Mütiilation

Majestas Leprosus

2003 - Ordealis Records

A CURA DI
GIOVANNI AUSONI
10/10/2021
TEMPO DI LETTURA:
8

Introduzione recensione

Anno di grazia il 2003 per i Mütiilation: prima la compilation "1992 - 2002 Ten Years Of Depressive Destruction", una sostanziosa antologia da ricordare soprattutto per un prezioso pugno di tracce live, poi il nuovo album sulla lunga distanza "Majestas Leprosus" ("Maestà Lebbrosa"), che, uscito nel mese di marzo in edizione limitata di duemila copie, inaugurò il sodalizio con l'oramai defunta Ordealis Records. Una label, quella marsigliese, che chiuse i battenti di lì a poco - riuscendo, comunque, a pubblicare nel 2005 il quinto platter del moniker transalpino "Rattenkönig" - e scelta da Meyhna'ch in ossequio all'elitarismo di distribuzione discografica che aveva contraddistinto sin dalle origini le vetuste e incestuose Les Légions Noires. Tuttavia, come abbiamo già visto in "Black Millenium (Grimly Reborn)" (2001), il mastermind di Grabels, pur restando sulle coordinate di una proposta rozza e insalubre, optò per un'evoluzione tecnico-compositiva del sound della di lui perfida creatura, a partire da un lavoro di produzione discretamente curato. L'impeto raw degli esordi, confinante a tratti con un ingenuo dilettantismo, non scompare, ovviamente, bensì viene canalizzato attraverso una scrittura meno sghemba e disordinata, sostenuta da un'attenzione maggiore alla costruzione dei riff, dall'utilizzo convinto ed esclusivo della drum machine, dall'oculato impiego dell'elettronica, da scelte chiare dietro la console, dall'elaborazione di testi ricercati e allegorici. Il diverso orientamento artistico di Roussel dopo il suo ritorno dal regno dei morti, la sua natura di nunzio dell'Apocalisse, il suo sottolineare un passato - e in parte anche un presente - colmo di spleen e dipendenze tossiche, se da un lato quasi lo costringono a cambiare spartito, deludendo magari coloro che speravano in una ripetizione ad nauseam del vecchio schema, dall'altro favoriscono la conquista di una maturità e di una consapevolezza davvero adulte. La carica provocatoria del francese rimane comunque inalterata, tracimando nell'arroganza dell'intellettuale che sa maneggiare la materia con esperienza e cinismo. Biasimare il trend modaiolo del black metal di inizio millennio e poi direzionare il proprio verso una relativa normalizzazione, significa adoperare il medesimo linguaggio per sgretolare il sistema dall'interno, per svelarne la pochezza e il disvalore. William, il vessilifero del metallo nero autentico e incontaminato, si riavvicina, dunque, a Satana, lasciando, però, che il Maligno divenga soltanto la proiezione emblematica di un disagio personale e non il classico simbolo di uno spesso ottuso anticristianesimo, né il feticcio pacchiano di qualche sedicente setta di quartiere. Il figlio rifiutato e abbandonato da Dio e dalla società si affida nelle mani di un rimpiazzo paterno la cui scelta adombra la malinconia e il vuoto dell'orfano che, per vendetta, condurrà il mondo alla rovina definitiva, spazzando via ogni residuo di umanità. "Majestas Leprosus" si ciba della lebbra che rode da dentro il musicista, del desiderio dell'occitanico di recare danno a sé stesso e al prossimo al fine di riempire le crepe abissali di un animo alla deriva, della brama di infliggere dolore e sofferenza a una comunità antropica bieca ed egoista. Ancora una volta, Willy si rivolge alla figura del vampiro, il reietto per eccellenza, al fine di rappresentare la metafora del Male che permea ogni aspetto dell'esistenza terrena, rendendola un guscio vuoto privo di forze vitali; a differenza di "Vampires Of Black Imperial Blood", il Nosferatu ritratto in questo long playing si sposta dalla solitudine dei castelli al consorzio civile, incancrenendosi nel profondo di essa, con il risultato di marcire entrambi attraverso un processo di deterioramento fisico e spirituale senza via d'uscita. Riferimenti cinematografici e letterari percorrono i testi del lotto, organizzato a mo' di concept diviso in tre atti, ciascuno dei quali segna una tappa progressiva di degenerazione psichica: si susseguono, l'uno legato all'altro, brandelli di visionario e lugubre decadentismo di fine Ottocento incastonati in un moderno - o post-moderno - peggiore di un incubo a occhi aperti e trasudanti un'orecchiabilità corrotta di matrice darkthroniana capace di respingere e sedurre. Del resto, è la dualità a caratterizzare la fisionomia interiore del non-morto, interpretato da Meyhna'ch, nella consueta cover essenziale e in bianco e nero, alla stregua di un malato dal volto scarno ed esangue che stringe un forcone di legno, con un pentacolo sullo sfondo non bisognoso di grosse spiegazioni. Il carnefice, lo strumento del Diavolo, vaga afflitto e debole tra i grattacieli e i centri commerciali, emarginato e straniero, appoggiato a un bastone tropo del potere e della consunzione. Forse l'opera più cupa e complessa a firma Mütiilation, uno scandaglio recondito e terribile con vista suicidio. 

