OBITUARY
Cause of Death
1990 - Roadracer Records

CORRADO PENASSO
25/09/2014











Recensione
Lo scoccare degli anni 90 segnò l’inevitabile ascesa del death metal a discapito di un sempre meno forte thrash metal. Le contaminazioni groove, funk e progressive stavano intaccando l’operato di molti esponenti thrash metal degli anni 80 e l’attenzione dei fan della musica più violenta si spostò verso un genere musicale che non ammetteva mediazioni: il death metal, appunto. La prima corrente comprendeva i Death, Morbid Angel, Cannibal Corpse, Deicide e Obituary. Questi “big five” del death metal esordirono a fine anni 80-inizio 90 con album terremotanti e carichi di odio. Gli Obituary da Tampa, Florida, si fecero notare nel 1989 per il loro primo album: Slowly We Rot. Seppur ancora parzialmente immaturo, il lavoro in questione diede fama ad un gruppo allora ammirato per le sue atmosfere mortifere e per le improvvise accelerazioni a riportare alla mente i migliori, seppur appesantiti, Celtic Frost. Alcune date per il tour USA furono programmate e una in particolare, quella di Halloween 1989, viene ricordata perché si tenne nella loro città natale. Alcuni pezzi erano già pronti per essere incisi a creare un nuovo album ma alcune problematiche sorsero quando il chitarrista solista del gruppo, Allen West, si mostrò non disponibile per la registrazione del disco, causa alcuni problemi personali. Daniel Tucker al basso fu la seconda defezione ed al suo posto venne preso Frank Watkins, tutt’ora bassista permanente. Rimase il problema del chitarrista solista, finché un certo James Murphy si mostrò disponibile ad aiutare la band. Mai scelta fu più azzeccata siccome la bravura del chitarrista portò gli Obituary ad un livello nettamente superiore. Il suo apporto in un album come Spiritual Healing dei Death fu per lui un trampolino di lancio e la collaborazione con gli Obituary può essere vista come un consolidamento effettivo. Ora che la formazione era completa, con lo zoccolo duro dei fratelli Tardy alla voce e batteria, il titolo dell’album venne scelto: Cause Of Death. La copertina, che inizialmente sarebbe dovuta andare ai Sepultura per Beneath The Remains, è quanto di più macabro di si possa aspettare. La violenza visiva è persino maggiore di quella rappresentata sul già macabro debutto: un tronco composto da volti deformati e demoniaci regge, attraverso le ragnatele, un corpo umano mummificato e completamente avvolto dalla tela. Un enorme occhio rosso scruta minaccioso la scena mentre in lontananza si vede una torre con delle mani che spuntano sulla sua sommità. Probabilmente dei prigionieri pronti a fare la fine del malcapitato in primo piano, successivamente ridotto in ossa, come si può intuire dal mucchio di teschi che giace di fianco al tronco. Quest’illustrazione a cura di Michael Whelan prepara l’ascoltatore in maniera perfetta, chiarendo subito le intenzioni del gruppo in questo caposaldo del metal estremo.
