MYSTIC PROPHECY

War Brigade

2016 - Massacre Records

A CURA DI
MARCO PALMACCI & MICHELE ALLUIGI
04/05/2016
TEMPO DI LETTURA:
8

Introduzione Recensione

Il Power Metal nella sua forma più primordiale e pura, nelle sue vesti più autentiche e possenti. Una semplice perifrasi atta a descrivere il lavoro compiuto dai tedeschi Mystic Prophecy durante tutto l'arco della loro carriera; attivi sin dal 2000 e giunti nell'immediato presente al coronamento dei sedici anni di età anagrafica, autori di nove album di purissimo acciaio teutonico. Consensi ricevuti in tutto il mondo, una nutrita schiera di fan, consapevolezza d'aver raggiunto l'età giusta per potersi considerare degli autentici alfieri del Metallo "moderno" più tradizionalista e coriaceo; il tempo, per questi ragazzi, sembra infatti aver bloccato le proprie lancette in direzione degli anni d'oro del genere, il periodo in cui il Power non aveva ancora conosciuto l'inflazione odierna. "Inflazione", un termine che prendiamo in prestito da un altro ambito per descrivere un fenomeno assai comune agli anni 2000: ovvero, il proliferare di band fotocopia atte ad annacquare paurosamente un ambito ormai divenuto troppo uguale a sé stesso. L'eccesso di melodia, suoni plasticosi ed artefatti dovuti all'invadenza della tecnologia in fase di produzione, tematiche legate od al mondo vichingo od a quello fiabesco / fantasy.. tutti stereotipi che possono lasciar sorgere qualche sana reticenza negli amanti del "vero" Power, genere nato come tematicamente apertissimo e decisamente "d'assalto", parlando di musica; ben lontano dalla voglia di "far pubblico" mediante melodie struggenti e melense. Pensiamo ad Helloween o Running Wild, giusto per rimanere in terra teutonica: i primi album delle zucche mostravano comunque un grande amore per la velocità, un incedere "killer" assolutamente devastante. Stesso discorso per i capolavori sfornati dal sempiterno Rolf Kasparek; in quei casi la melodia veniva vista come un qualcosa degno di supportare la potenza, e non di scalzarla completamente, facendo naufragare il tutto in una sorta di "Metal da operetta". Ecco dunque che torniamo ai giorni nostri parlando dei Mystic Prophecy, i quali scelgono di far proprio lo stilema dei nobili maestri. Volontà propedeutica alla voglia, da parte del gruppo, di presentarci (nel 2000) un prodotto che suoni schietto e genuino, potente e per nulla succube dei trends o delle mode. Stesso discorso per la produzione, certamente curata ma orientata all'esaltazione della sostanziale aggressività che il combo tedesco vuol mostrare, senza vergogna. I Nostri nascono, come detto, nel 2000, grazie alla comune volontà di R.D. Liapakis (voce) e Martin Albrecht (basso), i quali avevano già all'attivo la bellezza di due album sfornati con la loro band precedente: i Valley's Eve, attivi sin dal 1993 ed autori di "Prodigia" (1997) e "The Atmosphere Silence" (1999), due lavori che mi sento vivamente di consigliarvi (assieme al "postumo" "Deception of Pain", datato 2002 e sfornato quando la band era divenuta praticamente un side project di R.D. e Martin) se siete appassionati di un certo tipo di Progressive Metal fatto di rimandi Heavy/Power e riff incalzanti. Il richiamo del Metal più tradizionale e meno "cervellotico" fu comunque più forte ed affascinante dell'atmosfera tipica del Prog., e fu così dunque che i Mystic Prophecy nacquero ufficialmente, formati (nella loro prima incarnazione) oltre che dai due noti, anche dal batterista Dennis Ekdahl (già drummer dei blackster Mortifer e dei melodeathster In Cold Blood, tutt'oggi in forze nei Rutthna e nei Thyrfing) e da un membro a dir poco d'eccezione: il chitarrista Gus G., oggi noto come chitarrista di Ozzy Osbourne oltre che come membro dei Firewind, nonché come apprezzato solista. L'ingaggio del giovane greco venne all'epoca consigliato, ai Mystic Prophecy, nientemeno che da David T. Chastain, shredder solista e contemporaneamente membro di una band di culto degli anni '80 "alla teutonica", ovvero i Chastain (autori di autentici masterpieces come "Ruler of the Wasteland" del 1986). L'esperto musicista vide nel ragazzo delle grandi potenzialità, e spinti dalle sue parole, R.D. ed Martin non ci misero poco ad ingaggiarlo. Il risultato di questa sinergia fu il debutto dei Nostri, rispondente al nome di "Vengeance" e datato 2002. Il risultato fu più che soddisfacente, in quanto il disco fece letteralmente il giro del mondo e fece in modo di far guadagnare ai Nostri degli amplissimi consensi: recensioni entusiaste ed inviti ad esibirsi, un discreto numero di copie vendute.. insomma, un cospicuo divario fra loro ed il resto dell'underground venne presto a crearsi, facendo capire che la realtà autrice di quel disco aveva sicuramente una marcia in più, rispetto a molti altri. Gusto per la melodia tipicamente europeo (Kai Hansen e Rolf Kasparek esempi massimi, in questo senso) unito ad un gusto spiccatamente U.S. per la potenza e l'aggressività del suono (si pensi in questo caso a realtà come Wild Dogs od anche agli Iced Earth); chiaro che, presentando un mix così letale, non si poteva non andare lontano. Il seguito.. o meglio: i seguiti di "Vengeance" furono quindi celeri nel palesarsi, ed ecco che nel 2003 e nel 2004 abbiamo rispettivamente "Regressus" (la cui pubblicazione vide il passaggio del gruppo dalla scuderia della "B-Mind Records" alla più blasonata "Nuclear Blast") e "Never-Ending". Quest'ultimo risulterà a conti fatti essere il disco che sancì il definitivo canto del cigno della formazione originale, in quanto Gus G. deciderà di abbandonare i Mystic Prophecy per meglio dedicarsi ad i Firewind, nel 2004 già autori di ben due dischi ("Between Heaven and Hell", del 2002 e "Burning Heart", contemporaneo di "Regressus"). "L'altro gruppo" era ormai divenuto ben più di un side project, e fu proprio per questo che le strade del greco e quelle dei tedeschi finirono ben presto per separarsi. Come a voler gettare benzina sul fuoco, anche Dennis decise di mollare, lasciando di fatto soli R.D. e Martin, costretti a reinventare una nuova line-up.  Il successo dei Mystic era giunto a livelli importanti, e la fama ormai divenuta tangibile non concedeva certo ai nostri il lusso di potersi perdere d'animo, nemmeno dopo due defezioni così importanti. C'era inoltre da rispettare l'obbligo di appagare le aspettative nutrite, nei loro confronti, dalla nuova etichetta subentrata alla "Nuclear..", ovvero la "Massacre Records" (la quale diventerà del 2006 lo sponsor ufficiale dei nostri, rimanendolo tutt'oggi). Fu così che, proprio nel 2006, vennero ingaggiati Markus Pohl (chitarra, giunto dai Symphorce), il batterista Mathias Straub (già in forze nei Sacred Steel) ed il secondo chitarrista Martin Grimm (Headstone Epitaph); il risultato fu "Savage Souls" del 2006, un album che sancì l'approdo a sonorità ancor più tradizionali (del resto, i membri fondatori erano e sono tutt'oggi grandi estimatori di gruppi come Accept ed Exodus), continuate anche dal successore "Satanic Curses" del 2007, presentato dai Mystic Prophecy come uno degli album "più pesanti" del panorama Heavy Metal, tutto. Si giunge così nel 2009, anno di pubblicazione di "Fireangel" frangente in cui avviene anche l'ennesimo cambio di line-up. Un nuovo scossone fa tremare momentaneamente il gruppo, il quale si ritrova a dover fare i conti con l'abbandono dello storico bassista Martin, rimpiazzato dall'entrata di Connie "Connor" Andreszka (basso, già noto per le sue attività con bands quali Cabal e Circle of Pain). Arrivano poi Constantine (chitarra, Descending) e Stefan Dittrich (batteria), i cui ingaggi fanno quadrare per l'ennesima volta il cerchio. Il fatto che ben altro sarebbe servito per scoraggiare il gruppo fu poi sancito da un tour promozionale intrapreso con gli Stratovarius, altro nome di punta del Power anni '90/00. La band poté dunque continuare la sua operazione "tradizionalista", assestando quindi il suo sound verso un Power pregno di forti rimandi all'Heavy ed in qualche caso al Thrash, addirittura; con questi presupposti viene quindi realizzato "Ravenlord", del 2011 (batterista: Claudio Sisto), ancora una volta supportato degnamente mediante importanti concerti (spesso di spalla ai Powerwolf e mediante apparenze in festivals del calibro di "Metalfest" e "Summer Breeze"). Il tutto è  seguito da "Killhammer" (2013), il quale vide ancora una volta un cambio di formazione (solo R.D. e Markus risultano essere i membri più costanti, a conti fatti): abbiamo in questa occasione l'approdo di Tristan Maiwurm (batteria) e Laki Ragazas (chitarra solista), grazie ai quali la band poté riprendere le attività imbarcandosi dapprima in un tour con i Masterplan ed in seguito in una serie di concerti da headliner, appena un anno dopo la pubblicazione di "Kill..". La formazione rimane invariata nel disco che oggi andiamo a trattare, ovvero l'ultima fatica dei Mystic Prophecy. "War Brigade", questo il titolo dell'ultimo parto di questi arrembanti teutonici, presenta infatti la medesima line-up già incontrata in "Killhammer" nonché la stessa voglia di colpire duro, facendo letteralmente del male, peculiarità che da sempre contraddistingue il combo tedesco. Un disco per il quale la band ha deciso di far in grande le proverbiali "cose", in quanto per il lavoro di mix è stato coinvolto nientemeno che un colosso come Fredrik Nordstrom (all'attivo, collaborazioni con gruppi quali At The Gates Soilwork), il quale ha missato le tracce nei suoi "Studio Fredman. Per il lavoro di produzione e mastering, invece, la band si è avvalsa direttamente del suo frontman, R.D. Liapakis, coadiuvato da C. Schmid. Le location delle operazioni sono stati i Music Factory / Prophecy Studio di Kempten (Germania), famosi per aver ospitato gruppi come Firewind Steel Prophet. Anche dal punto di vista artistico, notiamo sicuramente un lavoro curato e pregno di attenzioni: l'artwork, il quale dipinge un gigantesco cyborg a cavallo di un juggernaut ed intento a brandire una mitragliatrice (il tutto contornato da fiamme e soldati che cavalcano velociraptor corazzati), è stato realizzato da Uwe Jarling. Illustratore assai noto e stimato, può vantare collaborazioni con nomi di culto quali Heavens Gate (cover art della compilation "Best for Sale!") e contemporaneamente con bands più emergenti, come i Desert Sin (cover art dell'album "Destination Paradise"). Dopo un necessario excursus storico / tecnico, non ci resta altro da fare che entrare nel campo di battaglia, andando ad indagare attentamente nei meandri della "brigata della guerra", fra le cui fila dovremo dimostrare d'essere guerrieri degni di tal nome. La voglia è tanta, sull'attenti e.. Let's Play!