Introducing the Plague

Inizio completamente strumentale per una prima sezione del concept dal titolo esplicativo "From The Evil Vortex ?" ("Dal Vortice Del Male") e ciascuna composta da tre brani. Ai ventisei secondi di "Introducing The Plague" ("Introduzione Alla Peste") viene demandato il compito di creare quell'atmosfera in grado di immettere l'ascoltatore nel lugubre e decadente racconto di un uomo colpito dalla maledizione del vampirismo, più una condizione dell'animo che un'anomalia propriamente fisica. Come succede spesso ai Mütiilation, le tracce sine voce non rappresentano dei grandi cavalli di battaglia; Meyhna'ch gioca piuttosto ingenuamente con la dark ambient, infarcendola di brusii effettati da orco delle fiabe nere, con un risultato finale onestamente trascurabile. Il meglio arriverà nel resto della scaletta.

Tormenting My Nights

Abbiamo già evidenziato come la penna di Meyhna'ch spesso richiami testi letterari o particolari horror movie; in questo secondo brano, "Tormenting My Nights" ("Tormentando Le Mie Notti"), le atmosfere rimembrano, anche se soltanto in parte, sia quelle che si respirano nel romanzo di Anne Rice "Intervista Col Vampiro" (1977), sia quelle presenti nella sua omonima riduzione cinematografica, opera di Neil Jordan del 1993. Nello specifico, ciò che avvicina le liriche del pezzo alle due opere succitate - abbastanza simili concettualmente nonostante il diverso linguaggio artistico utilizzato - non riguarda il percorso di evoluzione che il vampiro intraprende del proprio personaggio. Il temuto succhiasangue, infatti, si amalgama con gli uomini, diventa capace di adattarsi alla post-modernità, fisicamente e psicologicamente, differenziandosi dunque parecchio dalle creature ottocentesche dipinte da Sheridan Le Fanu e Bram Stoker. A Roussel importa, invece, sottolineare un aspetto che appare parimenti centrale tanto nel libro quanto nel film, ovvero l'eternità vissuta quale condanna da cui risulta quasi del tutto impossibile liberarsi; nei Mütiilation, però, tale condizione genera mostri interiori e sete di malinconica vendetta piuttosto che essere accettata con l'albagia del filosofo illuminista tipica di un Lestat avvezzo al trascorrere dei secoli. Ritorna l'immagine, intrisa viepiù di decadentismo huysmaniano, del Nosferatu di Friederich Wilhelm Murnau e Werner Herzog, costretto, causa mere ragioni nutritive, a interfacciarsi con una società che detesta e dalla quale, appena possibile, fugge per ritirarsi in totale solitudine, chiuso tra le mura di un eremo urbano, intento a rimuginare su una situazione personale carica di angoscia e livore misantropico. E lo vediamo così, il buon Willy, accovacciato su una sedia dinanzi a una vecchia e malconcia finestra che fissa con gli occhi tristi una luna che brilla maliziosa, sarcasticamente conscia del tragico destino dell'osservatore; dopo una breve introduzione doomy al synth, i colpi secchi della drum machine e un tremolo picking furioso conferiscono grande rilievo a tale stato d'animo, su cui lo screaming burzumiano del singer si inserisce alla stregua di un ulteriore strumento. Intanto cigola ferrigno il plettro e trapana immusonita la batteria, mentre il labirinto della mente di William e le memorie in esso confitte divengono preda delle convulsioni, con un contorno di pensieri acri che ne corrodono le svolte e i tornanti. Il ritmo procede spedito e uguale a sé stesso, teso a sorvegliare la veglia notturna di un protagonista che, pur schiacciato dall'angoscia e ansioso dell'arrivo dell'alba per godere di qualche momento di tregua, vaga fra pensieri lussuriosi e fantasie di potere, fortuna e gloria. Illusioni, niente di più. Al cambio di strofa, la cadenza aumenta vertiginosamente al pari dell'afflato melodico della chitarra, come a piombare dolorosamente l'impossibilità, per uno spaventapasseri dal guscio vuoto, di suicidarsi e porre fine alle sofferenze. "Hell" ("Inferno") rappresenta la parola chiave che fuoriesce dalle labbra guaste di Meyhna'ch, laddove l'impasto sonoro sfiora il parossismo tipico dell'industrial, spingendo continuamente il riff portante a puntellare il destino di una individuo che, rifiutato dal genere umano, ha trovato nel Diavolo l'unico Padre capace di accoglierlo nel proprio regno. Da qui, la rappresaglia nei confronti della società, ma anche la consapevolezza che, terminata la missione - non importa se con successo o meno -  nessuno si ricorderà dell'esistenza del Vendicatore né alcuno rimpiangerà la sua assenza. E le note intanto rattrappiscono e sudano sangue, scivolando sul battere implacabile e gelido della drum machine. La rivincita diviene castigo, il furore misantropico nasconde una disperata richiesta d'aiuto, per un uomo attanagliato dalla solitudine e attratto dall'abisso, cane randagio dall'occhio feroce che cerca, inutilmente, un pizzico di compassione.

