PANTERA
Vulgar Display Of Cowboys
1993 - Atco Records
FABRIZIO IORIO
23/01/2017
Introduzione Recensione
Il 1993 fu a conti fatti un anno piuttosto prolifico per quanto riguarda le uscite dei nostri Pantera. Dopo aver rilasciato il VHS "Vulgar Video", contenente i videoclip di "Mouth for War", "This Love" e "Walk", con in più due brani ("Domination" e "Primal Concrete Sledge") ripresi durante l'esibizione dal vivo tenuta in occasione del gigantesco "Monster of Rock Show" di Mosca, senza scordarsi del singolo "Walk" (rilasciato in numerose varianti per il mercato mondiale, tra cui remix di vario genere e di dubbio gusto), i Nostri si ripresentano nuovamente al grande pubblico; con la pubblicazione di un vinile da 12", dal titolo che lascia poco all'immaginazione. "Vulgar Display of Cowboys" infatti, è una operazione che vuole racchiudere parte della loro nuova incarnazione, concentrandosi sui due album del rilancio; ovvero il sorprendente "Cowboys From Hell" del 1990. che tanto aveva "colpito" la scena presentando un cambio di rotta disumano e proponendoci una band totalmente rinnovata, la quale andava a rinnegare qualsiasi cosa prodotta prima; in seconda battuta, abbiamo poi quel "Vulgar Display of Power" che fu un autentico capolavoro sia musicale che concettuale. Operazione, quella di questo "mash up", che ovviamente vuole tenere "caldi" i fan dei texani in attesa di presentare un nuovo lavoro di inediti che, a questo punto, lo si aspettava con enorme trepidazione. La cover di questa compilation è praticamente identica a quella di "Vulgar..", con immortalato il famoso pugno che Sean Cross si lasciò sferrare, ovviamente sotto lauto compenso. Anche il font del titolo è identico, eccezion fatta per la parola "..Power", giustamente sostituita da "..Cowboys", la quale (per un bizzarro effetto grafico) sembra essere stata ritagliata ed incollata sopra alla precedente, in maniera anche piuttosto dozzinale. Cosa possiamo trovare, quindi, a livello di contenuti? Semplicemente, questo prodotto funge da "best of" dei primi due "nuovi" lavori della band: dieci canzoni distribuite in egual misura in entrambi i lati del disco. Attenzione, però; non troveremo in ordine cinque brani di "Cowboys From Hell" in un lato e cinque di "Vulgar Display of Power" dall'altro, ma quattro del primo e sei del secondo, miscelati anche piuttosto bene per dare organicità all'ascolto generale. Sicuramente, i brani da scegliere per assemblare questa compilation non saranno stati proprio facili da selezionare, visto e considerato il fatto che i due dischi tirati in causa sono praticamente perfetti in ogni loro parte. Ovviamente si è giocato più sul fattore "sentimento", andando a pescare i pezzi che probabilmente rappresentano in maniera più marcata d'altri l'animo dei nostri texani. Per "Cowboys.." abbiamo: "Cowboys From Hell", "Psycho Holiday", "Cemetery Gates" e "Medicine Man"; per quanto riguarda "Vulgar..", invece, troviamo "Walk", "Rise", "This Love", "Live in a Hole", "Regular People (Conceit)" ed infine "By Demons be Driven". Brani che sin dalla loro prima uscita risultarono dei classici, e che avevano successivamente contribuito ad alzare notevolmente il livello di fama della band. Non troveremo quindi versioni rimasterizzate, remixate o riarrangiate per l'occasione, ma solamente le versioni originali. Atte queste ultime a far conoscere la band nella sua nuova forma, aumentando ancora di più lo stacco venutosi a creare fra il presente e gli inizi Glam / Hard n' Heavy. Come a voler dire: "Sentite qui, questi sono i Pantera. Questi sono i nostri nuovi lavori". Una bella ripassata non fa mai male e se volete ripercorrere due delle tappe fondamentali della musical metal in generale, non vi resta che seguire come di consueto la nostra analisi.
