellissimo e sognante che si prolunga molto in attesa del chorus, pieno invece di rabbia, la quale esplode letteralmente con una grinta a dir poco spaventosa. La parte successiva è un tripudio di devastazione con un basso altissimo e rimbombante, una batteria lentissima ed incisiva e soprattutto una chitarra pesantissima che va sfumando molto lentamente, lasciando spazio ad una parte chitarristica leggera con un altro piccolo assolo che decreta la conclusione del pezzo. Un brano molto particolare questo "This Love", se rapportato alle mazzate sonore precedenti. Il bello di questa canzone risiede nel fatto che gioca molto sull'imprevedibilità, con parti molto morbide e veramente ben eseguite, e parti assolutamente in linea con la concezione di musica "pesante" partorita dai Pantera sin dai tempi di "Cowboys..". Il riffing generale, nei momenti più concitati, è tanto semplice quanto devastante sotto il punto di vista dell'impatto, e va a troncare il brano in più parti giusto quando se ne sente effettivamente la necessità, quando tutto sembra diventare "troppo" prevedibile. Inizialmente, infatti, pare di sentire più una ballad vera e propria, ma l'animo generale della song mostra anche il lato più cattivo della band. E' una sorta di Dott. Jekyll e Mr. Hyde dove soprattutto la prima parte rispecchia l'animo più pacato, mentre l'ossessione sperimentale che tramuta il buono in cattivo, viene a galla soprattutto verso il finale, con una forza dirompente e che non trova ostacoli nel suo percorso. Questo brano è una specie di confessione d'amore, ma attenzione, non una dichiarazione. "Tutto quello che volevo era avere una come te" e con questa frase sembra si voglia dire dire che l'unica ragione di vita fosse appunto avere una persona accanto su cui fare affidamento e costruire le basi su di un rapporto solido e duraturo. Precedentemente, però, si legge quanto segue: "Ho detto che ti amavo, ma ho mentito"; ed è anche a livello di testo che il brano muta, presentandoci dapprima un qualcosa di più sentimentale ed in seguito più cupo, il tutto condito da un generale senso di smarrimento che non riesce a chiarire bene le intenzioni del pezzo. Quindi, dapprima una dichiarazione importante ed in seguito la falsità, l'ammettere di aver preso in giro qualcuno giocando con i suoi sentimenti. Dentro la testa del protagonista si fa strada l'idea dell'amore perverso, di un qualcosa da provare giusto per dire di averla provata, a discapito appunto del sentimento vero e proprio. "Tieni questo amore.. questa cosa, questo giocattolo". Il partner viene trattato come una cosa, un giocattolo, da utilizzare fino a che non si perde la voglia. Il dolore inferto alla compagna (o al compagno) dal protagonista suscita quindi ed inevitabilmente del dolore in questi ultimi, e paradossalmente, una volta perduta la possibilità di far del male, il Nostro riesce addirittura a rimpiangere questo dolore inferto e di conseguenza si rattrista di ciò. Altra frase molto interessante arriva proprio sul finire, e recita così: "Mi ucciderei per te, Ti avrei ucciso per me" dove nella prima parte del verso ci consegna l'animo umano più sensibile e pronto a sacrificarsi per la persona amata, mentre nella seconda viene proprio esaltato l'egoismo ed il narcisismo, degni di chi non vuole avere rivali. Una persona per la quale se stesso risulta più importante di qualsiasi altra persona, ed è pronta anche ad uccidere per preservarsi. Dopo aver letto questo testo si può pensare ovviamente ad una persona squilibrata pronta ad uccidere il proprio compagno di vita, ed invece ecco la sorpresa; l'ultima frase "Niente più trip mentali" ci fa capire che tutto quello che il protagonista ha pensato, tutto quello che a lui sembrava reale, non è stato nient'altro che frutto della propria immaginazione, facendone denotare una insicurezza che solamente con la volontà potrà controllare.
