Mütiilation

Sorrow Galaxies

2007 - End All Life Productions

A CURA DI
GIOVANNI AUSONI
09/07/2022
TEMPO DI LETTURA:
8,5

Introduzione

Si può imputare di tutto ai Mütiilation, ma non l'assenza di un chiaro disegno alle spalle, a maggior ragione dopo il come back discografico all'albeggiare del XXI secolo, quando sembrava ormai definitivamente chiuso uno dei capitoli fondamentali e meglio compiuti delle mitiche Legioni Nere. Il percorso dell'entità principale di Meyhna'ch, intrapreso ai tempi dell'indimenticabile debut album "Vampires Of Black Imperial Blood" (1995), riprese, sempre restando nel territorio dei full-length, con quel "Black Millenium (Grimly Reborn)" (2001) che contrassegnava un ritorno al futuro, intriso com'era di cambiamenti tecnici, se non epocali, comunque sintomatici di un approccio al black metal meno elitario e relativamente più adeguato allo Zeitgeist del periodo. Vaticinatore di sventura e distruzione, traboccante di livore verso Dio e la società, Roussel, il primo spregiatore di sé stesso, stava per iniziare un processo di totale annichilimento, capace di cancellare qualsiasi minima traccia di vita nell'universo. Il vampiro, la Maestà Lebbrosa, il Re Dei Ratti, figure di reietti ed emarginati, portatori di malattie, reali e interiori, diventano i simboli dell'abbrutimento e della vergogna, oltre che di una misantropia a dir poco furibonda. Una caduta verticale profonda, che raggiunge l'acme in "Sorrow Galaxies" (2007), un gelido manifesto di dolore, l'apoteosi di un cammino che non poteva arrestarsi altrimenti e risolutivamente, riuscendo a realizzare, almeno dal punto di vista artistico, l'utopia apocalittica di Roussel. Il platter, rilasciato in CD dalla label francese End All Life Productions, viene impreziosito da una copertina al solito sobriamente oscura e su cui campeggia l'immagine cianotica - e dall'aspetto di un teschio - di un sistema stellare, cover che ricorda i lavori iniziali dei Darkspace, malgrado le due band, al netto di alcune caratteristiche comuni, appaiano molto distanti a livello concettuale. Mentre gli elvetici intendevano comunicare l'angoscia provocata da un lungo viaggio spaziale verso l'ignoto e i misteri dell'universo, prendendo ispirazione dalle atmosfere claustrofobiche del kubrickiano "2001: A Space Odyssey", Willy utilizza il vuoto dell'universo come celebrazione massima di una sofferenza che travalica i confini umani, assurgendo a malessere cosmico privo di speranza e redenzione. Lì i buchi neri della fisica, qui i wormhole dell'anima, un non luogo nel quale Willy sguazza a meraviglia, considerato il suo passato depressivo, carico di pensieri suicidi, sesso estremo, droga e alcol. Arrivata, dunque, al culmine espressivo del proprio cammino, divenuta tutt'uno con la polvere siderea, il solo-project transalpino opta per la cessazione delle attività, conclusione naturale e necessaria di un itinerario di rinascita il cui fine escatologico sembrava stabilito ab initio. Questo, però, non impedisce alla creatura del mastermind occitanico di partecipare, qualche mese successivo, a uno split assieme a Drowning The Light e Satanic Warmaster, benché la partecipazione si limiti a un'unica traccia, "The Bitter Taste Of Emotional Void", già presente nel lotto di "Rattenkönig" (2005). Disco a ogni modo significativo, sia per quanto concerne la tipologia dei gruppi coinvolti sia in riferimento all'etichetta patrocinatrice dell'estemporaneo progetto, l'australiana Dark Adversary Productions, specializzata in pubblicazioni di ambito NSBM e dintorni. Ancora una volta, dunque, aleggia lo spettro della svastica sul capo di Meyhna'ch, spettro che il francese aveva iniziato ad alimentare in virtù della fugace apparizione nei Gestapo 666 dell'amico Cyril Mendre e con maggiore convinzione nel 2005, quando esordirono i famigerati Hell Militia. Certo, trattasi di formazioni ancora in gioco, per le quali la fascinazione per l'ideologia nazista, oggi estinta, risultava inscindibile dal satanismo, anzi ne rappresentava l'emanazione diretta, perdendo qualsiasi connotato di militanza politica, pur rimanendo dei retaggi di odio antisemita e di una distorta visione nietzscheana. A parte le simpatie personali, Meyhna'ch ne tenne sempre lontani i Mütiilation che, prima dell'abbandono delle scene, avranno ancora il tempo di pubblicare un curioso live di soli due pezzi, esclusivamente in vinile e dalla tiratura limitata, e una compilation di vecchie hit, ultimissimo regalo di una carriera da culto assoluto.

