Mütiilation
Rattenkönig
2005 - Ordealis Records
GIOVANNI AUSONI
16/06/2022
Introduzione Recensione
Dopo il putrido "Majestas Leprosus" (2003), un concept diviso in tre atti che descriveva il progressivo deterioramento psichico e spirituale di un allegorico vampiro afflitto dallo spleen e dalla decadenza, sembrava inverosimile che un nuovo capitolo a firma Mütiilation potesse superare la gigantesca profondità del predecessore. Investita da un furor creativo, spia di un quasi certo commiato dall'utilizzo sregolato di varie sostanze tossiche da parte di Meyhna'ch, nel 2005 la one-man band occitanica si rende protagonista di due lavori diversi per formato e finalità, che segnano una tappa fondamentale all'interno della carriera del transalpino, tanto per ciò che concerne il songwriting quanto a livello di riconoscimento personale. Un riconoscimento quale padre della scena oscura francese, testimoniato dall'uscita, attraverso End All Life Productions, di "From The Entrails To The Dirt", split di dissimulato sapore NSBM nel quale compaiono, accanto a uno dei side project di Willy, gli effimeri Malicious Secrets, e ai Mütiilation stessi, gli Antaeus e i Deathspell Omega post "Si Monumentum Requires, Circumspice", connazionali nati e cresciuti durante i '90, all'ombra degli accoliti del leggendario cenacolo bretone. Nel medesimo anno, ancora per Ordealis Records, Roussel pubblica "Rattenkönig", il quinto album sulla lunga distanza della sua creatura principale che, se bene o male risulta analogo dal punto di vista tecnico al full-length precedente, rispetto a esso, nel complesso, suona decisamente più corrotto e malato. La strada appare quella maestra inaugurata da "Black Millenium (Grimly Reborn)" nel 2001: la produzione vagamente professionale e l'impiego razionale di voci filtrate, sintetizzatori e drum machine, conferiscono al malsano black di ascendenza darkthroniana dell'act di Grabels un aspetto quadrato, forse anche prevedibile, ma che, pur perdendo qualcosa in rapporto alla spontaneità semi-amatoriale degli esordi, guadagna molto nel campo dell'intelligibilità e della robustezza. Le ragioni di tale cambiamento affondavano nella volontà di Roussel di uscire, dopo un assordante silenzio discografico, dall'isolamento a tratti snobistico delle Legioni Nere al fine di divulgare il proprio odio e disprezzo verso una società destinata alla rovina e di cui egli stesso si fa profeta apocalittico, vestendo i panni del Nosferatu, il reietto antonomastico, che si affida alla protezione di Satana soltanto per annientare un Onnipotente fedifrago. Nel caso di "Rattenköning", stampato direttamente in CD e non in copie limitate su vinile - altro chiaro indizio di (relativo) anti-elitarismo -, il succhia-sangue cala la maschera per mostrare il volto aguzzo di un Cristo ossessionato dall'alcol, dalla droga, dal sadomasochismo, da pensieri suicidi, non figlio di Dio, bensì del Diavolo, inviato sulla Terra con una corona di ratti sul capo traboccante sangue ed escrementi, effigiata per l'occasione su una copertina dai colori lividi, parimenti sobria e repellente. Niente di particolare, si dirà, le dipendenze dell'occitanico sono cosa nota, tuttavia qui vengono raccontate da lontano, con la partecipazione glaciale tipica di chi guarda a eventi traumatici del passato senza provare emozione alcuna, a parte un velo di strana malinconia. Tale forte distacco tra io lirico e autore permette al transalpino sia di scavare a fondo nella mente e nell'animo del proprio alter ego sia di indulgere con voluttà in particolari riprovevoli e orripilanti, raggiungendo in entrambe le operazioni un acme qualitativo notevole. Da sottolineare, poi, come la presenza della componente letteraria/cinematografica intrisa di decadentismo fin de siècle e di riferimenti a svariati film gotici appaia qui affiancata da un gusto urbano parente delle opere di Abel Ferrara e del Martin Scorsese degli anni'70: reminiscenze, legami, nessi, che accompagnano la vecchia Maestà Lebbrosa, ora cinta di diademi e attorniata da vermi e roditori, attraverso le sabbie mobili di un abisso privo di confini ove galleggerà in eterno, fondendosi con il gelido buio circostante. Il dolore cosmico, oltre le sfere dello spaziotempo.