L’incipit è un inquietante preludio di come sarà il disco: ruggiti, strane percussioni metalliche ed improvvise esplosioni che si rincorrono, sempre più violente, sfociano in “Infected”, la prima traccia del disco. I tempi sono mortiferi e riprendono esattamente il mood dell’introduzione. I riff sono distesi, neri come la pece mentre il drumming minimale sembra scandire i passi pesanti di una creatura nera che sorge dalle tenebre. Il solismo fluido di Murphy si nota immediatamente per il suo apporto di leggera melodia, il tutto in modo inquietante ed oscuro, per nulla stucchevole giacché si rimane nel solito putridume Obituary. La registrazione, sempre a cura di Scott Burns, ha fatto passi di gigante rispetto all’album di debutto, complice forse una disponibilità di fondi maggiore da parte della band. La batteria ha un suono pulito, nitido ed i riff sono taglienti e profondi allo stesso tempo. L’atmosfera si carica di oscurità man mano che i secondi passano, come a voler annunciare un’imminente esplosione. Esplosione che prontamente avviene poco dopo il minuto e mezzo quando un improvviso stop lascia entrare un riffing possente e più veloce. La voce brutale di John Tardy entra prontamente a dare mano forte in questa bolgia infernale che arriva sino a toccare alcuni uptempo, tra le prolungate sezioni di veloce doppia cassa. Il livello di maturazione che separa Slowly We Rot e Cause Of Death è già presente ed udibile in questi pochi minuti. Le atmosfere doom ammantano il ritornello, tra strani sospiri ed eruzioni vocali mostruose. La sofferenza è palpabile e l’apporto solistico di Murphy è molto prezioso perché strutturato, curato nella tecnica e mai troppo impulsivo, come classico di Allen West, invece. Le liriche anch’esse si distinguono per essere meno irruenti ed essenziali. Esse ora mostrano una struttura degna di nota e nel caso di questa canzone toccano tematiche sempre macabre, come le infezioni e le conseguenze sul fisico dell’infetto. La pelle si toglie, le interiora vengono degradate mentre la malattia porta lentamente l’infetto verso la tomba: “Uccidendo, mandandoti verso la tua tomba. Morente, presto sei quello che loro salvano. Cadendo a pezzi, liberati dei tuoi intestini. Presto arriva l’infezione, presto l’infezione ti pervade. Spelandoti, liberati della tua pelle. Infetto!” (“Killing, send, you to your grave. Dying, soon the one they save. Tearing, rid you of your limbs. Infection soon, infection soon sets in. Peeling, rid you of your skin. Infected!”). Insomma, non ci si poteva aspettare nulla di meglio da parte della band e finalmente il testo risulta anche scorrevole alla lettura, senza frasi sconnesse, solo adatte ad amalgamarsi ai feroci urli di John. Un lento scemare degli strumenti lascia spazio al ritorno delle atmosfere plumbee, tra vento che spira ed un ruggito che cresce velocemente ad introdurre la successiva “Body Bag”, traccia dall’inizio a base di groove marcato e atmosfere doom dalla profondità più nera. I riffs non sono mai veloci e in questo crescendo di odore di composizione troviamo sempre l’ugola malata del cantante a descrivere scene di morte e decadimento. Il proseguo della traccia si mostra grintoso, poco prima del secondo minuto, quando alcuni fulminei tempi veloci vengono introdotti da improvvise rullate di batteria. Ad ogni modo, le sezioni cambiano frequentemente e finalmente esse risultano mature e complete. Le durate della tracce cominciano ad essere importanti e soprattutto senza cedimenti. Si passa facilmente attraverso sfuriate, rallentamenti inaspettati e stop and go. L’atmosfera rimane di un fetido clamoroso mentre la band, in stato di grazia, risulta precisa ed ispirata dietro gli strumenti. Il martellare del basso di Frank tira con sé tutta la grinta di Donald Tardy alle pelli e la bravura solista di Murphy, capace di amalgamarsi alla perfezione in un suono che per lui è nuovo. Il suo solismo è sempre tecnico ma nasconde un cenno di melodia che si sposa alla perfezione in questa atmosfera. Il testo, nuovamente ben sviluppato, inneggia a creature che sorgono dal mondo dei morti e mietono vittime in un costante passaggio in bilico, tra un mondo e l’altro. La luce oscura coadiuva questi esseri nel loro compito: “Il sorgere dei morti. Le glorie uccise. Il sorgere dai morti con una luce