Cosmic Seeds Of Anger & Dementi

I Mütiilation aprono "Sorrow Galaxies" con un brano il cui titolo sembra tratto, non a caso, da un album dei Limbonic Art (in particolare il secondo, "In Abhorrence Dementia"), storico gruppo norvegese anni '90, fautore di un symphonic black metal corrosivo e spaziale. Ma "Cosmic Seeds Of Anger & Dementia" ("Semi Cosmici Di Rabbia E Demenza") non è significativa soltanto per quest'aspetto, visto che si comporta in tutto e per tutto da vera opener, stabilendo i canoni tecnici e stilistici dell'intero disco: i testi fluviali, il minutaggio consistente (nessun brano al di sotto i nove minuti) e un vero batterista - benché anonimo - dietro le pelli, rappresentano quelle novità che non t'aspetti da un full-length di commiato che, paradossalmente, diviene il tassello più professionale di una discografia parecchio ballerina da tale punto di vista. L'elemento che fa davvero la differenza, resta, comunque, la presenza di un drummer in carne ossa, responsabile di cambi di cadenza mai uditi nei platter anteriori, in grado di conferire ai pezzi un dinamismo in precedenza negato loro dalla freddezza glaciale della drum machine, programmata quasi sempre su monocordi up-tempo. Le variazioni ritmiche permettono a Meyhna'ch di trasportare l'ascoltatore in dimensioni altre, nelle quali il malessere, il dolore, la sofferenza, i supplizi, il disprezzo di sé stessi e verso il mondo, toccano altezza sideree, pascendosi del vuoto e divenendo parte di esso. L'abbrivio della traccia, un florilegio di interferenze elettroniche e chitarre monumentali dove voci oscure, inquietanti, sconnesse, paiono provenire da una stazione orbitale alla deriva, dà la stura a una salva di riff attraversati da un'inebriante melodia di stampo depressive, mentre giganteggia umano il pestaggio percussivo, benché esso risulti leggermente affossato nel mix. Ben oltre il vuoto freddo e lontano, l'universo si increspa a spirale, raggiungendo grandezze assurde e poggiando sulla statica dell'esistenza di un Dio aristotelico, motore immobile e puro dell'universo. Il Big Ben, l'origine dal caos, una contrazione esplosiva capace di invertire non soltanto le leggi dello spaziotempo, ma anche del controllo della morte, delle forme che mutano, delle malattie, delle guerre, di quella particella degenerativa, di quell'antimateria figlia e genitrice dell'inversione. La mesta osservazione che gli uomini, in tale bailamme, sembrino soltanto semi di polvere su una pietra morta che gira intorno a una stella fredda in un infinito deprimente, pronunciata da Roussel con una lieve incrinatura della voce, viene inchiodata alla parete della pista, fungendo da esegesi ed epitaffio della vita e della carriera del francese. Una canzone che, in effetti, opera da sintesi dei vari testi scritti a partire da "Vampires Of Black Imperial Blood" in avanti, tanto che, dopo la descrizione testé elargita, l'occitanico snocciola, in maniera improvvisa - ma non sorprendente - un rosario satanico attraverso il quale si invita il genere umano ad abbandonare Dio e ad abbracciare il Caprone cornuto, aiutandosi con azioni torbide e illegali. De facto, l'apoteosi della negazione dell'esistenza, contrassegnata dal mareggiare blando di una marcetta funebre e di una chitarra che geme disperata e atmosferica, poi la velocità riprende quota, sorretta da una scarica ferale di blast beat, durante i quali, però, la voce di Willy risulta abbastanza comprensibile, almeno rispetto al consueto. Il malevolo trobador di Grabels, sicuro di un trapasso in solitudine desidera che il diavolo ne beva l'anima, che ne distrugga la cortina della superficie sensibile, i sentimenti e finanche il cervello per mezzo dell'arma imposta dell'abuso di alcol. La tappa post-mortem è il sacco per i cadaveri, con le pietre imprigionanti il viso e i pensieri angosciosi del transalpino; nonostante il desiderio di affrontare le conseguenze eterne della dannazione senza alcun rimorso, infatti, egli rimugina sulla circostanza che il momento fatale sia forse arrivato troppo presto, o, comunque, inaspettatamente. Accompagnati da un drumming davvero molto incisivo, ci rendiamo conto, nella strofa successiva, del delirio del protagonista che torna indietro con la mente, alle cause di un agognato suicidio mai messo in pratica, a un qualcosa decisamente defunto dentro di lui, alla luce ormai fioca dell'interiorità in procinto di essere spazzata via dal vento freddo dell'angst, allo stridere delle ruote del carro funebre, a quella pistola che giace lì vicina, pronta all'uso. Un continuo andirivieni, disordinato, collerico e demente, che rende fede al titolo del pezzo.