Destroy Your Life For Satan

Incluso, in versione grezza, nella demo omonima uscita nel 2001, "Destroy Your Life For Satan" ("Distruggi La Tua Vita Per Satana") rappresenta, concettualmente, uno standard black metal sulla scia di quelli elaborati dai Darkthrone della prima ora. A differenza degli amati sodali norvegesi, però, i Mütiilation travasano nel brano molto della vita personale del loro unico compositore, pur rispettando la minima distanza che separa l'io lirico dai fedeli dati biografici dell'autore. Ci troviamo al cospetto di un inno blasfemo, di un incitamento al suicidio proferito da chi, il suicidio stricto sensu, lo ha accarezzato durante l'intero arco dell'esistenza, resistendo a esso, forse, soltanto grazie alla valvola di sfogo artistico della musica. Salvo fisicamente, interiormente morto: questo sembra suggerire Meyhna'ch in ogni canzone, e questo traspare dal pezzo presente, nel quale emerge il bruciante desiderio dell'occitanico di trascinare con sé, nella rovina, l'intero consorzio antropico. Trattasi dell'allegoria del vampiro che, dopo il consenso a una condizione di eterna non-vita palesatosi in "Tormenting My Nights", brama a tutti i costi l'annientamento del genere umano, traviandone così profondamente la natura - invero già corrotta sin dalla nascita e, quindi, con un talento innato per l'autodistruzione - da condurla alla corte del Diavolo. Roussel torna a vestire i panni del trovatore maledetto, del menestrello sardonico e sinistro che si rivolge a un interlocutore apparentemente singolo, ma da intendere alla stregua di un pluralia maiestatis travestito da tu. Con un riff che ballonzola pimpante attraverso semplici ed efficaci accordi ripetuti, Willy, gracidando ossessivo e salace, invita la collettività a seguire il sentiero oscuro, a lottare contro i santi e i deboli di reminiscenza kaathariana, a peccare e uccidere in nome del Diavolo, a diffondere la peste e il Male, perché l'esistenza quotidiana e il mondo nel complesso appaiono così miserabili da meritare un castigo privo di redenzione. Poi, la chitarra inizia a incartocciarsi, il ritmo prende una pausa, rallentando e dilatandosi prima di esplodere in una carneficina di blast beat e tremolo picking entro cui anche la voce del singer perde il gracchiare abituale per assurgere a disperato annunziatore di dogmi e nefandezze. L'esortazione ad aggiungersi alla setta dei dannati, il divieto di procreare per favorire l'estinzione di massa, la dissacrazione dei simboli del Cristianesimo, lo sprone a umiliare e torturare i propri simili, il gusto di annusarne il fetore provocato dalla paura: azioni orrende, eppure necessarie, terminate le quali si possono tirare le cuoia, magari con l'aiuto di una lametta, di una pistola, di un veleno per topi, e in tal modo raggiungere Satana, per la cui gloria si è ucciso e profanato. Negli ultimi due minuti il transalpino utilizza degli effetti vocali da orco, espediente udito in "Black Millenium (Grimly Reborn)", ripetendo fino alla sfinimento il titolo della song: un mantra ipnotico che ci trascina, come sonnambuli in una notte senza fine, sul ciglio di un baratro privo di piste d'atterraggio. Il nulla assoluto.