Cowboys From Hell
Il brano di apertura di questa compilation, non poteva che essere "Cowboys From Hell (Cowboys dall'Inferno)"; la quale, con la sua apertura carica di effetto che rimbalza violentemente tra una cassa e l'altra come fosse una scheggia impazzita, è presto diventata un simbolo indelebile della band, nonché un marchio che permette di riconoscerne subito lo stile. Un brano che sa farsi identificare solamente dopo una manciata di secondi dal suo avvio. Il primo riff di chitarra è leggero e riesce a tenere alta la tensione in attesa di quel crescendo che diventa man mano sempre più palpabile. Arriva infatti il momento di esaltarci con l'esplosione definitiva, dettata una sezione ritmica potente ed assolutamente esaltante, che fa venire la pelle d'oca tanto è strutturata in maniera perfetta. Un inizio decisamente intenso e tutto da assaporare, che viene però spezzato letteralmente dalla batteria di Vinnie Paul mediante due stacchi violenti e precisi. Il nostro riprendere ad intervalli ben distinti, separati in due parti da precisi colpi di crash. Anselmo inizia quindi in maniera decisa, non tanto a spiegarci il motivo del cambiamento repentino, a livello sonoro, avvenuto con la pubblicazione di "Cowboys..". Piuttosto, la sua è proprio una seria dichiarazione di guerra, nel quale si rende portavoce di una band che esprime tutto il proprio disappunto verso coloro i quali non credono in questo cambiamento. Ed in sostanza, non credono che ognuno di noi possa cambiare le proprie abitudini, tanto sono assuefatti alla mediocrità. La grinta espressa dal frontman è a tratti sorprendente, ed anche rimanendo leggermente ancorato alla prima incarnazione della band (con quegli acuti alla Rob Halford), il Nostro riesce ad esprimersi decisamente in maniera convincente. In un certo senso Phil vuole preparare l'ascoltatore a quello che sarà poi il nuovo corso della band, iniziato appunto con questo nuovo "primo" capitolo. I Pantera stanno arrivando, anzi sono arrivati in maniera prepotente con una nuova proposta, la quale lascerà sicuramente a bocca aperta e che soprattutto inciderà un segno indelebile nel mondo della musica metal. Tutto questo viene accompagnato in maniera impeccabile dalla band, con un modus operandi decisamente compatto ed omogeneo. Il momento dell'assolo da parte di Dimebag è decisamente interessante e soprattutto riuscito, ed anche se la chitarra è sovraincisa, il risultato finale è assolutamente da applausi. La batteria, dal canto suo, diventa quasi la protagonista proprio sul finire, dove si alterna in due soluzioni ben distinte fra di loro ma assolutamente legate a doppio filo conduttore. La prima è pedale/rullante/charleston, che si alterna con charleston/pedale/rullante; assolutamente geniale per spezzare un po' il ritmo. La cavalcata sonora è dietro l'angolo, e difatti la band si lascia andare in un qualcosa di epico seguito da un secondo solo chitarristico accompagnato da una doppia cassa da brividi. Urlo disumano da parte del singer, e si torna con il ritornello ad autocelebrarsi come i nuovi dei del metallo, in seguito "mettendo in piazza" dei luoghi comuni quasi atti a prendere in giro coloro i quali pensano che il classico metallaro sia quello che veste sempre di nero, indossando solo abiti in pelle ed avendo come unico intento quello di spaventare chiunque. Il lavoro strumentale anche in questo caso è fantastico, una sezione ritmica incredibile e quella chitarra magica che sprigiona riff incandescenti come pochi altri sanno fare. Ultimo tassello per ricordare che la band è ormai stata etichettata in questo modo: brutta sporca e cattiva, e sa benissimo che con l'intrapresa di questo nuovo corso non potrà più tornare sui propri passi. I Nostri ammettono anche che la salita per trovare una propria identità definitiva è stata lunga, ma il loro coraggio è stato sicuramente premiato: dopo tutto, or ora siamo qui a ricordare un gruppo sostanzialmente unico. Il brano si conclude con una doppia cassa molto più sostenuta, con tanto di ultimo stacco di batteria accompagnato da un verso liberatorio da parte di Philip stesso, come a voler sfogare un'ultima volta la propria soddisfazione nell'aver contribuito a creare un qualcosa di inimmaginabile fino a poco tempo prima. Non stiamo qui a parlare dell'importanza di questo brano, non parliamo di quanto sia bello ascoltarlo in continuazione ; perché chiaramente siamo dinnanzi ad una song che rientra nella cerchia di quelle che non ci stancheremo mai di sentire.
Psycho Holiday
E' il turno di "Psycho Holiday (Pazza Vacanza)" e subito sentiamo delle raffiche che somigliano molto a degli spari di armi da fuoco. Il brano si presenta subito con una sezione ritmica pesantissima, caratterizzata da un uso della doppia cassa decisamente tecnico da parte di Vinnie Paul, ed anche se il tutto si assesta su di un classico mid tempo, i virtuosismi batteristici risultano essere piuttosto particolari e ben studiati. Il riffing generale proposto è anch'esso piuttosto particolare e complesso, e quando Darrel decide di abbandonare (seppur per un breve periodo) quegli accordi devastanti, si cimenta in scale velocissime con una facilità a dir poco disarmante. Una breve pausa ed è il momento del cantato di Anselmo, il quale ci rivela il tema portante dell'intero brano, ovvero la pazzia; la pazzia nell'affrontare la propria quotidianità. Il protagonista del brano si sente in qualche modo svuotato dal continuo consumo ed abuso di alcool, nonché assuefatto dalle sostanze stupefacenti che per forza di cose lo separano nettamente dal mondo che lo circonda. Il tutto è accompagnato da una strumentazione piuttosto articolata e molto ben eseguita, dove troviamo anche un bel ritornello che si rivela piuttosto melodico nel suo proporsi. La frustrazione e la pazzia iniziano a prendere il controllo, ed è proprio in questi momenti che il nostro protagonista sente la necessità di avvalersi dei propri sedativi. L'euforia prende il sopravvento, non vuole la vicinanza di amici o parenti, vuole semplicemente del tempo libero per stare con se stesso, per cercare in questo modo di fare un po' di ordine nella propria testa, tentando di scacciare quei demoni fastidiosi che riempiono la di lui mente. Qui si ripete un po' la formula iniziale con tanto di chorus, ma una volta concluso il