PANTERA

Cowboys from Hell

1990 - Atco Records

A CURA DI
FABRIZIO IORIO
07/04/2016
TEMPO DI LETTURA:
9

Introduzione Recensione

Esiste un film dal titolo "The Jazz Singer", datato 1927, il quale segnò la nascita dell'era del suono nel cinema; un film che, nel suo svolgersi, donò al mondo la seguente frase: "Aspetta un minuto, aspetta un minuto, non hai ancora sentito niente". Questa citazione non potrebbe essere un esempio migliore, per descrivere ciò che una celeberrima band Texana fu in grado di produrre, nel 1990, dopo quattro lavori incentrati per lo più su sonorità tipicamente Heavy / Glam Metal. Facciamo dunque un salto indietro nel tempo, per capire come nasce il fenomeno Pantera ma soprattutto come avvenne la sterzata totale del loro sound, con la pubblicazione del loro splendido "Cowboys From Hell (Cowboys Dall'Inferno)", il quale segna un nuovo inizio per il gruppo di Arlington e per la storia del Metal in generale, cancellando praticamente tutto quello che il gruppo era stato in grado di fare in precedenza. La nostra band nasce nel 1981 per volontà dei fratelli Darrell Lance Abbot Vincent Paul Abbott, rispettivamente chitarrista e batterista. La primissima formazione comprendeva, oltre ai fratelli Abbott, anche Tommy Bradford ad occuparsi delle parti di basso, il chitarrista Terry Glaze ed il cantante Donnie Hart. Le risorse per poter registrare un album fortunatamente non vennero sin da subito a mancare, soprattutto grazie al padre dei due fratelli, Jerry Abbott, il quale fondò una vera propria etichetta discografica dal nome "Metal Magic Records", nome che verrà "ricordato" (o meglio, totalmente ripreso) anche nell'album d'esordio dei Pantera, ovvero "Metal Magic". Etichetta fondata proprio per assistere i giovani Pantera durante i loro inizi di carriera, fra l'altro. Il tutto sembrava dunque assestarsi su binari favorevoli e fortunati, non prima però di aver fronteggiato una doppia defezione a livello di line-up. Donnie Hart Tommy Bradford, nel 1982, lasciarono la band e di conseguenza venne dirottato Glaze alla voce e reclutato, nel ruolo di bassista, Rex Brown. Il nome venne ben presto coniato pensando alla città di Pantego (vera e propria origine del monicker "Pantera"), in quanto proprio in loco il padre degli Abbots possedeva lo studio di registrazione (nel quale fu anche registrato "Cowboys.."). I Nostri iniziarono a registrare il loro primo disco, "Metal Magic" appunto, il quale vide definitivamente la luce nel 1983. Riascoltandolo ancora oggi, salta subito all'orecchio quanto lungo i suoi solchi possano essere percepite delle forti influenze Glam, con qualche sprazzo di N.W.O.B.H.M. Inizialmente, i primi live della band erano difatti totalmente caratterizzati da cover di KISS e Van Halen, artisti venerati da Darrell, che aveva come ispiratore massimo nientemeno che Ace Frehley. Dopo l'uscita del loro primo disco, finalmente, abbandonarono lo status di cover band per proporre nei piccoli club i loro brani inediti. I responsi, tutto sommato, furono più che positivi e spinsero la band (un anno dopo) a registrare un secondo, disco dal titolo "Projects In The Jungle". I Pantera iniziarono quindi un piccolo tour in America, e sulle ali dell'entusiasmo, nel 1985, diedero alle stampe un terzo lavoro, dal titolo "I Am The Night". Tre dischi a cadenza annuale, in puro stile Glam Heavy Metal, che riescono a riscuotere un buon successo. Arriviamo al 1986, anno in cui escono dei capolavori come "Master Of Puppets" dei Metallica "Reign In Blood" degli Slayer, ed immediatamente, nella testa dei fratelli Abbot, scatta un qualcosa: una scintilla pronta a divampare in un rogo di proporzioni devastanti. Folgorati da questo sound e dalla selvaggia attitudine del thrash, difatti, i Pantera cominciarono a manifestare l'intenzione di cambiare in maniera drastica il proprio sound; ma Glaze, non convinto, decise di abbandonare la band. I Nostri dovettero quindi fronteggiare un problema piuttosto grave, ovvero cercare un cantante che avesse voglia di iniziare un nuovo percorso musicale, differente da quanto fatto fino a quel momento. Ed ecco che, dopo qualche provino, si presenta un certo Philip Anselmo, proveniente dalla band Razor White, il quale rispecchia perfettamente il prototipo del cantante perfetto per dare il via ad un nuovo inizio. Inizio che si manifestò nel 1988 con un album dal titolo sicuramente più esplicito, ovvero "Power Metal". Anche se la metamorfosi era ancora in fase cosiddetta embrionale, qualche cambiamento lo si poteva già udire; una chitarra più potente, una batteria molto più sostenuta e soprattutto un cantato leggermente più aggressivo. Un disco che tutt'oggi rimane molto apprezzato dai fan del combo texano, e che all'epoca suscitò molto interesse sia nella critica sia fra i colleghi. Tanto che, verso la fine degli anni '80, nientemeno che Dave Mustaine (come ben sappiamo leader della Thrash Metal band Megadeth) propose a Dimebag Darrel di prendere il posto del chitarrista Jeff Young, ritiratosi dopo la pubblicazione di "So Far, So Good.. So What!". Darrel, di tutta risposta, propose a Mustaine di arruolare non solo lui, ma anche suo fratello; proposta che di fatto fece declinare l'offerta, e quindi il tutto si risolse con un niente di fatto. I Pantera, dunque, rimasero la priorità. E dopo varie date dal vivo, il manager dell'etichetta Atco RecordsMark Ross, decise di proporre un contratto discografico alla band texana, dopo aver avuto modo di vedere i ragazzi in azione. Nel 1989, quindi, il gruppo entra in studio; e nel 1990 pubblica quella che sarà poi la vera svolta verso la sonorità definitiva dei Pantera, quel mix di aggressività e groove, che strizza molto l'occhio al Thrash Metal ma di fatto codifica un nuovo genere musicale, fatto di pesantezza e ritmi particolari, coinvolgenti, ben studiati. Non più, dunque, un sound diretto e tagliante; bensì, un tipo di assalto sonoro che passa per cadenze ritmiche assai particolari, massiccio, pesante, a tratti persino oscuro e "paludoso". Un nuovo inizio, dunque, che si lascia alle spalle l'attitudine Glam facendola dimenticare. E dire che Mark Ross non avrebbe nemmeno dovuto recarsi a quel concerto, al quale presenziò unicamente sotto pressione del suo capo, Derek Shulman, il quale gli chiese di andare a visionare di persona le abilità dei Pantera, divenuti in quegli anni un nome chiacchierato grazie proprio all'uscita di "Power Metal". Caso e che caso, dunque, visto che Ross rimase letteralmente impressionato da questi giovani metalheads, tanto da aver dichiarato -in seguito- quanto segue: "già alla fine del primo pezzo avevo la mascella che mi toccava per terra. La loro potenza sonora, la loro attitudine, la loro tecnica.. mi spiazzarono!! Devi essere un vero idiota per non considerarli grandiosi. Voglio dire.. come puoi vedere questi ragazzi live e non esclamare: 'oh porca putt*na!!'?". Dichiarazioni di un certo peso, che dunque spinsero Shulman ad aprire le porte della sua Atco ai nostri "fantastic four", composti dunque (già dall'abbandono di Glaze, dall'organico in seguito divenuto storico: Phil Anselmo, Rex Brown ed i fratelli Abbott. Si rinchiusero così, nel 1989, nei "Pantego Sound Studio", nel loro amato Texas, luogo che conoscevano come le loro tasche, in cui si sentivano letteralmente a casa. Un posto ideale dal quale ricominciare, nel quale poter in tutta tranquillità ponderare attentamente le direzioni musicali da prendere. Come già detto, le suggestioni Thrash avevano già preso piede nelle teste dei Pantera, anche se questi ultimi vollero evitare di cadere nel plagio o nella riproposizione di stilemi già troppo abusati. Decisero quindi di proporre un sound si estremo ma diverso da quello di Megadeth e Slayer, che suonasse non troppo veloce ma comunque aggressivo, pesante come un carro armato. Forte senso del ritmo, chitarre massicce quant'altre volte mai.. la forte attitudine festaiola tipica del Glam era ormai un lontano ricordo, ed anche a livello di immagine e tematiche, la band cambiò radicalmente. L'aspetto dei Nostri divenne infatti più truce e trasandato, senza più tracce di lustrini o abiti sgargianti. Forte spirito "Redneck", sfoggio della "Rebel Flag" (bandiera confederata), e soprattutto liriche incentrate sulla forte interiorità di ciascuno dei membri. Anselmo, il più complicato del gruppo, venne dunque in aiuto nello sviluppo di testi incentrati sui demoni interiori o sulle dipendenze da alcool e droghe. Insomma, un totale cambiamento di genetica, quasi, tanto che furono gli stessi Pantera a dichiarare come "Cowboys From Hell" rappresentasse il loro vero inizio, non rinnegando il passato ma comunque relegandolo in una posizione più da "sfoghi adolescenziali" che da processo di maturazione vero e proprio. Ormai non era più tempo di giocare, una major pretendeva giustamente un lavoro di un certo livello, e bisognava dare fondo a tutte le energie necessarie pur di riuscire nell'impresa. Uno stacco netto dai precedenti lavori lo si può già intravedere anche solamente dando un rapido sguardo alla cover di "Cowboys..", dominata da questo color seppia che spazza via ogni tipo di "lapislazzulo" presente nelle release precedenti; dominate, a loro volta, da un vero e proprio arcobaleno di colori: partendo dall'orribile "pantera rosa" del debutto "Metal Magic" ed arrivando ad una foto dei Nostri ,agghindati in puro stile "Glam 'n' Heavy", sulla copertina di "Power Metal". Raffigurati nell'artwork di "Cowboys.." troviamo i Nostri.. Cowboys (appunto!) in pose molto più da "metallers" (Phil intento a saltare dal bancone, Dimebag rapito dalla foga di un assolo sul pavimento, Vinnie visibilmente "brillo" che conta del danaro e Rex appoggiato sempre al bancone, con piglio truce ed oscuro); inseriti, inoltre, nel contesto di un vecchio saloon, circondati da personaggi tipici del far-west. Lo sfondo, in realtà, non fu creato ad hoc ma direttamente tratto da una fotografia scattata nel 1910 al "Cosmopolitan Saloon" di Telluride, città del Colorado. Questo contrasto di epoche diverse, quindi, simboleggia il vecchio ed il nuovo, il passato ormai lasciato alle spalle per abbracciare la nuova identità. Dodici tracce di metallo fumante talmente personali, per l'epoca, che non potevano di certo passare inosservate. Anche se, i più maligni, videro sin da subito un debito mai rimesso, dai Pantera, nei riguardi degli Exhorder. Un gruppo della Louisiana, quest'ultimo, autore e fautore -secondo la critica- di quel sound Groove adottato dai Cowboys dal loro capolavoro del '90 in poi. Autori, gli Exhorder, degli ottimi "Slaughter in the Vatican" (datato 1990 ma dal contenuto già proposto, sia live sia in demo, a partire dall'86 / '87) e "The Law" (1992). Tuttavia, la polemica venne presto spenta, in quanto fu lo stesso Kyle Thomas (cantante degli Exhorder) a dichiarare quanto i due gruppi fossero amici e che si, la sua band avrebbe potuto effettivamente ispirare i colleghi, ma non c'era comunque da questionare in maniera polemica. Rincarando la dose, Thomas riferì inoltre quanto i Pantera avessero meritato il loro successo, visto che per ottenerlo avevano faticato il doppio di quanto gli Exhorder avessero mai fatto. E che successo, c'è ben da dirlo. "Cowboys From Hell" raggiunse immediatamente il ventisettesimo posto nella classifica di vendita, vincendo il  disco d'oro e di conseguenza anche il disco di platino (un milione di copie negli U.S.A.), più un Oro supplementare conseguito dopo le oltre 100.000 copie vendute nel Regno Unito. Molto del merito ebbe anche il produttore Terry Date, ad onor del vero, il quale riuscì nell'impresa di condurre il gruppo verso questa nuova avventura. Del resto, l'esperienza di Date era ben consolidata, sia in ambito estremo sia in ambito più puramente hard 'n' heavy. Fra le sue esperienze, si potevano infatti annoverare lavori con band del calibro dei Metal Church e degli Overkill, senza dimenticarsi la sua assistenza per bands quali Soundgarden e Dream Theatre. Date, da "Cowboys.." in poi, divenne a tutto campo come il vero e proprio mentore dei "nuovi" Pantera, assistendoli nella realizzazione dei loro lavori più famosi (già a partire dal successivo "Vulgar Display of Power", fino ad arrivare a "The Great Southern Trendkill"). Fu dunque preziosissima, la sua consulenza, che incoraggiò fortemente la volontà dei Pantera di osare e sperimentare. Salta subito all'occhio, infatti, la scelta di avvalersi (in "Cowboys.." come in tutti i dischi seguenti) sempre e solo di una singola chitarra atta ad occuparsi sia della parte ritmica che di quella solista. Poteva considerarsi una soluzione assai azzardata per questo nuovo tipo di sound appena adottato, ed invece l'effetto ottenuto fu l'esatto contrario. Grande innovazione, e poco importava se, una volta udito il tutto in sede live, molti avrebbero potuto pensare ad un ridimensionamento in quanto a potenza vera e propria; ascoltatevi dal vivo perle quali "Domination" o la stessa title track per rendervi conto di ciò di cui i Pantera erano effettivamente capaci. Da questo "Cowboys From Hell", vennero in seguito estratti tre singoli: "Cowboys From Hell""Psycho Holiday" "Cemetery Gates".. ma ci sentiamo di dire che siano inoltre presenti almeno altri tre brani che avrebbero potuto tranquillamente essere estrapolati come pezzi di punta. Se vi siete incuriositi leggendo questa introduzione, e volete approfondire questo nuovo percorso.. non vi resta che seguire come sempre il nostro track by track!