The Coffin Of Lost Innocence

Senza dubbio uno dei brani più significativi dei Mütiilation, "The Coffin Of Lost Innocence" ("La Bara Dell'Innocenza Perduta") mette in scena un interessante dialogo psicoanalitico tra il Meyhna'ch bambino e quello adulto, un tentativo di scavo interiore così profondo da avere pochissimi riscontri nel black metal e non solo. E altrettanto rilevante, oltre che consono alle scelte di songwriting dell'album in generale, risulta il sound del pezzo, caratterizzato da un main riff decisamente orecchiabile e da una batteria piuttosto fantasiosa, non fossilizzata su blast beat disumani. Un mood nero seppia, dunque, ma ammiccante, stratagemma intelligente per incidere nella mente dell'ascoltatore lo stigma di argomenti duri, se non addirittura scomodi, un po' sulla scia di "Black Millenium (Grimly Reborn)", benché in quel caso imperasse una certa tendenza alla meccanizzazione, dovuta all'uso e all'abuso della drum machine. L'abbrivio, tutto doppia cassa, chitarra simil-sinfonica e un pizzico di charleston, avanza elegante e solenne, poi il fraseggio diviene carezzevole, con la sua natura medievale à la Peste Noire di inizio carriera. Spiccano assoluti gli occhi di una bambino triste, il cui dolore di anima perduta lo porta a scavare la medesima buca del suo contraltare adulto per sfuggire da un mondo troppo grigio, troppo vasto, e, soprattutto, troppo morto perché abitato da esseri umani. Poi un vuoto, interferenze rumoristiche che sembrano ancora una volta non promettere nulla di buono, la voce robotica di Roussel che discetta su un sogno recondito di mutazione. L'occitanico passa da vecchia crisalide fanciullesca in catalessi autistica a farfalla con le ali bruciate dalla divina luce del giorno, prima di assumere le fattezze di una mosca ripugnante che depone le proprie uova sulla decomposizione umana come vendetta nei confronti della creazione di Dio. I richiami a "The Eggs Of Melancholy" non paiono così casuali, tanto da creare un sorta di continuum quantistico dei vari discorsi intavolati dal menestrello francese che montano origine all'epoca delle Legioni Nere. Al risveglio, una chitarra malinconica e un caldo drumming in mid-tempo riportano il transalpino alla realtà, il diavolo gli dice di scacciare la paura, di tirare il grilletto, mentre le cicatrici sul suo corpo nudo, diventato ormai freddo al pari della pelle di un tacchino, lo consolano da vecchi amici. Riaffiorano, intanto, i ricordi della giovinezza trascorsa, un pozzo infinito di malinconia gli sporca il viso al rimembrare una purezza ormai smarrita per sempre. Il clima, per un breve istante, torna a farsi giullaresco, accompagnando Meyhna'ch a ritroso nel passato, teso a convincere il proprio Sé dell'inutilità di venire alla luce: ogni giorno sarebbe stato uguale all'altro, i minuti sarebbero sembrati anni, vivere avrebbe significato lacrime e prevaricazioni, in un perpetuo oscillare tra presente e futuro, tra pazzia e consapevolezza, tra rimorso e apatia. L'atmosfera si fa drammatica, con la musica che pare dilatarsi malsana e depressiva, a tendersi come una fionda prima che ripiombi il mid-tempo risolutivo, con il singer che termina quasi recitando le ultime parole, attraverso un pre-finale tutto tremolo e doppio pedale, combo anticipante una conclusione strisciante, un verme che si appropinqua fino alla tomba dell'innocenza. Una strofa conclusiva durante la quale Willy si scaglia contro le credenze religiose degli uomini, avverso quel Dio che ha cancellato i suoi amici, che ha distrutto i suoi sogni, ma che, invece di ucciderlo al fine di porre un sigillo definitivo ai suoi tormenti, lo ha tenuto in vita per farlo sadicamente soffrire. E così, una delle corde che conservavano sano di mente il protagonista, viene da egli stesso recisa, un taglio che pur rendendolo orfano di un Onnipotente traditore, lo avvicina a Satana, l'unico vero padre. A questo punto sorge spontaneo un appello rivolto al singolo individuo, ovvero di abbandonare la vita al Maligno, di non rimpiangere mai il mondo umano, di non voltare mai lo sguardo indietro a ciò che si è fatto o detto, di prendere la Sua mano, di chiudere gli occhi e di donare la propria anima al solo Salvatore. Il ricongiungimento con la purezza, comunque la si voglia interpretare, è compiuto e, forse, il Meyhna'ch fanciullo, rinato per l'occasione, potrà trastullarsi della e nell'Apocalisse.