Follow The Blind

Ad accoglierci, in maniera violenta e prorompente, è l'opening track "Follow The Blind (Andare alla Cieca)", la quale viene subito aperta da un poderoso e possente riff di chiara scuola Heavy Power. Marzialità e compattezza sono le parole d'ordine, notiamo come il suono delle chitarre sia pregevolmente rugginoso, sporco quel tanto che basta ad allontanarsi in maniera totale dagli odierni canoni Power, andando a virare verso stilemi assai più americaneggianti ed old school. La batteria mantiene un tempo quadrato ed impeccabile, chirurgico nel suo dipanarsi; un tempo su cui le asce di Laki e Markus possono adagiarsi, sfoderando le proprie qualità. Se il compito di Pohl è quello di mantenere costante ed incedente il riff di base, ecco che Ragazas può invece prestarsi sin da subito ad un piccolo intervento solista; nulla di che, di certo non possiamo parlare di un vero e proprio "assolo", ma tanto basta a svelare il lato melodico del gruppo, tipicamente europeo e nella fattispecie teutonico. Si procede dunque verso la prima strofa, scandita da tempi di batteria più cadenzati ma ben presto destinati a divenire più concitati, soprattutto in fase di pre-refrain e ritornello. La voce di R.D., dal canto suo, è versatile e splendidamente adatta al contesto ambivalente in cui siamo. Se nella strofa c'è bisogno di aggressività quasi militaresca, il Nostro sfodera un'ugola splendidamente graffiante e roca. Nel ritornello, invece, quando c'è da dar fondo a pathos e drammaticità, ecco che il titolo della canzone viene urlato con estrema raffinatezza. Un cantante poliedrico per una band poliedrica, la quale decide dunque di allentare la presa nel refrain per puntare su di un bell'effetto teatrale e convincente. Si riprende ben presto con la piccola melodia solista già ascoltata in precedenza ed una nuova strofa ci viene lestamente presentata. Cadenza-inasprimento dei toni, nulla cambia rispetto a prima ed un nuovo refrain può dunque esplodere in tutta la sua magnificenza, presto seguito da un riffing tenebroso e ben poggiato su di un uso chirurgico della chitarra ritmica. Ecco dunque che, su di una ritmica poderosa e rocciosissima, può aver vita uno splendido assolo di Laki, diviso sostanzialmente in due parti. Nella prima il nostro gioca a ricalcare stilemi che si potrebbero definire Malmsteeniani, nella seconda invece vien fuori di prepotenza una vena molto meno virtuosa ma assai più potente e concreta. Una bella sequenza di note tipicamente Heavy, che continuando a sfociare nel Neoclassical comunque rendono predominanti le velleità à la Hansen / Kasparek. Dopo questa bella parentesi solista abbiamo quindi un nuovo refrain, ripetuto per la bellezza di tre volte e magnificamente interpretato da un vocalist ben sorretto dalla ritmica ed anche dalla solista, con Ragazas relegato nel background ad esibirsi per fornire al suo frontman una bella scarica di note veloci, eleganti e squillanti, ben sorrette dal riffing cattivo e marziale di Markus e dalla ritmica precisa al millimetro di Connie e Tristan, autentici metronomi. Come primo impatto, un brano semplice nella sua struttura ma costellato di soluzioni interessanti, il quale vede nella sinergia dei membri e nella volontà di coinvolgere il suo punto forte. Pollice verso, possiamo continuare più che ottimisticamente. Il testo si presenta a tutto campo come una feroce condanna al sistema inteso come "bellico". Un'aspra critica al gioco perverso in cui le nazioni amano sfidarsi, combattendo insane guerre per appagare la sete di potere di pochi. "Andare alla cieca", ovvero fidarsi ed affidarsi ad un generale servo dei poteri forti, il quale ha il compito di guidare il suo plotone all'interno di un conflitto che mai si sarebbe dovuto combattere. Pensiamo a quante e quali guerre hanno sconvolto il nostro presente: i conflitti in medio oriente, le tensioni fra Russia ed Ucraina.. tutta una serie di battaglie le quali non hanno fatto altro che lasciare una scia di sangue dietro il loro protrarsi. Ragazzi e uomini, donne e bambine.. tanti morti in nome di una causa non meglio precisata. Perché si combatte? Perché la gente sceglie di non guardare ciò che realmente certe situazioni rappresentano? Tutti siamo come posseduti ed obnubilati da forze maggiori, le quali ci fanno di fatto perdere la bussola, e guardare il tutto con occhi diversi. Subissati dalla propaganda e dai media incaricati di fornirci notizie fasulle, alterate ah hoc per spingerci a considerare giusto e legittimo questo o quel conflitto. Non siamo minimamente interessati ad approfondire, preferiamo la cecità alla forza della luce. Ecco dunque che le schiere di soldati si rimpinguano sempre di più, divenendo forti e massicce, pregne di soldati il cui unico scopo è uccidere a comando. Gli unici ad esser contenti, di tutto ciò, altro non sono che i potenti, ai quali non sembra quasi vero di poter contare su cotanto appoggio. Per di più, sorto in maniera gratuita e spontanea. I nostri leader non sono altro che spietati signori della guerra: prima ce ne rendiamo conto, prima cesserà la nostra schiavitù. Prima ci libereremo di questa, prima potremo finalmente riprendere in mano le redini della nostra vita. Cominciamo a mettere in dubbio la parola di questi cuori marci, corrotti sino al midollo. Iniziamo a non ascoltarli più, a lasciarli in disparte. Rifiutiamoci di credere alle "buone novelle" della televisione.. semplicemente, siamo noi stessi. Smettendo di farci comandare a bacchetta, ammazzandoci l'un l'altro.