Rise
Passiamo ora a "Rise (Salita)", il quale (appena partito) ci prende letteralmente a calci nei denti con una velocità dirompente ed un riffing assassino. Questa terrificante introduzione lascia spazio ad una parte leggermente più lenta e controllata, con continui stop and go da parte di Darrel che favoriscono a loro volta l'ingresso vocale da parte di Phil. La prima strofa è sempre ottimamente aggressiva e concitata, ed il tutto viene esaltato da una sezione ritmica intermittente ma estremamente efficace. Assistiamo ad un ottimo pre-chorus che dà il via ad un ritornello assassino con tanto di urla laceranti da parte dello stesso singer, ma la differenza la fa la musica vera e propria: i restanti tre killer, infatti ci danno dentro a meraviglia inanellando una prestazione dirompente ed accecante. Si riparte con un'altra strofa diversa per contenuto ma simile per timbrica ed impostazione. Interessante l'andamento alternato della chitarra che piano piano si lascia andare arrivando al chorus e spingendo al massimo, con una batteria dirompente con tanto di doppia cassa velocissima sul finale, coadiuvata da un basso in grande spolvero. Arriva il momento dell'assolo, ma questa volta non sono presenti sovraincisioni e quindi l'accompagnamento di base viene affidato solamente alle quattro corde di Rex Brown e naturalmente alla batteria di Vinnie. Il risultato è stupefacente, facendo in modo di farci focalizzare solamente sulla parte solistica e dunque di esaltare il lavoro di squadra sopperendo alla mancanza di un'altra chitarra. L'assolo prosegue con toni a tratti altissimi per poi riprendere in mano la parte prettamente ritmica con una batteria in grande forma. Altra strofa, questa volta molto più breve del solito, e si rimonta su di un purosangue che corre all'impazzata e si ferma bruscamente per finire con questo stop and go chitarristico posto come freno d'emergenza, da tirarsi per non sbandare. Si conclude così un altro brano ottimamente eseguito che andrà a far parte della set list del nuovo disco, il quale si preannuncia già assolutamente dirompente. Come il precedente, anche questo testo sembra poi pregno di rabbia e voglia di riscattarsi. E' tempo di risalire e di dire basta; ogni credo ha insegnato solamente a noi giovani l'odiarci l'uno con l'altro. Dobbiamo essere decisi a voltare le spalle a coloro che si oppongono a questa ribellione, a chi vuole continuare ad essere usato come un burattino. Non abbiamo più tempo da perdere, è il momento di diffondere la nostra parola; ascoltate la voce che vi dice cosa cambiare e come agire, non ascoltate le notizie che spacciano per nuove quando sono talmente vecchie da essere quasi irriverenti. E' giunto il momento di avere un nuovo regno, in modo che nessuno possa arrendersi facilmente e che tutti combattano per quello che reputano il meglio per loro stesso. Abbiamo vissuto fino ad ora insieme agli errori del passato, i quali a quanto pare, non sono serviti poi a molto, dato che compiamo gli stessi identici misfatti ancora adesso. Bisogna educare la gente in modo giusto, non solamente con il metodo che ci vogliono far vedere sia unico e solo. Troppe cose ci vengono nascoste a nostra insaputa, tutto controllato da chi vuole mantenere un certo livello di ignoranza per non causare il caos o semplicemente per far in modo che la gente non insorga vedendo effettivamente come stanno le cose, e in che modo ci fanno vivere. E' tempo di risalire, è tempo di riprenderci la nostra vita e darle un senso.
No Good (Attack the Radical)
E' ora il turno di "No Good (Attack the Radical) - Non va Bene (Attacco alla Radice)", e la sequenza chitarristica iniziale si fa subito minacciosa ed intricata. La batteria raggiunge immediatamente basso e chitarra, adottando un tecnicismo di fondo molto particolare, dal quale spicca l'uso sapiente di doppia cassa e rullante. Il tutto viene fermato improvvisamente, e possiamo udire solamente l'accompagnamento del drum set che sostiene un parlato iniziale molto basso, intenso e molto espressivo. Quando il cantato diventa estremamente aggressivo, la chitarra entra in scena diventando pesantissima e regge da praticamente da sola una strofa piuttosto lenta ma piena di intensità; questo grazie al lavoro vocale di Anselmo che riesce a rende il tutto particolarmente "cattivo" e pieno di rabbia. Il ritornello, dal canto suo, non è molto elaborato, anzi, risulta essere molto orecchiabile con quelle sue particolari e volute "stonature". Questo chorus si conclude con le urla strazianti espresse dallo stesso frontman, porgendo il fianco alla ripresa di quella parte parlata sottovoce, con solamente basso e batteria ad accompagnare il tutto egregiamente. Si riprende con la seconda strofa, sempre lenta e caratterizzata da un mid