Mütiilation
Remains of a Ruined, Dead, Cursed Soul
1999 - Drakkar Production
GIOVANNI AUSONI
06/08/2020
Introduzione recensione
Dopo un capolavoro intriso di suggestioni della levatura di "Vampires Of Black Imperial Blood" (1995), unico platter sulla lunga distanza nato all'interno delle Légions Noires ed emblema di un movimento elitario che di lì a poco si sgretolerà senza troppi convenevoli, i Mütiilation giungono a un bivio decisivo della carriera. Meyhna'ch, espulso dall'enclave per presunto uso di sostanze stupefacenti e afflitto da una serie di problemi personali che lo condurranno ad annunciare una doppia morte spirituale, prima nel 1996, poi nel 1999, si mostrava stomacato dalla piega trendy assunta dalla scena black metal, francese e non, all'alba del nuovo millennio; l'occitanico, dunque, scioglie la formazione, immergendola in una pausa discografica che durerà sino al 2000, quando vedrà la luce l'EP di ritorno "New False Prophet". Ma invero è un silenzio che fa rumore; forte del contratto stipulato all'epoca con gli amici della Drakkar Productions, Roussel, d'ora in avanti solitario membro del gruppo e padrone assoluto del monicker, sceglie di pubblicare, con sei anni di ritardo rispetto al previsto e a quattro dall'esordio, l'agghiacciante "Remains Of A Ruined, Dead, Cursed Soul" ("Resti Di Un'Anima In Rovina, Morta, Maledetta"), originariamente intitolato "Evil: The Gestalt Of Abomination". L'opus contiene un lotto di pezzi progettati e scritti in tempi diversi, e tale aspetto, in parte, ne compromette inevitabilmente l'omogeneità: tuttavia, questa sorta di compilation, che per cinque brani su sette appartiene, dal punto di vista cronologico, a un periodo antecedente sia l'EP "Hail Satanas We Are The Black Legions" (1994) sia il debutto effettivo, deve considerarsi, più del first long-playing ufficiale, il reale punto di partenza per l'avvento del DSBM. La drum machine, come posta sott'acqua e programmata con ritmi molto semplici, funge da base a chitarre iper-distorte, affilatissime, e cariche di feedback, e a un basso che, di fatto, interpreta il ruolo del convitato di pietra; i riff, perennemente in tremolo e costruiti su scale minori, oscillano tra il galoppo e il funereo, e a tratti vengono quasi del tutto soffocati da un'ugola di così melodrammatica costernazione da inghiottire, in un biblico stridor di denti, l'intera musica. Uno spettro di elementi introiettati, assieme al lascito di Burzum, nel depressive suicidal successivo, benché, liricamente, la one man band d'Oltralpe abbia sempre soltanto lambito la tentazione dell'autolesionismo finalizzato al trapasso materiale. D'altronde, mentre "Vampires Of Black Imperial Blood" rappresentava il gradino transeunte per una particolare e triste forma di resurrezione, "Remains Of A Ruined, Dead, Cursed Soul" costituisce il frutto di una psiche invischiata in sé stessa, confusa, aspirante fisicamente e definitivamente alla tomba perché non ancora consapevole delle opportunità salvifiche insite nell'abbraccio della regressione tout court. Una liberazione sui generis, s'intende, figlia del tremendo rilkiano e che si ciba del vuoto e del nichilismo, ma bisognosa comunque di un atto volontaristico per scaturire vittoriosa. L'immagine dominante, invece, che il secondo full-length dell'act di Grabels restituisce, risulta quella di un tossicomane esangue, smunto, traboccante di odio e di disgusto totale per la vita (basta guardare, al proposito e sulla cover, la massa di cadaveri accatastati l'uno sull'altro vomitata dal matroneo absidale della cattedrale di Notre-Dame). Vittima di incubi e farneticazioni, e costantemente a un millimetro dall'overdose, William, ansimante e prostrato, non trova niente di meglio che adibire il proprio talento a privata terapia intensiva, in modo da tamponare il dolore e dargli voce. Se prendessimo per buoni e in toto i dati biografici del Nostro circa la sua forte dipendenza dall'eroina e dagli oppiacei in generale (e nulla depone contro al riguardo), allora potremmo tranquillamente avvicinare "Remains Of A Ruined, Dead, Cursed Soul" a "Shine" dei Crime & The City Solution, uno dei più grandi drug album della storia del rock. Al netto delle ovvie differenze di genere e di stile esistenti, entrambi le release aderiscono alla classe di un diario junkie - visionario ed estatico negli australiani, avvilente e oppressivo nella declinazione dei Mütiilation - che, logorante e ipnotico, conosce esclusivamente lo stream of consciousness quale mezzo di comunicazione e condivisione. Certo, qualche tema affrontato dal transalpino resta, almeno in superficie, legato all'universo BM tradizionale (possessione diabolica, vampirismo); eppure, l'allure metaforico sovente caratterizzante la penna di Meyhna'ch lascia adito a continue sovrapposizioni di significato che permettono una lettura non univoca dei testi e paragoni con entità artistiche distanti soltanto in apparenza. Aggiungendo una mente devastata dai narcotici, ecco che "Remains Of A Ruined, Dead, Cursed Soul", disperato, discontinuo, lancinante, merita uno status di culto forse addirittura superiore a un "Vampires Of Black Imperial Blood" comunque inimitabile per songwriting e simbolismo. In ogni caso, incroyable!