That Night When I Died
L'opener di "Rattenkönig" rappresenta il perfetto aggancio che lega questo album sia al precedente "Majestas Leprosus" sia al futuro "Sorrow Galaxies" (2007), la sublimazione siderale del dolore e della sofferenza. Un collegamento rappresentato dalla figura tratteggiata da Meyhna'ch nel brano, un incrocio tra il Nosferatu malinconico ed esangue amato dai Mütiilation e un revenant proveniente da altre dimensioni: la missione di questo personaggio risiede nel divellere con violenza catastrofica menzogne e rimozioni, mostrandoci il rovescio della medaglia di ciò che quotidianamente viviamo e vediamo. L'inizio di "That Night When I Died" ("Quella Notte In Cui Morii") appare perlomeno disturbante, prima attraverso aguzze sciabordate di synth capaci di conficcarsi in un cervello già oppresso e tastiere veicolanti una melodia sghemba e glaciale, poi con una drum machine che pesta senza fare prigionieri e dietro la quale emergono maestose linee di chitarra, in qualche modo affini a quelle dei Deathspell Omega del periodo. La produzione più marcatamente industrial, da cui possiamo avvertire l'influenza degli Antaeus di "Cut Your Flesh And Worship Satan" (2004), rende l'atmosfera generale torbida e malevola, sensazione che, al seguito della classica cesura pre-uragano, diventa estremamente concreta, con Roussel ferino e omicida nel mugghiare dalle profondità dell'Averno. La voce del singer sembra quasi rincorrere affannato un tremolo picking ispido e tetragono, avvicinandosi sì al timbro dell'Attila Csihar meno cerimoniale, ma palesando, rispetto a quest'ultimo, una maggiore tendenza ad avvitarsi su sé stessa, in una sadica auto-tortura che costituisce un po' la sintesi di un'esistenza sempre al limite. Willy si rivolge minaccioso al mondo, presentandosi come la cupa Apocalisse scaturita da lontane profondità cosmiche, pronta a distruggere tutto ciò che respira e regala sollievo; il suo aspetto umano non deve ingannare, poiché codesta creatura, tornata sulla Terra a mo' di sentenza definitiva con lo scopo di rivoltarsi contro Dio e la sua creazione, pare obbedire soltanto a un diabolico padrone. Mentre l'ascia prosegue un viaggio ipnotico e privo di assoli, il protagonista riflette su un confuso passato personale, non ricorda esattamente la propria esistenza, eppure all'epoca, marchiato dal numero della Bestia, pensava di conoscere i segreti dell'Inferno e i misteri del trapasso. Una volta defunto, trovatosi a vagare in un luogo dell'anima nel quale non vigono le normali leggi fisiche dello spaziotempo, sente da un lato di aver smarrito la natura spirituale, persa a cagione di una serie enorme di sofferenze interiori, dall'altro, però, ne percepisce una seconda che, forgiata nell'odio e nel dolore, ormai predomina assoluta. Dopo così tanto strazio, il novello Faust a servizio di Mefistofele si prepara a un millennio di gloria, attraversando le epoche non per sete di conoscenza, così morbosamente ossessionato dalla vendetta da cancellare qualsiasi traccia vita dalla galassia. Il criptico frusciare dei piatti, un ulteriore break, poi la corsa verso l'abisso riprende, benché spuntino falcate melodiche dal piglio dark rock e colpi di doppia cassa ad alternare i consueti blast beat, come per mitigare l'orrore del precipizio; la relativa orecchiabilità della sezione non stinge, comunque, il clima saturo di nero che impregna le parole di Meyhna'ch, anzi forse amplifica la portata rivelatrice della narrazione, diffondendola con atteggiamento sornione. L'occitanico fa un passo indietro, rimembra il momento del funerale, quando la Mietitrice apre i cancelli del proprio regno per manifestare al defunto la luce opaca della cruda Verità, saputa la quale egli si getta tra le braccia di Satana, pagando con l'immortalità il dazio di tale patto. Un pezzo della durata di circa sette minuti la cui seconda parte ricalca la prima in termini musicali e lirici, chiudendosi in un funesto loop che rappresenta, simbolicamente, la sorte del profetico vendicatore, destinato a vagare nel nulla eterno da lui stesso creato. Ad infinitum
Testimony Of A Sick Brain