Metal Brigade

Il secondo brano, "Metal Brigade (La Brigata del Metal)", farà sicuramente la felicità dei vari defenders. Prima di tutto per via del titolo, che non può certo non rievocare lo storico inno (omonimo) della nostrana Strana Officina; in seconda battuta (ma nemmen troppo "seconda"!) per via della musica, un vero e proprio concentrato di rimandi Heavy. Si comincia con degli attacchi a singhiozzo, con la chitarra di Markus che scandisce "vagiti" non certo amichevoli o promettenti calma e serenità. Ben presto sopraggiunge la batteria a fare da collante, disperdendo l'aria di "stop and go" e presentandoci dunque un qualcosa di lineare. L'andatura generale, sempre "militaresca" e strutturata a mo' di "marcia", fa si che la ritmica sia nuovamente prominente, tant'è che riusciamo ad ascoltare in maniera distinta il basso di Connie, abilissimo cesellatore e fine riempitore di un contesto che, grazie al suo strumento, ne beneficia in quanto a pienezza e corposità. Non passa molto tempo prima dell'arrivo di Ragazas, il quale ricama una melodia squillante e particolare, col preciso compito di fungere da contraltare alla durezza di Markus. Laki sfoggia ancora una volta la sua ammirazione per Rock n' Rolf, andando a presentarci stilemi assai vicini agli ultimi lavori dei Running Wild ("Resilient" su tutti) e destinati a protrarsi sino all'entrata di R.D., ancora una volta sfoderante una performance da 10 e lode. Un cantante ora aggressivo e ruggente ora capace di esprimersi su toni assai drammatici e densi di pathos, come ce lo dimostra il refrain qui presentatoci; un vero e proprio anthem da cantare in coro, atto a celebrare la vita del Metalhead ed il naturale senso di collettività che viene ad instaurarsi in tutti noi appassionati. Un ritornello in cui la voce del Nostro diviene a sua volta capace di riunire in coorte, tanto colpisce ed emoziona. Un refrain che per metà ricorda l'epic dei Manowar e per metà richiama suggestioni à la Gamma Ray, in un tripudio di foga ed esaltazione di chiara forgia guerresca. Ci sentiamo tutti come dei soldati uniti in falange e desiderosi di combattere per il sacro Metallo, tanta è la partecipazione che la band riesce a suscitare in questo frangente. Si prosegue dunque con il ritorno delle velleità stile Running Wild di Laki, sempre spalmate su tempi sì ragionati ma distruttivi ed incombenti; nuova strofa e nuovo ritornello, la struttura è nuovamente semplice ma in grado di fornire tutto quel che serve ad un amante del genere Heavy/Power. Piccolo "stop" al minuto 2:32, momento che sembra sancire la fine del brano ma di fatto dà il via ad uno splendido momento definibile come "riflessivo" e delicato, in cui i due chitarristi si scambiano note soffuse in un melanconico arpeggio. La voce di R.D. canta suadente, ma è ben presto l'ascia di Laki a rompere ogni esitazione, esplodendo in un assolo a dir poco tagliente. Melodia lacerante e densa di pathos, il tutto è meravigliosamente spalmato lungo il solito tempo preciso e mai "forsennato", grazie al quale il bravo chitarrista può ancora mostrarci la sua attitudine Heavy. Si riprende in seguito con un ritornello ancora una volta meravigliosamente espresso, il picco massimo di un brano STRAORDINARIO, chiuso da precisi e marziali stacchi di batteria e chitarra, proprio com'era iniziato. Siamo al secondo ascolto e già possiamo dire di trovarci dinnanzi ad un qualcosa di più che valido.. se il buon giorno si vede dal mattino, l'alba è più che bella a vedersi. Musica splendida addirittura coadiuvata da un testo che cita, di fatto, numerosi titoli di dischi ed artisti a loro connessi. Delle lyrics che celebrano la vita del metallaro, inteso come un personaggio animato da una fiamma quasi divina, la quale divampa nel suo cuore ogni volta che egli può ascoltare il suo amato acciaio pesante. Nei concerti, nelle nostre camere col giradischi a volumi da codice penale.. non importano il dove ed il come, saremo sempre preda di quest'estasi folle, la quale ci porterà al delirio definitivo. Quello buono, quello che nasce dalla volontà di far del sanissimo casino e di liberarci d'ogni tipo di catena o di oppressione. E' proprio ascoltando Metal che riusciamo ad essere noi stessi, a liberarci d'ogni tipo di freno inibitorio. Delle parole che richiamano a gran voce le celebrazioni dei Manowar, e di fatto innalzano il mondo del Metallo a dimensione iperuranica. La prima citazione nella quale ci abbattiamo è derivata dagli Accept, qui tributati con il verso "restless and wild", titolo del loro omonimo album del 1982. Seguono a ruota gli Stormwind, chiamati in causa mediante il loro monicker citato come nome comune e non proprio (ndr, band di culto del Metal teutonico, autori del solo "Taken By Storm" del 1984). Si prosegue quindi con i mitici Iron Maiden ("the number of the beast") ed i sempiterni Metallica ("seek and destroy"), passando per gli eterni Judas Priest ("unleashed in the east"); questi ultimi, chiamati in causa quando in un verso si cita direttamente Rob Halford, qui dichiarato (a ragione!!) il Dio del Metal. Altri gruppi citati sono gli Slayer ("reign in blood") e gli Hammerfall ("heeding the call", open track del loro album "Legacy of Kings", 1998 ndr). Senza scordarsi del fratello maggiore dell'Heavy Metal, ovvero Sir Ozzy Osbourne, chiamato in causa assieme al capolavoro dei suoi Black Sabbath, ovvero "Paranoid". A questo punto, è lecito pensare: che il titolo stesso, "Metal Brigade", non sia proprio ed effettivamente una citazione alla Strana Officina? Forse, l'ennesimo apprezzamento estero donato ad un gruppo leggendario, che in Italia non abbiamo saputo apprezzare come avrebbe meritato. 

Burning Out

Cambio di registro con l'avvicendarsi della terza track, "Burning Out (Bruciando)", la quale lascia leggermente da parte l'Epos per approdare su territori assai più estremi. Il duo chitarristico intinge le proprie asce nel patrimonio Thrash, andando a sporcare la propria proposta Heavy di aggressività e velocità. E' lo stesso urlo distorto del vocalist a confermarci questa sensazione, così come la batteria, intenta ora a macinare e colpire in maniera forsennata. Assolo al fulmicotone (e brevissimo) di Laki posto in apertura ed è quindi tempo per addentrarci in una prima strofa veloce e potente, mitigata solamente da striature Heavy onnipresenti e dalla voce sempre poliedrica e particolarissima del vocalist, capace di rendere "epici" anche dei riff tipicamente Thrash n' Heavy. Il ritornello è aggressivo e prorompente, feroce quanto una tigre, e beneficia di tutta la cattiveria che i Nostri riescono a riversare nella loro musica. E' quindi tempo per una nuova strofa, la quale va a seguire le coordinate della precedente (distendendosi maggiormente solo in fase di pre-refrain) e si infrange dunque in un ritornello violento, verso il finale del quale R.D. riesce a pronunciare in maniera veloce e ritmata una sequenza non indifferenze di parole. Dopo il secondo refrain abbiamo quindi una bella parentesi strumentale molto graffiante e roboante, di chiara scuola Thrash, frangente che prevede un assolo sempre di fattura Heavy ma strizzante l'occhio ad alcune soluzioni à la Overkill ("Under Influence" era), almeno finché quest'ultimo non va ad approdare in una melodia Powereggiante quasi cambiando volto al brano, almeno per un momento. Di lì a poco, infatti, verrà ripreso un ritornello reso ancor più pregno di foga e portato dunque all'estremo, fino alla chiusura del pezzo, il quale termina in un tripudio di tamburi maltrattati ed asce arroganti. Episodio non lunghissimo ma adatto a creare una variazione ideale per mantenere costante l'interesse dell'ascoltatore. Riprendendo le tematiche già affrontate nella open track, i Nostri decidono nuovamente di presentarci delle lyrics di denuncia, questa volta orientate a condannare gli inganni in senso lato; con particolare asprezza nel giudicare malamente quelli di tipo religioso. A ben pensarci, la Fede è cessata di esser tale quando le grandi organizzazioni hanno cominciato ad amministrarla. Chiesa e co. si sono difatti dimostrati non come degli organi preposti al mantenimento del benessere comune, ma come vere e proprie società per azioni. Utilizzare la soggezione popolare per ottenere dalla massa i riscontri che si vogliono: questo è quel che certi "clubs" hanno da sempre messo in atto, di fatto privando il Credo dei valori fondanti del suo essere. Generosità, spiritualità, pace interiore.. tutto sepolto da valanghe di moneta e cartamoneta, unici veri Dei dei nostri giorni. L'invito del gruppo è dunque quello di slegarsi da questo gioco al massacro, affrontando direttamente il problema e smettendola di farci mettere ko dalla paura. I nostri demoni non sono reali, non hanno spade di fuoco né corna, né forconi. Sono solo timori ingigantiti dalla soggezione, non solo religiosa. Le nostre ansie ed angosce, le nostre titubanze.. tutto è frutto della frenesia della modernità. Impariamo dunque a fregarcene altamente di tutto, prima di morire bruciati dalle fiamme della negatività. Fiamme che corrodono lentamente cuore ed anima, rendendoci più simili a dei vermi che a degli esseri umani. Non possiamo lasciare che i nostri sogni periscano in un rogo insensato, dovremmo avere la capacità di reagire e di piombare addosso all'incendio con la forza di uno tsunami, di un maremoto. Basta con l'odio, basta con le paure.. tutto deve essere messo da parte in favore della ragione. La quale, comunque, sembra restia a palesarsi e ad ergersi come paladina della giustizia.