Cowboys From Hell

Il compito di aprire le danze spetta proprio alla song che dà il titolo all'album, ovvero "Cowboys From Hell (Cowboys Dall'inferno)", titletrack nonché primo singolo estratto. Immediatamente, veniamo piacevolmente colpiti da un'introduzione carica di effetto, breve ma intensa, che rimbalza come una scheggia impazzita da una cassa all'altra ed è destinata a diventare forse il simbolo vero e proprio della band. Arriva il primo riffing di chitarra da parte di Dimebag, il quale inizialmente si fa sentire in maniera leggera; come a voler tener sulle spine l'ascoltatore e prepararlo ad un qualcosa di più esplosivo e deflagrante. Ed infatti, di lì a poco viene sprigionata tutta la potenza della sezione ritmica, che fa venire la pelle d'oca tanta è l'intensità che si propaga velocemente, tosta ed implacabile. Questo inizio molto intenso viene spezzato in due da precisi e violenti stacchi parte di Vinnie, per poi riprendere e smorzarsi nuovamente ad intermittenza, con il tutto separato in tronconi intervallati da precisi colpi di crash. Poco dopo, però, la voce di Anselmo rompe le ostilità e si parte spediti con una prima strofa molto energica e ruvida, che denota (oltre alla grinta vocale a tratti ruvida e grintosa) anche quegli acuti tanto cari a personaggi di grandissimo calibro quali Rob Halford e più in generale riferiti alla scena metal più pura ed incontaminata. Il tutto viene accompagnato da una batteria impostata su un mid tempo penetrante ed esaustivo, dal punto di vista dell'impatto sonoro; senza scordarsi di un basso che martella a dovere e che sostiene una chitarra la quale, ad un certo punto, si ferma improvvisamente: stacco preciso di Vinnie si parte quindi con il ritornello, frangente nel quale troviamo un sistema sonoro molto omogeneo, che si lega incredibilmente bene all'espressione vocale di Anselmo in un contesto decisamente più compatto e pesante. Altro stacco del batterista sul finire del refrain, Dimebag viene lasciato in solitaria per un breve istante, udiamo in background il tempo magistralmente tenuto da parte del fratello, espedienti che fanno partire una seconda strofa seguita alla grande da un secondo, devastante chorus; al suo termine viene lasciato spazio alla strumentazione, e può dunque partire un assolo molto interessante ed ovviamente sovrainciso, con una batteria che alterna il classico mid tempo con due soluzioni diverse tra loro, ovvero: pedale / rullante / charleston e charleston / pedale / rullante, conferendo al tutto una piacevole variazione, salvo poi lasciarsi andare ad una cavalcata. Con tanto di altro breve solo che la sormonta, accompagnato da una doppia cassa davvero imponente. Leggeri echi di chitarra ed un urlo disumano da parte di Phil Anselmo preparano la scena ad un ultimo ritornello, che nella sua seppur breve durata risulta essere intenso ed estremamente potente. Il tutto si conclude quindi con doppia cassa molto più sostenuta e con un ultimo stacco di batteria, che di fatto chiude IL brano che sarà la carta di identità dei nostri texani per gli anni a venire. Una song che racchiude l'essenza dei nuovi Pantera, un must per gli appassionati di musica metal ed un inizio talmente gradito che sarà oggetto di numerose coverizzazioni e che non mancherà in ogni loro esibizione live. Se i Metallica si celebrarono con la song "The Four Horsemen", i Nostri (con questo primo pezzo) divengono ufficialmente i Cowboys Dall'Inferno. Il testo, ad una prima e poco attenta visione, potrebbe far pensare a dei ragazzacci intenti a fare i duri e a far vedere a tutti che con la cattiveria si può ottenere rispetto. E questo si potrebbe evincere dal fatto che, effettivamente, siano presenti delle frasi di tal risma: "Saccheggiamo il villaggio e devastiamo la scena", "Le scintille volano ovunque dal mio fucile a canne mozze". Frasi che sicuramente farebbero pensare ad una resa dei conti, come immaginabile nel miglior film western. Ma la vera sostanza è sicuramente un'altra: è una vera dichiarazione atta al cambiamento, dove la band esprime tutto il proprio disappunto verso coloro che non credono in questa nuova incarnazione e soprattutto vogliono avvertire gli ascoltatori, preparandoli a ciò che questo disco sarà. I Pantera stanno arrivando prepotentemente con una nuova proposta, che lascerà tutti di stucco e che soprattutto ha la ferma intenzione di lasciare il segno in modo indelebile. "Dicono che i cattivi ragazzi si vestono di nero, siamo stati etichettati e non possiamo più tornare indietro"; il cattivo che si veste di nero, il metallaro che si veste di pelle e che spaventa tutti. Sono dei luoghi comuni ovviamente di un'idiozia immensa, tuttavia simpatici da sfruttare, per gioire della paura provata da un bigotto qualsiasi. Come dice la band, ormai sono stati etichettati in questa maniera e non possono più tornare indietro. Hanno avuto il coraggio di provare a fare un passo pericoloso ma decisivo per il proseguo della loro carriera. Versi come "Siamo stati lenti a risalire dal basso", "L'impresa è stata fatta ed abbiamo vinto", poi, rispecchiano i primi anni di carriera. Seppur facendo uscire tre dischi nel giro di tre anni ed un altro due anni più tardi, i Nostri ammettono di averci messo effettivamente un po' per trovare la strada giusta da percorrere. Fortunatamente, il coraggio è stato premiato e siamo qui ad ammirare una song simbolo che verrà ricordata negli anni a venire e che, soprattutto, non morirà mai. 