Suffer the Gestalt
Prima di addentrarci nel commento dei brani, occorre sottolineare come la produzione si ponga a metà tra la relativa pulizia di "Hail Satanas We Are The Black Legions" e i livelli infimi di "Vampires Of Black Imperial Blood": ci troviamo sempre dalle parti di uno scantinato umido e maleodorante, ma, pur appartenendo alla genia di un radicalismo divenuto col tempo proverbiale, "Remains Of A Ruined, Dead, Cursed Soul" si fregia, a suo modo, della medaglia del semiascoltabile. E non poteva che toccare all'acidume sconclusionato di "Suffer The Gestalt" ("Subire La Gestalt") aprire le danze in maniera che definire terrificante sarebbe già un complimento benevolo. Un'opener strategica, capace di tracciare il solco lugubre su cui si muoverà il lavoro e che, al di là della disperazione corrosiva interna, suscita una certa attenzione per due elementa peculiari. In primo luogo risalta immediatamente nel titolo un termine che avevamo incontrato analizzando la penultima traccia dell'LP di debutto, "Under The Ardailles Night": ancora una volta il riferimento alla Gestaltpsychologie appare palese, eppure, in questo frangente, l'assunto della totalità dei fenomeni mentali, base fenomenica e allegorica delle Légions Noires, sembra soccombere di fronte alla scomposizione strutturalista di un soggetto individuale devastato dall'eroina e sciolto da qualsiasi vincolo di branco. Il secondo aspetto riguarda un interessante parallelismo con il coevo "Obscuritatem Advoco Amplectere Me" (1993), l'esordio tutto noise, dark ambient e sevizie degli Abruputm, la creatura malsana di Evil e It. Meyhna'ch approfondirà, attraverso il side project dei Satanicum Tenebrae, il versante più visceralmente sperimentale della propria musica con esiti certo non eccezionali; intanto, nella pista presente, l'ombra degli svedesi, non sappiamo se per tape trading, coincidenza, Zeitgeist o ricostruzione a bocce ferme, emerge tangibile, concreta, decisiva. Il pezzo, infatti, dopo un baritonale clangore di vetri rotti, inizia con un gemito a dir poco disumano, accompagnato da una batteria, qui suonata da Krissagrazabeth, decisamente floppy; poi subentra un riff minimale e monocorde che presto si evolve in un assolo sovraccarico di feedback, con un Roussel simile a un demone analfabeta capace soltanto di strepitare e inabile nel proferire parole di senso compiuto. La chitarra, stridula e dissonante, occupa nel mix uno spazio enorme, incuneandosi rumorosa e brutale negli interstizi di un caos e di un'aggressività prive di significato; l'atmosfera, piena di riverberi, echeggia delle grida spasmodiche di un'anima torturata sin nel profondo, di tenaglie bollenti che strappano la carne viva da un corpo martoriato e accartocciato su sé stesso. La canzone, volendola definire tale qualora si segua uno standard dodecafonico di assenza di funzioni tonali, procede così per tre minuti e mezzo, non conoscendo alcuna scia melodica, né struttura razionale, con variazioni sui tom quasi casuali, alte frequenze sparse ovunque e un testo praticamente inesistente. Una descrizione complessiva che evidenzia da un lato la stretta consanguineità di questi Mütiilation con il duo scandinavo supra citato, riscontrabile, benché in misura minore, anche nel prosieguo del lotto; dall'altro Meyhna'ch porta alle estreme conseguenze l'eredità timbrica di Per Yngvel Ohlin, alias Dead, inasprendone il pitch e l'efferatezza, senza dimenticare, inoltre, il travaso, nelle pieghe del disco, di molti tratti del pensiero disturbato del frontman dei Mayhem. A differenza del quale, però, Willy, pur ciondolando da corvo putrefatto, non si farà saltare la testa: "Suffer The Gestalt" rasenta soltanto il suicidio, riducendosi ad apoteosi di vene recise e ricucite alla buona. Perché nella vita si soffre, sempre.