The Crucifix

Il quarto brano, "The Crucifix (Il Crocifisso)", abbandona l'aggressività mostrata nel corso di "Burning.." per poggiare nuovamente sull'epica più tosta e magniloquente, ben sorretta da un ritmo non velocissimo ma comunque scalpitante. E' subito la voce del vocalist a darci il benvenuto, con fare à la Bruce Dickinson, mentre le chitarre sono intente a cantilenare una melodia incalzante ma anche ipnotica. Il tutto è sospeso a metà fra la potenza e la melodia (entrambe le situazioni magistralmente rappresentate dalle asce di Markus e Laki), ed è proprio mediante questa dicotomia che si giunge ad una prima strofa di fatto costruita su di un climax ascendente: si inizia con una predominanza della batteria e della voce a discapito delle sei corde messe lievemente in secondo piano; zona che comunque viene ben presto abbandonata per far si che i due chitarristi approdino verso il podio, donando la vita ad un riffing incalzante, sostenuto, coinvolgente, il quale porta quindi il brano verso l'esplosione rappresentata dal refrain, dopo un picco di drammaticità e passione sfiorato a più riprese, per far si che lo "scoppio" finale risulti quanto più trascinante ed appagante possibile. Il tripudio di melodia che ne viene fuori è un qualcosa di sensazionale, un ritornello che fa molto Iron Maiden (vista anche la voce di R.D., a tratti debitrice nei riguardi dell'ugola di Dickinson) e che dunque non può far altro che esaltarci all'inverosimile. Viene quindi, dopo cotanta maestria epica, presentata una seconda strofa, più breve della precedente ma sempre intenta a ritardare l'orgasmo uditivo che di lì a poco si ri-paleserà in tutta la sua magnificenza. Il refrain di questo brano è uno dei picchi del disco tutto, degna coronazione di un brano veloce quanto basta ed aggressivo, ma anche ammaliante ed emozionante. L'assolo di Laki, poi, riprende anch'esso dalla nobilissima tradizione della Vergine di Ferro. Un solo che sembra compendiare le esperienze dei vari "Piece of Mind" e "Somewhere in Time", portandoci dinnanzi agli occhi una degna spiegazione del concetto stesso di Heavy Metal. Al termine del tutto veniamo accolti di nuovo dal refrain che, come di consueto, ripetendosi ci carica di energia per l'ultima volta e dunque chiude il pezzo, con nostro sommo dispiacere. Uno di quei brani che da ascoltare e riascoltare diverse volte e che, in sede live, sarà sicuramente destinato a far furore. Garantito! Tematica religiosa ampiamente ripresa anche in questo brano, tuttavia mescolata a quelle che sembrano essere le linee di svolgimento tipiche di un racconto apocalittico. Con la formula fiabesca "specchio, specchio.." del ritornello, infatti, i Mystic Prophecy sembrano narrarci uno scenario sconvolgente, violento e trascendentale al contempo. I ministri di Dio sono inginocchiati nell'atto di pregare, nel mentre i cieli esplodono in fiammate poderose ed il marchio della bestia domina sul presente. 666, come direbbero gli Iron Maiden (citati nuovamente con il verso "six, six, six.."); il marchio dell'Arcidemone, del primo dei Caduti, il predone delle vergini, il maestro di una stirpe di mai nati.. in una parola, Satana. Le anime di tutte sono dunque possedute dalla forza di quest'ultimo, e non facciamo neanche in tempo ad accorgercene che subito notiamo quanto tutto in noi sia divenuto nero e triste. Giusto il tempo per un ultimo pianto di disperazione, perché quando il processo di possedimento sarà completato, il nostro destino sarà quello di trasformarci in mostri totalmente avulsi alla realtà e all'empatia. Non ci salverà il canto degli angeli; la luna insanguinata sorgerà e saremo fieri di ululare al suo cospetto, giurando fedeltà a nostro padre Satana. Dal canto, gli angeli passano dunque alle urla disumane, uccisi e trafitti dai dardi dei cavalieri del Male. Il Diavolo esigerà nuovi tributi di carne che saremo lieti di procurargli.. il mondo è finito e rinato, risorto per il volere del Demonio, che ormai lo controlla a suo piacimento.

Pray For Hell

Ci avviciniamo alla chiusura della prima metà del disco con il quinto brano, "Pray For Hell (Prega per l'Inferno)", introdotto da una serie di effetti stile film Horror. L'atmosfera è cupa e pesante, voci distorte sono intente ad ululare su di un background di pura confusione,  con tanto di sommesse grida di terrore al seguito. Il tutto si protrae per una manciata di secondi, finché non è la chitarra a riportare "ordine". Un melanconico arpeggio fa la sua comparsa, sempre sormontato da strascichii vocali ed urla. Ben presto, però, l'ascia decide di premere sull'acceleratore, andando a scandire un riff violento ben sorretto dai rapidi giri di tom di Tristan. E' proprio quest'ultimo a suonare la carica, cominciando in seguito a scandire un ritmo più continuo: contenuto e non velocissimo, ma ben roccioso ed imponente. Su quest'andatura, Marukus e Laki dunque continuano la loro opera di distruzione, ricamando riff quadrati e spigolosi, le cui note marciano in coorte, compatte e distruttive. Chitarrismo aggressivo e preciso, sul quale ben presto è l'ugola del vocalist a fare la sua comparsa, introducendoci la prima strofa. Il cantato è molto aggressivo e diretto, su tutto spicca la sostanziale aura "oscura" delle asce, mentre la batteria riesce anche a dilettarsi in un sapiente uso della doppia cassa, man mano che la strofa prosegue avvicinandosi al refrain. Ritornello che puntualmente arriva e segna una bella variazione dello stile vocale di R.D., il quale può permettersi di essere meno cupo in un momento assai emozionante, sempre "duro" ma caratterizzato da un uso poliedrico della voce, la quale diviene più espressiva e meno intenta a graffiare. Altro ritornello facilmente memorizzabile, che cattura e stupisce per efficacia. Al suo termine abbiamo sempre uno sfoggio di riff violenti ed incalzanti, ben presto la seconda strofa si avvicenda lesta per riproporre lo stilema già udito in precedenza. Stesso uso della doppia cassa nella seconda metà e conseguente esplosione in un bel refrain sentito e ricco di pathos. La sezione ritmica è distruttiva e precisa quant'altre volte mai, così come l'assolo di Laki, che si palesa intorno al minuto 3:17, dopo una cospicua sezione strumentale. L'assolo del nostro riprende a piene mani dal mondo Heavy più aggressivo, sporcandosi di quando in quando di Thrash (se la ritmica fosse stata meno "quadrata" e più forsennata, avremmo potuto goderci un assolone di chiara forgia estrema) e mantenendo la sostanziale pesantezza che caratterizza tutto il brano. Un applauso anche a Markus, abilissimo nel sorreggere il suo compagno, ed è dunque tempo per un ultimo ritornello, che di fatto chiude un altro bel pezzo. Strutture non variegate od importantissime, ma tant'è. Un disco Heavy Metal deve prima di tutto saper DIVERTIRE, e questo "War Brigade" ci sta riuscendo alla grande. Notiamo come le liriche, questa volta, sembrino richiamare le celebri parole di una hit dei Twisted Sister, ovvero "Burn in Hell". Difatti, le lyrics in questione ci presentano una figura che, porgendoci la mano, ci invita a varcare la soglia della dannazione. La figura che ci accoglie nel mondo in cui il sangue congela e le vene si dilatano risulta mesta e cupa, triste eppure demoniaca al contempo. Ci invita a guardarla dritta negli occhi, per scorgere la morte nelle sue pupille. Il nostro Virgilio è infatti morto dentro, e si appresta a farci notare quanto, in fin dei conti, il lato oscuro non sia poi così male. Sebbene tutti noi sappiamo quanto sia impossibile combattere contro un demone  (il quale, per l'appunto, si nutre della nostra anima), cerchiamo di assecondare l'entità che ci tende la mano. Egli / Esso ci invita a non avere paura, ed a compiere il definitivo rituale che risveglierà la bestia dormiente. L'altare dei sacrifici è pronto, così come anche il vecchio libro di incantesimi. La Messa Nera risveglierà i poteri assopiti dell'immonda creatura, rendendoci di fatto suoi umili servitori. Scopriamo poi come la nostra guida non fosse una persona in carne ed ossa, ma solamente la nostra metà oscura. Il Male siamo noi stessi, egli non ha mai una forma fisica differente da quel che siamo. Ascoltiamo dunque una voce, terribile ed altisonante, la quale ci invita a compiere i peccati più atroci. Abbiamo in noi gli angeli ma anche i diavoli. Questi ultimi sembrano essere in vantaggio.. e quindi decidiamo di cedere alle loro lusinghe. Diveniamo servitori dell'oscurità senza pensarci più due volte, ogni titubanza è ormai morta. Preghiamo per l'Inferno e per i suoi principi, accettiamo Satana come nostro nuovo signore e con esso ci apprestiamo a partire alla conquista del mondo. Il rituale è compiuto, l'ultimo incantesimo è stato recitato. Il Primo dei Caduti può così risorgere, porgerci la mano ed invitarci in casa sua: l'Inferno. Seguendo la scia di sangue e morte che egli traccia arriveremo dunque nei meandri più oscuri e cupi della nostra vita, accettando l'ipse dixit demoniaco e preparandoci a combattere per la causa del Male.