Primal Concrete Sledge

Il secondo brano che andiamo ad analizzare è "Primal Concrete Sledge". La partenza è affidata ad una doppia cassa incessante nel suo incedere, raggiunta da un basso e da una chitarra a dir poco pesantissimi. La sei corde di Dimebag ci presenta un riffing assai curato (ottima la resa sonora) ma comunque devastante, accompagnato dal fratello con quella sua doppia cassa martellante e da ripetuti tocchi di charleston. Una brevissima pausa e si riprende con queste sonorità a tratti claustrofobiche che vengono accentuate da delle urla disumane che si sentono quasi in lontananza, e preparano il palesarsi di un primo cantato velocissimo e molto particolare, caratterizzato comunque da una buona dose di incisività di fondo. Un frangente che annuncia a sua volta il ritornello, cantato a più voci. Si prosegue in maniera identica, ma questa volta il chorus arriva quasi subito e la chitarra ci propone un refrain accattivante, dove anche la batteria in questa occasione vede la partecipazione del rullante che fin qui non si era stranamente ancora sentito. Altro bel riffing work di chitarra, con tanto di accompagnamento dettato da precisi colpi di snare, ed ecco che Vinnie Paul si cimenta in un virtuosismo di doppia cassa davvero incredibile, di fatto quasi compiendo un assolo brevissimo come quello di suo fratello. Si torna poi tornare a proporre le sonorità particolari di inizio song, ovvero  questa cavalcata di cassa violenta con un charleston percosso in maniera sublime (così come il crash quando serve), senza però l'ausilio di rullante. Il tutto è sormontato da questo connubio basso/chitarra che rende il suono particolarmente efficace e pesante. Torna anche il cantato velocissimo, che conclude un brano molto corto ma sicuramente particolare e vincente. Particolare è dire poco, dato che è un brano dannatamente avvincente e che riesce a coinvolgere ed attrarre a se tutto ciò che incontra grazie a quel vortice sonoro che non lascia scampo. Unico difetto? La breve durata, ma forse è meglio così, dato che trattandosi di un brano "strano", l'eccessiva lunghezza avrebbe potuto stancare. Non arriviamo di certo al livello maestoso della open track, ma è comunque un buon episodio. A livello testuale, poi, siamo al cospetto di un messaggio estremamente più profondo di quello portato dalla open track. Il modo in cui noi viviamo, infatti, è sintonizzato sulla regola "dare per avere". Ovvero, se noi non abbiamo niente, allora non dobbiamo dare niente e nemmeno pretendere di ricevere alcunché. Anche se il protagonista di questo testo effettivamente chiede con forza, all'ascoltatore, di vivere il suo "sogno perverso", un qualcosa che lui vuole per forza condividere con noi. Un uomo che ci di essere "per le promesse devote". Una devozione verso cosa o chi, però? Una devozione verso questo insulto primitivo (traduzione letterale del testo), ovvero una sorta di rifiuto delle convenzioni sociali ed una manifestazione di aperta ostilità contro tutto e tutti. Soprattutto verso coloro che ci metteranno i bastoni tra le ruote. Si dovrà sudare, ma non si avranno  rimorsi, in seguito. "L'uomo che si è ritirato mille volte ti dirà sempre di abbandonare, ma io non fido di un uomo appassito, ti raggiungerò e te lo farò capire". Le persone che hanno avuto (prima di noi) un certo tipo di esperienza nel "fallimento", cercheranno infatti in tutti i modi di farci ragionare nel tentativo di dissuaderci dallo svolgere determinate azioni (o meglio, gettandoci addosso le loro ansie e paranoie). Non è detto però che se loro hanno fallito miseramente dovremo per forza fallire anche noi, ed è qui che la fiducia verso chi vuole in qualche modo scoraggiarsi viene francamente meno; ed allora, il protagonista, dice che raggiungerà la mente di chiunque per fargli capire quanto è sbagliato rinunciare. Anche in questo caso possiamo intuire riferimenti "personali", visto che qualcuno, inizialmente, non aveva affatto condiviso la scelta della band di cambiare decisamente rotta musicale. Lo dimostra il fatto che il singer precedente, Terry Glaze, una volta appresa la volontà di cambiare drasticamente una proposta che ormai si pensava fosse consolidata, decise di abbandonare perché probabilmente riteneva la "nuova strada" troppo rischiosa ai fini della vita stessa della band; ma come dimostrato poi con gli anni, questa scelta coraggiosa venne ampiamente ripagata. Nella vita bisogna anche saper rischiare e non vivere sempre adagiati in un qualcosa che magari inizialmente può portare dei frutti, ma che alla lunga potrebbe far finire tutto così come è cominciato. Se manca il coraggio, allora è meglio lasciare perdere in partenza; e così è anche nella vita di tutti i giorni, non solo nella musica. 