Cesium Syndrome 86

Negli anni '80 il disastro di Chernobyl scosse l'Europa e il mondo intero. Nella notte tra il 25 e il 26 aprile del 1986 esplose il reattore numero quattro della centrale, sprigionando nove tonnellate di scorie radioattive nell'atmosfera. Il più grave incidente nucleare della storia dell'umanità venne cagionato da un test di sicurezza finito nel peggiore dei modi. Una trentina le morti immediatamente collegate alla tragedia, ma in realtà si pensa che ammontino addirittura a migliaia, o a centinaia di migliaia, le persone che in questi lustri siano decedute a causa delle malattie provocate dai radionuclidi, benché risulti impossibile stilare stime precise. Da tale sconvolgente episodio prendono le mosse titolo e contenuto di "Cesium Syndrome 86" ("Sindrome Del Cesio 86"), un pezzo tragico capace di evocare immagini truculente che Meyhna'ch raffigura con la solita maestria letteraria e cinematografica, non trascurando una vena weird apocalypse davvero apprezzabile. Dal punto di vista musicale, il brano si snoda in maniera piuttosto particolare, alternando stilettate darktrhoniane dal forte sapore punk, se non addirittura rock'n'roll, a momenti dal tradizionale taglio Mütiilation, con interferenza industrial da radioamatori dall'ultima frontiera in grado di provocare intensi brividi lungo la schiena. Il transalpino parte dalla fine, dalla descrizione delle conseguenze di una catastrofe nucleare responsabile della polverizzazione di qualsiasi segno di vita sulla Terra. Da un punto di osservazione che sembra posto su una stazione orbitante nello spazio profondo, l'occitanico descrive ciò che resta del globo terracqueo, una fredda, strana roccia di ghiaccio divenuta fossa dell'umanità per i peccati da essa commessi, una spirale che, durante il cataclisma, non faceva altro che risucchiare le anime erranti. Poi comincia il racconto della motivazione principe che ha condotto al disastro, ovvero un conflitto armato di matrice umana colpevole di cancellare intere generazioni, tra piogge apocalittiche di fuoco e piombo e onde nucleari responsabili di uno sterminio senza precedenti. Eppure, il vero orrore si materializzerà dopo la calamità, quando i sopravvissuti, nel tentativo di ripopolare il mondo, si sostituiranno all'artifex supremo della creazione, realizzando delle caricature di Dio, tra abomini in provetta, mostri bizzarri e freak degenerati, mentre un ermafrodita siamese viene crocifisso come nuovo feticcio da seguire e idolatrare. La scienza che si erge a inventrice della vita, un tema vecchio quanto l'universo i cui esiti e sforzi non possono che risultare sciagurati e inutili. Il cesio, infatti, continua a penetrare ogni strato del terreno, il processo di stupro della Madre Terra non conosce la parola fine, con la morte che si insinua tra i vivi e legioni di zombi che banchettano cibandosi della carne dei propri fratelli. E intanto Satana ride, perché, pur aizzando malevolo il cuore già corrotto degli uomini, il suo intervento diretto nella disintegrazione totale non è stato necessario: la natura degli individui, in questo caso, vede e provvede da sé, e anche molto bene. Un brano quindi, che pare farsi carico, oltre che dell'abituale misantropia di Roussel, di preoccupazioni oseremmo dire ambientaliste, un tema politico e scientifico dibattuto ormai da tempo e qui trasposto attraverso un'orecchiabilità rugginosa non comune nel genere. Una bacchettata da intellettuale che mette a latere le abituali tendenze depressive dei Mutiilation, ingrossandone quelle nichiliste.