To the Memory of the Dark Countess
L'interesse dei Mütiilation per gli undead, concreto e metaforico, appare quasi morboso, tanto da scriverci su un album della forza e della teatralità di "Vampires Of Black Imperial Blood". Un'attenzione così dinamica e stimolante da spingere Meyhna'ch a illustrare le avventure terribili della famigerata Erzsébet Bathory, oggetto di indagini storiche e trasposizioni cinematografiche e letterarie, oltre che protagonista di celebri canzoni in ambito metallico (su tutte, "The Dark Countess" dei Venom ed "Elisabeth Bathory" dei Tormentor); e Bram Stoker, probabilmente, ne tenne presente azioni e carattere per modellare il suo "Dracula". Roussel, accodandosi alla sfilza delle rivisitazioni d'autore, compose, senza alcun timore reverenziale, una splendida "To The Memory Of The Dark Countess" ("In Memoria Della Contessa Oscura") che, per il tema trattato e lo stile, avrebbe potuto tranquillamente trovare collocazione nel full-length di debutto, accanto a brani narrativi come "Born Under The Master's Spell" e "Transylvania". Un panegirico crudele, dunque, dedicato alle imprese orrende dell'aristocratica dell'Europa orientale, introdotto da una chitarra che simula una trenodia distorta e melodica, su cui, in aggiunta a blast beats ovattati e fuori fase, la voce del singer procede per frequenze altissime e frastornanti. Pare di ascoltare, per certi versi, le vecchie demo dei Sohrin, a testimonianza, guardando anche a "Suffer The Gestalt", della correità (consapevole?) del black svedese meno ortodosso nella tessitura ordita dal transalpino. Improvvisamente la marea cacofonica si ritira in secca, con l'asociale sei corde che, pizzicata da guanti rugginosi, accompagna il racconto delle atroci passioni della donna e del tragico destino che l'avvolse. Una famiglia ricca, potente e folle, quella dei Bathory; complice probabilmente la consanguineità, numerosi membri della casata soffrivano di schizofrenia e di disturbi mentali associati. La contessa, isolata nel castello, ora in territorio slovacco, di ?achtice, provava un sadico piacere nel seviziare ragazze appena adolescenti, con l'aiuto di servitori e subalterni: dava fuoco a pezzi di carta infilati tra le dita dei piedi delle vittime, costringeva le giovani a stringere nelle mani monete incandescenti, sfregiava i volti delle cameriere con ferri roventi, soleva cucire tramite ago e filo la bocca di presunte bugiarde, conficcava aghi sotto le unghie, spalmava di miele il corpo di ipotetiche ladre al fine di darle in pasto agli insetti, bruciava gli organi genitali femminili attraverso l'utilizzo di una candela. Il passo cadenzato permette una fruizione completa dei crimini perpetrati, sino a un'accelerazione concitata e parossistica, benché sempre dall'impatto smorzato, durante la quale si raggiunge un duplice acme lirico. Mentre un feedback pungente funge da partner maniacale, William prima schiamazza ossessivo sulla nefanda abitudine di Erzsébet di fare il bagno nel sangue delle vergini da lei uccise per preservare la bellezza della propria pelle dall'usura del tempo, poi gracchia viscoso della triste conclusione della vicenda, con la contessa che venne murata viva, a mo' di castigo, in una delle stanze del maniero avito. Al pari di una sinfonia, si torna al motivo musicale che innerva il pezzo, e da lì, dopo un ululato di disperazione, sopraggiunge il silenzio: la serial killer ungherese cede al trapasso. Malattia? Suicidio? Alla fin fine non sembra molto importante. Figlio della notte e dell'angoscia, a Meyhna'ch preme mettere in evidenza non soltanto la natura vampiresca dell'omicida, ma specialmente il simbolismo insito nella sorte da lei subita causa i seicento delitti commessi. Una sorte, il continuare a esistere, peggiore della condanna a morte più brutale e feroce, e non per rimorsi di coscienza o per lo staffile acuto del pentimento. La parabola di "To The Memory Of The Dark Countess", intende suggerire che, al di là del fascino spettacolare esercitato dalla depravazione e dalla moralità corrotta, il vero significato del resoconto dimora nell'epilogo, quando, forse per la prima volta, sentiamo a noi vicina la nobile magiara. Sola, disperata, dannatamente umana.