refrain, ascoltiamo un bel giro di tom con un assolo senza sovraincisioni, dove il basso di Rex Brown diventa a dir poco indispensabile per sostenere l'intera struttura. Si riparte con un'altra strofa che però risulta essere espressa con un cantato meno pesante che in altre occasioni. Questo è un banco di prova importante per il nostro protagonista, e la sua mente decide di prendersi appunto questa vacanza psicopatica per sfuggire ai propri doveri. Il problema è che ora non riesce più a distinguere gli estranei dagli amici, stenta persino a riconoscere i propri parenti. Si pone dei problemi assurdi, come quello di possedere due donne e di non riuscire a soddisfarle. Questa parte viene espressa in maniera molto più convincente, e sul finale la batteria picchia in maniera molto più sostenuta, con la sezione ritmica in generale che sembra essere molto più omogenea e ben solida. Il racconto si conclude con questo blocco mentale, ma ad un certo punto accade qualcosa: il racconto viene spiegato non più in prima persona ma in terza, come a voler mettere l'ascoltatore nei panni del protagonista per poter toccare con mano le sue sofferenze. Ed è proprio qui che capiamo che la mente ad un certo punto suggerisce di fuggire, e di conseguenza riusciamo a capire che alla fine quest'uomo è stato accecato da tutte queste sostanze, le quali altro non hanno fatto che portarlo verso delle paranoie assurde, non riuscendo a fargli vedere la vita per quello che è veramente. Il brano non è tra i migliori anche se è sicuramente ben riuscito, ma è geniale il cambio di rotta che ha il testo, o meglio, il racconto sul finale. Cerca appunto di farci immedesimare nel protagonista per farci capire meglio possibile il suo stato così malato, in modo da farci cercare una soluzione in prima persona. Questa è una grande prova di maturità per una band che non ha paura di affrontare dei temi importanti senza preoccuparsi troppo di quello che pensano gli altri. A livello puramente musicale siamo di fronte ad un episodio piuttosto lineare e non troppo complesso, dove il lavoro di batteria e di chitarra si fanno certo sentire, così come il cantato, ma è il basso ad essere decisamente lla colonna portante, adattissimo per dare quella pesantezza in più che tanto fa bene all'economia della song.
Walk
"Walk (Cammina)" è un brano che già allora era diventato imprescindibile, inserito e presente in qualsiasi singolo, EP ecc., ed anche in questo caso è giustamente messo in scaletta proprio perché non doveva né poteva mancare. L'inizio è affidato ad un unico riff di chitarra molto semplice, il quale viene raggiunto dal basso del compagno Rex e dalla batteria di Vinnie, il tutto eseguito con una semplicità ed una naturalezza disarmanti. Il cantato di Anselmo che sussegue è anch'esso molto semplice e lineare, ma è anche dotato di una grande grinta, riuscendo a destreggiarsi molto bene, appoggiandosi su una base molto cadenzata e pesante. Il pre-chorus che arriva subito dopo la prima strofa, fa da antipasto appunto al ritornello, il quale non tarda troppo ad arrivare, anzi, si fa attendere veramente poco; e ci viene di conseguenza presentato, in maniera piuttosto decisa, un argomento che troppe volte viene affrontato con molta superficialità: quello del rispetto. Il rispetto che ogni giorno cerchiamo di dare agli amici, ai famigliari, alle persone in generale, con la pretesa però che questa forma di "attenzione" ci venga giustamente restituita. Sarebbe bello poter dire che ogni situazione fili effettivamente come dovrebbe, ma purtroppo non è così, quasi mai. Tante volte l'essere troppo buoni porta solo ad essere derisi e presi a pesci in faccia, proprio da chi si professa nostro amico, e questo fatto può solo far cadere la nostra autostima, minandola alla base. Altra strofa e si ritorna a martellare con questa ritmica lenta ed ossessiva, e se arriva un momento in cui pensiamo che ormai nessun tipo di variazione a livello sonoro possa avvenire, vedendo come è ormai indirizzato il brano, arriva il momento di ascoltarci l'assolo offertoci da Darrel. Assolo che viene preceduto per qualche istante da battiti di tom che presagiscono un cambiamento, ed infatti il risultato si rivela alla fin fine un qualcosa di straordinario. Un'esperienza impareggiabile dove il nostro chitarrista sparge a noi il proprio genio compositivo reggendosi da solo senza bisogno di sovraincisioni o quant'altro. Un momento indimenticabile per la musica tutta. Chiariamo subito che non ci troviamo davanti a chissà quale virtuosismo tecnico o scenico: è solo che questa espressione solista risulta il perfetto tassello mancante di questo puzzle straordinario. Il momento giusto al posto ancora più giusto. Si continua poi ad urlare parole colme di rabbia e risentimento: a volte capita addirittura di essere infastiditi da certi individui, e la band lo dice chiaramente, ma purtroppo (molte volte) il messaggio non viene recepito bene da questi ultimi. Anche il desiderio di allontanare certe persone diventa impellente, ed anche quando essi si rivelano dei viscidi traditori pronti a pugnalarti alle spalle, cerchiamo sempre di dare il nostro rispetto anche se sappiamo benissimo che non riceveremo certo in cambio lo stesso trattamento. Il brano termina con le solite manganellate lente ma letali, le quali finiscono il lavoro iniziato ad inizio song, ovvero quello di ammazzarci a suon di riff letali. La linearità la fa da padrone, è vero, ma trovatemi una band che con così poche note messe sul pentagramma riuscirebbe a tirar fuori un qualcosa del genere. Ci sono, è vero, ma si contano sulle dita di una mano. Concludendo il testo, arriviamo al limite della nostra sopportazione e ci viene quella voglia di saltare al collo di questa gente, che farebbe di tutto pur di infangarci. Non ne vale la pena, ma l'istinto è difficile da trattenere, e non possiamo nemmeno nascondere la nostra vera natura. "La tua bocca corre quando non ci sono", persone che hanno una faccia quando stanno davanti a noi, ed un' altra appena ci voltiamo di spalle. L'unico modo per farci scivolare tutto addosso è quello di allontanare per sempre certi individui, perché a quel punto il menzionato rispetto viene a mancare totalmente da ambo le parti. Non resta che voltarci e continuare il nostro cammino, fidandoci solamente di noi stessi.