10.000 Miles Away

Giro di boa definitivamente raggiunto con l'arrivo di "10.000 Miles Away (Lontano diecimila miglia)", aperto anche questa volta da un arpeggio melodico e dal sapore nostalgico, comunque non intriso di "suggestioni horror" come avvenuto nella traccia precedente. Il brano sembra configurarsi come una ballad acustica, visto che su questa soluzione assai delicata abbiamo un'immediata comparsa del vocalist, il quale sfoggia un ugola fino ad ora rimasta quasi "inedita". Dei toni pacati e riflessivi, suadenti nel loro mostrarsi, accomodanti e portatori di tranquillità. Le chitarre mantengono il loro sapore "unplugged", dandoci quasi l'impressione di trovarci in un brano certamente Heavy ma profondamente "pezzato" di AOR. Sensazione amplificata dal palesarsi di un refrain che letteralmente "distrugge" la tranquillità per esplodere in una vera e propria tempesta di pathos ed energia. Le elettriche tornano a mordere ed il nostro può letteralmente urlare al mondo le parole del ritornello. Altro momento da incorniciare, il quale mescola sapientemente tendenze Metal con altre ben più orecchiabili, AOR, una "strana" commistione che rende il pezzo ben più moderno di quanto, in teoria, un brano di una band simile dovrebbe essere. Non che sia un difetto, sia chiaro: è comunque un dato di fatto che le chitarre ispirate e massicce del refrain, unite ad un forte senso dell'orecchiabilità, creino quella "pesantezza melodica" molto in voga in gruppi della contemporaneità più immediata. Tuttavia, l'effetto sorpresa riesce, e questa semi ballad fa la sua onestissima figura, con il suo bel carico di epos ed i suoi momenti trascinanti e splendidamente sentiti. Un fare Alfieriano, che ci porta dunque al minuto 2:32, momento in cui Markus riprende l'arpeggio iniziale e Laki fa cantare la sua elettrica, iniziando a ricamare le note che di lì a poco esploderanno in un brevissimo assolo, assai "tosto" ma delicato al contempo, possente e deciso ma melodico e struggente. Un chitarrista dalle indubbie potenzialità, il nostro Ragazas, che accompagna quindi il brano sino ad un nuovo refrain, splendido e toccante. Un vero e proprio scoppio di passione, tutto giostrato sulla pesantezza dell'ascia di Markus e sulla melodia magistralmente ricamata da Laki. Il tutto arriva così alla fine, lasciandoci con l'accendino in aria e una lacrima che riga il nostro volto. Diversamente da quanto letto sino ad ora, il testo di questo brano (vista anche la sua natura molto tranquilla ed orecchiabile) sembra narrarci una struggente storia d'amore, resa drammatica da una distanza (reale e simbolica, a quanto sembra) che flagella un rapporto di coppia che sta per naufragare definitivamente. Notiamo come il protagonista sia perdutamente innamorato della sua Lei, la quale ha comunque mal digerito alcune situazioni. Come il fatto che il suo uomo sia molto lontano da lei, chissà per quale motivo. E' lecito pensare al fatto che lui possa essere un musicista, sempre impegnato a girare per il mondo, senza mai poter stanziare troppo in un medesimo posto. Il clima di queste lyrics sembra infatti richiamare una nota hit dei KISS, ovvero "Beth", canzone nella quale Peter Criss era intento a consolare una donna rimasta sola a casa, proprio perché "lui e i ragazzi" avrebbero dovuto provare sino a notte fonda nel loro garage, per poter trovare l'ispirazione e dunque scrivere nuove canzoni. Il clima di questo brano sembra comunque oscillare fra il pessimismo e l'ottimismo. Il protagonista non fa altro che ricordare i bei momenti trascorsi in compagnia della sua bella: i suoi sorrisi, la sua voce.. tanti particolari che la tengono costantemente nel suo cuore e fanno in modo che egli mai si dimentichi di Lei. Tuttavia, la distanza incolmabile sta cominciando a farsi sentire; il Nostro ha paura di venir lasciato, e prega affinché questo non succeda. C'è un solo modo per risolvere la questione, ovvero fare le valigie e riconciliarsi con la sua amata, recandosi da lei col primo volo. Una storia che ha un finale lasciato aperto. Non ci viene detto se i due si siano riconciliati o meno, sta di fatto che la decisione dell'uomo pare comunque incorruttibile: egli raggiungerà la donna e potrà così riconciliarsi con ella. Una persona troppo importante, per lasciarla andare via così.

Good Day To Die

Il tiro torna alto con la seguente "Good Day To Die (Un Buon Giorno Per Morire)"; l'introduzione della canzone consiste in una voce, probabilmente quella di Leonida, che chiede agli Spartani quale sia la loro professione, al quale sopraggiunge un urlo di guerra collettivo. Come è noto, i guerrieri della poleis greca rivale della grande Atene, fin dalla più tenera età venivano educati ad una sola attività: combattere. Il dogma del guerriero quindi faceva sì che ogni spartano vedesse il giorno di una battaglia come un bivio le cui strade conducevano entrambe alla gloria; come ci ricorda la celebre battuta del film "300", i combattenti di Sparta potevano tornare dal combattimento in due modi, o dietro lo scudo, vale a dire ancora vivi portandolo legato al proprio braccio, o sopra di esso, ossia trasportati come caduti valorosi dai propri compagni che lo utilizzavano come feretro; in entrambi i casi la gloria era comunque l'obiettivo principale da perseguire ed ogni giorno da dedicare alla guerra sarebbe stato un buon giorno per morire e raggiungere l'oltretomba dei grandi eroi. Immediatamente ecco subentrare degli stacchi serrati, dove le chitarre si lanciano in un assolo armonizzato il cui unico scopo è fin da subito quello di rendere il pezzo una vera e propria cavalcata epica. Conclusa questa prima parte da vera e propria dichiarazione di guerra, la strofa prende avvio con una struttura cadenzata e marziale, dove le chitarre sfoderano una serie di power chord in palm muting che ci devastano le orecchie con la potenza delle accordature ribassate. La batteria procede solo con cassa, rullante e charleston, al fine di creare un ritmo martellante che ci faccia sentire i calzari dei guerrieri scuotere il terreno mentre avanzano verso di noi; ancora una volta i Mystic Prophecy utilizzano l'espediente del crescendo: a sostenere il cantato prima troviamo la sola chitarra pulita, alla quale si aggiungono in seguito gli altri strumenti attraverso una stesura di ampio respiro che ci conduce al ritornello, vero protagonista di questa composizione. Dopo una strofa che ha trasudato fuoco ed acciaio in ogni secondo, immaginate quest'orda di guerrieri unirsi alla voce del loro condottiero per esaltare la bellezza del giorno nel quale raggiungeranno i campi elisi, le sillabe della frase del titolo sono scanditi da una serie di accenti della batteria proprio per marcare con maggiore epicità questa sessione, che senza dubbio si dimostra la più coinvolgente dell'intero pezzo. Dal punto di vista compositivo anche questa si presenta decisamente lineare e standard, arricchita occasionalmente da qualche passaggio solista di chitarra che non manca di dare un po' più di movimento al tutto. Quel che è certo è che i Mystic Prophecy si rivelano abilissimi compositori di parti melodiche, che alternano sapientemente anche ai frangenti più duri delle proprie composizioni; nel caso particolare di "Good Day To Die" immaginate dunque uno sviluppo alla Arch Enemy alla quale viene aggiunta una parentesi chitarristica solista cresciuta sotto l'ala ispiratrice dei grandissimi Iron Maiden, concludendo poi con un registro lirico che si rifà direttamente ai Manowar. Spade, guerra, tuoni e vendetta sono i cardini concettuali attorno ai quali ruotano le parole di questo testo: il tono oratorio è quello di un guerriero intento a prepararsi alla battaglia, convinto che la gloria è lì, pronta ad attenderlo direttamente sul campo di battaglia; il lungo addestramento lo ha reso una macchina imbattibile e proprio nella furia della mischia i nemici troveranno la morte per mezzo della sua lama, i campi elisi possono dunque attendere, perché il furore marziale che gli infiamma le vene farà si che il suo valore faccia bruciare i suoi avversari fra le fiamme dell'Ade. Essi sono là, ai confini della terra natia e pronti ad invaderla, ma il guerriero, con i suoi fratelli, darà fino all'ultima goccia di sangue per difendere la madrepatria dal barbaro invasore. Le parole fanno riferimento proprio agli Spartani citati poc'anzi, in particolar modo all'episodio della battaglia delle Termopili svoltasi nel 480 a.C, durante la seconda ondata di invasioni portate alla Grecia dall'esercito persiano guidato da Serse. L'episodio passò alla storia proprio grazie al valore che dimostrarono trecento soldati spartani nell'affrontare il ben più numeroso ed armato nemico rallentandone l'avanzata; a causa della imparità numerica la sfida si rivela persa in partenza per gli opliti guidati dallo spartano Leonida, ma il valore di questi combattenti farà comunque strage di nemici attraverso la potenza dei loro fendenti, come un tuono che dal cielo si scaglia improvvisamente sulla terra distruggendo tutto ciò che colpisce ed inzuppando quella polvere con il sangue di uomini le cui gesta saranno ricordate a millenni di distanza. Essi combatterono per la loro libertà, varcando anche le più alte montagne greche con l'agilità delle aquile fino al luogo dello scontro. Ritirarsi una volta constatala superiorità del nemico è fuori questione, se è questo il giorno della loro fine, è sicuramente un buon giorno per morire.