Tra gli innumerevoli significati che un album dei Mütiilation ci propone a ciascun giro, talvolta contraddittori, ma sempre colorati di spleen e intensità, quasi mai mancano considerazioni che sembrano scritte a sangue su una pagina di diario, e soltanto dopo trasposte in note: ciò accade soprattutto a partire dall'EP di ritorno "New False Prophet" (2000), continuando pressoché ininterrottamente sino a quello che sarà il loro ultimo lavoro. "Rattenkönig", a tratti, rappresenta un campionario delle varie dipendenze vissute sulla propria pelle da Meyhna'ch, sempre comunque abile a non cadere nella trappola dell'autobiografismo gratuito e vittimistico, redigendo testi che specialmente in questo platter appaiono ancora più freddi e scostanti. Gelida autopsia psichica, "Testimony Of A Sick Brain" ("Testimone Di Un Cervello Malato") scava in profondità nella mente del personaggio principale del brano, portando alla luce idee, valutazioni, rimugini e pulsioni che affliggono la quotidianità di un depresso clinico. Dal punto di vista musicale il pezzo appare diviso in due parti che si ripetono a cicli regolari, con la prima che presenta una cadenza in mid-tempo rotonda e ritmata, all'occorrenza irrobustita da feedback fruscianti, mentre, per quanto concerne la seconda, trattasi della classica accelerazione darkthroniana priva di rumori di sottofondo, tesa a porre l'accento sui climax della lirica. Come nella scorsa traccia, la voce di Willy, da orco e filtrata durante i momenti clou, pare rincorrere gli strumenti, penetrante, ma asmatica, adatta a descrivere, raccontando e non cantando in senso stretto, lo stato di sofferenza di un individuo prigioniero di un malessere soffocante. Nessuna delle cosiddette gioie che qualunque persona riesce a vivere può accendere un'apatia fortemente sedotta, invece, da morbosi desideri di tortura, gli unici che lampeggiano in un encefalo corrotto dalla malattia. I pensieri violenti che pullulano nella testa del protagonista, ovunque vada e con chiunque si relazioni, diventano ancora più eccitanti quando il desiderio irrefrenabile di creare arte con la propria carne diviene travolgente, con la solitudine che alimenta la crisi e viceversa. L'ombra del suicidio, di cui Roussel autore e interprete ha sempre sentito la tentazione, tracima in ossessione, abbeverandosi, insaziabile, di uno spirito vitale refrattario a mostrare interesse per il mondo lì fuori, preferendo concentrarsi sulla lussuriosa estasi proveniente dall'agognato oltretomba. Intanto gli anni passano, la sanità intellettuale gradualmente perde colpi, gli attimi di lucidità diventano tanto rari quanto insopportabili; in quegli istanti di chiarezza, Willy, uscendo dal guscio, si trova a vivere in una società ove il silenzio non esiste, e la voglia di mettere a tacere tutti, compresi i bambini, cresce abnorme, una richiesta del cane nero che rappresenta, simbolicamente, la parte misantropica e nichilista del proprio cervello. La malattia, ciò che pian piano uccide, avanza dal momento che ogni porta della speranza si chiude dinanzi al transalpino, trasformandosi nel mezzo ostile idoneo a opporsi a Dio e alla sua creazione; il tempo per cambiare o evolversi, senza parlare di una cura, è finito, saranno sentimenti di disprezzo e rifiuto a corrodere il futuro. In una sorta di delirio razionale, forme impossibili prendono struttura nella mente, strane ombre la circondano di notte, le cellule si rivestono di un'architettura malandata e raccapricciante che conduce alla distorsione dello spaziotempo e alla decadenza della ragione e dei valori. Addirittura Meyhna'ch si azzarda, in un accesso di titanismo diabolico, ad affermare che, prossimamente, gli uomini studieranno e apprezzeranno il suo lavoro: umorismo nero come la pece, visto che non ci sarà più nessuno ad ammirarlo. Al di là della coloritura escatologica, non sembrano lontane dai Mütiilation certe tendenze NSBM, di cui il mastermind occitanico ha spesso lambito le sponde, considerata la militanza nei Gestapo 666 e negli Hell Militia, malgrado in entrambe le formazioni l'ideologia politica appaia inscindibile dal satanismo, anzi, ne costituisce l'emanazione diretta. A ogni modo, black metal rules.