Bitterness Bloodred

Con "Bitterness Bloodred" ("Amarezza Rosso Sangue") inizia la parte centrale del concept, "Predominance Of Belzebuth" ("Predominio di Belzebù"), all'interno del quale il vampiro appare, dopo il contagio del Male, servitore dubbioso di Satana e delle sue schiere. Sappiamo bene che il Diavolo dipinto da Meyhna'ch costituisce soltanto il paravento simbolico del proprio malessere personale: ciò che viene descritto nei brani riguarda soprattutto lo stato d'animo del protagonista, con la figura del Principe delle Tenebre ritratta sullo sfondo e il resto del mondo preso a bastonate misantropiche. Un disprezzo feroce verso l'homo sapiens che nasconde l'odio nei confronti di sé stessi e un'incapacità atavica di amalgamarsi tra le maglie della società civile, tanto che appare quasi scontata l'identificazione operata dall'occitanico con Nosferatu, il reietto e l'emarginato per eccellenza. La canzone, musicalmente, possiamo definirla, incredibile a dirsi, un incrocio ben riuscito di metallo nero finlandese e, si passi la definizione, blackened grunge, visto che del primo viene evocata la classica ferocia intrisa di melodia venefica, mentre del secondo si riesuma un'alternanza - brunita - di rumore e orecchiabilità. In tale mescolanza generale, il tremolo picking troneggia indefesso, le consuete e oblique pause strumentali si infiltrano nelle righe del racconto, il canto di Meyhna'ch è solo corde vocali, espressionista e narrativo, il ritmo sale e scende di intensità, inerpicandosi, a scadenza regolare, sui riff aperti della chitarra. Il protagonista, ormai in piena attività ostile, riflette su una condizione individuale scelta per costrizione, se non addirittura subita, con la luna di "Tormenting My Nights" che torna, fredda e presaga di sventura, a fungere da specchio del destino dell'osservatore. Sulla superficie riflettente dell'astro, il transalpino riconosce il simulacro di un volto passato che lo fissa, ora, pieno di disprezzo; la nuova natura di succhiasangue immortale, che non sente né dolore né piacere attraverso la carne, non permette all'alter ego di Roussel di degustare il sapore obnubilante delle droghe e dei tagli sul corpo. L'odio verso sé stesso raggiunge vette forse mai toccate prima: la speranza, infatti, che giacere per l'eternità in un mare rosso sangue avrebbe equivalso a una liberazione, si è rivelata fallace, con un conseguente inabissamento entro un pozzo di grigiore infinito. Eppure, le cicatrici restano lì, su un fisico insensibile, a testimoniare il persistere della sofferenza interiore di un mostro teso a spargere violenza e decadenza, residuo umano che comunque non svanisce, a ricordo di un passato ormai vino sbiadito e ameno sentiero di fiori morti. Il meglio, però, aspetta il protagonista all'Inferno, dove incontrerà la sua vecchia anima naturale, e lì si ricongiungerà a essa, dileguandosi nel buio dell'annientamento definitivo.