tempo penetrante, con la solita chitarra che ci propone un bel riffing mai troppo esagerato nel suo proporsi, ma sempre efficace e di ottima caratura tecnica. Secondo ritonello che segue volutamente quella stonatura con tanto di urla finali, esattamente come udito in precedenza. Sul finire, accade che Vinnie Paul inizia a mitragliare tom e doppia cassa con una intermittenza spettacolare, e lascia che le luci si accendano sul fratello Darrel, che quindi ci propone un assolo degnissimo senza però toccare vette compositive di altri brani, ma comunque ottimo dal punto di vista della riuscita della song. Anche in questo caso non vengono usate sovraincisioni di ritmica, e quindi viene esaltato nuovamente il lavoro di basso atto a diventare una sorta di compagno gemello, il quale completa alla meraviglia il sound dell'ascia. Anche il lavoro dietro le pelli è efficacissimo, ed anche se Vinnie non spinge a velocità folli come è accaduto per esempio in "Fucking Hostile", siamo comunque di fronte ad una prova impeccabile che denota una padronanza strumentale incredibile. Al termine del solo, il sound si fa decisamente più pesante, con una parte strumentale composta da un riffing incandescente e di grande impatto. Torna la parte cantata, con un ritornello leggermente più breve per contenuto, ma più aggressivo che in precedenza, per poi lasciare spazio alla strumentazione che si sfoga sul finale con distorsioni semplici ma di grande spessore ed una sezione ritmica sugli scudi. Quella che abbiamo appena ascoltato è una song particolare che vuole puntare tutto sulla singolarità di alcuni passaggi, senza però perdere quell'impatto distruttivo che fino a qui ne aveva caratterizzato il disco. Il lavoro da parte del drummer è piuttosto sofisticato ed interessante, un lavoro incessante nel ricreare un ponte perfetto tra una voce che alterna momenti di cattiveria pura a momenti piuttosto atipici, e ad un duo basso/chitarra sempre presente e coinvolgente. Il tema trattato in questa particolare song è piuttosto spinoso, ed il testo coincide anche una presa di posizione piuttosto decisa e coerente da parte della band. Parliamo infatti dei problemi che esistono negli States (ma non solo) riguardanti le discriminazioni razziali. Sin dall'inizio dell'evoluzione vi sono state molte difficoltà ad accettare razze per così dire "diverse" da quelle con le quali siamo abituati a convivere; ci siamo uccisi a causa di gente ignorante, e continuiamo a farlo. L'uomo, un giorno, dovrebbe farsi un decisivo esame di coscienza e guardarsi finalmente allo specchio, capendo una buona volta di aver dato vita non ad una comunità, ma ad una massa di odiatori e differenti gli uni degli altri. Il testo parla in prima persona, e lo fa attraverso la voce di Phil Anselmo, che vuole mettersi nei panni di questa gente. "Non c'è una opportunità", "Non starò sulla difensiva, dico la mia opinione senza problemi", il momento in cui si capisce e ci si rende conto del fatto che a nessuno viene data una possibilità di vivere normalmente. Tanti sono lasciati ai margini della società, venendo continuamente discriminati. Ed in questo caso i Nostri non hanno paura di comunicare la propria opinione, dicendoci in faccia le cose come stanno. Non bisogna scappare e nascondersi solamente per il fatto di "sentirsi inferiori", perché non esiste l'inferiorità; anzi, bisognerebbe ritenersi superiori nei riguardi di queste ingiustizie. "Razza. orgoglio e pregiudizio, uomo bianco / uomo nero..", bisogna capire che non esistono differenze, in fondo siamo tutti uguali e con gli stessi diritti, con lo stesso orgoglio e con la stessa voglia di vivere, con la medesima possibilità di farlo serenamente e nel migliore dei modi, senza che nessuno ci metta all'angolo. Siamo finiti così in basso, l'evoluzione ha portato solamente ad un peggioramento di questa situazione; con il passare del tempo si sono compiuti atti orribili nei confronti delle razze cosiddette inferiori, e la storia dovrebbe sulla carta averci insegnato il rispetto reciproco. In pratica, il tutto continua ad essere un discriminare, un continuo offendere senza un reale motivo. La soluzione proposta dai Pantera sarebbe di bruciare letteralmente questo mondo, perché in sostanza l'umanità non è mai andata incontro ad un vero progresso ma piuttosto si è sempre trovata ad affrontare un continuo regredire a livello mentale ed ideologico. Quello che dobbiamo cercare di capire, è che non importa il colore della pelle o la provenienza; quello che dobbiamo cercare di intendere è il fatto che non si possono condannare delle popolazioni solamente per il fatto che abbiano culture diverse dalle nostre o usanze differenti. Si può anche discutere o non condividere, ma alla base di tutto ciò deve esserci il rispetto.
