Nordic's Yell
Nordic's Yell
2014 - Self
ROBERTA D'ORSI
23/05/2015
Recensione
L’aggressività spesso riversata nei testi, la preponderante presenza del suono di basso, ritmi cadenzati e voci melodiche ed avvolgenti, sono i punti di riferimento nonché basi, sulle quali si erge uno dei sottogeneri più introspettivi del metal, ovvero lo stoner rock. Ridondanti atmosfere si mescolano ad un’aggressività interpretativa (ed anche vocale) per poi passare a ritmiche estremamente melodiche, che affondano le radici nel raffinato blues; ed ecco che un genere spesso sottovalutato, riesce invece a caricarsi e caricare di innumerevoli sfaccettature le emozioni provate durante la composizione e l’ascolto di un disco. Poi c’è il grunge la cui assenza spesso di qualunque distorsione e suoni sintetizzati, può rendere l’ascolto ripetitivo e poco variegato. Al giorno d’oggi quest’ultimo stile viene adottato come influenza o arricchito da altre contaminazioni musicali. La band di cui mi appresto a parlarvi abbraccia di base stoner e grunge, si chiama Nordic’s Yell ed arriva dalla Francia. La band ha origine per mano dei fratelli Lorenzo e Niels, la cui passione per gruppi quali Stone Sour, Black Label Society e Wardruna, li porta ad intraprendere un percorso musicale legato principalmente a quel rock dal sapore caldo, intenso come le note fruttate di un whisky al miele, in cui stoner, blues e grunge, si intrecciano creando una trama ricca di tasselli ognuno con la sua personalità, interessanti da scoprire singolarmente ed accattivanti da ascoltarne l’insieme. I fratelli cominciano la loro composizione; ognuno dei due riversa la personale visione del mondo nei loro strumenti; Lorenzo carica di irruenza la chitarra mentre Niels con la sua interpretazione e le liriche, esprime una sorta di ribellione nei confronti della vita. Nel 2014 al duo di fratelli si aggiunge il batterista Antwan Camal e la nuova formazione si mette all’opera per realizzare il primo disco. L’artwork di copertina nella sua semplicità è l’emblema nonché compendio di alcune liriche contenute nei brani. Un pesciolino rosso schizza fuori dalla sua bolla di vetro, nel cui interno vediamo una banconota da venti euro. Il messaggio che scorgo in questa effige è della fuga da tutto quello che appartiene alla società moderna, dalle costrizioni dei potenti, della politica, del lavoro, per arrivare al male più grande di tutti, il Dio denaro. L’omonimo album viene registrato presso il Magic Studio a St. Peray in Francia e masterizzato all’ AbsoluteStudio di New York, contiene undici tracce per la durata di 47 min. e 46 sec.
Il pezzo apripista “Quiet Spectator” irrompe sin da subito come un fiume in piena. Quello che mi è balzato immediatamente all’orecchio è la pulizia del suono. Un tagliente riff di chitarra introduce la prima traccia dei Nordic’s Yell, una manciata di secondi dopo, un urlo di Niels squarcia le membrane auricolari e ci fa percepire quanta rabbia il cantante riesce a comunicarci con la sua voce. Timbro rauco e profondo che si fonde in un connubio azzeccatissimo con le note di basso ed esplode di violenza in tutto il pezzo. La struttura ritmica è piuttosto semplice, la melodia è orecchiabile e di facile presa, il breve assolo riduce la quasi inesistente varietà compositiva, stemperandone la troppa omogeneità. Il risultato finale è di un prodotto che funziona. La rabbia e la ribellione tipica del punk, si mescolano a riff di stampo estremamente rock, producendo un effetto su chi ascolta decisamente liberatorio. Il videoclip che accompagna il brano vede la band davanti ad una grande villa signorile, le cui immagini sono girate sia in esterno che in interno, il tutto accompagnato da effetti e dissolvenze come quello delle pellicole cinematografiche. Decisamente inflazionato negli ultimi vent’anni il discorso della lobotomizzazione dell’uomo, che ha perso il proprio cervello davanti a tv e computer, ma a quanto pare questa problematica sociale non solo non smette di riproporsi, ma va, via via peggiorando. I Nordic’s ci descrivono una razza ipnotizzata dalla televisione, presa a farsi imbambolare e riempire il cervello da banalità, vive in una realtà virtuale costituita da “puttane e bastardi”. La band nelle liriche, ci esorta ad