Majestas Leprosus

La lebbra esisteva in Egitto e nell'India 1500 anni prima di Cristo ed era nota a Greci e Arabi. In Europa venne importata dagli eserciti romani che tornavano da spedizioni in Oriente, luogo nel quale, come è testimoniato anche dai Vangeli, fu sempre endemica; tuttavia, soltanto all'epoca delle crociate la sua propagazione assunse aspetti impressionanti. Nel XII secolo molti nobili affetti dal morbo vivevano liberamente e senza vincolo alcuno, specie in Terrasanta. Con l'aggravarsi del flagello, i malati vennero isolati senza la minima pietà e condannati alla morte civile. Essi vennero così a formare una categoria sociale isolata, riscontrabile specialmente tra i diseredati; numerosi erano gli stabilimenti in cui i lebbrosi venivano raccolti, più per essere puniti che curati. Soggetti all'orrore e all'ostilità generale, erano obbligati ad annunciare la loro presenza con campanelle, ed era loro vietato l'accesso agli edifici pubblici, chiese comprese; veri paria, vivevano di elemosina e talora, accusati di stregoneria, diventavano vittima del furore popolare. La scomparsa progressiva della malattia non ha impedito comunque che la figura del lebbroso, come quella del vampiro tedoforo di pestilenza, continuasse a rappresentare nel tempo il simbolo dell'emarginato e dell'escluso dal consesso umano "ufficiale": e dunque, perché non unire le due figure e scrivere un brano della forza di "Majestas Leprosus", sovrano della feccia e del letame, preavviso della sublimazione fognaria che sarà l'album successivo "Rattekönig"? Un pezzo che ripropone gli effetti elettronici, soprattutto vocali, ascoltati in "Black Millenium (Grimly Reborn)", se vogliamo ancora più esasperati e lugubri, tanto che sembriamo toccare con mano la disperazione del protagonista: un minuto e rotti di synth e gorgoglii simil-babau provenienti dagli anfratti tenebrosi di un manicomio in procinto di crollare su sé stesso. Poi, partono chitarra e batteria, entrambe sommerse da un fuzz così pesante da immergere il tutto in una massa rumoristica attraverso cui possiamo riconoscere una sorta di "Born Under The Master's Spell" stitica e velenosa, sul punto di esplodere a ogni respiro, ma che resta compressa nel proprio nichilismo privo di sbocco fino alla fine. Esiliato dalla cosiddetta società sana di mente, il reietto dimora in qualche caverna umida, in qualche luogo che tracima disperazione, a cui i mortali temono di avvicinarsi; lì, attraverso una viscida luce di candela, si può intravedere una forma nera e informe, un abominio che gela il sangue, il sovrano del regno della carne in decomposizione. Tra una massa abnorme di carogne umane, i moribondi continuano ad aspettare il loro turno per unirsi al fetore della fossa comune, avvolgendosi tremanti negli stracci e osservando pile di bare che attendono di bruciare. I lebbrosi infestano la Terra: un requiem darkthroniano dalle esalazioni esangui.