Possessed and Immortal
"Possessed And Immortal" ("Posseduto e Immortale"), insieme a "Travels To Sadness, Hate & Depression", è il brano che maggiormente anticipa i frutti raffermi del depressive suicidal black metal, oltre a suscitare una ridda di letture testuali sovrapponibili e davvero stuzzicanti: esegesi, fortunatamente, mai univoca quella cui si prestano i Mütiilation. Partiamo innanzitutto dal primo livello interpretativo, che fondamentalmente riguarda la vexata quaestio dell'interesse per il satanismo da parte di Meyhna'ch. Sappiamo, sin dall'esame dell'EP "Hail Satanas We Are The Black Legions", che il transalpino, dopo aver abbracciato, per naturale osmosi, le tematiche diffuse dall'Inner Circle norvegese, ne esasperò rapidamente i tratti essenziali, incasellando la figura del Maligno in una delle innumerevoli manifestazioni allegoriche dietro le quali velare e veicolare ben altri contenuti. Roussel, infatti, sembra appropriarsi, nel pezzo, della concezione proto-cristiana della possessione diabolica, ordinata direttamente da Dio al fine non tanto di testare la fede dell'ossesso, quanto di battezzarne un secondo e definitivo ingresso nell'ecclesia dei devoti. Residui di riti di iniziazione pagani, che nel caso del Nostro falliscono miseramente: tra l'essere invasati da una consapevolezza crudele o il correre dietro a false illusioni, il rinnegato sceglie la via del dolore, unica realtà tangibile in un mondo di per sé orribile. Per ora, tale presa di coscienza non prospetta nessuna visione di palingenesi futura, bensì soltanto una condizione eterna e immutabile, icasticamente rappresentata da un inizio brano gonfio, frondoso, nel quale rullante e chitarra marziali operano da sfondo per una voce sussurrata e raccolta in preghiera. Si percepisce, in filigrana, un lieve afflato epico/magico così seducente da essere tenuto in grande considerazione dai Seigneur Voland, capofila dell'NSBM francese, che, nel mini omonimo pubblicato nel 2001, cercheranno, per diversi scopi e con successo, di ricreare. Tuttavia, un po' al pari di "To The Memory Of The Dark Countess", il ritmo presto si adagia su un mid-tempo intervallato da brevi accelerazioni e improvvisi scoppi di assoli dronici e a-tecnici. A reggere le fila del pezzo provvedono una linea melodica costantemente identica a sé stessa, malinconica e terrea, e l'ugola del singer, di un'intensità incredibile, mai a corto di fiato e che, negli ultimi due minuti, all'aumentare contemporaneo di velocità e cacofonia, raggiunge inumani picchi burzumiani. Nelle atmosfere deprimenti che invadono la selvatica coda della canzone, scopriamo un ulteriore strato esplicativo capace di integrare le congetture proemiali: la scena evocata vede protagonista uno spirito afflitto e solitario, chiuso all'interno di una stanza priva di mobili, finestre e ammennicoli vari, circondato da bottiglie vuote, mozziconi di sigaretta, panni sporchi e laceri. La luce flebile delle candele illumina un materasso saturo di vomito giallastro, sui cui bordi siede un uomo, pronto, rasoi in resta, a tingere del proprio sangue le pareti spoglie della camera. Nonostante la bramosia urticante del suicidio, tentenna, preferendo alla fine l'oblio dell'eroina sparata direttamente nelle vene nere e pulsanti: ecco che "Possessed And Immortal" prende d'improvviso - ma neanche troppo - la fisionomia del taccuino di un tossicomane sull'orlo del baratro senza ritorno, ancora in piedi esclusivamente per merito della dipendenza, e che appare molto lontano da qualsivoglia aspettativa di rigenerazione. La catarsi, come evidenziato durante l'analisi di "Vampires Of Black Imperial Blood", approderà a bomba, benché l'esito non porterà nulla di consolatorio né di balsamico. I secondi conclusivi lasciano la ribalta alle grida barbare di Meyhna'ch che, praticamente, calpestano ogni segno di vita (e di musica) nel nome della misantropia più venefica e astiosa: Malefic, alias Xasthur, non resterà insensibile agli insegnamenti del Maestro occitanico.
Through the Funeral Maelstrom of Evil
Tre fratelli norvegesi, di professione pescatori, mentre praticano l'attività loro precipua, vengono sorpresi da una violenta tempesta: l'imbarcazione, in balia delle forze del mare, finisce inghiottita da uno strapiombo conico, il Maelström, e attirata verso il fondo. Quando le acque si acquietano, il solo superstite, aggrappato a un barile vuoto, giunge, sospinto dalle correnti, a riva: dopo tale terribile esperienza, però, il fisico e la mente del personaggio mostreranno un precoce invecchiamento. La breve descrizione di uno dei racconti migliori di Edgar Allan Poe, "A Descent Into The Maelström" ci serve per creare quei parallelismi colti che l'ascolto di parecchi dei pezzi dei Mütiilation automaticamente istigano. Già di per sé l'opera complessiva dell'autore statunitense si presta a una moltitudine di interpretazioni, tanto che, nel corso del tempo, vari studi letterari e psicanalitici ne hanno svelato sottintesi e significati impliciti. Chiaro che Meyhna'ch, in "Through The Funeral Maelstrom Of Evil" ("Attraverso Il Funereo Maelstrom Del Male"), consideri il gorgo abissale non soltanto come un vortice depressivo dal quale l'atto coraggioso dell'emergere equivarrebbe ad abdicare alle usuali abitudini di dipendenza tossica; invero, la discesa in suddetta voragine di liquido nero e colloso permette al francese di scorgere un piccolo spiraglio di luce. Novello Elric che attraversa gallerie tenebrose perdendo il senso della propria consistenza e del proprio destino, Roussel comincia a comprendere quanto la vita non possieda scopo né finalità trascendenti: male e sofferenza, inutile nascondersi, appaiono le uniche strade percorribili da uno spirito lacerato dalla rivelazione di una brutale verità. Il principio del brano in palm muting scaraventa l'ascoltatore nel mezzo del baratro: una brusca caduta senza pioli cui afferrarsi, battezzata da un riffing melodico e petroso, scandito da colpi di batteria dapprima velocissimi, poi gradualmente meno alacri, e