abbandonare quella prigione di immagini in cui ci si rinchiude ed a guardare il cielo che brilla di mille colori. Proseguendo con “On the Road Again” il gruppo mantiene il piglio aggressivo intimato nella prima traccia; a dare l’attacco al brano questa volta è la batteria che rispetto al pezzo precedente, veste i panni di protagonista tanto quanto gli altri compagni di squadra. Sono proprio i fill di batteria e la ritmica delle pelli a dare spessore, con la combinazione di chitarra e voce distorta poi, i Nordic’s riescono in pochi minuti a concepire un songwriting variegato. L’interpretazione passionale del vocalist esce nuovamente fuori, meritandosi lo stesso plauso che ai tempi facemmo a singer quali Eddie Vedder (Pearl Jam), Scott Weiland (Stone Temple Pilots) o Scott Stapp (Creed); voci calde, profonde, che ricercano nelle proprie vibrazioni interne, la chiave giusta per comunicare le proprie emozioni. Il cantante dei Nordic’s Yell ha questo merito, ha un bel timbro, con in più la particolarità di un graffiato cavernoso alle volte elettrizzante, altre che intimoriscono ed altre ancora che emozionano. Il gruppo francese non le manda di certo a dire, usando nelle loro liriche termini decisamente forti. In questa traccia si fa riferimento alla loro biografia, a gente che ha spento i sogni di gloria di ragazzi che hanno sempre voluto fare della musica, il proprio lavoro e la propria vita. Le parole proferite sono la dimostrazione di quanto ancora ci sia gente che sminuisce il valore e la passione per la musica, di chi rincorre il sogno di sfondare e poter lavorare con la sua personale band, condividendo col resto del mondo la propria arte e la propria creatività. La musica come atto di ribellione, scegliendo di vivere con gli occhi pieni di sogni, i Nordic’s invitano chi li ascolta a combattere insieme a loro, per essere sempre se stessi, per dimostrare di essere vivi, di essere qualcuno, di essere umani. La musica è quel linguaggio universale per mezzo del quale si possono comunicare importanti messaggi. I Nordic’s Yell di certo comunicano indipendenza a staccarsi dalla massa, a ricercare la propria identità e a non aver paura di dimostrare ciò che si è. Arriva la terza traccia “Nocturnal Frenzy” la cui potenza è riversata nella melodia. L’andamento acustico degli strumenti rivela un’anima musicale introspettiva, la cui delicatezza sonora ci culla in un caldo abbraccio ed il tutto viene equilibrato in modo tale da non scadere nello sdolcinato, grazie all’asprezza della timbrica di Niels. Il songwriting semplice si impreziosisce grazie agli evocativi chorus, nei quali figura la voce femminile di Gaêlle Buswel, che affianca Niels nel ritornello. Gaêlle è una cantautrice e chitarrista parigina, con all’attivo un paio di album e tantissima esperienza live. La sua musica ruota attorno al folk, al rock e al blues, la sua voce calda e graffiata ha trovato in questo stile il modo migliore per esprimersi. I Nordic’s Yell l’hanno voluta per condividerne l’arte che li accomuna, così una semplice ballad riversa la sua bellezza nei cori e nell’assolo da capogiro che anticipa la fine del pezzo. Il gruppo ha realizzato un video ufficiale in cui la band, accompagnata dalla cantautrice Gaêlle Buswel, si esibisce in un contesto chiuso e dall’atmosfera intima. La “frenesia notturna” nel testo fa riferimento ad uno stato d’eccitazione alcoolica, almeno questo è quello che comunica a me. Del resto, una frase che descrive gli occhi pieni di vodka coi quali si può guardare una realtà diversa, lascia poco spazio per immaginare un riferimento diverso. L’alcool distorce le percezioni, ci fa “viaggiare” attraverso dimensioni alternative, ma è anche pericoloso si sa, qualche bicchiere di troppo può compromettere la nostra incolumità. Lì dove tale sostanza riesce a debellare le nostre inibizioni, consentendoci di afferrare il coraggio a quattro mani, saldamente, senza mollarlo e compiere azioni che normalmente non faremmo, allo stesso modo l’esubero di consumo può ledere la nostra e l’altrui vita. Un prominente basso risuona ed introduce “Lose my Soul”, preludio alla cattiveria del ritornello in cui la distorsione della chitarra e l’interpretazione incazzata del vocalist, toccano linee ritmiche