Beyond The Decay Of Time And Flies

L'apice della misantropia e, più in generale, dell'odio verso il genere umano, viene raggiunto nella tremenda filippica "Beyond The Decay Of Time And Flies" ("Oltre La Decadenza Del Tempo E Delle Mosche") , ultimo brano della parte centrale del concept che innerva, subdolo e maleodorante, "Majestas Leprosus". Un'asocialità che colpisce nel segno proprio perché condensata in pochissime battute, pronunciate durante l'abbrivo del pezzo: quel "Siete tutti vermi e fango" gracchiato da Meyhna'ch dopo un trenta secondi abbondanti di urla incomprensibili immerse nel ritmo rockeggiante della batteria elettronica, riassume e traghetta attraverso il nuovo millennio sia il reale significato dell'oligarchia snobistica delle Les Légions Noires sia una vita personale di solitudine e autodistruzione. Poi, però, il brano cambia indirizzo, accostandosi allo spirito dei poète maudit, in particolare dirigendosi verso la visionarietà malata di Lautréamont e lo spleen vampiresco di Baudelaire, tra un tripudio di piatti sintetici e malsane falcature melodiche che ricordano i migliori episodi del mai dimenticato "Vampires Of Black Imperial Blood". Il ritmo accelera e decelera seguendo l'onda degli stati d'animo del protagonista, mentre il tremolo picking, al tempo stesso tagliente e rotondo, disegna riff malinconici e ustionanti; Meyhna'ch intanto sembra rimpiangere un passato trasformatosi in un sentiero di fiori pallidi e marci, e quasi ne avvertiamo l'odore nauseabondo, testimonianza di un qualcosa morto per sempre che non tornerà più indietro nella sua forma viva. E se ciò dovesse accadere, ci troveremmo di fronte un mostro che gira per i cimiteri, cercando cadaveri ancora freschi per rinnovare il proprio vestito ingannatore, mentre l'olezzo salva-freschezza della formaldeide ne impregna ancora la superficie e l'interno. Un uomo non più uomo, stupratore della Madre Terra, traditrice del tempo e, per questo, imbrattata di lacrime, sangue e sperma; la vendetta di Cerere è vomitare, come un cadavere abortito, la bestia, al fine di evitare che raggiunga i paradisi proibiti. Nessun riposo, nessuna pietà.

The Ugliness Inside

Seconda traccia già presente nella demo "Destroy Your Life For Satan", oltre che primo brano della terza parte del concept, "? To The Suidal Void") ("Verso Il Vuoto Suicida"), "The Ugliness Inside" ("La Bruttezza Dentro") rappresenta una mesta e profonda riflessione su un'esistenza mai vissuta appieno, con la tentazione del suicidio che fa continuamente capolino tra le righe. Il brano ha la consistenza grumosa del sangue avvelenato e rattrappito, per certi versi addirittura catchy, grazie a linee melodiche riconoscibili, riff orecchiabili e a una struttura complessiva che alterna fraseggio, feedback e cesure quasi ambient in maniera sorprendentemente regolare. Su tutto regna lo screaming di Meyhna'ch, emaciato, torturato, raschiato, capace di ergersi sulla filigrana d'ovatta della chitarra con una potenza espressiva unica, come pus che gocciola da una gamba in cancrena, mentre l'interiorità del protagonista va sgretolandosi progressivamente. La semplicità compositiva di Roussel, davanti a cui possiamo soltanto cadere in ginocchio visti i risultati emotivi che riesce a ottenere, permette al testo di far sentire la propria forza evocativa; sembra quasi di sentire distintamente il vento gelato della notte che sferza pungente le guance del vampiro, con la luna che ancora una volta si comporta da spettatrice ambigua del tormento personale della bestia. Un tormento che, tranne rarissimi sprazzi di luce, appare contaminato dal sangue e da pensieri negativi, e destinato a durare in eterno attraverso il trascorrere dei secoli, quando le notti di disperazione moltiplicheranno la loro presenza a segnare un cammino di fiori recisi e corpi in putrefazione. Nosferatu si guarda dentro e vede soltanto bruttezza e sofferenza: la promessa di strappare da sé la vita, questa grande scrofa, non sembra altro che un proposito vano, non tanto per mancanza di coraggio, quanto per una condizione autoimposta di cui il suicidio smentirebbe la funzione.