da un generale timbro dissonante di sapore atmosferico/sepolcrale. I fraseggi si aprono a un crescendo eufonico baciato da trine di tasiere minimali e dalla voce sempre intensa, ma meno penetrante del consueto, del singer transalpino, con la gola stretta tra i muggiti canicolari dei flutti infernali e i rottami di anime alla deriva perse in una fitta caligine. Da qui parte una cesura che permette a William di esercitarsi in una sorta di drammatico recitativo, seguito dalla ripetizione della strofa iniziale e poscia da un ulteriore break in semi-spoken word: la disforia della musica, pur strutturata razionalmente, traduce gli arabeschi emotivi dell'artista, indeciso se tentare una faticosa, e forse impossibile risalita, o continuare ad affondare lentamente nel mulinello, abbandonandosi alle leggi del cilindro di Anassimandro. È in questo frangente di perplessità melniboneana, corroborata da alcuni millesimi di secondo di silenzio assoluto, che compare la chitarra acustica: interludio riflessivo che sembra trasportare il corpo del protagonista nel nucleo più profondo del turbine, simbolo di un ancestrale grembo materno dove trovare un senso di pace e sicurezza non replicabile in un mondo esterno cinico e raccapricciante. L'utopica pausa dura un attimo, anzi il ritorno alla realtà si concretizza con una ferocia inaudita, pari soltanto alla forza rasserenante dell'illusione di rinascita coltivata per qualche istante: il ritmo impastato e a rotta di collo trasuda impotenza nell'agire e rabbia salivante sino a una conclusione esclusivamente strumentale che, come spesso accade nei fade-out della one man band francese, risponde ai canoni rumoristici schönberghiani. Terrore e bellezza oscura, incubi e sogni di inumazione oceanica, dannazione e trasfigurazione, la speranza laconica di una fievole bagliore e la consapevolezza nietzscheana che l'uomo e l'abisso si scrutino continuamente e a vicenda, con conseguenze del tutto imprevedibili. "Through The Funeral Maelstrom Of Evil" lascia scossi, confusi, tremanti.
Travels to Sadness, Hate & Depression
Seconda pista del lotto, dopo "Possessed And Immortal", che si avvicina di molto, influenzandolo, all'universo DSBM, "Travels To Sadness, Hate & Depression" ("Viaggi Verso La Tristezza, L'Odio E La Depressione") costituisce l'iconico e rancoroso viaggio di Meyhna'ch tra brame d'abiezione, nausea per la vita, autoderisione ed estraneità. Bisogna sottolineare come sia hate (parola non a caso posta al mezzo del titolo) la chiave per comprendere cause e conseguenze dapprima della tristezza, poi della depressione. Del resto, se non c'è eroe senza traditore, né idillio senza una controparte perfida, se non si può far satira senza mettere all'indice la menzogna, né elegia priva dell'assassino dell'amato, né comico che rigetti l'infame, ecco che iniziano i problemi. Il disordine, infatti, nasce nel momento in cui non si sa verso chi rivolgere l'odio, in cui l'intelligenza del peccato vieta l'avversione verso il peccatore, in cui, morto persino Satana, la figura da detestare si stempera e si spersonalizza, in cui la riflessione sul sistema impedisce di esecrarne i delegati, in cui il tabù per la manifestazione del peggior livore raggela anime e corpi attraverso l'inazione. Quindi cosa rimane da distruggere? Sé stessi, dice Roussel. E l'intro strumentale, della durata di un minuto, con quella drum machine piatta e ruvida che bascula sul declivio del dolore e quell'arpeggio chitarristico simulante lo strisciare di un serpente fra le crepe riarse dell'angoscia, prepara il terreno allo screaming acuminato dell'occitanico. Il singer entra a gamba tesa e il ritmo diventa consistente, pur subendo continue variazioni di pieni e vuoti che da un lato denunciano una voluta trasandatezza dell'esecuzione, dall'altra simboleggiano un animo dilaniato da insanabili gibbosità esistenziali: aspetti che si alimentano a vicenda, naturalmente. La linea melodica appare sempre chiaramente percepibile, ma come deformata da riff sbalzati da uno scalpello dalle dentature irregolari che crepita su corde sfrangiate connesse direttamente alla ghiandola pineale. A centoventi secondi dalla conclusione si materializza un feedback stordente che segna una breve cesura; la cadenza zigzagante accompagna urla disperate e argentine che Nattramn dei Silencer estremizzerà all'inverosimile nell'unico album registrato dalla band svedese, "Death Pierce Me" (2001), riverito capolavoro da ricovero psichiatrico. Da qui il pezzo assume per qualche istante la spietatezza del raw darkthroniano di "Transilvanian Hunger", eccitando la massa zoomorfa delle creature diaboliche interiori, mentre rivoli di sangue gocciolano rantolanti sulle tetre mura di un servaggio alogico, rabbioso e tinto di sofferenza; tuttavia, subitaneamente, cala ancora più fonda l'ombra del totale tenebrore, asperso di sistri vocali e coronato da una chiusa malinconica in dissolvenza. Un pezzo che sembra richiamare le parole di Lafcadio Hearn che, decontestualizzate e inserite nel mood della traccia, suonano al pari di un testamento e di una condanna per il transalpino: "Ci sono delle anime che anelano a spiccare il volo, altre che vogliono nuotare, altre che desiderano vivere sulla cima delle montagne, nelle foreste, nelle grandi città, ai tropici, anime conservatrici delicate e leali all'impero, al feudalesimo, e anime nichiliste che meritano la Siberia". Ebbene, forse il Nostro non ha mai toccato il sacro cuore di ghiaccio e neve della Russia orientale, di certo ha raggiunto l'ipocentro del proprio spirito, sedotto da lusinghe suicide mi attuate e pian piano tendente alla mostruosa rinascita. "Travels To Sadness, Hate & Depression" e il disco (quasi) intero rappresentano, in questo senso, un percorso progressivo di esaltazione mistica degno della setta dei flagellanti: fustigazione e salvezza, fuori da qualunque canone carismatico, si allacciano in un rito di scambio e purificazione che profuma di sadismo eretico. Il profilo di un uomo nuovo borda i contorni dell'orizzonte.