The Bitter Taste Of Emotional Void
Continuando nella kermesse delle proprie passate dipendenze, rese universali dall'eliminazione di tratti strettamente autobiografici, Meyhna'ch, in "The Bitter Taste Of Emotional Void" ("Il Gusto Amaro Del Vuoto Emotivo") tocca il tema dell'abuso di droghe. Sorta di alter ego black di Simon Bonney, il francese sprofonda nel pessimismo più tetro ed esistenzialista, proseguendo quella caduta ripida nel vuoto di cui la scorsa "Testimony Of A Sick Brain" aveva così amaramente descritto il principio. Pur priva di un reale corteggio orchestrale, la traccia prende avvio in tono lugubremente maestoso, con chitarra e batteria, l'una glaciale, l'altra velocissima, che disegnano scenari apocalittici e cerimoniali, ispirandosi tanto alla freddezza di "Transilvanian Hunger" quanto, soprattutto, alla lugubre solennità della title track di "De Mysteriis Dom Sathanas": e come Attila Csihar, Roussel inizia la classica declamazione dall'oltretomba, con lo spirito decadente di un intellettuale del tardo antico e la fierezza satanica dei sodali norvegesi. Un incipit devastante, nel quale appare racchiusa sia l'essenza disperata del disco sia la forma grezza di quella teologia inversa che prenderà piede con il nome di religious black metal, corrente che i Deathspell Omega, già allora in attività, condurranno a vette inaudite di complessità e spietatezza. Meyhna'ch rappresenta il capofila di coloro che sono spogli di speranza, di quelli sconfitti in partenza, che non hanno un Dio cui rivolgersi perché è l'Onnipotente stesso il responsabile del male che pervade la Terra, un traditore che ha creato il mondo per i suoi sadici capricci. Poi parte un mid-tempo dalla melodia depressiva, una geremiade cadenzata e carica di groove distorto che sembra giungere dagli anfratti delle tenebre più profonde, con il singer capace di adeguare il proprio scream alla relativa morbidezza del riffing. L'atmosfera viene pervasa da una disperazione immensa, il desiderio di affossare le tante emozioni negative in un'ultima dose tossica, quella definitiva, emerge irresistibile, ma le energie per attuare la soluzione finale sembrano per un momento mancare; bisogna che intervenga l'implorato Satana, affinché la forza di porre fine all'esistenza straripi omicida. Dopo un break strumentale in cui la chitarra torna gelida e la drum machine picchia come se non ci fosse un domani, torna il Roussel ritualistico che, oltre a ripetere la prima strofa a mo' di intro apocalittica, riflette, altresì utilizzando brevemente uno spoken word pulito à la Blackmoon, su un mondo immobile e stantio, che sta per crollare seguendo il suo stesso destino. Nel clima che si rifà mesto, il protagonista non cerca alcuna via d'uscita per sfuggire all'uggiosa caduta che coinvolge l'intera vita sul Pianeta, un crollo privo di emozioni e reali turbamenti, sentimenti che il mare di droga circolante ottunde impietoso, soprattutto quando compare il Signore, simbolo di una speranza violata, che cerca, con le consuete blandizie di salvezza e redenzione, di ricondurre l'Uomo su una presunta retta via. Per il finale, i Mütiilation accelerano di nuovo, con il singer che narra, con parole ancora uggiose, l'estrema rovina di una civiltà ormai estinta, mentre gli avvoltoi infestano il cemento e il ferro trasformato in ruggine: è iniziata l'età delle ceneri, il caos assoluto, nel quale qualsiasi vita muore e i campi bruciano, portando con sé i ricordi di un tempo passato per l'eternità. Un pezzo, dunque, capace di lasciare numerosi indizi circa i trascorsi di dipendenza e depressione di Roussel, ma che apre squarci anche riguardo alla particolare visione del satanismo da parte del transalpino, una fede non confessionale, legata invece a un capovolgimento simbolico che, più avanti, e proprio in Francia, verrà sistematizzato dal punto di vista filosofico e, se vogliamo, dottrinale. Un gioco di influenze comuni che, nei Mütiilation, assume un carattere del tutto personale.
Black Coma
Dopo droga e pensieri suicidi, tra loro oltretutto intimamente legati, spuntano i riferimenti all'alcolismo in una "Black Coma" ("Coma Nero"), che, insieme a "The Ecstatic Spiral To Hell", rappresenta uno dei brani più groovy del lotto e dell'intera carriera dei Mütiilation. Non a caso, il pezzo supera di poco i quattro minuti, ma, nonostante il suo taglio relativamente orecchiabile, non si può certo parlare di una composizione così diretta e banale, anche per un contenuto durissimo e metaforico. I sessanta secondi e rotti di abbrivio strumentale, vengono caratterizzati - a parte una brevissima pausa in mid-tempo - da un tremolo ad alto voltaggio e da una drum machine che, in un tripudio di scudisciate ai piatti e di blast beat feroci, sembrano quasi una sinfonia funebre alla velocità delle tenebre suonata da dei Dimmu Borgir in acido perpetuo. Mentre fruscii alieni intorno conferiscono al tutto una fisionomia industrial di stampo paranoico/siderale, le parole che sgorgano dalla fauci arse di Meyhna'ch richiamano, neanche tanto in filigrana, il pensiero del Jean Paul Sartre pessimista ante-Seconda guerra mondiale, la cui cogitazione globale ha sempre, per certi versi, influenzato l'indirizzo lirico della one man band francese. La nausea, quella sensazione di sbandamento emotivo intimamente connessa alla visione dell'esistenza come un qualcosa di irrazionale, un processo al di fuori di ogni deduzione logica, che non si sceglie, ma appare determinato da altro, è la riflessione che guida in buona parte il testo di questo pezzo. Una situazione imposta che, però, lascerebbe, almeno a livello teorico, l'opportunità di modellare comunque la propria progettualità di vita, eppure tale libertà si rivela per Willy una condanna, percepibile immediatamente dall'inizio vero del brano durante il quale, sotto un gelido diluvio nero di note e rumori vari, l'esistenza viene considerata una malattia costante da cui non sono esenti neanche i neonati, già macchiati da un tormento accumulatosi nel tempo e che, a differenza del peccato originale di biblica memoria, non si cancella tramite un battesimo. L'atmosfera ristagna plumbea, livida, e se la plettrata del transalpino richiama il terrore gelido della vecchia "Freezing Moon", il suo canto muggisce con un'aggressività così desolata che il precedente grido della title-track, lanciato nel silenzio assoluto, sembrava un giochino perverso da educande possedute. Stufo di gioie ormai marcite e del dolore quotidiano, l'occitanico, ogni notte, affoga in una serie di eccessi letali che lo avvicinano ai confini dell'abisso con una celerità spaventosa. La scelta di un suicidio che prevede l'utilizzo di alcolici, esemplificato dalla metafora del bicchiere visto come un fucile da cui tracannare finché il corpo, e insieme a esso il mondo intorno, si gonfi e poi scoppi, possiede una carica espressionista notevole, capace di travolgere passato, presente e futuro nel profondo sopore eterno.