The Devil Is Back

Dalle atmosfere heavy metal guerresche passiamo ora ad un pezzo più hard rock, "The Devil Is Back (Il Diavolo E' Tornato)", le ritmiche infatti ritornano su binari più lineari, dalla contrattura del brano precedente si passa adesso ad una canzone più diretta e dall'impatto ancora più immediato. L'apertura consta nuovamente di una serie di stacchi di batteria intervallati da un arpeggio di chitarra, il momento questa volta è decisamente più breve e pochi istanti dopo ecco arrivare il main riff dritto come un pugno al viso, una composizione decisamente standard, che punta tutto sul tiro e l'impatto fornito dall'ingresso di batteria, il cui tempo lineare trascina l'intero sviluppo in una marcia dinamica da headbanging assicurato. Non siamo di fronte a chissà quale novità stilistica, questo pezzo incarna in tutto e per tutto i dettami dell'Hard Rock di ottantiana memoria, ma la successione regolare di strofa, ritornello e bridge, pur non essendo certo un'innovazione, colpisce proprio per l'enfasi e la decisione con cui la suonano i Mystic Prophecy: canzoni di questo tipo ce ne sono milioni, tuttavia, a renderla trascinante è senz'altro la grinta con cui la propongono i loro autori, inoltre, grazie alla post produzione eccellente abbiamo modo di sentire quella vibrazione dei visceri che si scuotono ad ogni pennata grazie al muro sonoro che si crea dall'insieme degli strumenti; il drum set punta di nuovo sull'imponenza di cassa, rullante e charleston, ricorrendo ai crash per segnare gli accenti delle battute ed al raddoppio di cassa nel pre ritornello, dove la traccia si fa più serrata e mitragliante, lasciando un po' in ombra i tom ed il timpano. Come abbiamo detto è la semplicità ritmica a costituire il vero e proprio scheletro del brano, la varietà e l'elaborazione vengono lasciate infatti alle esecuzioni delle chitarre, le quali, all'interno del minutaggio, inseriscono accordi aperti e chiusi, parti tritate in shredding ed assoli dall'altissima caratura tecnica, dove traspare un dichiarato amore per lo sweep picking da parte dei due axemen della band. Nel complesso questa canzone risulta godibile e ben suonata, ideale da ascoltare durante una festa con gli amici o un viaggio in macchina, senza escluderne nemmeno una buona resa dal vivo, ma si tratta comunque di un disegno compositivo abbastanza nella norma, coinvolgente e potente senz'altro ma che non fa urlare al miracolo di innovazione. Anche il testo allinea il proprio registro linguistico ad un immaginario abbastanza comune all'interno di questo genere: la figura del maligno ed il suo rapporto di possessione e tentazione dell'essere umano attraverso riti di sangue e devozione: il liquido che scorre nelle nostre vene è infatti l'elemento che accomuna santi e peccatori, fedeli ed eretici di fronte al divino che l'uomo da secoli fatica a comprendere pienamente; Satana sta affilando la propria spada al fine di poter sferrare l'attacco finale con cui riprendersi il dominio del mondo e noi comuni mortali non siamo altro che vittime da infettare con la malvagità infernale affinché il lavoro di Lucifero sia più semplice. L'angelo che osò sfidare Dio infatti non ci affronta a viso aperto, come farebbe un avversario leale, ma tenta di insidiarci con dei trucchi e degli artifici che non siamo in grado di fronteggiare: la tentazione è infatti una di questi; conoscendo infatti ogni nostra debolezza, Belzebù prontamente ci pone l'oggetto del nostro vizio di fronte agli occhi, provocandoci volutamente fino a quando non cediamo ormai succubi del suo potere. L'astensione e la purezza morale che ci insegna il nostro credo vengono così neutralizzati dall'ennesimo tiro mancino del diavolo e non abbiamo nemmeno modo di guardarlo negli occhi in quanto egli ci colpisce alle spalle. Egli è tornato dall'Inferno proprio per sferrare questo attacco decisivo, dopo essere stato cacciato dal regno dei cieli, questo mostro ha atteso che l'umanità si sviluppasse e si evolvesse, facendo crescere oltre al progresso e la tecnologia anche i propri vizi ed i propri peccati. Viviamo nell'era dei computer e degli smartphone ma nonostante perfino i mezzi stessi per diffondere il verbo di Dio siano aumentati non ci sottraiamo all'infrangere i dieci comandamenti ad ogni buona occasione. La lussuria è all'ordine del giorno, dato che per quanto ci si finga casti qualche bella "zaccagnata" non si nega a nessuno, specie se durante l'amplesso si sfoga qualche perversione, l'ira è il sentimento predominante di ogni rapporto umano, furti e violenza sono ormai diventati gli ingredienti principali di ogni realtà, dal terzo mondo alle grandi metropoli, l'invidia non fa altro che farci detestare il nostro prossimo, il quale, dovrebbe essere per noi come un fratello in quanto anch'egli discendente da Adamo ed Eva e, soprattutto, l'ipocrisia fa si che ogni giorno siamo sempre impegnati ad escogitare nuovi modi per prevalere sui nostri rivali. A conti fatti dunque, il diavolo ha già pronto il terreno per la sua nuova marcia trionfale, l'ascesa ed il successivo declino dell'umanità hanno fatto sì che il maligno avesse metà del lavoro già fatto dagli uomini e presto arriverà l'attacco decisivo che ci renderà tutti schiavi della malvagità. 

War Panzer

Con "War Panzer (Panzer Da Guerra)", i Mystic Prophecy si rigettano nei meandri dell'Heavy Metal, proponendo fin dai primi secondi un brano che non smetterà di farci scuotere la testa. Il tutto è introdotto da un incipit decisamente d'effetto, un arpeggio di chitarra pulita ci prepara infatti alla successiva serie di stacchi accentati che lancia una strofa decisa ed esplosiva; la doppia cassa risulta essere il motore conduttore di una struttura che mira ad essere un carro armato in tutto e per tutto: il main riff di chitarra questa volta, oltre ad essere potentissimo e coinvolgente, appare anche leggermente più articolato, non eccessivamente complesso per essere metabolizzato ma nemmeno troppo semplice e scontato per l'udito di chi di metal ne ascolta a tonnellate. Lo stile complessivo della composizione, pur restando abbastanza lineare, si presenta come un estratto del metal più moderno ed aggiornato in 2.0; il passaggio dalla strofa al bridge si articola su un cambio netto tra la fluidità delle note del riff principale e la stesura di accordi di più ampio respiro, dove anche la voce ha modo di distendersi e raggiungere tonalità più alte; la batteria ed il basso si muovono invece su un'alternanza di raddoppi e dimezzamenti del tempo, creando così una base ritmica solida ma comunque dinamica e fedelmente allineata con la melodia delle chitarre. Finora, nell'approccio compositivo dei Mystic Prophecy, si nota la tendenza a sviluppare la maggior parte del testo nella prima strofa, per poi lasciare alle fasi successive delle canzoni l'alternanza di riprese dei vari ritornelli o l'esecuzione di nuovi assoli, uno strappo alla regola canonica che però si attesta su un nuovo orizzonte di linearità che, pur spiazzando l'ascoltatore, lo mette di fronte alla riproposizione di elementi che bene o male ha già metabolizzato nei primi minuti di ogni pezzo. Su questo brano inoltre, il gruppo mira particolarmente a stupire con l'effetto di coralità generale che scaturisce dal ritornello: dopo aver creato una perfetta atmosfera di guerra, che quasi farebbe invidia agli svedesi Sabaton, i cinque musicisti tedeschi puntano tutto sulle backing vocals, quasi fossero le urla dei soldati durante un'avanzata verso il nemico, il carro armato da guerra viene quindi preceduto da una massa di fanti lanciati all'attacco a baionetta serrata prima che il mezzo pesante abbia modo di sfoderare tutta la potenza della sua artiglieria. La traccia scorre compatta e dinamica per tutta la sua durata, dandoci modo di apprezzare la pesantezza quasi ex genere di quella che, almeno sulla carta, è definita come una band power metal; con composizioni di questo tipo gli autori di "War Brigade", insieme ad altri nomi del panorama attuale, ribadiscono la preziosissima lezione secondo cui non devono assolutamente esistere preconcetti riguardanti i generi: i puristi del power, e mi riferisco a coloro per cui non esiste nulla dopo il 1997 (anno in cui usciva "Visions" degli Stratovarius), potranno storcere il naso ad un elemento "death metal" quali sono le accordature ribassate, ma è proprio in questi transfert che la musica, ed i particolar modo il Metal, trovano la linfa necessaria per poter continuare a rinnovarsi. Per quanto riguarda le liriche, come si è ormai inteso, siamo nuovamente sull'orizzonte guerresco: soggetto principale è una enorme macchina da guerra, il Panzer appunto, il quale è qui utilizzato come espediente metaforico per indicare una pluralità di guerrieri, incarnati in questo caso dai membri del gruppo che si preparano alla loro trionfale avanzata nelle linee nemiche. Nella notte buia e gelida, dove dal terreno si innalza un vento che ghiaccia tutta la natura circostante, sorgono anche questi combattenti fatti di acciaio (altro eco manowariano), pronti a combattere in nome della loro madrepatria e per vendicare i loro compagni caduti; essi stessi sono divenuti ormai simbolo della violenza e la loro condizione di soldati li condanna a combattere ed uccidere fino alla fine, si tratti essa della morte sul campo di battaglia o la fine del conflitto, ma dato che questi guerrieri vengono descritti come anime votate ad un eterno Inferno in terra, fatto di esplosioni, fuoco e morte, è più probabile che il capolinea di queste ostilità giunga solo con l'avvento dell'Apocalisse. I lampi echeggiano oltre le colline e l'artiglieria ha già iniziato le ostilità preventive; quei bagliori sono anche il segnale che l'attacco della fanteria deve iniziare. Essi sono pronti a colpire e a morire, diventando eroi la cui immagine verrà ricordata per sempre nella gloria dei monumenti a loro dedicati e nelle pagine dei libri di storia, ma ciò che verrà scritto è solo un surplus dell'hinc et nunc militare: la guerra è qui ed ora e non c'è tempo per pensare all'eventuale gloria, i ranghi devono restare serrati e tutto il plotone deve marciare inarrestabile come il panzer da guerra creato dalla potenza di fuoco dei fucili che sparano all'unisono.