Psycho Holiday

"Psycho Holiday (Vacanza Psicopatica)" inizia con dei rumori simili ad una raffica di mitragliatore e subito il pezzo parte pesante con una sezione ritmica da brividi, caratterizzata da un uso del doppio pedale piuttosto tecnico da parte di Vinni Paul, ed anche il tutto ben si assesta su un mid tempo classico, i virtuosismi batteristici rimangono comunque azzeccatissimi e particolari. Il riffing generale è anch'esso piuttosto particolare, e quando Dime decide di lasciarsi alle spalle quegli accordi pesantissimi, ecco che si cimenta in scale velocissime e sicuramente d'effetto. Brevissima pausa e parte il cantato di Anselmo il quale alterna una voce aggressiva ma non profonda ad urla altissime, per poi tornare su canoni standard per la sua voce, accompagnata da una strumentazione a tratti articolata e ben eseguita. Il ritornello è molto "melodico" per quello che concerne le abilità vocali del singer, ma si ritorna ben presto a macinare riff fumanti come lava ed esecuzioni chirurgiche di basso e batteria. Si ripete quindi la formula precedente con tanto di chorus, ma questa volta, una volta concluso il refrain, sentiamo un bel giro di tom ed un assolo privo di chitarra ritmica ad accompagnarlo (quindi senza sovraincisioni), sostenuto solamente da batteria e basso, il quale soprattutto si dimostra essere un perfetto comprimario. L'assolo, dicevamo, è strutturato su note molto alte e varia velocità a volte in modo repentino, mentre in altre occasioni si limita a spezzare la song. L'intento è decisamente riuscito ed una volta concluso si riparte nuovamente con una strofa profonda nel cantato, e leggermente meno pesante che nei brani precedenti. Viene integrato qualche breve passaggio di chitarra solista ed il brano cambia volto sul finale, nel quale la batteria picchia in maniera più sostenuta e la sezione ritmica in generale pare essere più omogenea ed intersecata perfettamente tra le parti. "Psycho Holiday" è il secondo singolo estratto da "Cowboys From Hell" e seppur non sfigurando affatto vicino al resto delle tracce, secondo chi scrive ci sarebbero state altre song ben più meritevoli di tale trattamento. Ma questo, alla fin fine, è solamente un parere personale che non influisce minimamente sul risultato finale di questo prodotto. Forse è stata proprio la sua natura di brano piuttosto particolare a spingere i Pantera a sceglierlo come singolo. Particolare non del tutto, però, visto che "Psycho Holiday" gode di una linearità di base che forse non lo fa spiccare più degli altri, sebbene il suo ritmo sia (e possiamo dirlo forte) irresistibile ed in grado di catturare chiunque. Il tema portante delle liriche è, come da titolo, la pazzia; una pazzia che affiora nell'affrontare la quotidianità. L'individuo protagonista si sente svuotato, il suo sangue è pieno di alcool a causa dei continui abusi, nonché colmo di sostanze stupefacenti atte a farlo evadere dal mondo che lo circonda. La pazzia e la frustrazione hanno preso il controllo, il nostro ha necessariamente bisogno dei suoi "sedativi". Caricato a mille ed in pieno "trip", dunque, è come se fosse lontano da casa. Non vuole aiuto né dagli amici né dai parenti, vuole semplicemente passare del tempo da solo per cercare di fare ordine dentro di sé, liberando di fatto quei demoni che stanno riempiendo la sua testa. E' stato messo alla prova, duramente anche, e la sua mente (di tutta risposta) ha deciso di prendersi questa vacanza "psicopatica". Il disorientamento mentale continua a persistere ed il protagonista, presto, non riesce più a distinguere gli estranei dagli amici e dai conoscenti, ponendosi inoltre dei problemi assurdi come l'avere due donne e pensare di non riuscire a soddisfarle. Questo blocco mentale gli impedisce di vivere una vita serena e viene dunque portato alla pazzia senza possibilità di ritorno. Il testo, però, ad un certo punto, infrange la quarta parete e recita si le stesse frasi, ma ponendole in terza persona come a voler mettere l'ascoltatore nei panni di questo individuo, facendolo immedesimare per potergli fare capire la sua situazione. La mente suggerisce di scappare via da questo posto e capiamo che l'uomo è stato bendato per tutto questo tempo, dalle sostanze e dalle sue paranoie; di conseguenza, non riuscendo a vedere la vita per quello che è veramente. 

Heresy

"Heresy (Eresia)" inizia con un rumore di motore che vanta una dissolvenza in entrata, ma il volume è piuttosto basso e la sua percezione risulta piuttosto ostile, creando comunque una sorta di suspance che viene accentuata da una sola chitarra. La quale, con le sue note stridule, strozzate e soffocate, aspetta solamente di esplodere in un riffing work a dir poco devastante. E le attese non sono assolutamente vane, anzi, si parte con una fumosissima distorsione accompagnata da un bel tiro di batteria; una cavalcata intensamente sostenuta, accentuata da un improvviso doppio pedale a dir poco micidiale. Il tempo si affievolisce a favore di una potenza senza precedentim e quando entra in scena la voce di Anselmo, troviamo anche quegli acuti tanto cari ad Halford, dei quali disquisivamo in apertura di track by track. In sostanza, la voce non si abbassa poi molto da questa tonalità alta, anzi, in certi frangenti si spinge ancora di più quasi ad assomigliare effettivamente all'ugola un cantante power. Il pre-chorus è praticamente un omaggio all'Heavy Metal, mentre il ritornello vero e proprio è caratterizzato da una sezione ritmica da brividi. Si riparte con una seconda strofa e Vinnie Paul si destreggia molto bene tra doppio pedale mai troppo sostenuto e piatti percossi, i cui suoni ci vengono letteralmente sparati in faccia senza preavviso. Le vocals sono nuovamente basate su toni decisamente alti, con quell'aggiunta aggressiva che rende il tutto molto personale e fluido. Minuto 2:55, leggera pausa e il brano cambia decisamente volto; il riff eseguito da Darrell è un autentico richiamo alle produzioni mastodontiche di Metallica Slayer, con quegli accordi devastanti che trovano sfogo mediante il connubio batteria / chitarra, strumenti che si rincorrono a meraviglia e non possono fare altro che far smuovere la testa a chi ha la fortuna di ascoltare questa perla musicale. Troviamo anche un breve assolo altamente spiazzante, mentre il basso di Rex Brown è un autentico martello sui denti ed aiuta alla grande ad appesantire una parte strumentale a dir poco sensazionale. Da pelle d'oca. Dopo questa splendida parentesi musicale si ritorna a cavalcare, con un ultimo ritornello che chiude definitivamente una song magistrale. Non ci sono parole per descrivere le sensazioni che questo brano riesce a dare, un qualcosa di mostruoso, pazzesco e degno di / per veri intenditori. I riferimenti all' Heavy Metal più classico ed anche al Thrash Metal sono qui messi in evidenza da un cantato decisamente meno aggressivo ma più improntato su tonalità alte, mentre a livello musicale possiamo solo gioire tanta è la potenza sprigionata dai nostri, soprattutto nei momenti più prettamente strumentali. Pezzo a dir poco incredibile, poco da dire. Il brano in questione, poi, si configura un po' come una denuncia verso questo mondo corrotto, e dunque come anche un invito a voltare alle spalle a tale sistema, assolutamente sbagliato. "Siamo qui, in un mondo corrotto, la razza umana è violenta e chi se ne frega se non ci sarà un domani", sono le prime frasi che vengono pronunciate dalla band in questa song. Ci chiariscono sin da subito che, essendo presenti in quel determinato momento storico ed in questo determinato sistema di governare il mondo, tutti sappiamo benissimo che le cose non potranno mai cambiare per il meglio. Lottare per un qualcosa che non riusciremo mai a sistemare è praticamente inutile, ed allora "chissenefrega"; la razza umana è diventata violenta e non ha più rispetto per nessuno. Quando moriremo, però, non sarà per causa di terzi: il futuro ed il modo di morire lo sceglieremo noi e non lasceremo a nessuno la facoltà di decidere per noi. Bisogna elevarsi al di sopra delle bugie che ci circondano, e ciò che per gli altri potrebbe essere peccato, per noi può essere benissimo una salvezza. Questa è la nostra vita, bianca o nera; molte persone pagano per pregare ed a volte ci chiediamo il perché, ma in sostanza a noi non importa nulla, è solamente una loro decisione ed a noi non interessa. Basta con la storia che presto arriverà un giorno del giudizio, basta con la speranza che prima o poi qualcosa o qualcuno possa sistemare le cose. La vera onestà è dentro ognuno di noi, non serve perdere tempo cercandola da qualche parte. Dentro di noi sappiamo benissimo cosa è giusto e cosa è sbagliato, e la nostra fede è più forte dei maledetti consigli non richiesti, di chiunque. La gente, molto spesso, va in guerra perché è la religione a comandare; moriranno con orgoglio in segno di sacrificio, anche se queste cose non pagano o pagheranno mai. "Non ho nessuna etichetta, non ho nessuna faccia e quindi possono leccarmi il ca**o". Una frase decisamente irriverente se vogliamo, ma pensiamoci bene un attimo: se non siamo etichettati, se non abbiamo distintivi con su scritto chi siamo, praticamente non esistiamo. Non abbiamo un volto ed alcuna identità, di conseguenza possiamo fare quello che vogliamo, tanto alla fine verremo giudicati comunque e noi ce ne fregheremo come abbiamo sempre fatto.