energetiche, bilanciando l’andamento delle strofe di stampo ampiamente melodico. Costruito su linee stilistiche che coinvolgono stoner e grudge, il songwriting risulta all’ascolto accattivante e riesce a coinvolgere nella giusta misura. Arrivati a quasi metà disco i Nordic’s Yell hanno saputo proporre un’equilibrata miscela di suoni ed arrangiamenti, così come di linee melodiche piuttosto varie. I riffs ed i soli della chitarra sono curati, così come in questa traccia, in cui la sezione ritmica svolge un ottimo ruolo di accompagnamento, mettendo ben in risalto la voce del cantante, anche nelle parti in cui risulta effettata. Le liriche del brano odorano di misticismo e spiritualità; il ricordo e la presenza che aleggia nei pensieri, rammenta di antenati, di personaggi del passato, che ci hanno in qualche modo lasciato dei messaggi, i quali dovrebbero servirci come insegnamento e punto di riferimento. Tali appunti andati persi sono stati recuperati inducendo ad una meditazione, la quale ha portato a diversi punti di vista: chi non vuole perdere la vita perché probabilmente attaccato più alle cose materiali e chi non vuole perdere l’anima, cercando di percorrere una strada all’insegna dell’integrità ed espiando in qualche modo gli errori commessi. Proseguendo con l’ascolto dell’omonimo album dei musicisti francesi, ci troviamo ad udire nuovamente note estremamente melodiche ed intrise di atmosfera. Una passionalità carnale, densa di emozione esplode in “Wild Child”, il cui songwriting è ammaliante, rapisce, grazie all’interpretazione cavernosa di Niels, che esprime potenza allo stato puro. La chitarra di Lorenzo inizialmente esegue un arpeggio delicato che poi si trasforma con veemenza nel refrain. Le corde vibrano tra le sue mani con un’intensità tale da lasciare senza fiato; il connubio esecutivo dei due fratelli non lascia alcun dubbio sul valore artistico e tecnico. Andando alla parte finale in cui l’assolo provoca una scarica di adrenalina pazzesca al pezzo, è la riprova di quanto ho appena asserito. Questi ragazzi francesi ci sanno fare eccome, sottolineando quanto la melodia possa tradursi benissimo in suggestivo e poderoso impeto. Si parla di mito e leggenda in questo brano, in cui abbiamo come protagonista la Dea Sekhmet appartenente alla mitologia egizia. La divinità in questione ha le sembianze di una leonessa, rappresentante della forza e del potere, era la Dea della guerra. Come ogni personaggio mitologico anche Sekhmet ha la sua storia che prevede qualche variante. Nelle liriche dei Nordic’s Yell si fa riferimento però ad un figlio nato da Sekhmet, il quale eredita il posto e l’importanza del ruolo di sua madre. Nella storia mitologica di questa Dea però non c’è alcun riferimento ad un avvenimento simile, mentre nella leggenda di un altro personaggio ho trovato delle analogie, si tratta di Nyavirezi. Nel folklore della terra di Rwanda si narra di una fanciulla che in gioventù scoprì un giorno per caso, di potersi trasformare in leone. La ragazza nella sua forma animalesca si cibava delle prede catturate dal bestiame nella tenuta di suo padre. Scoperto questo il genitore nega la libertà a sua figlia e lei per poterla riacquistare, decide di andare in sposa al capo di un villaggio limitrofo al suo, dal quale ha una figlia. La storia ha un seguito, ma è di una variazione su questo epilogo che vado a parlarvi. Nyavirezi sposa Re Babinga, sovrano appartenente ad una famiglia di maghi e stregoni che insegnano alla fanciulla i segreti della magia. La donna – leonessa divenuta regina di Rwanda, da alla luce un figlio Ryangombe, il quale diventa eroe e Re a sua volta. La storia narrata dalla band francese sembra riassumere le vicende del mito della Dea Sekhmet e della fanciulla – leonessa Nyavirezi, entrambe simbolo della forza e della potenza. Una ballata suggestiva dal sapore country – folk è la seguente traccia, “Red Bag Girl” le cui note acustiche di chitarra, accompagnano una sentita performance vocale di un Niels estremamente ispirato. Ritmica semplice, la tipica ballata da spiaggia eseguita attorno ad un falò in riva al mare, che ci tiene compagnia e ci scalda il cuore mentre ammiriamo un luminoso cielo stellato. Semplicità ed efficacia di un pezzo attraente, la cui melodia