Fight For One Nation

Nella successiva "Fight For One Nation (Combattere Per Una Nazione)", i Mystic Prophecy ci regalano una ulteriore spinta sull'acceleratore: dalle atmosfere power si passa qui ad un tiro decisamente più calcato, che in alcuni tratti arriva a toccare le frange dell'extreme. La batteria infatti avanza imperterrita con la doppia cassa serrata, mentre il doppio pedale nelle canzoni precedenti veniva utilizzato solo per i raddoppi e gli incisi, ed anche le chitarre scelgono di estremizzarsi attraverso un terzinato in palm muting che non può non riportarci alla mente le grandi cavalcate degli Slayer. L'utilizzo dell'introduzione per i loro brani è diventato ormai una costante nella composizione dei Mystic Prophecy: gli stacchi di batteria sostengono nuovamente un assolo eseguito dalle due chitarre armonizzate, ma dei brani proposti in questa seconda metà di tracklist, questo decimo pezzo è quello che possiede l'allaccio migliore tra l'incipit è la successiva partenza; la solennità dell'apertura si lega benissimo con la contrattura e la velocità alcalina della strofa, che pur nella sua linearità vanta un tiro decisamente maggiore delle precedenti, complice anche la già accennata estremità del songwriting. In questo caso si avverte ancora maggiormente l'influenza che gli Arch Enemy hanno in qualche modo su questa band, anche se in questa "nuova veste" del gruppo teutonico possiamo accostarli anche al sound dei Kataklysm: l'avanzare compatti attraverso un unico grande monolite sonoro, l'utilizzo della linearità in trentaduesimi ed i riff mitragliati delle chitarre rendono la base strumentale di "Fight For One Nation" adatta sia alla voce in pulito sia ad un eventuale utilizzo del growl o dello screaming, giusto per riallacciarsi al precedente discorso delle contaminazioni musicali. Proprio grazie a questa diversità stilistica rispetto ai dettami del power metal, ancora più avvincenti risultano l'apertura nel bridge ed il successivo cambio del ritornello, dove il tempo dimezzato conferisce un groove ed una orecchiabilità ideali sia per imparare immediatamente le parole del testo sia per una esecuzione complessiva del pubblico durante i concerti dei Mystic Prophecy; si tratta di elementi già utilizzati all'interno dei brani precedenti, ma la loro applicazione ad un songwriting leggermente fuori dagli schemi fa sì che la loro resa sia ulteriormente migliore e soprattutto nuova. Un altro elemento di novità consiste nella serie di stop and go posti dopo il primo ritornello: conclusa la parte vocale, la batteria si lancia in una serie di terzine stoppate prontamente ricalcate dalle pennate in shredding delle chitarre, un elemento concettualmente semplicissimo, ma che garantisce allo sviluppo la proverbiale massima resa con poco sforzo, inoltre, la successiva ripresa della melodia posta in apertura conferisce un più ampio respiro al brano dopo le diverse contratture ritmiche poc'anzi eseguite. Vista la potenza che questa traccia è in grado di sfoderare, non mi stupirei nel vederla posta sul finire delle setlist della band, "Fight For One Nation" è infatti il classico pezzo da mazzata finale con il quale si disfano le poche ossa ancora intere dei superstiti prima del congedo finale, con cui un gruppo power può spaccare teste con un arma nuova del suo arsenale. Protagonisti del testo sono ancora una volta gli Spartani, questa volta descritti dalla a alla zeta in tutte le loro virtù di guerrieri: se con la precedente "Good Day To Die" ci si riferiva al caso particolare della battaglia delle Termopili, ora gli abitanti della città della Laconia vengono passati in rassegna in qualità di difensori della koinè greca, vale a dire quel senso di appartenenza che, nonostante le varie rivalità interne con le altre poleis, li faceva sentire parte di un unico grande popolo di fronte alla minaccia di un invasore esterno come fu, ad esempio, Filippo il Macedone. Essi sono infatti delle vere e proprie macchine da guerra, educate fin dalla loro nascita unicamente all'arte del combattimento avendo come bisogno primario unicamente la sete di sangue: fame, sete, freddo e caldo sono bisogni del tutto secondari, il vero guerriero è colui che prima di tutto deve soddisfare la sua fame di nemici, nutrendosi giorno dopo giorno a colpi di daga. Serrati i ranghi, gli opliti avanzano spalla a spalla contro i nemici della Grecia, la loro disposizione fa sì che ogni soldato proteggesse e fosse protetto a sua volta dal compagno al suo fianco, rendendo le fila saldissime ed impenetrabili, dopo aver combattuto con altri greci adesso si lotta per un'unica grande nazione, minacciata dalle mire espansionistiche di uno straniero, ma gli spartani sono pronti a combattere fino all'ultima goccia del loro sangue, fin quando un solo spartano resterà in piedi il nemico può scordarsi di avere una facile penetrazione nelle terre greche, si lotta per la salvezza e nessun spartano si rassegnerà, nemmeno dopo essere sepolto sottoterra, perché una volta che le spoglie dell'ultimo oplita saranno sotterrate, la sua memoria fungerà da esempio per le generazioni di guerrieri future, che in lui vedranno un modello d'esempio su cui forgiare il proprio valore.

War Of Lies

La serie di brani inediti di "War Brigade" si conclude con "War Of Lies (Guerra Di Bugie)". L'apertura del brano questa volta è decisamente più decisa, vengono omessi i grandi assoli dal tono epico per lasciare spazio ad una ritmica serrata ed in your face dove la batteria martella incessantemente con il doppio pedale. Nel complesso però, nonostante sia una sfuriata breve ma di impatto, questa sessione suona un po' sconclusionata, quasi come se il gruppo non si trovasse a proprio agio su un simile terreno di gioco, più che altro per un fattore artistico e non tecnico, dato che su questo secondo frangente il gruppo ha più volte dimostrato il proprio valore. La strofa inizia in corrispondenza di un intermezzo a tempo cadenzato successivo al fade out delle sei corde, prima pietra di un crescendo che si sviluppa successivamente fino alla grande apertura del ritornello. Dal tempo marziale si passa poi al raddoppio scandito dalla doppia cassa, dove anche le chitarre si lanciano in una sferzata di note serratissime per poi arrivare al vero fiore all'occhiello, il ritornello appunto, sede in un riuscitissimo dimezzamento ritmico su cui Roberto Dimitri Liapakis sfodera ancora una volta tutta la potenza e l'epicità del suo stile vocale. Concluso questo passaggio, dopo una breve ripresa della marcia iniziale che ha sorretto la prima porzione di testo, ecco partire la parte riservata all'assolo di chitarra, dove possiamo apprezzare una colata fluide di note eseguite con la precisione e la pulizia di uno stile dichiaratamente neoclassico, ma è nuovamente il ritornello a donarci l'ultimo colpo di coda della traccia prima del fade out conclusivo. Su questo penultimo pezzo viene messo ancora di più in risalto il ruolo predominante che hanno i ritornelli e gli annessi ponti precedenti nello stile compositivo dei Mystic Prophecy; di strofa in pratica è presente solo la prima, che dopo essere arrivata al suo termine lascia ampio spazio alle varie riprese dei tasselli successivi, i quali, alternandosi, ci lasciano nella memoria le poche frasi contenute in essi a discapito dello sviluppo discorsivo della prima parte di testo. L'espediente usato è abbastanza standard e consiste nel far seguire alla frase "War Of Lies" le frasi consequenziali diverse di volta in volta nei quattro versi, la seconda porzione, eseguita unicamente dal frontman, diventa quindi un inciso nella corale pronuncia del titolo del pezzo, dando quindi il ruolo principale alla pluralità di voci. L'undicesimo brano della lista si rivela quindi molto convincente strumentalmente ma forse un po' vuoto a livello di lirico, dato che ad una prima sestina strofica seguono poi sempre i vari bridge e ritornelli con poche varianti al loro interno; tutto sommato la struttura complessiva evidenzia la bravura tecnica di questi cinque musicisti tedeschi, che come sempre non si sottraggono dallo sfoggiare la potenza dei loro strumenti. La guerra è nuovamente l'argomento principale della lirica, questa volta però essa viene descritta attraverso un registro un po' vago e meno dettagliato delle composizioni precedenti. Le frasi che costituiscono la strofa risultano essere un po' degli stereotipi all'interno del metal, dei cliché pre costruiti in qualità di sentenze che potrebbero da sole essere il titolo di altrettante canzoni power metal: "Screming out your evil names" (trad. "Urla i tuoi nomi malvagi"), "Millions of souls are lost" (trad. "Milioni di anime sono perdute"), fino alla proverbiale "Ashes to ashes, dust to dust" (trad. "Cenere alla cenere, polvere alla polvere") ed alla suggestiva "Kingdom of eternity" (trad. "Regno dell'eternità") di per sé molto evocativa, tanto che potrebbe figurare come titolo di un altro disco power; sono tutte frasi molto belle e ricche di significato, ma essendo pronunciate una di fila all'altra senza un maggiore sviluppo concettuale purtroppo conferiscono alla resa della strofa una parvenza un pò sterile e vuota. Fortunatamente la lirica prende via via una forma migliore negli sviluppi successivi, dove ha modo di emergere il vero significato della guerra come sfoggio di violenza basato unicamente sull'arroganza e la pretenziosità di sterili bugie. Quante volte un conflitto è stato motivato su false basi nazionalistiche che hanno offuscato il raziocinio collettivo per poi lasciare che la cruda realtà travolgesse i diretti interessati come un treno di morte dal quale non ci si poteva sottrarre; a voler fare un esempio concreto nella nostra storia basterà citare la Prima Guerra Mondiale, in occasione della quale l'interventismo sfrenato dei guerrafondai vide l'entrata in guerra come una cosa "rapida ed indolore" con cui rimarcare la potenza delle nazioni, ma bastarono giusto i primi due anni di conflitto per far capire all'umanità, ed in particolar modo ai soldati che vi presero parte come volontari, che la guerra di logoramento consisteva in una realtà ben più cruda, selvaggia e di morte inarrestabile su vasta scala di quanto si immaginasse. Il testo dunque si presenta come un proclama pacifista, che ricorda le numerose lezioni forniteci dalla storia e ci invita a non alzare più la bandiera dell'odio intraprendendo un nuovo conflitto. Una protesta contro le guerre tutta power metal, che poeticamente sentiamo con la speranza che possa avere una eco anche alle alte sfere dei governi.