Live in a Hole
"Live in a Hole (Vivo in un Buco)" gode di un inizio pesantissimo, dettato da un basso ed una chitarra che si fondono per ricreare una mattonata sonora dirompente. Il tutto accompagnato da un drumming molto pacato ma preciso. L'introduzione sonora viene modificata da un assolo imponente che viene sorretto da un ottimo Vinnie, il quale con la sua doppia cassa si diverte ad inanellare momenti interessanti senza mai accelerare volutamente o spingere dove in effetti non servirebbe. In questo caso possiamo sentire una breve sovraincisione ritmica che non risulta essere invasiva, ma al contrario, rende pieno il sound conferendogli un'ulteriore pesantezza. Dopo quasi un minuto di musica vera e propria, arriva il momento di ascoltare anche le vocals che vengono praticamente lasciate sole proprio nel momento in cui attaccano, con solamente la chitarra a sostegno che viene comunque lasciata sfumare. Questo accade per ben due volte con un intermezzo chitarristico gracchiante ed un pre chorus che inizialmente può risultare non piacevolissimo all'ascolto per via di una "stonatura" forzata, ma studiata appositamente per spiazzare l'ascoltatore, per poi reindirizzarlo stupendamente verso una cattiveria dirompente. Il tutto sormontato da una voce leggermente carica di effetto ma dotata di un impatto notevole. Riprendiamo con la chitarra stridula che viaggia allegramente verso una seconda parte, la quale vede nuovamente l'interruzione strumentale quando viene chiamata in causa la voce del frontman, per poi sfociare ancora una volta in un riffing spietato ed accattivante. Alla sua conclusione, possiamo udire una voce leggermente sussurrata e flebile che introduce una piccola parte distorta con tanto di utilizzo di wha-wha, che fa da preambolo ad un breve assolo accompagnato questa volta solamente da basso e batteria. Il tempo si velocizza leggermente per poi tornare sui propri passi e riprendersi, per un secondo affondo solistico che introduce un altro riff assassino. Segue dunque il ritornello bello carico di groove, il quale termina con quelle sonorità iniziali ma ribassate nella seconda parte di un tono, ben scandito da una batteria che si scatena leggermente con la doppia cassa. Il brano si conclude quindi con una voce appena accennata ed un breve e continuo stop and go da parte della sei corde. Anche in questo caso parliamo di un brano piuttosto particolare a livello di sonorità, dove i Nostri sono abili nello smorzare la tensione per poi colpire duramente quando serve. Il riffing generale è tanto semplice quanto spietato e l'accompagnamento ritmico è sensazionale nel costruire una muraglia impenetrabile. Il "Vivere in un buco" viene inteso come un atto di isolamento verso il mondo esterno e nei riguardi di tutti coloro che vogliono entrare a fare parte della nostra vita. Una scelta presa a causa di tutto il dolore accumulato ascoltando e frequentando le persone sbagliate, le quali ci hanno portato, con le loro storie assurde, le loro bugie e le loro cattiverie, a non credere più a nulla di ciò che ci viene detto. Determinate esperienze e tutto quello che vi ruota attorno ci buttano definitivamente il morale a terra, ed allora ci rintaniamo nel nostro guscio, non permettiamo a nessuno di entrare o di interferire con la nostra solitudine. Ci siamo fatti una promessa, quella di non venire sottomessi da coloro che non condividono le nostre idee e che per questo cercano di ostacolarci. Viviamo in un buco, ma come noi lo fanno anche altri, ed è a coloro che si sentono come noi che stiamo vicini, perché loro capiscono il nostro stato d'animo e condividono il nostro malessere interiore. Capiscono cosa brucia continuamente nella nostra testa e come noi si sentono in qualche modo incompleti. Gli amici esistono e ci sono, ma purtroppo sono pochi e lontani, e alla fine siamo comunque destinati a morire soli.