Cemetery Gates
"Cemetery Gates (I Cacelli del Cimitero)" è introdotta da un arpeggio bellissimo, da pelle d'oca. Sembra di assistere ad un qualcosa di mistico e poetico che i Pantera sono riusciti a mettere in musica. La voce del frontman non è un cantato vero e proprio, sembra più un parlato carico d'effetto, il quale riesce a conferire un animo sentimentale a tutta la struttura. Dopo questa introduzione molto carica di phatos, i fratelli Darrel iniziano a farsi sentire con voce grossa, e senza spingere poi molto, offrono a noi una prestazione dalla personalità smisurata. Torniamo con sorpresa ad ascoltare quel magnifico arpeggio di inizio brano con quella voce molto emotiva ed intima, per poi quasi proseguire verso un'esplosione, portatrice di violenza quasi inaspettata, accompagnata da delle vocals moderatamente aggressive. La prestazione di Philip così commovente trova il suo motivo proprio nel testo, dove viene raccontata la storia di un individuo che ha da poco perso la propria amata, e chiede al proprio padre confessore quali potranno ora essere i propri progetti di vita, adesso che è rimasto solo. Tutto diventa così irreale, con il Nostro abbandonato nella propria miseria, ed il suo pensiero va a chi è stato crocifisso senza aver commesso alcun peccato. Proprio come la sua compagna, morta senza certamente meritarselo. Il reverendo si rivolge a lui, e senza versare alcuna lacrima, si ricorda dell'amore infinito che lui e la sua dolce metà si erano giurati. Il protagonista si rende conto che l'unica cosa che riesce a vedere è solamente la pioggia, ed immagina che questa possa dipingere in cielo il viso della sua amata. Ora Vinnie, con il suo drum set, decide che è arrivato il momento di fare sul serio: brevissimo stop strumentale ed il ritornello arriva nella sua meravigliosa veste di accompagnatore, dove la parola "Gates" viene ripetuta sul finale in tonalità sempre più alta con una chitarra altissima che ha quasi la funzione di seconda voce. Da qui in avanti è un tripudio di rara bellezza, e capire realmente cosa sia passato per la mente dei nostri texani per essere riusciti a creare un monumento musicale del genere, è veramente difficile. Il brano si assesta su queste coordinate per tutta la propria durata, ed è bellissimo sentire quegli arpeggi, quei fraseggi, quei cambi di ritmo che servono a non distogliere mai l'attenzione. Farci rilassare a livello musicale e tenerci sempre sulle spine con questo racconto malinconico. Il finale è molto riflessivo, il nostro protagonista crede che gli sia stata rubata la propria gioventù, e che questo sentimento, "l'amore", si sia ormai tramutato in rabbia. Proprio come succede al reverendo, egli non riesce più a versare una lacrima, perché ha deciso di non rassegnarsi all'idea di aver perso l'unica persona veramente importante della sua vita. Il testo, dicevamo, è molto ma molto intimo, quasi personale, ed infatti si vocifera che sia ispirata ad un fatto realmente accaduto e vissuto in prima persona da Phil Anselmo nel 1989. Anno in cui una sua cara amica si tolse inspiegabilmente la vita, ispirando il singer (rimasto inevitabilmente scioccato) a scrivere un testo in sua memoria.