riesce, con una manciata di accordi e semplici arpeggi, a catturare l’attenzione di chiunque ascolti. Le parole sono dedicate ad una “ragazza dalla borsa rossa”, la quale vive di musica e per la musica e che con la sua arte ha conquistato il nostro protagonista. Il sorriso e la voce di questa fanciulla lo hanno catturato così tanto da intristirsi per la sua partenza, chiedendosi chi canterà con lui. Ma lei deve seguire i suoi sogni e camminare per la sua strada. Un’ode all’amore.. per l’arte e per la musica. L’attacco della settima traccia non lascia dubbi sulla linea stilistica dell’arrangiamento; il buon vecchio blues si palesa alle nostre orecchie. Una prima parte decisamente espressiva, che nel ritornello acquista vigore con l’esecuzione distorta della chitarra. Nelle strofe invece, le corde abilmente “tirate”, emulano ed evocano il suono dell’armonica a bocca. La sezione ritmica non pecca di protagonismo, ma si abilita al ruolo di accompagnamento per i fratelli. La voce di Niels si inasprisce ulteriormente, tirando fuori un graffiato talmente rauco, da risultare a volte esasperato, ma è proprio per voler trovare il pelo nell’uovo, dato che in questo frangente musicale, tale timbrica è davvero azzeccata. Il songwriting è davvero semplice, quasi ripetitivo, sino al finale, momento in cui l’energia subisce un ulteriore impennata. “Rock'n'Roll Home” nei suoi quattro minuti, è riuscita a regalarci un’altra nuova sensazione uditiva, arricchendo una tracklist già piuttosto variegata. Il ritornello decisamente southern rock descrive perfettamente in musica, il testo del brano. Una vita all’insegna delle donne, del rock'n'roll, della libertà e del profumo di soldi. Il protagonista è una persona sicura di sé, un “figlio di p..” donnaiolo al quale non piacciono le ragazze sdolcinate, vive di notte ed è sempre pronto a liberare la sua passionale libido. Proseguendo con l’andare delle tracce è palese quanto nella seconda parte, il disco abbia impostato il registro su una peculiare forma melodica, senza tralasciare una vena veemente che contraddistingue le canzoni dei Nordic’s Yell. “Ilânû Mušîti” non fa differenza; mi trovo anche in questo caso ad assaporare un’aria rarefatta inizialmente, nella quale si cammina in punta di piedi per paura di sentirsi mancare. Si vaga ignoti in questa armonia iniziale, per poi sentirsi entrare nei polmoni una sferzata di aria pungente, che ci libera e ci provoca una scossa di adrenalina. Le due sensazioni sono quelle che si avvertono nell’ascolto consecutivo di strofa e ritornello, questo per le note clean dell’ una e per l’apporto di distorsioni e inasprimento della ritmica, dell’altro. La linea vocale invece è quasi sempre identica, cambia solo di intensità, andando via via infervorandosi sino ad arrivare all’assolo, punto che anticipa e continua come supporto alla voce, per il finale di canzone. Si continua a parlare di storie e mitologia. C’è un nome nelle liriche che mi ha ricordato qualcosa, ed andando a ricercare informazioni ho trovato davvero pochissimo su questo Walkui. Si tratta di un sacerdote identificato nella figura di dio della notte. Pare ci sia un rituale accomunato alla figura di questo sacerdote, che ha a che fare con il maiale. Animale legato alla fertilità, per cui allevato e mangiato da una parte della popolazione ittita, ma di contro da un’altra parte ci sono riferimenti all’impurità della sua carne, proibita come pasto nello Kizzuwatna, regno anatolico del II millennio a.C. da cui proviene il rituale di Walkui. Nel testo Ilânû Mušîti (probabilmente una donna o anch’essa una divinità) osserva il sacerdote entrare in un tempio illuminato dalla notte stellata, il quale con inchiostro rosso sangue lo vedere riempire pagine bianche da ammalianti e folli storie. “Insane” ha un piglio particolare, un misto di musicalità intima ed arrabbiata come se chi fosse in meditazione, ripensando alla vita, alle proprie esperienze, fosse da un lato rassegnato all’andamento del proprio percorso e dall’altro lato fosse carico di ira e disperazione. Come quasi in tutti i brani, è la combo voce e chitarra a rappresentare il fulcro artistico di questa song; la sezione ritmica funge da tappeto sonoro scandendo il tempo in modo tale da rendere l’esecuzione