oscura” (“The rising of the dead. The glories killed. Rising from the dead with the darkened light.”). Il richiamo dei morti risveglia questi corpi putrefatti e li fa muovere verso le prossime vittime, pronti a commettere atti efferati. Testi violenti, macabri e con poco spazio per l’immaginazione. L’ultimo riff della traccia si prolunga e sfocia direttamente nei pesanti colpi della successiva “Chopped in Half”, altro classico scritto nelle pagine più importanti del death metal. Questo legame musicale che stringe le prime tre tracce dell’album fa sì che esse risultino una la prosecuzione dell’altra, quasi come in un concept. Non c’è un secondo più pausa in questa sequenza terremotante ed ispirata. Il riff iniziale di quest’ultima e le violente martellate di batteria sono subito riconoscibili da qualunque appassionato di metal estremo. Il ritornello si palesa immediatamente nelle orecchie dell’ascoltatore, supportato da un John Tardy furioso e potente. Le atmosfere si fanno ancora più cupe, come nel miglior film splatter dove la creatura-mostro si accinge a torturare la sua preda, in uno scantinato tra vari coltelli appesi alle pareti. I tempi, inizialmente, non sono mai tirati e si limitano al massimo a sporadiche sfuriate di doppia cassa anche se nel mezzo troviamo alcuni uptempo spezzati dalle triplette della batteria di Donald e da alcuni giri di basso veramente azzeccati, anche se in sottofondo. In questa traccia si lascia parecchio spazio alla musica, a discapito del testo. I riffs parlano da soli, le atmosfere ammantano la composizione e la trasportano in luoghi lugubri e sudici. Non c’è bisogno di altro. Il solismo di Murphy risulta ancora una volta perfettamente incastrato nella struttura e il suo apporto appare sempre prezioso per l’atmosfera e per dare quel flavour in più. Il testo si riassume in queste frasi ripetute due volte consecutivamente: “Tagliato a metà. Senti il tuo sangue uscire dalla bocca. Il destino arriva in modo brutale. Senti l’anima che prende il dominio. Sanguina. (“Chopped in half. Feel the blood spill from your mouth. With rotting ways comes destiny. Feel the soul taking over. Bleed.”). Parole tanto essenziali quanto angoscianti, supportate al meglio da una musica soffocante e priva di qualsiasi gioia. Arrivati alla quarta traccia, vediamo la band porgere omaggio alla sua più grande influenza: i Celtic Frost. Ogni riff di chitarra nella discografia intera della band è intrisa del sound degli svizzeri e quale canzone potrebbe essere più rappresentativa? Ovviamente “Circle Of The Tyrants”, in una sorta di “gemellaggio tiranno” tra le due band. Ogni death/black/thrash fan dovrebbe conoscere l’importanza della band di Tom G. Warrior, come anche il riff posto in apertura della succitata canzone. I tempi medi e le sverzate di doppia cassa fanno da introduzione alle atmosfere tipiche della band svizzera, rilette in chiave Obituary ma per nulla mutate. La somiglianza dei due stili è incredibile ed in questa occasione in particolare, se non ve ne siete ancora accorti, si capisce molto bene come il sound della band di Tampa sia solo un’estremizzazione e una rilettura personale di quella dei Celtic Frost. Le lugubri atmosfere, i riff fangosi ed i tempi al limite del doom si amalgamo a tal punto nel disco da fare sembrare che la cover sia in realtà un pezzo inedito. La voce di John, pur non avvalendosi degli scream prolungati, morde il microfono e si plasma per risultare vicino allo stile della versione madre, specialmente quando riproduce fedelmente ogni “Uh!”, trademark di Tom G. Warrior. Tutte le caratteristiche sono rispettate in ogni minimo dettaglio e la perizia strumentale della band fa il resto, specialmente il solismo di Murphy a ricreare perfettamente l’originale. Il testo disegna battaglie sanguinolente per fare sorgere un regno dominato dai tiranni con gli dei al loro fianco, in un paesaggio oscuro e consumato da mille battaglie: “La battaglia è finita e le sabbie ubriache di sangue. Tutto ciò che rimane è l’amarezza delle delusioni” (“The battle is over and the sands drunk the blood. All what there remain is the bitterness of delusions.”). Nella terra dell’oscurità, sorgono i tiranni per dominare ogni essere vivente. Gli dei sono al loro fianco e paesaggi di completa desolazione regnano su campi devastati da mille