Regular People
"Regular People (Conceit) - Il Concetto di normalità" parte con pesanti colpi simultanei di tom ed una chitarra che cresce esponenzialmente, fino a staccarsi dalla batteria ed iniziare il proprio refrain, risultando molto interessante e particolare. Ad un certo punto sentiamo solamente un riffing mostruoso per potenza e pesantezza, il tutto accompagnato in maniera esemplare dal basso di Brown. In questo frangente si inserisce anche il drumming di Vinnie, il quale inanella tempi irregolari per poi martoriare il suo set di pelli. Si riparte con quel refrain molto bello e potente, arricchito da una doppia cassa discretamente veloce che alza il ritmo in modo considerevole, fino a quando il cantato di Anselmo non arriva a stemperare un po' i toni, sfoggiando una voce calma e tranquilla. Il tutto viene accompagnato da un ottimo passaggio di batteria. Le vocals diventano più dure e crude, mentre Darrel inizia a fare sul serio macinando riffi taglienti, e Rex fa la voce grossa con un martellamento di note basse che rimbombano nelle orecchie dell'ascoltatore. Phil sembra perdere le staffe e inizia ad divenire letteralmente schizofrenico, emettendo urla disperate, mentre la sezione ritmica non perde un colpo per precisione, dimostrando un valore assoluto ed una notevole capacità nel saper convogliare il brano verso magnifici territori metallici, che rimarranno impressi nel tempo. A costante monito di quanto i Pantera pestino duro. Alta piccola parentesi in cui sembra regnare la calma, e si riprende a correre con una doppia cassa che ora sembra non volersi fermare più. Al minuto 3:20 assistiamo a quei colpi di tom che ne avevano fatto da introduzione all'inizio del brano, con la differenza che ora la chitarra viene caricata di effetto per poi lanciarsi in un assolo altissimo a livello di tonalità. Sorretto, Dime, da una batteria che sembra essere messa in loop tanto è precisa ad alternare due colpi di pedale ed uno di rullante, arricchendo il tutto con il ride e qualche "spruzzata" di crash. Al termine del suddetto solo, riprendiamo alla grandissima con solamente la sei corde ed il basso ad impartire lezioni di peso e volume, fino a che non arriviamo all'ultima strofa ed un ultimo sussulto strumentale che viaggia su coordinate decisamente più veloci, che di fatto chiudono l'ennesimo colpo messo a segno da parte dei Pantera. Pezzo pesantissimo, impressionante sotto il punto di vista dell'impatto e coinvolgente a tal punto da spiazzare, capace di farsi seguire costantemente, "sfidandoci" a capirne l'evolversi. Infatti, nei suoi cinque minuti e mezzo, possiamo trovare numerosi spunti interessanti: dalla batteria intraprendente e vogliosa di mostrarsi, ad un basso che spaccherebbe persino il cemento armato, fino ad arrivare ad una chitarra impressionante e da una voce più varia e flessibile. Elementi i quali rendono questa "Regular People" molto appetibile e degna di essere inclusa in questo splendido disco. Le lyrics di questo pezzo analizzano un momento particolare del periodo (argomento attualissimo anche ora) di uscita di "Vulgar..", ovvero quello dell'avvicinarsi di tempi estremamente duri che metteranno a dura prova la nostra esistenza. "La maggior parte della gente direbbe che è dura", ed è un pensiero giusto e condivisibile, se non fosse che sono tutti bravi a parole. A lamentarsi ci vuole veramente poco; di contro, esiguo è il numero di coloro i quali cercano di far qualcosa di concreto per cambiare anche solo un quarto delle situazioni cosiddette spiacevoli. Non bisogna prendere determinate cose alla leggera, perché ad andarci di mezzo non è solo il nostro tenore di vita, ma anche e soprattutto il nostro orgoglio di esseri umani. Il protagonista del brano dice a chiare lettere: "Io combatto per l'amore dei miei fratelli", e si rivolge a coloro che non muovono un dito ed aspettano che qualcuno lo faccia al loro posto. "Non riesci a capire perché hai la testa infilata nel culo", ed anche spiegando il concetto in tutte le lingue del mondo, nulla sarebbe destinato a cambiare comunque. Certe persone sono talmente ottuse e soggiogate dalla società che non vedono, o meglio, non tentano neanche di vedere al di là di un palmo di naso. Il protagonista è proprio qui fuori e sta mettendo in gioco il proprio orgoglio per un qualcosa che probabilmente sa di non riuscire ad ottenere; ma a differenza di molti altri, sprigiona le proprie forze per non sprecare il tempo che lo attende, cercando di porre rimedio alle continue sofferenze.