This Love
"This Love (Questo Amore)" si fa subito notare grazie ad un arpeggio iniziale leggermente distorto che funge da introduzione. Questo tipo di soluzione sonora continua con l'apporto del batterista, il quale tocca leggermente il bordo del rullante mantenendo quelle coordinate di apparente calma. Anche il lavoro di basso di Rex svolge un ruolo sicuramente di rilievo, essendo morbido e leggero pur nascondendo un'aura sicuramente molto più decisa. Si inizia a sentire qualche crash, e il tocco di bordo rullante si tramuta in colpi decisi verso quella pelle che deve contenere cotanto impeto. In questa prima parte anche la voce risulta essere molto delicata, mai aggressiva o forzata. Al contrario, siamo al cospetto di una interpretazione decisamente riuscita e soprattutto sofferta. Il tutto sembra essere una confessione d'amore, dove l'unica ragione di vita per il protagonista sembra avere una persona accanto, su cui fare affidamento e costruire un rapporto duraturo, costruendo una base solida per lo sviluppo di questo rapporto speciale. Un breve assolo precede una parte decisamente molto più aggressiva e pesante, ma quando tutto sembra propendere verso una esplosione definitiva del brano, ecco che i Nostri decidono di tornare sulle coordinate molto particolari di inizio pezzo. Si ripetono quindi quegli arpeggi e quei suoni sinuosi dal sapore di ballad con tanto di ritornello cantato in maniera molto più aggressiva che in precedenza, per poi lasciarci di stucco con una parte poderosa, qualificata da un guitar work assolutamente geniale e sugli scudi, dove gran parte della frustrazione del protagonista del testo viene espressa in maniera perfetta attraverso la distorsione ritmica di Darrel. Abbiamo parlato di frustrazione non a caso, dato che ad un certo punto si ascolta la frase "Ho detto che ti amavo ma ho mentito", facendo maturare un senso di leggera confusione nella testa dell'ascoltatore. Il tutto viene spiegato successivamente, con l'intenzione del protagonista di ammettere che tutto ciò è stata una presa in giro. Nella sua mente affiora una idea dell'amore decisamente perversa, dove non viene più espresso un sentimento ,ma il tutto si trasforma in un qualcosa da provare giusto per il gusto di farlo e niente di più. Con il proprio partner che tristemente si vede utilizzato come un giocattolo, venendo poi messo in un angolo una volta passata la voglia di giocarci. Altra piccola pausa e si ritorna sulle sonorità iniziali, ma questa volta il tutto viene arricchito da un assolo ottimamente eseguito che si dilunga di molto in attesa del prossimo chorus, carico invece di una rabbia a dir poco inaudita. L'ultima parte è un'esplosione di potenza, un basso penetrante la fa da padrone mentre la chitarra si perde lentamente a favore di un ultimo e brevissimo solo che sancisce la fine di un brano bellissimo, in grado di catturare fin dalle prime note. La song si conclude con il dolore inferto dal proprio partner per essere stato trattato in questo modo, e si denota la doppia faccia della song sia a livello sonoro che testuale. Se vi è una prima parte dove tutto è bello, e il sentimento predominante è appunto l'amore accompagnato da soluzioni "positive" da parte della band, una seconda invece tira fuori un animo malato con tanto di musica esplosiva. Il finale ha un qualcosa di clamoroso che fuga ogni dubbio, ed il tutto è racchiuso in una semplice frase : "Niente più trip mentali". Tutto quello che il protagonista ha pensato, tutto quello che a noi sembrava reale, non è altro che frutto della propria immaginazione che si potrà controllare solamente con una grande forza di volontà.
Rise
"Rise (Salita)" ha un impatto talmente diretto e violento che sembra prenderci letteralmente a calci nei denti anche solo dopo pochi secondi dal suo avvio. Questa terremotante introduzione lascia presto lo spazio ad una sezione più controllata e lenta, con continui stop and go da parte di Dime che favoriscono l'ingresso vocale di Anselmo. La prima strofa è decisamente concitata e viene esaltata da una sezione ritmica intermittente ma efficace. Il pre-chorus è veramente ben fatto, ma il ritornello è di una violenza senza pari. Assassino, crudele e cattivo, con delle urla laceranti che non lasciano certo via di fuga. Questa cattiveria vuole essere una valvola di sfogo, un modo per dire basta; basta nel cercare una credo od un ideale che altro non facciano che metterci gli uni contro gli altri, e dobbiamo voltare le spalle a chi si oppone a questa nostra ribellione. Dobbiamo risalire, dobbiamo riprenderci la nostra vita e non continuare ad essere usati come burattini. E' in questo preciso momento che i tre membri restanti ci danno dentro di brutto, con una prestazione accecante per intensità, proponendo un assalto frontale spaventosamente dirompente e soprattutto da brividi. Il tempo a nostra disposizione sta per volgere al termine ed è giunto il momento di diffondere la nostra parola. Cerchiamo di cogliere il senso del discorso dei Bostri, i quali ci dicono come poter cambiare e soprattutto come agire, smettendola di ascoltare notizie che vengono spacciate come novità quando sappiamo benissimo che sono talmente obsolete da risultare irriverenti. Inutile dire che, fra le righe, riusciamo a leggere un nemmeno troppo velato attacco alla religione cattolica. L'andamento chitarristico alternato si lascia andare fino al raggiungimento del ritornello per poi spingere nuovamente al massimo con una doppia cassa velocissima ed un basso in grande rilievo. Il momento del sospirato assolo arriva con una naturalezza impressionante, e senza bisogno di sovraincisioni ma solo con l'aiuto della sezione ritmica, Dime riesce nell'intento di focalizzare il lavoro mostruoso della sei corde ed esaltare il lavoro di squadra sopperendo alla mancanza di una seconda chitarra. La strofa seguente è un po' più breve del solito e lascia l'ultimo spazio ad una strumentazione che sembra impazzita tanto è l'impeto dimostrato. Il brano si conclude con una sorta di riflessione, dove ci si rende conto di aver vissuto insieme agli errori commessi in passato, i quali pare non siano serviti poi a molto dato che continuiamo a farli ripetutamente ancora oggi. Il problema è che ci sono troppe cose che ci vengono nascoste e tutto viene controllato a nostra insaputa da chi vuole mantenere un certo livello di ignoranza tra la gente. Insomma, è tempo di risalire e di dare finalmente un senso alla nostra vita.