The Fear That Freeze
Con "Travels To Sadness Hate & Depression", il nucleo organico di "Remains Of A Ruined Dead, Cursed Soul", può considerarsi conchiuso: le due tracce che presenziano in coda all'album, infatti, vennero registrate all'indomani dell'uscita di "Vampires Of Black Imperial Blood" e suonano decisamente raffinate e immediate, perlomeno rispetto al resto del lotto. Ciò che subito colpisce in "The Fear That Freeze" ("La Paura Che Congela") è la qualità della produzione, indiscutibilmente migliore se paragonata ai brani testé analizzati: chiara, quasi del tutto pulita, forse anche superiore a quella sperimentata in "Hail Satanas We Are The Black Legions". Altro elemento importante risulta il cambio dello stile: mentre nelle tematiche appare conservato il mood depressivo caratterizzante gran parte del disco, diverso il discorso per quanto riguarda la musica, orientata verso un black metal norvegese di foggia antica, tra Darkthrone e Mayhem per amor di precisione. Ce ne accorgiamo istantaneamente dal riff d'apertura in tremolo picking, circolare, freddo, magnetico, dai minimali blast beats schiacciati da tonnellate di cadaveri all'interno di una fossa, e dalla voce di Meyhna'ch che, pur nella sua peculiare acetosità, si avvicina ai toni salmodianti e sinistri del buon Attila Csihar. Il brano procede imperterrito per cento secondi, distribuendo a man bassa atmosfere polari in lo-fi, capaci di riprodurre sulla pelle e nel cuore l'odore della paura che blocca e congela. Di fronte a un pericolo, a una minaccia, i carichi di adrenalina si propagano attraverso le vene, aumentando la frequenza cardiaca, pompando sangue ai muscoli e spostando l'attenzione del cervello, che in realtà comanda ogni fase descritta, in direzione di un focus molto singolare: Combattere? Allontanarsi? Nel momento decisivo il singer si dilegua, il fraseggio diventa estremamente melodico, tragico, con sporadici crash a conferire un'impostazione teatrale all'insieme: un minuto secco che fotografa l'istante fatidico e inesorabile in cui l'effetto freezing, per usare un lemma psicanalitico, prevale sia sulla reazione d'attacco che sull'opzione di fuga. Nel lessico metaforico dell'occitanico tale paralisi afferisce all'angoscia che ghermisce e imprigiona, riempiendo il soggetto di una paura ingiustificata ed enorme, di ansia, di inquietudine, di un'indefinibile tristezza. Un caleidoscopio di emozioni avverse che causano un malessere profondo: l'angst, parola tedesca evocante l'oppressivo e l'angusto, emerge alla stregua di una sentenza priva di vie d'uscita. La corsa riprende sui medesimi binari iniziali, benché la chitarra assuma contorni ancora più torvi, Roussel si produca in un cantato pulito da brividi e, in generale, spicchi una tendenza al sinfonismo sgargiante (per gli standard del platter, ovviamente) già osservato nelle maglie strutturali del full-length d'esordio e teso a sottolineare la potenza pervasiva di un incoercibile dolore esistenziale. Nei millesimi finali, a ricordare all'ascoltatore che trattasi comunque e sempre dei vecchi Mütiilation, l'ululato cartavetrato di William suggella di cera laccata di nero il pezzo. Pezzo che, a naso, non avrebbe sfigurato come bonus track in "De Misteriis Dom Sathanas" o "Transilvanian Hunger", malgrado i contenuti veicolati, che originano da Freud, Heidegger e Sartre, pongano il songwriter transalpino su un piano diverso, nel quale le esasperazioni, oseremmo dire logiche, da poète maudit, convivono con l'impatto drammatico di vicende autobiografiche segnate dalla droga e dalla costernazione e con riferimenti colti di molteplice sorgente. Cicerone, in un passo delle "Tusculanae Disputationes", opera filosofica scritta con l'intento di divulgare a Roma i principi dello stoicismo, afferma che l' "Angor (est) aegritudo premens" ("L'angoscia è un dolore opprimente"): un aforisma adatto quando si voglia descrivere in una breve battuta il senso di disagio derivante da "The Fear That Freeze". D'altronde, classico chiama classico.