Cemetery Gates

Terza ed ultima traccia estratta come singolo è la splendida "Cemetery Gates (I Cancelli del Cimitero)". L'introduzione in arpeggio, con echi distorti che si disperdono nell'aria, rappresenta veramente un qualcosa di magico che riesce a far viaggiare la mente umana attraverso poesia messa in musica. La voce di Phil, poi, risulta essere un parlato carico di effetto che trasuda sentimento da tutti i pori. La chitarra, in seguito, si fa più minacciosa, ma è solamente un falso allarme perché con le sue note distorte ci introduce a quello che è l'inizio vero e proprio della song. Darrel Vinnie iniziano a fare sul serio senza pestare troppo duramente ma conferendo una personalità a dir poco spiccata al tutto. Ritorniamo felicemente ad ascoltare quell'arpeggio fantastico e quella voce carica di phatos, osservando come poi il pezzo esploda in sonorità più aggressive ed il cantato altrettanto, risultando comunque interessante. I toni si smorzano nuovamente per poi riprendere a macinare un'altra bella dose di sonorità tipicamente Heavy Metal. Altro giro arpeggiante con una batteria che a tratti cerca di variare senza snaturare troppo la progressione, e ritorniamo ancora una volta a quella pesantezza pacata che si alterna benissimo con la parte più melodica del brano. L'assolo che andiamo ad ascoltare subito dopo ha un non so che di magico ed immortale, ed esplode in tutta la propria bellezza quando Vinnie Paul decide che è giunto il momento di spingere sull'acceleratore. Brevissimo stop musicale ed è il ritornello a fare capolino, e si conclude con la parola "Gates" espressa con una tonalità che aumenta di volta in volta ed è accompagnata da note altissime di chitarra, che fungono quasi da seconda voce. Qui dobbiamo fermarci un attimo a pensare seriamente a cosa siano riusciti a partorire i Pantera. Un brano eccezionale, emotivo ed emozionante, che viene decantato in maniera sublime e perfetta. Un brano destinato a diventare una leggenda, un simbolo di questa splendida band che ha saputo regalare emozioni incredibili. La musica è vincente quando riesce a trasmettere emozioni, ed i Nostri sono riusciti a trasmettere qualcosa di speciale; anche solo questo pezzo varrebbe il prezzo del disco. Nota curiosa, il brano venne incluso come colonna sonora nel film Horror del 1995 "Il Cavaliere Del Male (Demon Knight)". Questo film, diretto da Gilbert Alder ed Ernest R. Dikerson, trae ispirazione alla serie di racconti per la tv "(Tales From The Crypt) I Racconti Della Cripta" e narra la storia di Frank Brayker, ultimo di una stirpe di guardiani che si tramandano da secoli una chiave contenente il sangue di Gesù. Esistono sette chiavi per impadronirsi del mondo e i demoni, riuscendo ad acquisirne sei attraverso i secoli precedenti, cercano in tutti modi di impadronirsi di quest'ultima. Frank deve resistere una notte soltanto; poiché, alla luce dell'alba, questi demoni spariranno. "Cemetery Gates", dal canto suo, non ha proprio nulla a che vedere con il mondo dell'orrore ed anzi si presenta come un racconto assai struggente. E' la storia di un individuo che ha perso la propria amata e chiede al proprio reverendo quali dovranno essere, da quel momento, i propri progetti per la vita. E' tutto così irreale, non può e non riesce più a sentire questo mondo, e vive nella propria miseria pensando che anche colui che è stato crocifisso è stato condannato senza aver commesso alcun peccato. Il reverendo, allora, si rivolge a lui senza versare una lacrima.. e non fu una novità, per il protagonista, quella reazione al dolore, che i suoi occhi videro riflessa nel volto dello stesso uomo di chiesa. Si ricordò dell'amore che lui e la sua amata si erano giurati: si rende conto, che l'unica cosa che ormai riesce a vedere è solamente la pioggia che cade, ed immagina che questa possa dipingere in cielo viso della persona amata. Pensa anche gli sia stata rubata la gioventù, che questo amore si è tramutato in rabbia.. e proprio come il reverendo, quando lei morì Lui non riuscì nemmeno a versare una lacrima, perché la sua anima era ricolma di orgoglio, non volendosi rassegnare ad aver perduto l'unica donna che avesse mai amato. Affranto dalla perdita, pensa ai momenti di solitudine che dovrà affrontare ma è anche consapevole che non sarà mai solo perché l'anima della sua bella sarà li a vegliare su di lui. Deve cambiare la sua vita perché non può più vivere nel passato, ed allora cerca di liberare la propria anima. Negli anni difficili in cui ha dovuto lottare per vivere, pensava di non aver accanto nessuno per dargli conforto e senza nemmeno guardarsi attorno continuava a vivere per sé. Quando lei morì si sentì in qualche modo incompleto e completamente solo, mentre i ricordi continuavano a tormentargli la mente. Ormai la possibilità di salvare la propria anima diventa vana e la sua preoccupazione diventa inutile. "Credi alla mia parola, io aprirò la porta e varcherò i cancelli del cimitero". Si vocifera che questa song sia ispirata ad un fatto accaduto realmente al cantante Phil Ansemo nel 1989. Infatti, una sua cara amica si tolse inspiegabilmente la vita, e questo fatto scioccò il singer in maniera tale da prendere spunto da questo terribile fatto per realizzarne il testo. Un sussulto di tom ed una voce apparentemente lontana, di contro, ci destano dal torpore e ci fanno decisamente venire il sospetto che qualcosa ci debba di lì a poco riempire di percosse, da un momento all'altro. 

Domination

"Domination (Dominazione)" non si fa attendere ed infatti  parte subito con una sezione ritmica a dir poco dirompente, con il doppio pedale che inizialmente parte con il freno a mano tirato per poi cogliere il momento opportuno per scatenarsi in una cavalcata imperiale a dir poco eccelsa. Il riffing è potentissimo e non immaginiamo che danni possa fare un brano del genere in sede live (non fu un caso, difatti, che divenne forse il pezzo più apprezzato del platter, nonostante non fosse stato promosso in alcun modo). Subentra la voce di Anselmo e la distorsione di chitarra si alterna con un stop and go imponente sorretto da basso e batteria in maniera pressoché impeccabile. Il prechorus è decisamente meno violento rispetto all'inizio del brano ma è solamente un tentativo, anche riuscito, di creare tensione nell'attendere un chorus spettacolare, devastante e corrosivo come pochi altri. Anche le vocals, per la prima volta, sono ruvide a tal punto da opprimere l'ascoltatore. Arriviamo ad una bella e breve parte strumentale, dove troviamo una chitarra stoppata ed un mid tempo inarrestabile nel suo incedere, il quale spiana la via a Phil che può così proporre una seconda strofa carica di groove. Si avvicina nuovamente il momento del bellissimo ritornello e si respira aria di mosh-pit infernale. Una fragorosa risata introduce una memorabile parte strumentale che sfocia in un assolo eccezionale, accompagnato solamente da basso e batteria, quindi senza la sovraincisione di una chitarra ritmica, risultando estremamente convincente e spiazzante. Al termine possiamo ascoltare una devastante, e ripeto, devastante sezione musicale; una valanga di riff pesanti come macigni che rimbalzano da un padiglione all'altro nell'intento di devastare il cervello del malcapitato ascoltatoee. Diciamolo senza troppi giri di parole: "Domination" è una canzone incredibile, un vero inno al Metal (quello vero). Sicuramente siamo al cospetto di una delle migliori creazioni da parte della band, la quale con una sola song riesce a catturare l'attenzione come solamente una calamita con il ferro riuscirebbe a fare; e soprattutto in sede live, il pezzo risultò sin da subito essere di una dirompenza assoluta. Ci ritroveremo ad ascoltare ed ascoltare più volte, fino allo sfinimento, un brano eccezionale che riesce nell'intento di non far star fermo l'interlocutore. Questa "Dominazione" o sottomissione cerca con ogni stratagemma di consumarci dall'interno, di annichilirci. Ci chiama "amico" pur di imbrogliarci e manipolare la nostra voglia di vivere. E' difficile rendersi conto di come dimentichiamo velocemente le cose, di quanto siamo indifesi e la Storia, paradossalmente, non ci trasmetta nessun tipo di insegnamento o monito per il futuro. Quando saremo totalmente distrutti dai vuoti di memoria e non rimarrà più nulla da distruggere nella nostra mente, allora, la "Dominazione" avrà il pieno controllo di noi stessi. Forse non ci rendiamo conto che la vita stia in qualche modo scherzando con noi, ponendo giorno dopo giorno un mattone per rinchiuderci, costruendo velocemente un muro fatto di oscurità. La dominazione è un inferno vivente, un cuore nero che sta cercando in tutti i modi di diventare un qualcosa di divino. Se riesce nell'intento, allora ci obbligherà a piegarci al suo volere, ed allora sarà veramente arrivata la fine. Lyrics coincise ma ancora una volta cariche di grandi significati.