The Pact (The Eye Of The Jackal)
Alcune caratteristiche del diavolo sono riscontrabili in diverse divinità pagane, con relazioni che rispecchiano sia la raffigurazione iconografica sia la funzione oppositrice alle divinità benigne. Infatti, in quasi tutti i grandi politeismi del mondo antico, vi era la figura di un dio del Male, complementare a un dio del Bene. Ciò si riscontra nei culti dell'antico Egitto, della Cananea, dell'antico Iran, delle prime civiltà dell'America centrale e meridionale. In Egitto, le divinità Horus e Seth erano rispettivamente il dio celeste, generalmente buono, e il dio del caos, solitamente malvagio. Quest'ultimo era ritratto come un uomo con testa di animale, talvolta identificato con lo sciacallo o con la capra. Premessa doverosa per comprendere da quale tradizione Meyhna'ch ricavi la rappresentazione di Satana per "The Pact (The Eye Of The Jackal)" ("Il Patto (L'Occhio Dello Sciacallo)", un brano che liricamente tocca corde black piuttosto standard, raccontando le motivazioni e le conseguenze di un patto stretto con il demonio. Se, tutto sommato, il comparto testuale non lascia particolarmente stupiti, benché restino intatte le capacità espressioniste della penna del mastermind dei Mütiilation, la sezione musicale risulta di sicuro più interessante, specialmente per quanto concerne la strutturazione delle ritmiche. Di fatto, trattasi di un mid-tempo molto melodico, con tanto di tastiere e suggestioni dark, nel quale il singer, oltre a utilizzare l'abituale scream torturato, impiega uno spoken word pulito di matrice industrial a cui spesso si sovrappongono voci filtrate sull'esempio di "Black Millenium (Grimly Reborn)": il modello rimangono i Darkthrone di "Under A Funeral Moon" e "Transilvanian Hunger", ma, con una produzione pulita e un gruppo vero alle spalle, il pezzo avrebbe potuto suonare, fatte salve le dovute differenze, à la Cradle Of Filth. Il singer si rivolge, recitando un copione blasfemo in stile "Summer Of Diabolical Holocaust", a Satana e gli offre la propria anima, il proprio sangue, la propria mente, il proprio cadavere, per Lui crocifiggerà la meretrice di Nazareth, per la sua venuta cancellerà l'esistenza di Cristo, nel suo nome e per la sua causa sacrificherà l'esistenza. Ma l'occitanico non si ferma qui: oltre a cambiarsi il nome per negare Dio, parlerà la lingua del serpente e dell'odio estremo, metterà al servizio del Diavolo la sua voce, la sua poesia, la sua arte, attendendo da esso fortuna, gloria, giovinezza eterna, il potere su tutto. In un processo di accumulazione accompagnato da una cadenza morbosa che soltanto in chiusura trova un relativo acme di velocità, per poi spegnersi in un feedback stordente, il francese canta, strascicando, di essere il proselito di una generazione dannata, ma, in realtà, la volontà di cui dispone non appare sempre ferrea. E quindi chiede al Demonio di dargli la forza di violentare la Vergine, il coltello per tagliare la gola all'agnello, le tre corna nere per inchiodare l'ebreo bastardo, in un rigurgito parossistico che sembra più replicare, in senso rovesciato, l'antisemitismo teologico cattolico che quello biologico di matrice nazista. Confine sottile e scivoloso, si dirà, comunque travolto dal desiderio di generare la fiamma del male attraverso il seme marcio del Maligno, per stabilire un nuovo mondo devoto alla sua causa e dominato dal nulla, un futuro che appare possibile proprio perché inesistente. Nonostante il trionfalismo nero della musica, si avverte un senso di mestizia insito nella brama di caduta e distruzione, e tale contrasto rende la traccia, pur senza particolari guizzi a livello testuale, molto peculiare. I Deathspell Omega, e per certi versi i Funeral Mist, se ne ricorderanno.