By Demons be Driven
"By Demons be Driven (Guidato dai Demoni)" si annuncia con una chitarra che lentamente si avvicina, per sfociare in un riffing assassino, accompagnata a meraviglia da una doppia cassa alternata che si blocca improvvisamente ad ogni passaggio chitarristico. Ogni tanto si sente la sei corde "urlare" in toni alti, per poi riprendere con questa splendida introduzione. All'arrivo del cantato, e quindi della prima strofa, il discorso cambia piuttosto radicalmente, con una base ritmica molto più lenta e meno ricercata se vogliamo, ma che si sposa a meraviglia con l'interpretazione vocale offerta da Anselmo. L'ugola ad un tratto diventa disperata, in un ritornello che sembra recitato da un pazzo uscito dal manicomio, momento il quale però si quieta improvvisamente, sfoggiando una voce molto bassa e quasi impercettibile. Si riprende con una seconda strofa, sempre tranquilla per andamento, con qualche trovata distorta che cattura piacevolmente. Arriviamo nuovamente ad ascoltare il ritornello, più disperato che mai, con urla strazianti rese ancora di più estreme da un leggero filtro vocale, per poi risentire quella voce bassissima che questa volta lascia il posto ad un assolo inizialmente strano ed "altissimo", che però trova dimora in un contesto semplicemente perfetto. Terminata questa parentesi "pazzoide", la parte ritmica sembra trovare un sapore liberatorio, mediante un accordo infernale che mette veramente i brividi. Altro chorus, spettrale dal punto di vista interpretativo e qualitativo. Il brano termina, come giusto che sia, con il ritornello, caratterizzato dalla continua ripetizione della parola "Demons" e da un'ultima sfuriata intermittente di basso - chitarra e batteria, terzetto che distrugge le ultime colonne portanti della nostra sanità mentale, facendole crollare rovinosamente in maniera da non poterle essere più ricostruite. Altro brano imponente dal punto di vista prettamente musicale e di notevole impatto sonoro, il quale anche in questo frangente viene esaltato da una prova vocale incredibile e soprattutto da una chitarra intelligente ed imponente. Il tema raccontato questa volta è chiaramente di stampo religioso, e ci vuole fare intendere che il concetto di religione è ormai divenuto (con il passare degli anni) vecchio, obsoleto ed antico. Ormai la chiesa non può più educare i giovani, la mentalità sta cambiando molto velocemente e questa voglia di fede sta scemando lentamente, in ogni generazione presente ed anche futura. La purezza che siamo abituati a ricercare appassisce e muore con la venuta della consapevolezza del nostro intendere le cose, lontano dall'ideale di perbenismo e castità. Un giorno verremo presi dalla morte, e verremo guidati da questi demoni che pronunceranno il nostro nome, e noi risponderemo alla loro chiamata. Tanto vale, dunque, vivere al meglio il tempo che ci rimane. Se la nostra mente, il nostro pensiero e la nostra convinzione di fede iniziano a vacillare, allora capiremo al momento giusto che la fine non tarderà ad arrivare. "Ci seppellisce insieme alle persone a cui vuole bene, per farci dormire con i bambini della sesta dimensione" con questa frase si entra in un discorso ancora più intricato e se vogliamo più mistico. La cosiddetta sesta dimensione non è altro che la prima densità di assenza di forma. Praticamente, la forma come noi la conosciamo esiste solamente laddove la coscienza stessa lo desidera. E' il primo stadio attraverso il quale inizia una sorta di viaggio verso la totale assenza di sé stessi. Quindi, veniamo trasportati da questi demoni in una dimensione parallela dove tutto quello che consideriamo "cose" esiste e viene materializzato solamente se lo vogliamo davvero. Il problema è che questa consapevolezza dei propri mezzi viene resa instabile da quello in cui ormai non crediamo più o in cui non abbiamo mai voluto credere (l'obnubilazione perpetrata dalla religione). Così ci perdiamo in un limbo infinito, dal quale non sembra esistere una via di uscita.