Shattered

Giro di boa dunque superato, è tempo di avvicendarsi alla seconda parte del disco. Avete presente un treno lanciato in una corsa folle e senza la possibilità di fermarsi? Ecco, immaginate questa scena messa in musica ed avrete l'inizio travolgente di "Shattered (Distrutto)". Infatti, appena raggiunti dalla traccia sette, veniamo travolti da una sezione ritmica devastante con tanto di doppia cassa a martello ed un riffing altrettanto martellante atto a sovrastare il tutto. Il ritmo rallenta improvvisamente per fare tirare un po' il fiato, ma si riprende a macinare pesantemente sonorità molto pesanti con una voce dalla timbrica molto alta, ancorata nuovamente alle vecchie sonorità della band. Eppure, l'accompagnamento è assolutamente devastante e sembra non voler fermarsi per nessun motivo al mondo. Il ritornello è leggermente più aggressivo ed incisivo, il tutto funziona molto bene con queste cavalcate sonore impeccabili che possono solo strappare applausi a non finire. Dopo un secondo chorus le cose cambiano un po' con un Vinnie Paul che martella il suo drum set e fa volare crash come se niente fosse, troviamo un bellissimo e lungo assolo che è strutturato in maniera tale da fare da spartiacque per l'inizio di una nuova sezione strofa / ritornello che riprende in mano la situazione, concludendo il tutto con un rumore di oggetti che si rompono. Un brano si piuttosto corto, ma di sicuro impatto. Parliamo dello stato orribile in cui si trova il nostro mondo (tematiche che negli anni d'oro dei Pantera andavano piuttosto di moda) guardandolo attraverso gli occhi di chi si rende effettivamente conto quanto sia imponente il danno che l'uomo ha procurato verso la propria terra. Un danno a dir poco irreparabile. "Questo mondo è distrutto, completamente distrutto", la situazione è ormai diventata critica; un'orribile distruzione ha lacerato la terra, una devastazione generale che nessuno potrà, ormai, più estinguere o fermare. Ci guardiamo intorno e vediamo solamente una terra desolata, ma soprattutto un ammasso di cadaveri. Non esiste una cura, la gente sta morendo lentamente e prima o poi non rimarrà più nessuno a popolare il nostro mondo. L'unico modo di sopravvivere (o di sperare di trovare uno spiraglio) potrebbe essere quello di ibernarsi per poi risvegliarsi tra molti anni quando questa situazione si sarà risolta (anche il tema dell'ibernazione non è una vera e propria novità; possiamo trovare l'applicazione di questo "metodo" anche in molti altri film usciti nel nei periodi precedenti). Ma chi dice che una volta "rinati" le cose saranno effettivamente migliori? Non lo possiamo sapere ma è un rischio che, arrivati a questo punto, possiamo correre. Tutto quel che sta distruggendo il mondo non può più essere ignorato, ed allora cerchiamo in qualche modo di aiutare gli amici, ma ci accorgiamo che ormai sono (purtroppo) tutti morti. Il pianeta si sta svuotando, sta perdendo l'essenza della vita stessa; in poche parole sta morendo insieme a noi e ci sta trascinando nel baratro. Le sue ferite sono insanabili, delle lacerazioni così profonde che ormai non c'è più verso di guarirle. Il dolore che la nostra terra sta provando viene riversato su di noi con una furia disumana intenta a spazzarci via. 

Clash With Reality

"Clash With Reality (Scontro Con La Realtà)" inizia con una rullata carica di effetto, il quale si protrae brevemente fino a quando tutto torna nella norma. Conseguente inserimento di basso e chitarra, connubio che dà il via ad una bella situazione sonora che aumenta di velocità e potenza fino a ritrovarsi immersa in una situazione di stallo. Infatti, sentiamo presto una voce lontanissima anch'essa pregna di effetto (come accaduto con la rullata iniziale), degno preludio atto a far partire un momento memorabile, che ci disporrà all'headbanging più sfrenato. Quando subentra la voce di Anselmo non possiamo non notare nuovamente quella timbrica tipicamente Heavy Metal con acuti classici, ma resa più ruvida e personale. La strofa fila quindi liscia senza un reale picco emotivo, e la stessa sezione ritmica non brilla propriamente per originalità, ma compie il proprio dovere su di un pezzo non eccessivamente brillante ma carico di quel Groove che si fa apprezzare indistintamente. Il ritornello (dal canto suo) è piuttosto ben eseguito, con una batteria che non si cimenta in chissà che evoluzioni, ed una chitarra che propone un riffing abbastanza "ripetuto", come se fosse messa in loop. Rex Brown è comunque martellante al punto giusto e la ritmica è costante, non conoscendo minimamente alcun tipo di cedimento. Si prova a variare con un basso violentissimo ed una chitarra stoppatissima; i quali, con la complicità di Vinnie, questa volta danno uno scossone alla song fino ad arrivare ad un buon assolo. Si riparte alla grande con una strofa piuttosto aggressiva ed una strumentazione sugli scudi, che macina potenza in ogni dove, e quando il frontman si scatena in un urlo liberatorio, la velocità aumenta considerevolmente fino alla conclusione del brano. Song che non brilla troppo per originalità ma non per questo è da considerarsi fuori contesto con il resto del disco. Sicuramente gode di alcuni momenti veramente ben riusciti e devastanti, ma altre volte (forse) soffre troppo di quella linearità generale che non tende a stancare, precisiamo.. anche se, con qualche variazione in più, il pezzo avrebbe potuto essere di gran lunga migliore. Ci sono dei momenti nella nostra vita, in cui ci crediamo invincibili e pronti a superare ogni difficoltà. Il protagonista di questo testo si sente così per un breve momento, ma una volta tornato con in piedi per terra realizza di essere con l'acqua alla gola e senza una via di fuga. Ode un suono, delle sirene inquietanti che stanno cercando proprio lui. "Sta piovendo su di me e mi sta bagnando con i peccati dei profani"; ha commesso un peccato tale da essere ricercato, ma quale può essere questo grande peccato? Nel suddetto testo non viene specificato, ma è lecito pensare ad un qualcosa di orribile ed oltraggioso. Un'interpretazione che porge il fianco non soltanto un crimine, ma anche verso una colpa morale, definito "profano". Un qualcosa che si può considerare non più sacro o religioso, quindi un peccato vero e proprio, del quale non si può nemmeno parlare. Le due parole vanno ad accendere un conflitto inevitabile che danno effettivamente da pensare, il protagonista è confuso e perso in un limbo in cui tutte le sue colpe lo tormentano. Il corso del suo destino sta per essere cambiato per mano di qualcuno, e contro la sua volontà verrà giudicato colpevole in questo gioco morboso, di questa realtà che si diverte a tormentarlo senza che noi possiamo effettivamente capire il perché. Tutti i rinfacci, tutte le dita puntate.. sono delle povere scuse per destabilizzare la sua ed anche la nostra vita, e tutta questa situazione non fa altro che accrescere il suo ed il nostro odio, giorno dopo giorno, nei riguardi dell'esistenza. Si scopre che alla fine il protagonista è stato giudicato ingiustamente. Una ingiustizia totale, che prima o poi (se lo augura) qualcuno dovrà pagare. 

Medicine Man

 Passiamo ora a "Medicine Man (Lo Stregone)". Una batteria "lontanissima" si avvicina con fare minaccioso, senza essere per forza travolgente od ossessiva. Basso e chitarra fanno la loro comparsa presentando un sound molto cupo, il quale viene rafforzato in maniera esagerata da un parlato alquanto tenebroso, scandito solamente da una batteria leggera e da una sei corde appena sfiorata. Si riprende per un breve momento per tornare ancora a sentire la voce narrante di Phil. Al termine, questa volta, ci attende un acuto altissimo con il quale si dà il via ad una bella sezione ritmica carica di groove. Ma se da una parte l'ascoltatore può pensare ad un decollo effettivo del brano, ritorniamo invece a sentire la voce parlata e questa tranquillità sonora disturbante. Quando questa volta i Nostri decidono che è arrivato il momento di far sentire veramente qualcosa, ecco l'immancabile assolo ed un aumento di velocità non indifferente. Il sottofondo ritmico è alquanto azzeccato ed il tutto sembra adatto a fare da colonna sonora ad un film decisamente Thriller, dato che il pezzo riesce a creare una suspance incredibile ed a tratti terrorizzante. La doppia cassa di Paul si alterna benissimo con i tocchi precisi di ride ed una volta conclusa questa lunga parte musicale il riffing si fa decisamente più cattivo. Sentiamo un brevissimo spezzone di ritornello per poi riassaporare quell'assolo schizofrenico ma elaborato che si propaga fino alla fine del brano, che va sfumandosi molto lentamente. Anche qui siamo di fronte ad un episodio meno ispirato di altri ma che con qualche invenzione azzeccata si fa decisamente apprezzare, anche in virtù della particolare atmosfera venutasi a creare. A livello vocale possiamo constatare molte variazioni che vanno dal semplice parlato (molto espressivo e coinvolgente) alle urla acute che ben si sposano con la struttura del brano. Ci sono certo  momenti più aggressivi, facendo in modo però che essi non risultino troppo ruvidi, per non snaturare un brano che effettivamente non ha decisamente bisogno di forzature. Così come la musica, poi, risultano essere le lyrics: dopo aver affrontato un lungo ed estenuante percorso e varcato l'oscurità eterna, incontriamo improvvisamente una figura; una figura strana, ambigua, che si presenta dinanzi a noi come un guaritore, una sorta di intenditore di spiritualità. Ha il cuore di un diavolo e quindi in lui scorre il sangue del male, ma attenzione: quando si rivolge a noi, la sua parola sembra provenire dalla bocca un angelo, tanto sa essere eloquente ed accomodante. Alla domanda: "Ti sei mai chiesto com'è il paradiso?", ecco che lui ammette di potercelo mostrare. Lui può accecare la perplessità iniziale facendoti vedere le cose come vorresti che fossero. Eppure siamo all'inferno, nonostante stentiamo a credere di essere li.  Con le sue parole così tranquillizzanti, però,  la convinzione di essere in un luogo bellissimo inizia a prendere il sopravvento. Egli ci inietta in vena solamente bugie, mentre il fuoco inizia a bruciare intorno a noi. Continua a tranquillizzarci mettendoci a nostro agio nell'intento di rubarci il dono più prezioso, ovvero la vita. L'intossicazione inizia a fare effetto e la sentiamo scorrere dentro di noi, e se precedentemente avevamo dei dubbi sul percorso che avremmo dovuto affrontare, a questo punto non resta altro che farci accompagnare per mano da questa figura. Ora la domanda viene posta dal lato opposto, ovvero "Ti sei mai chiesto com'è l'inferno?".. ed anche qui, il Nostro ammette di poterci far vedere anche questo luogo. Lui può portarci li, ed è proprio li che ci sta conducendo. Tutto questo per dire che un tempo gli uomini erano orgogliosi ed impavidi e pieni di desideri, ma a causa di troppa indulgenza le loro anime sono state infettate dal veleno mortale e messe a marcire su di uno scaffale, insieme ad altre migliaia di anime. Ormai, l'unica soluzione consiste nel lasciarci accompagnare per mano dall'uomo della medicina perché lui ha la cura per i nostri peccati. Potremmo leggere in questo testo anche e soprattutto una spietata analisi del rapporto spacciatore - consumatore, in quanto "Medicine Man", in slang americano, è una denominazione atta a rappresentare proprio i venditori di droghe. Coloro che ti vendono un paradiso truccato da inferno, in poche parole. Dunque, una sorta di testo à la "Master Of Puppets", per intenderci. 