The Ecstatic Spiral To Hell
Una volta lo scrittore e regista Clive Barker affermò che i protagonisti del cult movie "Hellraiser" (1987), film da lui stesso girato sulla base del suo romanzo breve "Schiavi Dell'Inferno", avrebbero potuto essere considerati dei sadomasochisti dell'oltretomba: gli abiti in pelle nera dei Cenobiti e i loro gusti per quanto concerne il piacere e il dolore confermavano senz'ombra di dubbio tale osservazione, accentuata da una messa in scena, almeno per l'epoca, cruda e sanguinolenta. Addentrandoci in "The Ecstatic Spiral To Hell" ("La Spirale Estatica Verso L'Inferno"), che, accanto a "Black Coma", si inserisce nella rosa delle canzoni più groovy della carriera dei Mütiilation, sembra che l'immaginario morboso del film succitato abbia influenzato davvero tanto la penna di Meyhna'ch, del resto sempre molto sensibile alle suggestioni sia della letteratura gotica sia della cinematografia dell'orrore. Dal punto di vista musicale, ci troviamo di fronte a un black'n'roll che, pur sapendo molto di Satyricon e soprattutto di Carpathian Forest - il cui "Black Shining Leather" ben si adatta a fungere da carburante visivo della canzone - possiede un ritmo particolare, quasi colloso, saturato da una melodia aspra benché orecchiabile. In questo caso, bisogna dire con franchezza che, con una produzione di livello, l'incisione di una seconda chitarra e un vero batterista, forse il pezzo suonerebbe davvero alla grande, considerata la qualità della scrittura. All'occitanico, però, che continuava a seguire un percorso di ostilità e intransigenza, va dato atto di grande coerenza, malgrado le migliorie apportate dal nuovo millennio in poi. Dopo un abbrivio dalla cadenza gelida e solenne, pare quasi di vedere Willy prima armeggiare, novello Frank Cotton, con il Cubo di Lemarchand, e poi risolvere il puzzle che gli aprirà le porte dell'Inferno e dei relativi supplizi. I giri di chitarra diventano estremamente catchy, laddove, al momento del trapasso, gelide dita afferrano il cadavere del protagonista, mentre ombre nere circondano il suo guscio privo di vita; l'anima scende nell'Ade attraverso un fumosa spirale, aumentano le vertigini, scorrono visioni estatiche di lussuria, che vanno oltre ogni fantasia umana, nel quale la sofferenza diviene voluttà carnale. A seguito delle promesse sataniche dell'avvento di un regno nel quale la tortura e lo strazio dei corpi svolgeranno un ruolo fondamentale, ritorna l'accelerazione in tremolo, con Roussel che, chiusa una performance vocale à la Satyr - anche se in versione butterata -, si autocensura, lasciando a un feedback perforante il finale del pezzo.
I, Satan's Carrion
Per il penultimo brano in scaletta, Meyhna'ch decide di celebrare la propria devozione al Maligno con un pezzo black se vogliamo standard nella forma e nel contenuto, benché la corruzione musicale e lirica di "I, Satan's Carrion" ("Io, La Carogna Di Satana"), raggiunga vette notevoli, tenendo ovviamente presente il contesto di riferimento. Il rapidissimo feedback iniziale dà la stura a una carneficina sonora che di orecchiabile ha poco o nulla, mentre si avverte una leggera influenza dei Gorgoroth più selvaggi e bellicosi, tanto nel rifferama a proiettile quanto nelle ritmiche serrate e iper-compresse. La traccia melodica si avverte ugualmente, anzi, percorre, alla stregua di un filo spinato pieno di led, le trincee dell'Inferno, fungendo da catalizzatrice mortifera per l'umane genti attirate come falene dalle luci ingannatrici della salvezza. Il pezzo possiede la solita patina autobiografica, con Meyhna'ch che, con timbro acido e gracchiante, canta di un etilista divorato dagli incubi per il quale il tempo della vita sta per scadere; ormai le porte dell'eternità sono prossime a spalancarsi, eppure le anime inquiete, quasi ridotte a cadaveri dalle membra contorte, non conosceranno mai un vero riposo né una vera catarsi. Quando il protagonista del pezzo ha interamente vomitato la propria esistenza, giunge nell'oltretomba satanico, e lì trova un cadavere marcio, una carogna in decomposizione che, dopo secoli, sembra non appartenere a sé. L'atmosfera intanto diventa solennemente frenetica, prima di contrarsi in una lugubre frazione dark ambient che schiude un lungo passaggio estremamente cadenzato in cui Roussel pare quasi addolorarsi di un'esistenza terrena così sciatta e priva di speranza. Sempre immerso nel medesimo clima mefitico, ma mesto, il singer, con l'abituale scatto titanico, si erge a re della distruzione, ad aborto supremo del creato, di colui che provvederà a occultare anche il più piccolo spiraglio di luce, ad annerire ogni frutto appena nato, ad avvelenare il karma compiendo azioni terribili, a condannare e a deturpare la Vergine del Cielo. Il ritorno della violenza ferina caratteristica della prima sezione, impreziosita da effetti elettronici alla voce forse evitabili, rivelano l'altra faccia della medaglia della megalomania testé esaltata: dietro questa dimostrazione di potenza efferata, c'è la mano di Satana che guida l'occitanico e ne dispone come e quando vuole, riducendolo a un burattino che pensava, con la morte e la devozione al Maligno, di liberarsi dalla prigionia della vita. Un destino che attende tutti quelli che opereranno la medesima scelta di campo, che provoca un disagio pari alla depressione clinica, che prima, durante e dopo la sepoltura non pare affievolirsi, mai. Uno splendido commiato da trademark Mütiilation.