Acceptance Of My Decay

"Sorrow Galaxies" si chiude con "Acceptance Of My Decay" ("Accettazione Del Mio Decadimento"), brano che è a tutti gli effetti un grave epitaffio, che riguarda non soltanto la vita personale di Meyhna'ch, ma anche il destino stesso dei Mütiilation. Un brano dalla durata monstre di dodici minuti, costruito a mo' di trip mesmerico, con un ritmo che alterna, in maniera metonimica, cadenze veloci ad altre più controllate, con la doppia cassa che prevale sui blast beat e una chitarra che ricama melodie tra l'onirico, il depressivo e il medieval-giullaresco, ancora una volta non trascurando un'aura catchy e interferenze from outer space. In questo clima di rassegnazione mista a violenza, il tema dell'accettazione del decadimento regna sovrano. Come Edipo che espia i suoi delitti andandosene per il mondo ramingo e cieco e come Freud entusiasta di tale desiderio che si esprime nella colpa diventata cosciente, Roussel riesce a scendere a patti col destino, ad autogestirlo, se per destino intendiamo quello che i Greci chiamavano ?????. A differenza di Saturno, Bellerofonte, Giobbe, e numerose divinità indù, germaniche e cinesi che subiscono una decadenza né desiderata né meritata, l'occitanico unisce brama e giustizia nella contemplazione del proprio cadavere in pace con il cosmo. Quel cosmo nel quale si dipana il fenomeno della distorsione delle leggi e dei tempi che indirizza la morale nei buchi neri, cavalcando sul filo di un rasoio tra la vita e la morte, mentre la fredda lama della coscienza morde profondamente nella carne di un protagonista che ripete le proprie azioni autolesioniste in maniera stereotipata, quasi fosse malato della sindrome di Asperger. Il tornado di un'anima perduta avvolge il suo guscio putrido pregno del vino della negazione, la polvere del tempo lascia posto all'amara senilità, più mentale che fisica, e alla constatazione di marcire da solo in disgrazia, avendo sé stesso come unico amico, vagabondo di un freddo vuoto ghiacciato da tetri rimorsi. La speranza è morta, non c'è nulla intorno, la cura è un'illusione perduta, mentre alcuni ricordi tornano violentemente a galla, nebulose sfocate del passato esplodono da una caligine etilica, per partorire un tumore meraviglioso, una stella estinta. Qualcuno che si avvicina può vedere la verità acida che brucia in quegli occhi lacrimosi, ma gelidi; e quel qualcuno chiede all'occitanico di scrivere un'altra canzone capace di eternare tali tormentati momenti. Ma anche l'arte si sta avviando al compimento definitivo della propria missione, un altro mondo sta arrivando, le voci che brulicano nella testa dell'occitanico lo tirano giù, verso il basso profondo, il male nella sua carne lo guida attraverso la notte in un universo color tenebra, con l'alcol che, come combustibile, ne conserva caldo il cadavere affinché gli altri lo possano vedere. Al punto di rottura, il protagonista riesce finalmente a conoscere sé stesso: le galassie sono nevrotiche, le nebulose chimiche, il cosmo risiede nel suo cervello, la sua anima è il centro di un universo autistico che si sta per aprire solo al fine di collassare nell'Inferno. Nidi di mosche gli sbucciano gli occhi, l'alcol offusca irreparabilmente la vista, tutto intorno è più freddo: il dado è tratto, Satana lo ghermisce, l'accettazione della decadenza non ammette decisioni diverse. Metafore, simboli, parallelismi, dunque, che rappresentano una guida a ritroso per comprendere l'intero disco e un titolo, "Sorrow Galaxies", che di sci-fi ha poco o nulla, dirigendosi verso la parte esistenziale del suo spettro interpretativo. Il pezzo mette la parola fine ai combattimenti interiori di un Meyhna'ch che, finalmente, acconsente al proprio definitivo trapasso, mettendo, purtroppo, anche il sigillo finale alla carriera dei Mütiilation.