Medicine Man
"Medicine Man (Lo Stregone)" inizia con una batteria che si ode in lontananza, ed il suo incedere risulta essere piuttosto minaccioso senza rivelarsi però travolgente. Chitarra e basso emergono dal nulla presentando un suono molto cupo, reso ancora più oscuro da un parlato molto "buio", accompagnato da un drumming leggerissimo e da una chitarra appena accennata. La voce di Phil continua su coordinate da narratore fino a quando non udiamo un acuto altissimo che dà il via ad una sezione ritmica molto coinvolgente. Il tutto potrebbe fa pensare ad un decollo definitivo del brano, ma invece si ritorna a respirare quella tranquillità iniziale che però è resa in maniera da risultare anche piuttosto disturbante. Si palesa quindi, dinnanzi a noi, una figura ambigua la quale si professa essere un "guaritore spirituale". In lui pulsa il cuore del demonio e quindi nelle sue vene scorre il sangue del male. Attenzione però, perché quando si rivolge a noi, dalla sua bocca sembrano provenire le parole di un angelo. "Ti sei mai chiesto com'è il paradiso?" ci viene domandato; ed ovviamente, alla risposta affermativa, ci dice che lui è in grado di mostrarcelo. Arriva il momento di fare sul serio ed ecco che al momento dell'assolo corrisponde anche un aumento di velocità piuttosto consistente. Il sottofondo ritmico è azzaeccatissimo ed ha un sapore tipico da film thriller, riuscendo a creare una suspance che a tratti risulta terrorizzante. Il lavoro di doppia cassa si alterna alla perfezione con tocchi di ride, e quando termina questa lunga parentesi musicale, il riffing si fa decisamente più cattivo. Un piccolo assaggio di ritornello permette la ricomparsa dell'assolo, che si propaga fino alla fine della song , andando a sfumarsi lentamente. La voglia di guardare il paradiso ci distoglie dalla realtà, ovvero quella di trovarsi all'inferno, anche se si stenta a credere a ciò. Questo stregone continua a cercare di tranquillizzarci mettendoci a nostro agio, ma il suo vero obbiettivo è quello di toglierci il bene più prezioso, ovvero la vita. Alla domanda precedente si sussegue quella opposta: "Ti sei mai chiesto com'è l'inferno?" ed anche in questo caso lui ci dice che può mostrarcelo. Non solo può farcelo vedere, ma inconsapevolmente ci sta portando proprio lì. Tutto questo per farci capire che una volta l'uomo era orgoglioso di se stesso, ma per colpa di troppa indulgenza la sua anima è stata infettata da un veleno mortale. Medicine Man (in americano) è anche lo spacciatore di droghe, e cioè colui che ci promette il paradiso mandandoci prima all'inferno. Il brano non è male, sia chiaro, ma dato che già in "Cowboys From Hell" era tra i meno riusciti (pur essendo di una qualità sicuramente importante), non mi sarei aspettato una sua comparsa in questa compilation.
Live in a Hole
E' il turno di "Live in a Hole (Vivere in un Buco)", brano che gode di un avvio pesantissimo dato da basso e chitarra, i quali si fondono per creare uno schiacciasassi sonoro dirompente. Il drumming dal canto suo è molto preciso ma non violento. Questa introduzione viene spezzata subito da un assolo accompagnato perfettamente da Vinnie, che con la sua doppia cassa ci regala momenti molto interessanti senza mai spingere od esagerare in un contesto che in effetti non ne avrebbe avuto bisogno. In questo frangente sentiamo una piccola sovraincisione di chitarra la quale non vuole certo risultare messa così a caso, ma anzi riempie ottimamente il suono conferendogli un'anima pesante. Dopo un primo minuto votato interamente alla musica, arriva il momento di ascoltare una prima parte cantata, che paradossalmente viene a trovarsi abbandonata dal resto della band. Questo fatto accade per ben due volte con solamente un intermezzo di chitarra atto ad introdurre un pre-chorus, il quale può risultare un po' ostico all'ascolto per via di una stonatura forzata da parte del singer. Stonatura, però, studiata appositamente per spiazzare l'ascoltatore, per poi indirizzarlo alla grandissima verso una sezione a dir poco dirompente. Il "vivere in un buco" viene inteso come un atto di isolamento, confinandosi nel proprio mondo. Un mondo che non permette a nessuno di poter far parte della nostra vita, innalzando confini solidissimi e ben definiti. Una scelta sicuramente drastica presa a causa di tutto il dolore accumulato, frequentando ed ascoltando le persone sbagliate, le quali ci hanno portato a non credere più a nulla di ciò che ci viene detto. La chitarra si impadronisce della scena con una impostazione stridula che viaggia in maniera spensierata verso una seconda parte, la quale vede ancora una volta una brusca interruzione quando viene chiamata in causa la voce di Philip, per poi sfociare nuovamente in un riff decisamente spietato. Alla sua conclusione sentiamo una voce sussurrata che introduce una breve parte distorta che fa da introduzione per un assolo assecondato intelligentemente dalla sezione ritmica. Il tempo si velocizza per poi tornare sulle proprie coordinate per un secondo affondo solistico che, chiaramente, permette ad un altro riff devastante di fare la propria comparsa. Purtroppo alcune esperienze (più tutte le conseguenze negative che essere recano dietro) riescono a buttarci pericolosamente a terra; ed è in quel momento che ci rintaniamo nel nostro guscio e non permettiamo a nessuno di disturbare la nostra solitudine. Qui il ritornello è bello carico di groove e termina con le sonorità iniziali ribassate di un tono, chiudendo il pezzo con una voce appena accennata, più un continuo stop and go da parte di Darrel. Ci siamo fatti una promessa, ed è quella di non venire mai sottomessi da nessuno. E' vero, viviamo in un buco, ma lo fanno molte altre persone che conoscono e capiscono il nostro stato d'animo. Capiscono cosa ci passa per la testa, e come noi si sentono in qualche modo incompleti. Gli amici esistono; sono pochi, è vero, ma ci sono ed il più delle volte sono troppo lontani, per un motivo o per un altro. Così, alla fine, siamo destinati a morire da soli.