battaglie. Grande prova di forza da parte della band e testimonianza definitiva di una maturazione ormai completa. Proseguendo nell’ascolto, troviamo un’altra traccia che dona molta rilevanza al lato strumentale, “Dying”. Per gli oltre quattro minuti di durata, la band si concentra molto sulle chitarre, sul basso e sulla batteria. La parte di John è relegata in poche parole, mentre il lato strettamente musicale parla da solo, tanto è buona la proposta. Inizialmente i tempi mortiferi la fanno da padrone, in un groove melmoso e avvolgente. La distorsione della chitarra è cupa, penetrante. I vari stop and go, uniti alla batteria sincopata ed a una forte reverenza verso il thrash metal rendono questo inizio veramente coinvolgente, da male al collo. Tutto fluisce lineare, senza cedimenti e anzi, con molti punti forti. Le improvvise velocizzazioni della batteria trasportano il solismo della sei corde di Murphy ed immediati uptempo che spezzano l’andamento, prima di rituffarci nel groove più macabro ma sempre dinamico. In corrispondenza delle poche parole urlate, i tempi rallentano ulteriormente e i riffs si distendono mortiferi, agonizzanti su un tappeto di batteria veramente angosciante. Il finale riprende i suoni campionati delle canzoni precedenti in un crescendo che termina nella canzone successiva. Le brevi liriche si riassumono così: “Stiamo morendo affinché le nostre anime imparino. Stiamo morendo affinché le nostre anime brucino. Stiamo morendo affinché le nostre anime imparino. Stiamo morendo”(“We're dying for our souls to learn. We're dying for our souls to burn. We're dying for our souls to learn. We're dying.”). Un testo tanto semplice quanto inquietante, sopratutto in questo contesto musicale. Come dicevo prima, la canzone sfocia nella successiva “Find The Arise”, traccia tratta dal loro demo del 1986 e riletta in chiave 1990. Seppur non modificata, la nuova versione risulta ripulita da imperfezioni e impreziosita dalla registrazione potente dell’album. Il tiro di questa traccia ha dell’incredibile e si distingue su disco per essere una della manifestazioni più violente da parte della band. Un tuono introduce il ruggito di John mentre la band pigia immediatamente sull’acceleratore in una composizione irruente, furiosa e pregna di tempi veloci durante la prima parte. Man mano che si procede all’ascolto, i tempi lenti sorgono per dare spazio al solismo della sei corde ma la pausa è breve. Una sequenza di tempi veloci riprende la scena in questo balletto tra stop and go, tra violenza ed oscurità. Non c’è un attimo di respiro ed alla fine ci troviamo storditi per un tale assalto sonoro. Nella composizione si sente tutta l’essenzialità e la brutalità della prima incarnazione della band, tra sfoghi adolescenziali e una lenta presa di consapevolezza delle proprie capacità. Il testo non si distingue per lunghezza e si può riassumere in queste parole: “Vai e trova il sorgere. Uccidi a prima vista. Lotta, vivi attraverso l’inferno, la guerra è il nostro premio, manipolando le loro menti. Uccidi a prima vista.”(“Go find the arise. Kill at first sight. Fight, live through the hell, war is our prize, twisting their minds. Kill at first sight.”). Un testo abbastanza criptico e difficile da decifrare, nel caso in cui nascondesse un messaggio nascosto. Uno scenario molto brutale si palesa negli occhi del lettore, visto che tematiche violente ed apocalittiche vengono richiamate, seppur con poche descrizioni. Ad ogni modo, come successe in Slowly We Rot, le parole si intonano perfettamente allo stile vocale di John, risultando rabbiose e dirette. Arrivati a “Cause Of Death”, notiamo immediatamente come il macabro arpeggio/riff iniziale assomigli a quello presente in apertura della title-track del primo album del gruppo. I tempi sono molto lenti e l’incedere della batteria sembra un battito di un cuore morente. I riffs si fanno profondi per poi crescere in una lenta salita in prossimità del secondo minuto quando essi si fanno maggiormente serrati ad introdurre il ritornello. Il groove è marcato, specialmente durante la sezione centrale quando troviamo un riffs che sembra strisciare come un verme tra l’immondizia, in un odore nauseabondo. Un velo nero ricopre tale struttura e la conduce sino all’arrivo di alcuni brevi uptempo, i quali presto ricadono nel mid-tempo più mal odorante. Il solismo di Murphy è presente in tre sezioni diverse e risulta sempre prezioso per l’atmosfera del disco, più che per il suo apporto tecnico. Una sequenza di stop and go finale ci porta alla conclusione della traccia. Il testo si palesa quasi come un inno per i membri della band, descritti come “portatori di morte” per un corpo che marcisce insieme alla sua anima: “Noi siamo la causa di morte. Con l’oscurità sorgiamo. Il tuo inferno è negato. La realtà è qui.”