If Those Walls Could Speak

Apoteosi finale del concept, e risposta speculare alle tentazioni di suicidio del brano precedente, "If Those Walls Could Speak" ("Se Queste Mura Potessero Parlare") fotografa Meyhna'ch in una dimora personale che sembra aver accumulato il Male delle epoche passate, frutto di segrete dinastie funeste, di crimini e di bestemmie che trasudano dall'odore malsano delle mura. Una sorta di casa maledetta, dall'aura oscura, capace di affascinare gli occupanti sino a condurli alla paranoia e al desiderio di farsi saltare in aria e nella quale, di notte, possono udirsi il canto dei morti inquieti e senza pace. La musica che accompagna la storia, molto simile, tra l'altro, a quelle raccontante in "Vampires Of Black Imperial Blood" e "Remained Of A Ruined, Dead, Cursed Soul", possiede degli accenti da melodramma nero, che si insinua nella pelle con fare teatrale e sornione. Traspare una mestizia davvero senza speranza, sigillata da sette minuti abbondanti di carattere iper-ripetitivo, con la drum machine che conserva il medesimo ritmo à la Beherit per tutto il pezzo, il tremolo picking burzumiano ammirevole nella sua inquietante monotonia e Roussel che, straziato, declama il proprio mantra depressivo. Una traccia ipnotica, ove compaiono animali immondi come ragni, mosche e topi, simbolo del dominio di Satana sull'animo del protagonista, prigioniero di una casa interiore in cui anche l'oro arrugginisce a contatto con la malvagità. Il ciclo della vita viene invertito, pensieri morbosi e pulsioni febbrili guizzano e si affastellano, la peste continua a seminare discordia tra gli uomini portandoli al fratricidio, dita di ghiaccio stringono il modo sino a soffocarlo: il trionfo del Male nella tristezza dell'essere.

Words of Evil

L'outro dark ambient "Words Of Evil" ("Le Parole Del Male") chiude il concept: bastano un synth minimale e una voce pari a un brusio per evocare sensazioni di sofferenza e dolore e sorprende che per una volta Meyhna'ch non pasticci con l'elettronica. Serpeggia un'aria vagamente sci-fi, anticipo delle atmosfere cosmiche che impregneranno l'ultimo album di inediti dell'act di Grabels, "Sorrow Galaxies".