Regular People (Conceit)
"Regular People (Conceit) - Il Concetto di Normalità" inizia con colpi secchi di tom ed una chitarra che cresce in maniera esponenziale fino a staccarsi completamente dalla batteria ed iniziare il proprio refrain, il quale risulta molto interessante e particolare. Ad un certo punto sentiamo un riff che definire mostruoso non renderebbe giustizia alla pesantezza profusa, ed il tutto viene accompagnato brillantemente dal basso di Brown. In questo frangente si inserisce anche il drumming di Vinnie che si presenta con tempi irregolari per poi martellare le proprie pelli. Si riparte con quel bellissimo refrain, arricchito questa volta da una doppia cassa non necessariamente veloce, che alza comunque il ritmo in maniera considerevole fino a quando non arriva finalmente la voce del singer che si presenta sfoggiando una prestazione molto calma e tranquilla, stemperando di molto una situazione decisamente rovente. Ad un certo punto le vocals diventano più dure e Darrel inizia a macinare riff taglienti con la complicità del basso che rimbomba nelle orecchie dell'ascoltatore. Anselmo perde il controllo, ed inizia a diventare schizofrenico emettendo delle urla disperate, mentre la sezione ritmica non cede minimamente, dimostrando una grande capacità nell'enfatizzare questo momento così stralunato. Il perché di questa pazzia è da ricercarsi nel fatto che si prospettano tempi veramente duri per la nostra esistenza. "La maggior parte della gente direbbe che è dura" ed è un pensiero altamente condivisibile se non fosse che a parole, siamo tutti profeti. A lamentarsi ci vuole veramente poco, mentre il numero di persone che cercano di fare qualcosa di concreto è veramente esiguo, forse troppo. Non bisogna mai prendere nulla alla leggera, perché ad andarci di mezzo non è solamente il nostro tenore di vita, ma soprattutto l'orgoglio di noi esseri umani. Più o meno a metà brano ascoltiamo quei colpi di tom che avevano fatto da introduzione alla song, con la differenza che questa volta la chitarra viene caricata d'effetto per poi lasciarsi andare in un assolo di altissimo livello di tonalità. La batteria sembra essere messa in loop tanto è la precisione proposta nell'alternare due colpi di pedale ed uno di rullante, arricchendo il tutto con il ride e qualche inserimento di crash. Al termine di questo assolo si riparte alla grandissima con solamente la sei corde ed il basso a spiegarci cosa voglia dire il termine "pesantezza" sonora. Arriva il momento dell'ultima strofa , dotata di una ritmica più sostenuta, giungendo quindi alla chiusura di un brano spettacolare sotto molti punti di vista. Il protagonista di questo brano combatte per l'amore dei propri fratelli e punta il dito a coloro che non muovono un muscolo aspettando che qualcuno faccia qualcosa anche per loro. "Non riesci a capire perché hai la testa infilata nel culo" ed anche spiegando il concetto in tutte le lingue possibili, nulla cambierebbe. Noi stiamo mettendo in gioco il nostro orgoglio per un qualcosa che molto probabilmente non riusciremo nemmeno ad ottenere; ma a differenza di altri cerchiamo in qualche modo di dare speranza e di porre fine a queste continue sofferenze.