(“We're the cause of death. With the darkness we arise. Your hell is denied. Reality's here.”). Le parole descrivono la fine misera della vittima, destinata a bruciare all’inferno anche se non si capisce bene chi sia in particolare la vittima. Il testo risulta criptio da questo punto di vista anche se molto più sviluppato ed avendone tratto solo una parte, invito i lettori a leggerlo completamente. L’ottava traccia si lega alla sua precedente ancora una volta grazie alle campionature in sottofondo che si legano in un sentiero fatto di oscurità, violenza e decomposizione. Stiamo parlando di “Memories Remain”, introdotta da un riff di una pesantezza raramente sentita. Le partiture di doppia cassa si alternano in ricadute doom dove il growl di John si incupisce ancora di più, sostenuto da un’atmosfera catacombale e priva di luce. La sofferenza che traspare da questi solchi non verrà mai più bissata dalla stessa band. I brevi suoni del sintetizzatore che troviamo a metà durata non fanno altro che aggiungere buio ad una traccia mostruosa, tra le più riuscite su disco e nella discografia della band. Il solismo di Murphy, questa volta, è ben inserito ed apporta un tocco melodico molto fugace ma apprezzabile perché decadente e per nulla solare. Gli ultimi secondi a base di soli sintetizzatori sembrano condurre in un abisso di dolore e disperazione in un’intensità musicale da lasciare destabilizzati. Il testo risulta veramente angoscioso e la frase che si può estrapolare come esempio è la seguente: “Alto è il grido del bambino scelto. Bambino, la vita continua, anche dopo la morte, la vita continua” (“Loud is the shouting, of the chosen child. Child, life goes on, even after death, life goes on.”). Uno scenario che si divide tra schiavitù e morte rende questo uno dei testi più tetri del disco, soprattutto quando si toccano i bambini. Forse le parole si riferiscono ai vari massacri operati dalle milizie militari o da ribelli nelle zone più remote dei continenti ma non ci metto la mano sul fuoco. La sensazione che mi trasmette, comunque, è di profondo disagio ed è proprio questo che la band vuole. Bersaglio centrato. Ci avviciniamo alla conclusione del disco con “Turned Inside Out”, traccia finale del disco. I succitati suoni dei sintetizzatori formano un ponte tra la traccia precedente e questa, introdotta da un riff possente che si alterna in tempo nelle plettrate. Gli stop and go sono numerosi e generalmente su tempi rallentati che mutano solo in corrispondenza della fase solista di Murphy, sempre melodica a donare varietà alla proposta. I tempi si fanno più dinamici per poi ripiombare immediatamente nel groove più imputridito. Un lento crescendo strumentale segue e sfocia in una prolungata sezione in uptempo, interrotta da molti break improvvisi a rimarcare la perizia strumentale acquisita da nostri musicisti. Il ritornello urlato da John compare durante alcuni tempi rallentati, supportati dallo strambo e grottesco solismo di Murphy, veri gioielli di ispirazione. Il finale a sfumare pone il sigillo a uno dei dischi più cupi del death metal. Le parole del testo richiamo la vendetta e l’arrivo di alcune creature (personificazioni dei membri del gruppo) direttamente da un mondo oscuro, rivoltate e in decomposizione: “Noi siamo risvoltati da dentro a fuori. Sorgiamo oltre l’oscurità. Sorgiamo oltre le urla senza paura” (“We're turned inside out. Beyond the darkness we arise. We're turned inside out. Beyond the fearless cries.”). Il significato delle parole “turned inside out” può essere visto sia dal punto splatter, ovvero risvoltare una persona da dentro a fuori, che dal punto di vista mentale, ovvero far cambiare idea a qualcuno. Tuttavia, mi sento di dare precedenza alla prima, vista l’indole macabra della band nel descrivere queste creature in decomposizione.