Rattenkönig
Arriviamo, dunque, a una title track dalla denominazione tedesca, "Rattenkönig" ("Re Dei Ratti"), messa non a caso in coda al lotto vista la carica simbolica da cui è ammantata, rappresentando l'apice del percorso verso l'abisso più melmoso intrapreso a partire dal precedente "Majestas Leprosus". Ma cos'è davvero un "Re dei Ratti", al di là delle leggende e del racconto che i Mütiilation ci propinano? Si tratta di una peculiare condizione in cui i roditori, costretti a vivere in luoghi molto angusti, finiscono per ritrovarsi con le code attorcigliate; feci, sangue e liquidi corporei fluiscono direttamente sul groviglio, agendo da cemento. In tale situazione, nella quale restano impigliati, gli animali si muovono, ammesso che non muoiano prima, come se fossero un unico corpo, diventando spesso un bocconcino ancora più semplice per i loro predatori naturali. E quando riescono a fuggire, vista l'estrema difficoltà di procurarsi del cibo, si mangiano a vicenda, non disdegnando, dunque, disgustose pratiche di cannibalismo. Un evento raro, ma perfettamente naturale, che Meyhna'ch sfrutta alla grande, narrando una storia gotica sulla scia dell'indimenticabile "Born Under The Master's Spell" o anche di "The Hanged Priest", adagiandola su un black volutamente monocorde e stantio, capace di evocare un'atmosfera pregna di un orrore ancestrale e apparentemente privo di spiegazione. Un mid-tempo molto scarno e asciutto, dunque, costruito su un paio di riff in modalità coazione a ripetere e che, anche nelle accelerazioni, conserva un ritmo non così forsennato; intanto fanno capolino qui e là sintetizzatori ed effetti elettronici che, se da un lato ricordano il clima modernista di "Black Millenium (Grimly Reborn)", dall'altro anticipano il gelo sidereo di "Sorrow Galaxies". In un paese afflitto dalla peste, ubicato nel profondo est europeo, luogo di superstizioni, vampiri e creature notturne, soffiano venti di putrefazione, con milioni di topi carichi di parassiti che gironzolano ovunque, camminando saldati reciprocamente a formare una corona e divorando i bambini nelle culle. Un giorno, si presenta uno sconosciuto: lingua strana, occhi rossi, baffi unti, denti gialli, vestito di una lisa pelliccia di topo, uno sguardo acuto e malizioso, sembrava l'unico a essere immune dal morbo nonostante emanasse un sinistro odore di morte dalla sua persona. Nessuno sa da quale luogo provenga, addirittura si sparge la voce che parli con i topi, e questo convince la gente del posto a chiedergli aiuto: l'uomo accetta, proponendo un accordo che preveda, in cambio della scomparsa dei mammiferi patogeni, la possibilità di portare con sé un bambino. All'alba, il flauto monotono e imbronciato del Roi De Rats guida il corteo dei suoi piccoli sudditi fuori dal paese, ma il mattino successivo, alla richiesta del pegno pattuito, gli abitanti del luogo non mantengono la promessa, cacciando il pifferaio maledetto con un sorriso acido di tradimento dipinto sui loro volti. Di notte, una flebile e lamentosa melodia squarcia il silenzio, lo straniero cammina tranquillo circondato dal suono del suo strumento e tutti i bambini lo seguono vicino al lago, guardando fiduciosi i suoi occhi fiammeggianti; poi rompono il cerchio e si recano al lago d'argento scomparendo per sempre nelle acque profonde. Il pezzo si chiude con la melodia che aveva inaugurato "That Night When I Died", costruendo così un album dal significato circolare che fa del Rattenkönig la naturale evoluzione del Nosferatu. Un'evoluzione che prevede l'inabissamento sidereo.