Hollow
Concludiamo questa nostra analisi con l'ultimo brano presente in questo magnifico "Vulgar Display of Power", ovvero "Hollow (Vuoto)". L'inizio reca in sé un qualcosa di magico, con quella sua chitarra arpeggiante in sottofondo ed un refrain incredibile, sovrainciso, da far venire la pelle d'oca. La prima strofa arriva quasi nell'immediato, e notiamo sin da subito una impostazione più intima e rilassata, ma allo stesso tempo sofferente e personale. La batteria è impostata su di un mid tempo caratterizzato da due battiti di rullante ravvicinati anziché uno solo, ed il tutto risulta essere alquanto azzeccato in termini di coinvolgimento. Il ritornello è molto intenso, ed anche se piuttosto breve trasmette una malinconia disarmante. Al termine assistiamo ad una parte strumentale che ripercorre fedelmente quella di inizio brano, e quindi andiamo a ritrovare quell'arpeggio posto come sottofondo ed un refrain molto bello ed intenso. Seconda strofa sempre molto intima e soffice nel suo incedere, ma quando volgiamo al termine capiamo immediatamente che qualcosa nella sua struttura sta per cambiare. Un breve assolo molto bello ed affascinante fa da preludio ad un arpeggio molto oscuro, quasi tenebroso, con una chitarra che sembra urlare disperazione, per poi esplodere in un riff devastante per impostazione, accompagnato da una sezione ritmica rocciosa nell'accompagnare il fido Darrel. Anche la voce di Anselmo improvvisamente diventa ruvida e massiccia, ed inizia a sputare in faccia sentenze che si stampano nella nostra mente come il pugno posto in copertina si spalma sul viso del malcapitato. La sei corde si cimenta in stop and go continui, per poi lasciarsi andare brevemente, tornando a sua volta sui propri passi con una disinvoltura disarmante. Ultime urla da parte del singer e viene posto un altro arpeggio sotto un riffing generale disperato e contagioso. Una lunga parte totalmente strumetale mostra i muscoli della band, che con grande perizia e devozione si cimenta in una performance spettacolare. Il finale sembra voler arrivare in una situazione che richiama molto le sonorità iniziali, ovvero con quelle parti delicate e sofferenti, ma ecco riesplodere nuovamente un guitar riff sensazionale che va a sfumare fino alla conclusione vera e propria. Che dire quindi, di questo ultimo brano? Parte come una ballad per poi tramutarsi in qualcosa di ruvido, senza però essere troppo distante da quella che è la natura vera e propria della song stessa. Le accordature nella parte finale vengono ribassate appositamente di quel mezzo tono, accorgimento che rende il sound più cupo e disperato, mentre la batteria si assesta praticamente per tutta la durata del brano sul classico 4/4 che però nella sua essenzialità funziona dannatamente bene. La musica proposta da questo brano, dicevamo, risulta quindi essere molto intima e personale, ed a tratti rabbiosa. Non è un caso, perché anche le liriche sembrano essere molto personali e sofferenti. Parliamo infatti della perdita di un amico, ma non di un amico qualsiasi, di quello che ognuno di noi ritiene come un proprio fratello. Viene ricordato come un mese prima si fosse insieme a parlare e parlare per ore, dicendo e fantasticando su quello che un giorno avremmo voluto diventare. Ed ora siamo seduti qui, tenendo la sua mano inerme e consapevoli che ormai non può più sentirci. Siamo vicini alla madre che piange ininterrottamente la perdita del proprio figlio, ed anche a noi inizia a mancarci moltissimo, ripensando ai bei momenti passati insieme ed alle difficoltà superate brillantemente insieme. E' estremamente importante farsi degli amici, ma è difficoltoso quando questi se ne vanno lasciandoci soli. Ora lui è li da solo, senza espressione; è stato privato della propria anima, e quel vuoto si riflette sul nostro stato d'animo che viene prosciugato dal troppo dolore. Quel suo corpo immobile non è nient'altro che un guscio abbandonato e lasciato marcire dal passare del tempo. Non potrà più provare amore, ed allora alziamo i pugni al cielo in segno di protesta, arrabbiati con Dio per averci portato via il nostro compagno, pregandolo di riportarcelo indietro e di ridarci quella parte di noi che se ne è andata via con lui. Presi dalla disperazione, arriva un momento in cui andiamo a pensare di volerlo raggiungere; sappiamo che prima o poi questo ricongiungimento avrà atto e quasi cerchiamo di accelerare questo processo di attesa; con senno di poi ci rendiamo conto che non sarebbe giusto nei suoi confronti, che lui vorrebbe che noi continuassimo a vivere e mantenere vivo il suo ricordo. Certo che il vuoto lasciatoci rimarrà incolmabile, ma dobbiamo farci forza e rendere orgoglioso di noi chi anzitempo ha lasciato questo mondo.