Conclusioni

Il quarto album sulla lunga distanza per i Mütiilation, si pone in continuità con il nuovo corso intrapreso dalla one man band francese con la pubblicazione di "Black Millenium (Grimly Reborn)". Un album, quest'ultimo, che sanciva il ritorno di Meyhna'ch dai recessi di una morte artistica e spirituale responsabile di un silenzio discografico della durata di sei anni, almeno per quanto concerne materiale inedito, considerata l'uscita nel 1999 di "Remained Of A Ruined, Dead, Cursed Soul", raccolta di vecchie tracce riviste e corrette. Fermo restando il trademark classico forgiato sin dai giorni gloriosi delle Les Légions Noires, il menestrello di Grabels riorienta l'indirizzo sonoro della propria creatura in direzione di un black metal meno amatoriale e improvvisato soprattutto dal punto di vista tecnico, dal momento che i testi apparivano estremamente curati e originali già dagli esordi su demo. Sappiamo che il polistrumentista occitanico, rispetto ai sodali del cenacolo oscuro, interessati a una sola circolazione intra moenia del materiale prodotto, ha sempre avuto il desiderio, opportunamente poco reclamizzato, di emergere dal piccolo gruppo delle Legioni Nere con lo scopo di raggiungere una maggiore visibilità. Un aspetto non così appariscente che in parte, però, può spiegare l'allontanamento di Willy dalla sparuta enclave musicale bretone: il peso dell'utilizzo delle sostanze tossiche da parte dell'occitanico certo non va trascurato, con tutte le conseguenze personali del caso, ma altrettanta importanza riveste la voglia di trasmettere all'umanità, e al mondo deviato del trve kvlt, un messaggio carico di misantropia e odio. Pariamo, ça va sans dire, di mezzi di diffusione comunque elitari; tuttavia, il provenzale ribelle mette in un angolo il dilettantismo, abbandona il fai da te e si affida, per la registrazione di "Vampires Of Black Imperial Blood", alla Drakkar Productions, che, pur conservando il forte sentore cantinaro delle vecchie incisioni amatoriali, conferisce al disco una patina di nitore chiaramente superiore se guardiamo ai risultati dei vari Belkètre, Vlad Tepes, Torgeist e compagnia cantante. L'attenzione a un certo rigore professionale apparirà più marcata dopo il come back del 2000 con l'EP "The New False Prophet", nel quale inizia a notarsi una relativa standardizzazione del sound attraverso l'impiego dell'elettronica e di riff molto più focalizzati sulla precisione e l'efficacia. "Majestas Leprosus" si situa su questa linea di sviluppo e, di fatto, nulla aggiunge di rilevante e di diverso, in senso strettamente compositivo, alla struttura complessiva del long playing precedente. L'elemento dirimente che differenzia davvero il lavoro dal resto della produzione del solo project transalpino riguarda il cotè testuale: i brani, infatti, vengono imperniati sulla figura simbolica del vampiro e raccolti all'interno di un concept diviso in tre sezioni e composto da titoli esplicativi quali "From The Evil Vortex ?", "Predominance Of Belzebuth" e "? To The Suicidal Void".  Il racconto parte dal contagio maligno subito dal protagonista, prima di dipanarsi in una parte centrale ove la narrazione si concentra sugli atti malvagi compiuti dal personaggio e, poi, terminare con la caduta all'interno di un gorgo suicida che lascia un punto interrogativo sulla vicenda e sulla sorte del mostro. Come è facile immaginare, specialmente per coloro che hanno dimestichezza e familiarità con la penna dell'autore, la trama non segue un percorso lineare, perdendosi tra riferimenti cinematografico-letterari e una visionarietà che, spesso, mette il bavaglio tanto alla logica quanto a una pur risibile cronologia degli accadimenti. A Meyhna'ch interessa atteggiarsi, anche in virtù di trascorsi individuali colmi di solitudine e dipendenze, a poeta maledetto, a cantore della miseria e della sordidezza, a feroce denigratore della società, a cui vuole recare danno indossando i panni del reietto e dell'emarginato, a celebratore dell'operato di Satana, padre putativo dopo le delusioni patite dall'Onnipotente. Un canovaccio conosciuto che qui tocca vette incredibili di disprezzo e rancore, incastrate in un'atmosfera di dolore e mestizia a tratti insopportabile, chiusa a ogni tentativo di fuga, a meno di non ricorrere a un'auto-eliminazione continuamente evocata, benché mai divenuta carne. E non per difetto di coraggio o per paura: il lebbroso, inviso da tutto e tutti, preferisce procedere maestoso sulla strada dell'Apocalisse, avanzare su sentieri di fiori marci, dall'odore stomachevole e stantio, ghignare nello scrutare masse di cadaveri ambulanti colpiti dalle infezioni e dalla pestilenza da lui portate nel mondo. Nell'opera successiva, "Rattenkönig", il leprosus cingerà il proprio capo di una corona di topi, profondendosi in bassezze peggiori di quelle testé osservate: una volta arrivati sul fondo, se si dovesse risalire, sarebbe soltanto per condividere, con le stelle e i pianeti, la freddezza cosmica del silenzio assoluto.

1) Introducing the Plague
2) Tormenting My Nights
3) Destroy Your Life For Satan
4) Bitterness Bloodred
5) Majestas Leprosus
6) Beyond The Decay Of Time And Flies
7) The Ugliness Inside
8) If Those Walls Could Speak
9) Words of Evil
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