Conclusioni

Uscito nel settembre del 2007, "Sorrow Galaxies" rappresenta l'ultima release di inediti dei Mütiilation, ponendosi come l'iceberg esistenziale, oltre che compositivo, del percorso personale e autoriale di un Meyhna'ch riuscito finalmente a scendere a patti con il proprio animo tormentato. Si è ripetuto spesso che, nella stesura dei testi, il rapporto tra autore e io lirico, ovvero tra l'individuo reale e il personaggio delle liriche, impone una certa distanza, anche se minima. Benché, dunque, letteratura e biografia si fondino e si confondano, appare comunque indubitabile che il songwriter e cantante francese abbia riversato nei vari album realizzati una parte cospicua delle angosce di una vita intera, esorcizzate con dipendenze tossiche e foschi pensieri suicidi mai. Un poeta maledetto tipico della tradizione culturale francese, dunque, afflitto da uno spleen originato non da motivazioni particolari, ma dal disgusto per la vita umana in sé stessa e che trova la propria sublimazione nell'abbrutimento, nelle droghe, nel satanismo, nell'emarginazione. Da questa condizione interiore disperata nascono i dischi della one man band del transalpino, ciascuno di esso, benché con gradazioni diverse, imperniato sulla figura del reietto, di colui che, non potendosi integrare nella società, ne viene respinto, scegliendo l'auto-esclusione come forma di titanismo vendicativo nei confronti del mondo. Il vampiro ("Vampires Of Black Imperial Blood" e "Remains Of A Ruined, "Dead, Cursed Soul"), il profeta redivivo ("Black Millenium (Grimly Reborn), l'obbrobrioso regale ("Majestas Leprosus"), il Roi Des Rats ("Rattenkönig"): figure, immagini, alter ego che cadono via via sempre più in basso, sino a raggiungere il fondo del precipizio per poi sbucare, seguendo un po' l'itinerario dantesco della Divina Commedia, in un Empireo privo, però, della consolante luce divina. Roussel si toglie la maschera mentre precipita nel vuoto simbolico dello spazio interstellare, entro il cui ventre freddo il dolore assume proporzioni cosmiche. Un acme che permette all'occitanico sia di entrare davvero a contatto con la sofferenza, sia di accettarla e accoglierla, mettendo altresì la parola fine al proprio principale progetto artistico, nato al tempo delle Legioni Nere. Passati dallo pseudo-dilettantismo degli inizi a una professionalità maggiormente marcata, senza però, abiurare i trascorsi malsani, i Mütiilation continuano a costituire nella memoria collettiva degli appassionati e non, l'entità tossica ed elitaria per antonomasia, campione indiscutibile di una misantropia da guinness dei primati. Considerazioni giuste, eppure non complete, dal momento che, soprattutto dall'EP del come back discografico "New False Prophet" (2000), l'act di Grabels optò per alcuni piccoli e decisivi cambiamenti tecnici, responsabili nel rendere la proposta meno ostica e raw. Registrazione dignitosa, inserti elettronici di varia natura, timbrica vocale sfumata, melodie orecchiabili - ovviamente tenendo presente il genere -, un'atmosfera generale al medesimo istante claustrofobica e ammiccante: in poche parole, il black metal secondo il verbo di Meyhna'ch, capace di influenzare l'intera scena francese, Deathspell Omega compresi. La cessazione delle attività di questa splendida e malvagia creatura bretone/provenzale non significherà per Willy la chiusura in toto del suo lavoro musicale. A parte, infatti, le successive pubblicazioni dei Mütiilation (lo split nell'ottobre 2007 con Drowning The Light e Satanic Warmaster, il live album "Black As Lead & Death" un lustro dopo e "The Lost Tapes", datato 2018), l'artista transalpino apparterrà per dodici anni alla line-up dgli Hell Militia, contribuendo dietro al microfono ai primi tre platter del gruppo. Poco più tardi comincerà l'esperienza solista omonima ancora in pieno fermento, latrice sinora di due full-length, "Non Omnis Moriar" (2017) e "Miseria De Profundis" (2022), che mescolano metallo nero, industrial e diavolerie assortite, per l'ennesimo viaggio autobiografico carico di allucinazioni e depravazione. Con un compositore e performer ancora in splendida vena creativa, ritornano alla mente le parole pronunciate dallo stesso secoli fa, quando il legame con Les Légions Noires iniziava ad affievolirsi, facendo emergere la consapevolezza artistica del predestinato: "Le persone in futuro studieranno e ammireranno il mio lavoro". Frase che oggi coglie nel segno, alimentando la segreta speranza che un giorno i Mütiilation potranno risorgere dalle ceneri, diversi, ma sempre uguali nel rivestire il ruolo di messaggeri dell'universale annichilimento.

1) Introduzione
2) Cosmic Seeds Of Anger & Dementi
3) The Coffin Of Lost Innocence
4) Cesium Syndrome 86
5) Acceptance Of My Decay
correlati