Termina così il mio viaggio attraverso uno degli album di maggior rilievo nella scena metal mondiale. Qui non si parla semplicemente di death metal, qui si parla di storia e come tale, implica che sia la storia di tutto il metal. Gli Obituary di Cause Of Death raggiunsero il loro apice creativo, a mio modesto parere, prima della pubblicazioni di altri lavori convincenti ma leggermente al di sotto di questa pietra miliare. Il panorama nel 1990 era in pieno fermento, i debutti di band come Deicide, Cannibal Corpse o Suffocation erano nell’aria e gli Obituary diedero il loro contributo attraverso la pubblicazione di nove tracce dall’impatto micidiale. La tecnica strumentale era migliorata decisamente e la registrazione, più nitida e potente, fornì alla band un trampolino di lancio per l’immortalità. Qui si respira l’atmosfera anni 80 – 90 e non vi sono tecnicismi vari, orpelli inutili ed una forzata volontà di sfoggiare tutte le qualità strumentali in un mero circo senza spina dorsale e personalità. Qui la scena era ancora priva di gente che per forza voleva mettersi in mostra in una sorta di teatrino, c’era solidarietà e la volontà di dedicare tempo ai progetti. Cause Of Death fu un parto proprio di quella scena e la qualità si sente. L’atmosfera puzza di decomposizione come mai più sarà e le tracce, seppur meno veloci di quelle sul debutto, risultano avere un impatto maggiore grazie a strutture variegate e mai monotone o abbozzate. L’apporto di James Murphy e della sua chitarra, presa in prestito dai Nocturnus che al momento stavano registrano ai Morrisound Studio il debut album The Key, si mostra di una preziosità fondamentale, un po’ come fu Kisser per i Sepultura. L’apporto di nuova linfa vitale nella band si mostra anche attraverso una ricercatezza della melodia che mai va a cozzare con lo stile primordiale e brutale del resto della band. Qui risiede la perizia di un musicista che si sa adattare senza per forza dover sfoggiare la sua tecnica. Tutti questi punti di forza fanno di Cause Of Death un album imprescindibile nella collezione di qualsiasi amante dell’estremo e non. Esso rappresenta una tappa obbligatoria anche per capire l’evoluzione di un genere che ora risulta ben radicato ma che allora era in pieno sviluppo. Se il nome della band è sulla bocca di tutti gli appassionati del genere, lo dobbiamo anche e soprattutto ad un Cause Of Death che scrisse una pagina indelebile della musica estrema, una pagina che ancora oggi è d’obbligo leggere e riportare in vita tramite l’ascolto periodico di questa immenso lavoro.

1) Infected
2) Body Bag
3) Chopped in Half
4) Circle of the Tyrants
(Celtic Frost Cover)
5) Dying
6) Find the Arise
7) Cause of Death
8) Memories Remain
9) Turned inside Out