By Demons Be Driven
Ultimo brano presente in questa compilation è "By Demons Be Driven (Guidato dai Demoni)". L'inizio vede una chitarra avvicinarsi molto lentamente per poi sfociare in un riff assassino, accompagnata perfettamente da una doppia cassa alternata che si ferma ad ogni sussulto chitarristico. Ogni tanto si sente la sei corde innalzarsi su toni altissimi per poi riprendere con questa particolare introduzione. Con l'arrivo del cantato, e quindi della prima strofa, il discorso cambia piuttosto radicalmente, con una base ritmica molto più lenta, che però si adatta benissimo all'ugola del proprio singer. La voce cambia radicalmente a favore di una interpretazione disperata, in un ritornello che sembra essere interpretato da un pazzo. Un folle che però, ad un certo punto, improvvisamente si calma sfoggiando una voce molto bassa e quasi impercettibile. La religione è il tema portante di questo testo, e i Nostri vogliono farci intendere che questo concetto è diventato con il passare degli anni decisamente vecchio, anzi antico. La chiesa non riesce più ad educare le nuove generazioni perché la mentalità delle persone sta cambiando molto velocemente, e di conseguenza la voglia di fede sta scemando molto lentamente. Il nostro intendere certi argomenti è in continuo mutamento, e se queste religioni non riescono ad adeguarsi a questo cambiamento, troveranno sempre meno persone disposte a seguirle. La seconda strofa fila liscia come previsto, mentre il chorus risulta essere più disperato che mai complici delle urla ancora più malate, ma soprattutto accentuate da un leggero filtro vocale. Passata questa parte altamente "malata" la parte ritmica sembra trovare una certa libertà tramite un accordo incredibilmente infernale da mettere letteralmente i brividi. Altro ritornello caratterizzato dal continuo ripetersi della parola "Demons", ed assistiamo ad un ultima legnata strumentale che destabilizza quel poco di sanità mentale che ci rimane. La song si presta benissimo per continuare il discorso provocatorio verso qualsiasi tipo di istituzione religiosa, ma una cosa è certa: un giorno verremo presi dalla morte, e verremo guidati da questi demoni della morte che ci chiameranno per nome, e noi risponderemo alla loro chiamata. Quindi il consiglio è quello di vivere la vita il meglio possibile, perché alla fine di noi rimarrà solo polvere. Il viaggio che dobbiamo affrontare insieme a queste entità maligne ci porta in una dimensione parallela, dove tutto ciò che siamo abituati a chiamare "cose", esiste e viene materializzato solo se lo vogliamo davvero. Il problema principale è che questa nostra consapevolezza dei nostri mezzi viene resa instabile da ciò in cui ormai non crediamo o in cui non abbiamo mai creduto; così facendo però, ci perdiamo in una sorta di limbo infinito dal quale non sembra esistere una via di uscita.
Conclusioni
Arrivati alla fine di questa compilation, diciamo subito che si tratta sicuramente di un'operazione dettata dalla vertiginosa ascesa dei Pantera con la pubblicazione dei suddetti dischi qui "mescolati". Ovviamente c'erano tutte le ragioni atte a giustificare la creazione (con conseguente messa in vendita) di un prodotto del genere, dato che stiamo parlando di due album talmente belli ed importanti che sarebbe stato stupido non proporli in tutte le salse possibili, come appunto in questo contesto, in una sorta di best of. Sarebbe però stato più stuzzicante magari inserire qualcosa che andasse oltre i brani contenuti nei rispettivi lavori, giusto per rendere più appetibile l'offerta. La quale, alla fine, si limita solamente a riproporre unicamente le versioni originali dei pezzi che già conoscevamo. Per quanto riguarda la scelta delle canzoni inserite si può dire poco o nulla, dato che avrebbero trovato spazio praticamente tutti gli episodi di "Cowboys.." e di "Vulgar..". Un appunto, però, mi sento di farlo: personalmente non avrei mai escluso, e ripeto mai, dei pezzi come "Domination" e soprattutto "Mouth for War". Questo perché entrambi godono di una potenza mai udita prima di allora, e dove l'attitudine "spacca tutto" dei Pantera è assai meglio espressa che in altri episodi qui presentati. Magari tolte "Cemetery Gates", "Walk" e "Cowboys From Hell" (mettiamoci anche "This Love"), imprescindibili, avrei sacrificato due canzoni al di fuori della cerchia, per fare posto a quei due classiconi che ho nominato pocanzi, i quali avrebbero aumentato la valutazione finale di almeno mezzo punto. Poco male, comunque. Questa compilation in fin dei conti arricchisce la discografia dei Nostri texani, ma aggiunge poco o nulla se non quella voglia di completezza; o più semplicemente vuole essere un mezzo per far conoscere la band a quei pochi che ancora non ne avevano (allora) sentito parlare. Per quanto riguarda la reperibilità di questo prodotto, diciamo che il vinile originale non è propriamente facile da trovare, ma in compenso esiste una versione cd , che invece si può acquistare piuttosto facilmente. C'è anche da dire che, ascoltando questo lavoro tutto di un fiato, si possono intravedere quelle differenze che hanno reso questi due album tirati in causa delle pietre miliari per il genere; il primo è un coraggioso cambio stilistico rispetto ai primi tre dischi di forgia Glam/Heavy Metal, dove gli strumenti sono molto diversi e strizzano l'occhio al thrash anni '80, con un cantato che per certi versi è ancora in parte influenzato dai primi lavori della band e prende come punto di riferimento la voce di Rob Halford dei Judas Priest in quanto a parti vocali a volte molto alte. Il secondo trova un sound più roccioso e decisamente più "incazzato", dove chitarra, basso e batteria salgono ad un livello superiore, così come la stessa voce di Anselmo, il quale abbandona i toni troppo alti per sposare la rabbia più pura, senza dimenticare momenti più sofferti e melodici, con però sempre quella vena violenta che contraddistingue la propria voce. La domanda giusta da porci dunque è la seguente: vale la pena acquistarlo? Si se volete avere tutto dei Pantera, ed a vostra discrezione se possedete già entrambi i dischi, pur sapendo di non trovare niente di nuovo. Un buon prodotto, ma non irrinunciabile.
2) Psycho Holiday
3) Walk
4) Cemetery Gates
5) This Love
6) Rise
7) Medicine Man
8) Live in a Hole
9) Regular People (Conceit)
10) By Demons Be Driven