Conclusioni
Dopo il ritorno con l'EP "New False Prophet", i Mütiilation inaugurano una seconda parte di carriera decisamente più prolifica e professionale della prima, inanellando quattro full-length in poco meno di sei anni. La meravigliosa vena creativa di Meyhna'ch, testimoniata dall'aura modernista di "Black Millenium (Grimly Reborn)" e dalla putredine marcescente di "Majestas Leprosus", trova un ennesimo apice in "Rattenkönig", benché dal punto di vista musicale, dalla produzione al riffing, non vengano apportati sostanziali cambiamenti. Ad eccellere sono i testi, a volte criptici, spesso tedofori di un malessere realmente provato nell'intimo dal transalpino, sentimenti, però, restituiti con la freddezza glaciale del sopravvissuto, di colui che guarda a un passato torbido ancora tatuato sulla pelle senza parteciparvi davvero, come soltanto i grandi scrittori sanno fare. Il sovrano dei ratti viene scelto in relativo contraltare alla figura utilizzata per tanti anni da Roussel quale proprio alter ego, il Nosferatu: se il vampiro, infatti, rappresenta l'emarginato per elezione, il Rattenkönig ne costituisce l'evoluzione verso il basso, in una sorta di caduta verticale attraverso la profondità gli abissi siderei. Lì, tra il gelo mortifero delle stelle e dei pianeti, la vecchia Maestà Lebbrosa fluttuerà in eterno, raggiungendo finalmente quell'agognata apoteosi del dolore che "Sorrow Galaxies", epitaffio discografico della one-man band francese, si incaricherà di descrivere. Nel lavoro presente, comunque, le sofferenze del transalpino paiono legate ancora all'esperienza terrena, visto che le canzoni ci raccontano le dipendenze tossiche di una vita intera, dalla droga all'alcol, passando per depressione clinica, pensieri suicidi e sadomasochismo. Non mancano i riferimenti al satanismo, oltre che qualche velato accenno NSBM, ma il tutto sembra secondario rispetto alla narrazione dei tormenti di natura puramente umana che hanno attanagliato l'occitanico, abilissimo nell'intarsiare l'insieme con gli abituali richiami letterario/cinematografici e oculate spruzzate di filosofia esistenzialista. La dimensione profetica di "That Night When I Died", la gelida autopsia psichica di "Testimony Of A Sick Brain", le conseguenze dell'abuso di stupefacenti di "The Bitter Taste Of Emotional Void", la nausée sartriana colorata d'etilismo di "Black Coma", gli ambigui rapporti col Maligno di "The Pact (The Eye Of The Jackal") e "I, Satan's Carrion", l'erotismo malato di "The Ecstatic Spiral Of Hell", l'alone leggendario di "Rattenkönig": ogni singolo frammento concorre a formare una tessera del mosaico malsano che Willy gestisce da par suo, condendolo con un tocco visionario dal forte profumo escatologico, un tratto tipico della poetica del transalpino post 2000. Un puzzle entro cui avrebbe fatto bella figura un pezzo incluso in "From The Entrails To The Dirt", split dei Mütiilation con Malicious Secrets - progetto estemporaneo di Roussel -, Antaeus e Deathspell Omega. Stiamo parlando della cover di "My Way", storico pezzo di pugno di Paul Anka e reso immortale da Frank Sinatra, ma reinterpretato da una sfilza enorme di musicisti, diversi per voce ed estrazione. La storia di un uomo che ripensa alla propria vita, agli errori commessi e ai successi ottenuti, privo di rimorsi e fedele nello spirito alle azioni compiute, non poteva lasciare insensibile l'occitanico, capace di realizzare del brano una versione dai toni allucinati e nerissimi. Ebbene, forse "My Way" sarebbe stata la perfetta colonna sonora a chiusura del viaggio verso il precipizio del distorto e oscuro pifferaio portatore di peste protagonista della title track di "Rattenkönig", il sipario calante sulla scena di un'esistenza subita, ma che, in qualche modo, le dipendenze hanno riempito di significato. Ancora una volta il black metal si rivela il veicolo idoneo per la traduzione artistica di uno spleen urbano che vede in Meyhna'ch uno dei cantori meglio rappresentativi, un Baudelaire della contemporaneità bramoso di fuggire dalla cappa grigia della quotidianità, stringendo patti con Satana o anelando al nichilismo assoluto. Le galassie del dolore lo attenderanno a braccia aperte.
2) Testimony Of A Sick Brain
3) The Bitter Taste Of Emotional Void
4) Black Coma
5) The Pact (The Eye Of The Jackal)
6) The Ecstatic Spiral To Hell
7) I, Satan's Carrion
8) Rattenkönig