dei due fratelli protagonisti, un motivo di vanto. Cavalchiamo onde grunge in cui riecheggia la miglior produzione dei vecchi Pearl Jam; ascoltando con attenzione la voce di Niels mi rendo conto di quanto sia espressiva la sua interpretazione, tanto nelle dinamiche delicate e più lente, quanto in quelle dal registro più alto e urlato. Il mix di chitarra clean e distorta crea una bella alternanza che va poi sfociando in un chorus finale dal grande impatto emotivo; solo quello vale l’intera canzone, sottolineando quanto i Nordic’s Yell siano riusciti a mantenere alto il livello compositivo finora. Nel testo si parla di follia come si evince dal titolo; personalmente le parole fanno pensare ad un reduce di guerra tornato alla vita “normale”, ma che ha subito forti ripercussioni a causa di quello che ha passato, delle scene a cui si è trovato di fronte. Il protagonista sa di essere una brava persona, ma i disturbi dovuti ai ricordi ed alle esperienze passate, lo portano a pessimi comportamenti nei confronti delle persone care. Vorrebbe espiare le sue colpe per evitare l’inferno e guadagnarsi il paradiso. Si passa ad elementi musicali dal sapore tribale, melodia di un’antica tribù quella di “Coyolxauhqui”. Il pezzo parte col suono di percussioni tribali a cui segue immediatamente l’inserimento della chitarra e della sezione ritmica, oltre alla voce. La canzone continua con una breve strofa di stampo moderno, mentre il refrain riprende stilisticamente i canti tribali delle tribù indigene, con tanto di chorus abbinato ed in continua evoluzione ritmica, prendendo velocità e poi ritornando sempre più lenta in un finale dalla nota di chitarra distorta prolungata. Quasi quattro minuti per un brano che vola letteralmente. La melodia ipnotica rapisce dal primo tocco di tamburo, prosegue tranquillamente per voi evolversi ancor più ipnoticamente accompagnandoci al finale in un batter di ciglia. Il songwriting e l’arrangiamento sono preludio e compendio del testo, che parla ancora di divinità. In questo frangente esploriamo il territorio politeista e sciamano della religione atzeca, in cui Coyolxauhqui viene identificata come la Dea della Luna. Poche le parole esclamate da Niels che ci parla di questa divinità sovrana di un regno di cristallo. Coyolxauhqui potente maga, nella leggenda uccide sua madre Coatlicue poiché rimasta incinta in modo deplorevole, il feto quindi esce dal ventre ed uccide Coyolxauhqui ed altri fratelli e sorelle. Huitzilopochtli il feto e futuro dio della guerra e del sole, lancia la testa di Coyolxauhqui in cielo che si trasforma nella luna, fa questo in modo che la madre possa guardare la figlia ogni giorno per trovare conforto in tale immagine. Siamo giunti al termine con l’ultima traccia “Hey You”, il cui inizio acustico fa presagire un’intensa ballad intrisa di pathos. Le note della chitarra acustica accompagnano la prestazione (eccelsa) del vocalist, supportato da immancabili chorus, sempre brillanti ed emozionanti. Dopo il primo ritornello la cui carica espressiva raggiunge vette di alto livello, si riprende con la seconda strofa ed il secondo ritornello, ripetuto stilisticamente come il primo ma che va via via incorporando intensità. Alcune urla straziate di Niels mettono i brividi facendo affiorare quella pelle d’oca degna di grandiose interpretazioni, di quelle straordinarie voci che ti rimangono dentro e non abbandonano più la tua mente. Disperazione, follia, tormento, sono solo alcuni dei sentimenti eseguiti nel cantato, sostenuto da una chitarra delicata ma maestosa allo stesso tempo e da cori solenni il cui apporto è come un diamante che va incastonandosi su un bellissimo anello d’ oro. Ribellione allo stato puro è quello che trasuda dalle liriche. Il protagonista invita un presunto interlocutore a svegliarsi da uno stato di catalessi sociale nel quale vive. Si obbedisce in ogni campo o ruolo, come a scuola ed a lavoro, si è imbambolati ed ipnotizzati dalla televisione, si è addomesticati da una donna e questa non può essere vita. Bisogna dare un senso alla propria esistenza, non diventare come quei bastardi, “fanculo a quei bastardi disinteressati, fanculo a loro”. I Nordic’s Yell non le mandano di certo a dire e questa sorta di sfogo ne è la riprova.