Holocaust In Mourning Dawn (French Version)
Inclusa già nella demo del 1994 "Satanist Styrken" come "Infernal Holocaust In Mourning Dawn", canzone scritta in inglese e caratterizzata da una durata leggermente maggiore, "Holocaust In Mourning Dawn" ("Olocausto Nell'Alba Piangente") venne reincisa da Meyhna'ch, insieme a "The Fear That Freeze" e in lingua madre, dopo la pubblicazione di "Vampires Of Black Imperial Blood". Le due piste, rimaste dei cani sciolti in attesa di collocazione, beneficiarono della fausta sorte di partecipare alla scaletta di "Remains Of A Ruined, Dead, Cursed Soul", da cui, però, si distaccano per stile e registrazione. Mentre la coppia adulterina resta accomunata da una produzione di ottima fattura e dalla stretta parentela col black metal norvegese, il brano presente, pur conservando nelle tematiche un generico accento depressive, adotta la visuale demoniaca di "Hail Satanas We Are The Black Legions". Non pochi considereranno, e a ragione, "Summer Of The Diabolical Holocaust" dei Darkthrone di "Under A Funeral Moon" l'archetipo nominalistico/atmosferico della traccia qui in esame; ma possiamo anche spingerci decisamente oltre nelle valutazioni, visto che il corpo del pezzo dei Mütiilation appare quasi una versione disossata dell'originale scandinavo. In ogni caso, al di là delle consanguineità manifeste, ciò che preme evidenziare è quanto la specificità apocalittica del pezzo ricamato da Roussel non indulga mai in un epico trionfo, bensì si dipani attraverso una malevolenza digrignante e un lieve sentore malinconico. Eppure, l'introduzione prefigura l'inizio di una cavalcata infernale, con quel piglio thrashy nel ritmo, la chitarra che sferraglia, e un'esplosione rumoristica da ordigno nucleare; presto, però, il main riff, circolare e dalla melodia luttuosa, emana lezzo di carcasse bruciate e decomposte, sulle quali il singer arrota uno screaming sobrio e incisivo. Ci troviamo nel bel mezzo della lotta finale tra Bene e Male: se l'ultimo libro del Nuovo Testamento dispiegava un repertorio di eventi e immagini intrisi di simboli e violenza, con la vittoria definitiva Cristo nella Gerusalemme celeste, Roussel ne rovescia l'esito, ponendo il Diavolo, e quindi l'uomo, sul trono della Gerusalemme terrena, senza nessuna ricompensa divina e una corsa sfrenata al genocidio e alla depravazione. Una visione controversa, che alimenterà le fantasie nazi-sataniche di Gestapo 666 ed Hell Militia, gruppi, soprattutto il secondo, nei quali il Nostro ricoprirà, non certo per congiuntura accidentale, il ruolo di frontman. Intanto, il fraseggio si fa atonale, freme al pari di selce sui ciottoli, poi divampa un'accelerazione a motosega seguita ancora da una pausa: il cantato in francese esacerba e rende inquietante il clima irrespirabile della catastrofe, ovunque macchiata da sangue e soprusi. Nel finale, i rintocchi della campana funebre della prima versione declinano a favore di un gracchiante clangore proto-industrial che sommerge arpeggi e batteria, e trasforma in palpabile baraonda suggestioni d'ordine nero. L'album, dunque, non poteva che chiudersi su note funeste, benché meno legate all'individuo singolo rispetto al tono complessivo del lotto; ivi, la riflessione si apre a una sorta di profetismo, magari un po' ingenuo e standardizzato, che assurge a una funzione rivelatrice circa il destino dell'umanità. Meyhna'ch incarna il ruolo dell'angelus interpres, di colui che svela i misteri inaccessibili ai mortali e le prospettive per l'avvenire: soltanto che la missione, affidatagli dal Maligno, ha lo scopo di comunicare al mondo le temibili conseguenze e i foschi tributi da pagare nell'avvinghiarsi alla fide inversa. Volente o nolente, la one man band transalpina giunge a un capolinea per molti versi tradizionale e premonitore di ambigui progetti personali, e che assimila a sé le parole proferite, all'epoca, dalla bocca putrida di Nocturno Culto: "Come the raging chaos, rule power from your soul / Pure demoniac blessing as I kill myself in woe" ("Arriva il caos furioso, comanda il potere dalla tua anima / Pura benedizione demonizzata mentre mi uccido con dolore"). Epitaffio più che dignitoso.