Conclusioni
Dopo aver ascoltato ed analizzato a fondo "Vulgar Display of Power", l'unico aggettivo che può venire in mente è solo e soltanto uno: fenomenale. Undici brani uno più bello dell'altro, mai banali e soprattutto incredibili, dove si viene a creare un feeling particolare tra l'ascoltatore e la stessa band. E' presente un po' di tutto, in questo disco: si va da brani diretti e spietati come l'opener "Mouth for War" o la terrificante "Fucking Hostile" sino al raggiungimento di episodi apparentemente semplici e di impatto come l'arcinota "Walk", senza scordarsi di episodi più sofisticati e sofferenti come "This Love" o l'ultima "Hollow". Ce n'é per tutti i gusti insomma, ma il punto di forza vero e proprio di questo lavoro è paradossalmente l'omogeneità nella varietà. Le song si legano una dopo l'altra mediante un doppio filo conduttore, consistente nella volontà dei Pantera di mostrarsi al meglio delle proprie possibilità. Tutto ciò parlando strettamente a livello musicale, mentre a livello lirico si passa da episodi personali e sofferenti a veri e propri manifesti di denuncia verso la società e la religione. Sommando il tutto, siamo di fronte ad una vera e propria opera d'arte, nella quale la chitarra di Dime spicca assolutamente come protagonista, ineguagliabile nel "raccontare" i brani ad uno ad uno. Un'ascia accompagnata da una sezione ritmica perfetta sotto ogni punto di vista, per giunta. Delle grosse novità le possiamo trovare, inoltre, soprattutto a livello vocale, dove il buon Phil Anselmo abbandona definitivamente quegli acuti alla Rob Halford che a tratti si potevano ascoltare sul precedente "Cowboys From Hell". Quindi, anche lui si slega totalmente da quelle catene che lo tenevano parzialmente legato a quelle influenze che avevano segnato la sua crescita, approdando assieme ai compagni verso lidi personalissimi ed espressivi. Un singer che dimostra di possedere una rinnovata cattiveria nell'esprimere alcuni concetti "scottanti", ma allo stesso tempo si dimostra piuttosto versatile quando deve dare un'impronta più delicata al tutto, senza però tralasciare quel senso di sofferenza e cattiveria che il brano stesso richiede. I brani appunto, sono delle piccole perle che non vanno a dipendere esclusivamente da chi li compone, e sembrano quasi "vivere indipendentemente", capaci di trasportare l'ascoltatore in un qualcosa di furioso ma al tempo stesso magnifico. Diciamo che brillano di luce propria d i Pantera non fanno altro che seguire questa luce, indirizzandola direttamente nella nostra testa. Come nel disco precedente, il fatto di avere una chitarra soltanto risulta essere tutto fuorché penalizzante, e gli episodi qui contenuti ne sono la prova confutabile. Pochi infatti sono i brani che necessitano di sovraincisioni e di conseguenza il lavoro della sezione ritmica diventa pressoché indispensabile. Anche la produzione è praticamente perfetta su tutti i punti di vista, con un suono limpido che esalta il lavoro dei Nostri. In definitiva, siamo di fronte ad un grande capolavoro di musica che si vuole definitivamente staccare da qualsiasi genere proposto fino a quel tempo. Se con il precedente album il rischio di flop era concreto, in quanto la scelta di cambiare totalmente un genere (ricordiamo i trascorsi Glam-Heavy) risulta sempre una mossa azzardata per certi versi, dato che sono poche le band che hanno trovato fortuna snaturando il proprio ego "di partenza", possiamo ormai dire che giunti a questo "secondo" capitolo non vi sono più dubbi di sorta. Ai Pantera è andata anche più che benissimo, i Nostri hanno di fatto costruito le fondamenta per un nuovo percorso, e con questo "Vulgar Display of Power" l'edificio si innalza prepotentemente verso il cielo facendo ancora meglio del suo predecessore. Tutte le canzoni presenti sono dei potenziali singoli, tutti i pezzi possono essere inclusi in una qualsiasi scaletta da proporre live. Non possiamo fare altro che inchinarci dinanzi a questo monumento ormai entrato di diritto nella leggenda e proseguire il nostro cammino insieme a questi rampanti texani, per vivere insieme questa magnifica evoluzione. Chiamatelo Groove Metal, chiamatelo come volete, resta il fatto che qui si tratta di Metal in tutto e per tutto.
2) A New Level
3) Walk
4) Fucking Hostile
5) This Love
6) Rise
7) No Good (Attack the Radical)
8) Live in a Hole
9) Regular People
10) By Demons be Driven
11) Hollow