Sex Bomb

L'album si chiude con una cover, non un omaggio a qualche altro grande nome sempre del panorama metal, ma ad un autore che con questo genere non ha nulla a che vedere, se non forse la passione per le belle donne, sir Tom Jones. I Mystic Prophecy infatti omaggiano il cantante gallese attraverso la riproposizione della sua canzone più celebre "Sex Bomb (Bomba Del Sesso)"; riarrangiare un brano che fa parte del proprio genere è una cosa relativamente semplice, ben diverso è invece metallarizzare una canzone che arriva da un genere come il Pop, tuttavia, non è la prima volta che un gruppo metal si cimenta nel rivisitare in chiave propria un brano estrapolato da un diverso contesto, vi basti pensare, ad esempio, ai Lacuna Coil alle prese con l'immortale "Enjoy The Silence" dei Depeche Mode, o agli Ensiferum che si lanciarono nel suonare "Bamboleiro" dei Gipsy King in versione death metal, giusto per citare alcuni casi. Per chi ancora non la conoscesse, anche se è difficile visto l'ampio uso che si fece di questo brano anche all'interno di vari programmi televisivi e spot pubblicitari, la versione originale scritta da Tom Jones basava tutto il suo groove sul sound tipicamente soul dell'organo Hammond e dei fiati, in particolare del sax, per poi lasciare che fosse il calore della voce del cantante ad infiammare le donzelle in uno stato di eccitamento sessuale oltre ogni limite. Questo turbine di labbra vogliose e sguardi infuocati assume ora una nuova veste grazie al tiro delle chitarre della band tedesca, intente a ricalcare la linea melodica eseguita dagli strumenti a fiato, il basso invece lavora sulla linea delle tonalità gravi dell'organo, rendendo così più metallico un suono derivante direttamente dalle sonorità degli anni Sessanta. Come ci si può aspettare inoltre, la batteria non segue pedissequamente la lineare base di percussioni della traccia risalente al 2000, i fusti di Tristan Maiwurm si muovono su una linea sempre dritta ma decisamente più pestata e pesante, come è d'obbligo per un riarrangiamento metal del resto. La sinuosità lounge del pezzo viene così trasformata in una marcia hard n'heavy dove il metallaro allupato si sostituisce al seduttore gentiluomo nel corteggiare un bel pezzo di figliola che lo provoca sculettandogli davanti; la versione dei Mystic Prophecy si apre con una introduzione marziale ed imponente, dove all'incedere della batteria si accostano dei power chord profondi atti a creare un atmosfera decisamente più granitica, il drumming infatti spinge costantemente sulla cassa, sul rullante e sul charleston, per poi passare ai piatti nel ritornello per conferire un maggiore impatto del frangente; nonostante lo stile del batterista tedesco si sia rivelato influenzato preminentemente dall'Hard Rock, su questa esecuzione in particolare ciò si rivela decisamente un punto a suo vantaggio, dato che la resa finale di questa cover risulta trascinante ed energica, divertente ed auto ironica senza però passare per la classica presa per i fondelli, anzi, il messaggio lanciato dal combo tedesco è chiaro: ascoltano e suonano metal, ma il loro orecchio si porge anche verso quei grandi classici della musica che appartengono ad altri cataloghi, proprio perché la musica, prima delle mille sotto categorie, si divide in buona musica ed in musica spazzatura (ed ognuno tragga poi le proprie conclusioni personali). Da un seduttore per eccellenza come Tom Jones, non ci poteva aspettare altro che un testo dove la donna diventa una tentatrice, facendo dell'uomo l'oggetto del desiderio ed assuefacendolo al proprio gioco grazie al movimento delle proprie curve a dir poco pericolose. Immaginatevi comodamente seduti su una poltrona di pelle (mi rivolgo soprattutto ai maschietti, ma anche le dame potranno immaginarsi in un tale contesto ribaltato), improvvisamente vi si para davanti la più bella ragazza che abbiate mai visto, che con un solo sguardo vi scannerizza ed in pochi secondi sa tutto di voi, quasi come se vi avesse spiati con un satellite dallo spazio con il quale ha ricavato tutte le informazioni su di voi; in pochi secondi ha intuito quali movenze vi fanno letteralmente andare il sangue in bollore ed ecco che subito ve le esegue davanti con il suo corpo sinuoso e provocante, ogni minima resistenza è inutile, e già sentite che qualcosa nei bassifondi si è alzato immediatamente, ma del resto perché opporsi? Lasciamo che questa venere balli per noi concedendoci degli attimi di pura estasi armando quella che è a tutti gli effetti la bomba del sesso per eccellenza. L'istinto è quella di tagliare i preliminari, per quanto belli a vedersi, e passare subito ai fatti, ma come accennato Tom Jones è un galantuomo in smocking e si limita a constatare che lei è una vera bellezza sopraffina che ci girerà intorno per sedurci e lui non potrà far altro che lasciarla fare senza minimamente opporsi a questo seducente gioco di provocazione erotica.

Conclusioni

"War Brigade" è dunque un disco conservatore ed innovativo al tempo stesso: da una base stilistica che trova le proprie radici nei mostri sacri dell'Heavy Metal degli anni Ottanta, i Mystic Prophecy prendono poi il successivo avvio per un cammino artistico che li conduce a creare un interessantissimo connubio di generi; le fondamenta poggiano sul Power Metal, ma questi cinque musicisti tedeschi volgono sapientemente il loro sguardo anche verso generi differenti ma non tuttavia così lontani come l'Hard Rock, il Thrash e, in alcuni casi, il Death; elemento cardine di questa sinergia sonora sono senz'altro le accordature ribassate di tono, un elemento tipicamente extreme che però è stato più volte dimostrato essere funzionale anche per sonorità più morbide: alle tonalità abbassate corrispondono frequenze più basse, ergo, il sound assume una compattezza ed un impatto immediato altrimenti irraggiungibile con la accordatura standard in mi, la quale, ha invece contraddistinto la grande storia del Rock e le prime perle dell'Heavy Metal. Dal punto di vista espressamente compositivo inoltre, la band lavora molto sulle parti che per definizione sono quelle destinate a coinvolgere il pubblico: i pre ritornelli ed i ritornelli. Esse, come attesta il loro stesso nome, sono destinati a ritornare più volte nell'arco della composizione, rendendosi più facili da imparare per l'ascoltatore. Puntare su questi frangenti si rivela essere la vera chicca strategica di questi musicisti, dato che il metal fan, in particolar modo il defender of the faith, non solo sarà invogliato a seguire il vocalist nelle parti corali ma sarà invitato a farlo grazie ad una composizione studiata nel dettaglio di tali parti. Nella tracklist sono presenti tracce migliori di altre in tal senso, come è normale che sia del resto, ma fatto sta che queste dodici canzoni, cover compresa, ci inviteranno ad unirci alla vera e propria onda anomala di pathos che le parti corali dei pezzi riescono a creare, i Mystic Prophecy infatti sembrano quasi invitarci ad essere loro coristi per la durata dell'ascolto, senza contare poi che questa peculiarità otterrà senz'altro la sua apoteosi durante i live della band. Dal punto di vista della post produzione, l'album suona compatto ed energico, perfettamente in linea con il gusto dei lavori attuali che sembrano quasi pretendere una qualità sonora chirurgica date le potenzialità digitali dei giorni nostri. Attenzione però, esse, proprio per l'infinito potenziale che possiedono per la produzione musicale, possono essere un'arma a doppio taglio: grazie ai moderni software è possibile trasformare il musicista più scarso nel più grande fenomeno di tutti i tempi, ma non bisogna dimenticarsi del patibolo di prova del palco; è qui che possiamo verificare se un musicista è effettivamente bravo o se la tecnologia gli ha dato un aiutino, nel caso del gruppo tedesco possiamo essere certi che tutto ciò che sentiamo sia farina del loro sacco: da queste canzoni emerge infatti tutta la vena, o pacca se vogliamo, che questi musicisti possiedono, la quale è stata lavorata attraverso un'opera di fino eseguita ai "Prophecy & Music Factory Studios" in Germania. Il suono di ogni strumento è calibrato in ogni singolo particolare per ottenere il sopracitato sound eclettico: le chitarre suonano graffianti e compatte, la percentuale di gain presente su di esse le rende sì "zanzarose" ma al tempo stesso controbilanciate da una buona equalizzazione che le amalgama molto bene tra loro facendole uscire come un unica e compatta massa sonora, potentissima nelle ritmiche fluida e delicata nelle parti soliste e negli arpeggi in pulito. La vera parte del leone in fatto di pesantezza è svolta dal basso, le cui corde ci regalano un suono caldo e solido perfettamente creato per sostenere l'impianto ritmico; la batteria,come abbiamo potuto notare, lavora principalmente sulla cassa, sul rullante e sul charleston, lasciando i cimbali ed il resto dei fusti in secondo piano per utilizzarli solo nei rari passaggi, tuttavia, ogni pezzo è volutamente gonfiato per rendere ogni colpo energico quanto la mazzata di un golem che sferza il terreno con la sua clava. Ultima ma non meno importante, la voce, sulla quale vengono applicati giusto gli effetti essenziali per amalgamarla con il resto degli strumenti: essa deve obbligatoriamente svolgere il ruolo di protagonista ed il talento di Roberto Dimitri Liapakis deve emergere in tutta la sua limpidezza. In conclusione, "War Brigade" è un disco ben suonato e ben prodotto, per certi aspetti decisamente innovativo, anche se con qualche topos ricorrente della tradizione, ma che comunque si ascolta in maniera molto gradevole e coinvolta. Un simile lavoro lascerà senz'altro stupiti gli amanti delle sonorità più classiche del Metal, ma non si sottrarrà nemmeno a compiacere anche qualche udito dai gusti leggermente più duri.

1) Follow The Blind
2) Metal Brigade
3) Burning Out
4) The Crucifix
5) Pray For Hell
6) 10.000 Miles Away
7) Good Day To Die
8) The Devil Is Back
9) War Panzer
10) Fight For One Nation
11) War Of Lies
12) Sex Bomb