Conclusioni
Tiriamo, dunque, le fila e le conclusioni di "Remains Of A Ruined, Dead, Cursed Soul" attraverso una serie di osservazioni delucidative in merito. Secondo full-length dato alle stampe, ma cronologicamente e per cinque tracce su sette appartenente a un periodo anteriore a "Vampires Of Black Imperial Blood", il disco si rivela uno dei lavori precursori, in linea diretta, del DSBM, oltre che un ricettacolo di stimoli per l'emersione del NSBM locale. Non sfuggirà all'osservatore attento la stretta similitudine tra l'artwork dell'album dei Mütiilation e quella di "Black Gestapo Metal" (2005), debutto dei Gestapo 666, combo nazi-satanico guidato da Noktu, leader dei Celestia e padrone della Drakkar Productions, e nel quale Meyhna'ch militò per un breve periodo: da un lato un agglomerato di cadaveri ammassati all'interno di una chiesa, dall'altro la foto raccapricciante di una pila di corpi esanimi pronti per i forni di Auschwitz. Ora, malgrado l'Endlösung der Judenfrage e affini non rientrassero negli interessi speculativi di Roussel, un brano del significato ambiguo di "Holocaust In Mourning Dawn" poteva facilmente porgere la stura a interpretazioni dal sapore autocratico. Invero l'artista di Grabels, nonostante la partecipazione a progetti controversi (Hell Militia) ideologicamente, non ha mai davvero palesato simpatie nazionalsocialiste, al di là di alcune convergenze di superficie che non appaiono difficili da reperire in un genere dell'estremismo polimorfo del black metal, per cui qualsiasi manifestazione di oscurità risulta la benvenuta. Diversa, invece, la fascinazione operata dal del rifferama semplice, ripetitivo e maniacale della one man band transalpina sulle sonorità NS di Kristallnacht e Seigneur Voland, che se ne appropriarono adattandolo allo stile loro precipuo. Eppure "Remains Of A Ruined, Dead, Cursed Soul" rappresenta soprattutto l'anamnesi di un uomo che, malgrado le dovute concessioni al folklore (sempre intinte, comunque, nelle metafore più sottili), presenta i sintomi di una depressione acuta, affrontata con il pernicioso ausilio dell'eroina. Come detto nell'introduzione, ed è un concetto che vale la pena ribadire, il platter costituisce il taccuino musicale di un tossicodipendente sull'orlo del suicidio, che riesce, nella prostrazione assoluta, a resistere alla malsana tentazione. La sofferenza fisica di "Suffer The Gestalt", il taglio dannatamente depressive di "Possessed And Immortal" e "Travels To Sadness Hate & Depression", il gelo inibente di "The Fear That Freeze", attraccano sulle battigie di una Via Crucis personale non scevra di un lieve compiacimento morboso, e bilanciata dal clima narrativo di "To The Memory Of The Dark Countess" e dai barlumi di rinascita di "Through The Funeral Maelstrom Of Evil": un paio di brani, quest'ultimi, che diluiscono, in qualche modo, la disperazione abissale che avvolge l'opus. Proprio a proposito dell'umore nero del lotto, in una delle rarissime interviste rilasciate, Roussel ne sembra sintetizzare al meglio la radice: "Sono dalla parte di Satana e desidero ardentemente la distruzione dell'umanità, ma non so se potrei essere considerato un satanista perché non faccio rituali. Seguo i miei codici e non credo sia necessario celebrare messe nere per odiare il mondo in cui viviamo Credo anche Dio sia l'icona più rappresentativa della debolezza e dell'ipocrisia dell'umanità. Spero solo che dopo la morte mi sentirò meglio che in questo mondo pietoso. È così insopportabile a volte, mi auguro che un giorno tutto finisca". Dal versante, poi, del sound prodotto, assistiamo a una displasia che separa la coppia dei pezzi conclusivi, ispirati molto da vicino al trve kult norvegese, dalla prima sezione della scaletta, connessa, al contrario, allo stile classico dei Mütiilation: displasia causa principale di quella discontinuità che non permette all' LP di porsi al medesimo livello di "Vampires Of Black Imperial Blood". La ragione risiedeva nella volontà della label di rimpinguare una tracklist altrimenti scheletrica, benché il minutaggio, as usual, si aggiri mediamente sui sette minuti per pezzo; scelta giustificabile che, però, mina l'uniformità complessiva di un lavoro compilativo già nato ex post, e divulgato, in teoria, anche per annunciare la nuova morte del Nostro dopo la precedente avvenuta nel 1996. Vicenda curiosa e grottesca, e che trova nelle parole dell'occitanico stesso una spiegazione plausibile: "La prima fine di Meyhna'ch è stata davvero conseguenza di come mi sono sentito durante quegli anni neri di silenzio, e penso che sia stata una specie di suicidio. In realtà, però, discograficamente non ero morto, ma dormiente, e aspettava soltanto di provare abbastanza odio per tornare". Tanto che la maggior parte di "Black Millenium (Grimly Reborn)", terza fatica sulla lunga distanza e uscita soltanto nel 2001 per problemi con l'etichetta, in realtà venne scritta quasi interamente nel 1999, anno di pubblicazione del presente album. I resti di un'anima in rovina, morta, maledetta, stavano per ricomporsi in un'ulteriore incarnazione, con le Légiones Noires ormai definitivamente alle spalle e un futuro dinanzi gravido di autocoscienza e nichilismo.
2) To the Memory of the Dark Countess
3) Possessed and Immortal
4) Through the Funeral Maelstrom of Evil
5) Travels to Sadness, Hate & Depression
6) The Fear That Freeze
7) Holocaust In Mourning Dawn (French Version)