Message In Blood

"Message In Blood (Messaggio Nel Sangue)" è fregiato da una partenza a dir poco terremotante, con una sezione ritmica superlativamente sparata a mille. La situazione cambia drasticamente con una soluzione più ragionata ma molto molto più pesante a livello di sound, con ripartenze assurde che spiazzano per imprevedibilità. Il cantato si prospetta di grande impatto, ed invece tutto all'improvviso si ferma e le vocals sono appena accennate, ma lugubri e provocanti. Arriviamo alla prima vera strofa e notiamo una grinta rinnovata ed un riffing impeccabile nel tessere una tela devastante con situazioni che pesano come macigni. Torniamo a sentire quella imprevedibilità che spiazza l'ascoltatore e nuovamente la voce viene accennata con un parlato sinistro. Il tutto per permettere al brano di riprendere quota lentamente fino al ritornello spettacolare e ruvido al punto giusto. Il basso martella all'inverosimile, mentre batteria e chitarra si muovono a sincrono per demolire ogni cosa. Al minuto 3:10 il brano cambia volto per merito di un assolo a tratti "stonato", se vogliamo, ma che mantiene quello spirito disturbante il quale emerge prepotente da questa prima parte di song. Altro cambio stilistico a favore di una pesantezza sonora incredibile, la quale senza spingere mai sull'acceleratore scaturisce un senso di appagamento totale. Il chorus è sempre riproposto in maniera magistrale e la prova di Anselmo dietro al microfono è semplicemente perfetta. Il brano si conclude con una leggera accelerazione generale e con le ultime parole decretate dal singer, che riprendono il titolo della song. Una prova veramente sopra le righe, quella mostrata dai Nostri, i quali senza spingere troppo (come in alcuni brani qui proposti) confezionano un qualcosa di emozionante e disturbante, dove tutti i membri coinvolti svolgono un lavoro perfetto nel creare un muro sonoro di grandissimo spessore. Questo testo peresenta una riflessione generata dalla mente di un folle omicida, il quale cerca di darsi una spiegazione riguardo a quanto abbia appena commesso. Dice che esiste un luogo nascosto dentro di lui, sul quale non ha controllo. Un anfratto nel quale risiede un qualcosa che può innescare e manipolare la sua mente ogni qual volta ne senta il bisogno. Prende coscienza che questo luogo da lui immaginato risieda nella sua anima fin dai tempi in cui era bambino, ed una volta invocato il potere proveniente da questo buco nero, l'assassino ha trovato un nuovo modo per poter affrontare la vita. Si prende la colpa per quello che ha fatto, e scrive una sorta di confessione con il proprio sangue. Dentro questo messaggio vengono segnati gli anni di dolori, i momenti in cui la lucidità è venuta a mancare ed ha causato innumerevoli sofferenze. La sua vita è stata dimenticata persino da Dio, e pensa quasi di venire provocato, rispondendo alla sfida compiendo appunto queste orrende azioni. La vita, alla fine, uccide in tanti modi diversi ed a nessuno frega niente di capire il perché od il motivo. Quindi, a chi importa di come qualcuno muore? E' questo, alla fine, il pensiero che da una parte tormenta questo individuo, ma dall'altra lo fa pensare che non sia neanche troppo giusto compiere questi atti orrendi. Alla fine, però, non è colpa sua. La colpa è solo di questo luogo che si nasconde dentro di lui e che lo costringe ad uccidere, liberando in esso demoni e pensieri distruttivi.

The Sleep

Passiamo a "The Sleep (Il Sonno)" e veniamo immediatamente avvolti da un arpeggio molto bello e ben fatto, che nasconde un qualcosa di tenebroso che i Nostri sono molto bravi nel riprodurre sotto forma di musica. All'improvviso arriva una distorsione dirompente da parte di Dimebag, e subito basso e batteria ne accompagnano l'incedere quasi in punta di piedi. Il riffing è strano, spiazzante e particolare, mentre la voce di Anselmo è stranamente tranquilla nel riprodurre la prima strofa, così come lo stesso ritornello. Chorus che risulta essere strumentalmente più avvolgente, con una voce estremamente espressiva e coinvolgente. Si prosegue con questo riffing particolare, mentre le voci sovraincise da parte dello stesso singer risultano essere cupe ed altissime, fuse alla perfezione per dare un senso personale alla sua interpretazione. Ad un certo punto torniamo a sentire nuovamente quell'arpeggio che aveva caratterizzato l'inizio del brano, con un sottofondo chitarristico che man mano prosegue sfociando in un assolo bellissimo, che ci mostra da parte di Dime una capacità tecnica ed una padronanza strumentale a dir poco incredibile. Se la batteria di Vinnie Paul si limita ad accompagnarne l'esecuzione, il basso di Rex Brown diventa essenziale nel centellinare note perfette e per sorreggere un'intera struttura, cementando il lavoro fatto dai compagni. Il solos prosegue in maniera stupenda e riesce nell'intento di non stancare mai, anzi, più va avanti e più apprezziamo queste sonorità perfette ed articolate. Quando tutto sembra finito e pronto per ripartire, ecco la seconda parte di questo meraviglioso assolo, il quale è perfetto per creare un momento di phatos in attesa di una ripresa incalzante e sorprendente. Ed ecco infatti che si riprende sempre in maniera mai veloce o prepotente, con quell'atteggiamento di attesa che caratterizza l'incedere dominante. La voce si alza notevolmente fino a sentire un primo grido con tanto di breve sezione strumentale, ed un secondo acuto che di fatto chiude un brano atipico e particolare, che ha la forza di essere appunto "diverso" e dare quella variante inaspettata che tanto fa bene ad un disco. Bisognerebbe capire cosa sia successo a questo mondo, e per farlo abbiamo dovuto convivere con il disturbo ed il degrado. Cosa è successo prima della nostra venuta? Dovremmo superare quel pozzo di dolore a cui ormai siamo abituati, ma la domanda che ci poniamo ora è: "Riusciremo a sopravvivere a questa notte?", riusciremo a svegliarci da questo sonno eterno e quindi a tornare alla nostra vita? Dovremmo sicuramente imparare dai nostri errori, ed è da qui che potremmo sperare e progettare una vera ripresa. Non sappiamo se ci riusciremo, le probabilità di successo sono praticamente nulle e tutti remano contro di noi. Eppure dobbiamo essere forti e determinati nel portare a termine la nostra missione, in modo da far capire alle generazioni future che solo con la volontà e la determinazione si possono realmente cambiare le cose. Al giorno d'oggi, purtroppo, siamo talmente abituati alle comodità più disparate che facciamo veramente fatica a muovere un dito; il vero problema è che ce ne freghiamo di ciò che ci sta accadendo intorno e se non facciamo veramente qualcosa, prima o poi questo mondo si rifiuterà di ospitarci. La band, questa cosa, l'aveva capita già nel 1990; quando appunto pubblicava questo disco, e probabilmente sperava che con il passare del tempo e degli anni, le cose potessero in qualche modo migliorare. Invece, le cose continuano inesorabilmente a peggiorare e quindi anche noi ci chiediamo se riusciremo a sopravvivere al sonno oppure arriverà anche per noi il giorno in cui, una volta addormentati, non saremo più in grado di svegliarci per colpa nostra e di questo mondo che non vuole avere più ospiti intorno a sé.