Termina così il primo full length del gruppo capitanato dai fratelli francesi, una tracklist di undici pezzi la cui matrice indubbiamente grunge e stoner viene arricchita da influenze blues, country, ritmi tribali, il tutto condito da un ottimo arrangiamento ed un buon missaggio. Non da meno sono i chorus, sempre ispirati, talvolta incorporati esclusivamente a scopo riempitivo, altre invece fungono da elemento caratterizzante, risultando all’orecchio non solo piacevoli, ma di grande impatto, quasi imprescindibili dalla struttura musicale. Poi ci sono loro, i componenti del gruppo, chiaro fulcro del progetto Nordic’s Yell, in cui la coppia d’assi e di sangue sfodera le loro armi migliori, mettendo in risalto una qualità tecnica ed artistica di notevole livello; e lo dimostrano i brani ascoltati, il cui concepimento è rappresentativo di melodie variegate, forse scontate certo, ma mai banali. Ogni tassello è incastrato nel puzzle del gruppo, con abile destrezza, con semplicità in alcuni casi e con tecnica superiore in altri; la sezione ritmica ad esempio, che risulta talune volte sobria, con l’unica funzione di accompagnamento a voce e chitarra, mentre in altre occasioni l’essenzialità della sua presenza si fa imponente. Il ruolo di Lorenzo e Niels è quello dei protagonisti; l’uno legato all’altro, non solo nella vita ma anche nell’arte. Musicalmente parlando, il legame creatosi nelle undici canzoni diventa apporto/supporto, una liaison, come direbbero nella loro lingua, indissolubile e peculiare, fulcro decisivo di una musicalità estremamente sentita e vissuta. Questa unione mi fa venire in mente un altro legame tra fratelli musicisti, quello artisticamente eccezionale ma la cui sorte ad un certo punto ha voltato le spalle, dei fratelli Oliva dei Savatage, dove Jon e Criss riuscivano a rendere omaggio all’arte della musica in uno dei modi più emozionanti che io abbia mai ascoltato. I Nordic’s Yell mi hanno conquistata, Niels e Lorenzo ce l’hanno fatta ad entrare nel mio cuore ed in quello di tanti altri; i loro meriti sono molti a partire dalla schiettezza con cui si propongono, all’aver reso onore ad un genere talvolta ripetitivo, innestando elementi dal forte impatto, ricercando una composizione variegata le cui sfaccettature diventano arricchimento e punto di forza. Non di meno le liriche, che se spesso ermetiche e di non facile comprensione, spaziano dai sentimenti alla mitologia, alla psiche umana e non essendo un concept album, tutto ciò può risultare non legato, ma in verità scavando ed analizzando, anche lì possiamo scorgere un sottile filo conduttore che collega l’intera tracklist. Un’altra bella scoperta i Nordic’s Yell, che mi hanno accompagnata nella scrittura di questa recensione e che continueranno a tenermi compagnia anche in futuro.
1) Quiet Spectator
2) On the Road again
3) Nocturnal Frenzy
4) Lose my soul
5) Wild Child
6) Red Bag Girl
7) Rock'n'Roll Home
8) Ilânû Mušîti
9) Insane
10) Coyolxauhqui
11) Hey You