The Art Of Shredding

Arriviamo dunque alla fine del nostro viaggio con l'ultimo brano "The Art Of Shredding (L'arte della Frantumazione)". L'inizio è affidato ad un mid tempo bello pieno e ad un basso che martella alla grande, per poi sentire la chitarra che accenna solamente il suo intervento, prima di diventare la protagonista indiscussa con un riffing work molto particolare e molto bello. L'intensità aumenta notevolmente con l'aggiunta di una buona dosa di doppia cassa, che si blocca immediatamente e lascia la sei corde di Darrell sola nel compito di "iniziare" il cantato. Un urlo, infatti, fa capolino mentre la sezione ritmica inizia a martellare con tempi disuniti, che però si amalgamano bene per poi riprendere con foga ad abbattere un muro sonoro devastante. La chitarra inizia a fumare in maniera insistente, mentre basso e batteria danno dimostrazione di grande equilibrio. La velocità aumenta in maniera a dir poco devastante con una chitarra letteralmente maltrattata ed un drum set ai limiti della sopportazione. Arriviamo ad un momento di grande potenza sonora, ovvero una sezione lenta e claustrofobica intrisa di pesantezza che non può certo lasciare indifferenti e che induce all'headbanging più furioso. Si riparte alla grandissima con un primo riffing seguito da un assolo alieno che spiazza per esecuzione, il tutto sorretto dal fratello Vinnie che se potesse userebbe quattro pedali per dare più aderenza al suo drumming demolitore. In seguito, tutto viene sospeso per pochi secondi con un suono di attesa, mentre lo stesso Anselmo prepara il gran finale con le ultime urla che sanciscono la fine del pezzo. Un brano poderoso e possente che mostra i muscoli nelle ripartenze al fulmicotone e che riesce a dare il colpo finale anche quando le ritmiche rallentano, perforando i timpani dell'ascoltatore con tenacia e convinzione. Questa cosiddetta Arte della Frantumazione viene espressa perfettamente sotto il punto di vista musicale, triturando ogni cosa con questo suo groove pesantissimo che non lascia scampo. Il testo di questa song, nonostante i suoi quasi quattro minuti e mezzo, è molto breve e parla nuovamente di una società, la nostra, in mano a persone cieche ed incapaci di vedere i reali problemi che ci circondano. Questo mondo è diventato una sorta di inferno vivente, e seppur nati liberi, rimaniamo impotenti e del tutto privi delle capacità di cambiare questo mondo. La nostra vita, in sostanza, è in mano a dei pazzi criminali ed è adesso che la società ha bisogno di noi e del nostro aiuto. Siamo in balia del male, con la rabbia che cresce ogni giorno in fondo ai nostri cuori, ma forse siamo anche consapevoli che qualcuno stia arrivando a liberarci da tutto ciò e così, forse, saremo più vicini al cielo e ci lasceremo alle spalle questo mondo infetto. L'unica soluzione è sfoderare l'arte della distruzione, per distruggere e provare un' ultima emozione prima di lasciarci abbandonare definitivamente.

Conclusioni

Siamo arrivati dunque (a malincuore) alla fine di questo splendido lavoro, e dico a malincuore perché "Cowboys From Hell" è un disco talmente affascinante che scorre via senza curarsi troppo del tempo, comunque importante (la bellezza di dodici track). Chi conosce ed apprezza i Pantera sa benissimo che non siamo dinnanzi ad un esordio discografico (come spiegato in fase di introduzione), ma bensì ci troviamo al cospetto del quinto album in studio della band. Eppure, questo è contemporaneamente una sorta di nuovo inizio, con uno stravolgimento totale del sound, che potrebbe addirittura indurre un ascoltatore inesperto a pensare che, effettivamente, ci si stia trovando al cospetto di un'altra band, totalmente diversa da quella dei primi dischi. E le differenze sono tantissime rispetto alle release che hanno preceduto questo splendido full lenght: in primis possiamo parlare della produzione, affidata a Terry Date, il quale ha prodotto grandi band nella sua carriera (quali Deftones, Withe ZombieSoundgardenLimp Bizkit ed appunto Pantera). Produzione che risulta massiccia e ben calibrata, per donare una potenza al sound mai vista prima. Altra cosa che notiamo sin da subito è l'estrema aggressività che i Nostri mettono in campo in questo "Cowboys From Hell"; un'aggressività anche merito del singer, senza ombra di dubbio. Con l'arrivo di Philip Anselmo ed il conseguente rilascio di "Power Metal", infatti, si poté già intravedere un discreto crescendo, un inasprimento generale dei toni ancora legati all'Heavy / Glam più classico. Aggressività che esplode dunque in questo "Cowboys..", nel quale Anselmo può dunque dare sfogo a tutta la sua rabbia. Sentendo per bene il platter, pare quasi che la band sia stata chiuda in gabbia per alcuni anni, ancorata a delle sonorità che probabilmente non le competevano; trovando la definitiva via di uscita con questa nuova incarnazione, sound che rese di fatto i Pantera liberi di potersi sfogare in un ambiente a loro più consono. Il lavoro di chitarra espresso da Dimebag "Diamond" Darrell è un qualcosa di estremamente sofisticato e personale, il drumming del fratellone Vinnie Paul è incessante e coinvolgente come non mai, con quel suo modo particolare di utilizzare la doppia cassa senza mai essere fuori luogo o forzare alcuni passaggi per dimostrare di essere un fenomeno. Il fatto che poi il Nostro usi le bacchette al contrario è probabilmente una cosa di poco conto, ma anche questo piccolo particolare è sinonimo di forte personalità e voglia di distinguersi. Rex Brown, dal canto suo, svolge un lavoro incredibile nel sopperire la mancanza di una seconda chitarra (soprattutto on stage) e dimostra delle capacità indiscusse e degne non solo del perfetto accompagnatore, ma anche di un bassista estremamente personale e dotato di un gran carattere. Arriviamo a parlare di Phil Anselmo, il quale seppur in certi frangenti ancora ancorato un po' al passato della band e probabilmente influenzato da mostri sacri dell' Heavy Metal, riesce a tirar fuori una prestazione aggressiva quanto basta per donare quella cattiveria che va a chiudere un cerchio perfetto fatto di canzoni potenti, ma anche di splendide melodie. Il caso più eclatante è la bellissima "Cemetery Gates", con quel suo arpeggio perfetto e quella timbrica vocale da pelle d'oca. Dall'altra parte, song come la title track, "Heresy" e "Domination" su tutte, si dimostrano furenti ed imperiose, destinate ad essere ricordate per sempre nel panorama Metal. Un disco, insomma, quasi perfetto e che oggettivamente assurge a masterpiece assoluto degli anni '90. Tuttavia, non possiamo oggettivamente tralasciare un qualcosa che funziona meno di altre soluzioni. Ad esempio, "Clash With Reality" (pur essendo una buona song) non brilla per originalità, anche se comunque non sfigura con il resto dell'album. Stesso discorso possiamo farlo per "Psycho Holiday", che pur essendo un buon brano, risulta un pelino inferiore se paragonato ad altre fucilate presenti in questo lavoro ("Domination" su tutte, la più amata di sempre dai fan dei Pantera). Se parliamo di liriche, invece, possiamo notare ovviamente come "Cowboys.." non sia effettivamente un concept album, anche se in qualche modo i brani (pur essendo sostanzialmente diversi a livello lirico) sono accumunati da un sottile filo logico che li rende omogenei, ovvero le esperienze passate dal gruppo sia insieme che singolarmente, con un immaginario catastrofico che non è nemmeno troppo distante dalla realtà di allora (e di oggi, purtroppo). Concludendo, siamo testimoni di una nuova e splendida creazione, spettatori fortunati che hanno avuto modo di veder nascere un qualcosa di grandioso. Un po' come assistere ad un parto, veder nascere questa creatura ed affezionarsi ad essa, ansiosi di vederla una volta cresciuta.. come sarà, cosa saprà tirar fuori dal cilindro, e cosa ne vorrà fare della propria vita.

1) Cowboys From Hell
2) Primal Concrete Sledge
3) Psycho Holiday
4) Heresy
5) Cemetery Gates
6) Domination
7) Shattered
8) Clash With Reality
9) Medicine Man
10) Message In Blood
11) The Sleep
12) The Art Of Shredding
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