Mütiilation

Black Millenium (Grimly Reborn)

2001 - Drakkar Productions

A CURA DI
GIOVANNI AUSONI
20/10/2020
TEMPO DI LETTURA:
8

Introduzione recensione

L'uscita nel 2000 dell'EP "New False Prophet" segnò il come back discografico dei Mütiilation dopo il tanto strombazzato suicidio musicale annunciato nel 1996 e nonostante la pubblicazione successiva di "Remains Of A Ruined, Dead, Cursed Soul" (1999), una raccolta postuma composta di vecchi brani mai editi. Il mini di ritorno, però, non ebbe soltanto il merito di rompere un silenzio protrattosi per un lustro, ma restituì una one man band diversa da quella ammirata durante l'epoca delle Légions Noires: pur sposando fedelmente le linee generali del passato, Meyhna'ch decise di voltare in qualche modo pagina, virando su una normalizzazione   soprattutto tecnica. Voce accessibile, produzione discreta, un utilizzo convinto ed esclusivo della drum machine, l'impiego dei sintetizzatori, la sensazione di un progetto che inizia a trascorrere dallo spontaneo al ragionato; certo, non possiamo parlare di uno stile laccato, anzi, l'atmosfera resta grezza e malsana, ma, se ne paragoniamo le ramificazioni con quelle delle prove precedenti, le differenze balzano subito all'occhio. Con "Black Millenium (Grimly Reborn)" ("Millennio Nero (Rinato Tristemente)") (2001) assistiamo a una sistematizzazione degli elementi di novità succitati, ai quali si associa, come risulta evidente dal titolo, la tematica principe della rinascita personale ambasciatrice di sventura, con il conseguente instaurarsi simbolico di un cupo regno dai caratteri post apocalittici. Lo sguardo, in ogni caso, si rivolge altresì altrove: da un lato l'odio viscerale verso un Dio bugiardo, oltre che nei riguardi dell'intero genere umano, dall'altro la rentrée sulle scene del vero tedoforo del metallo nero, genere ormai dimentico della propria missione elitaria. Roussel oscilla tra questi due estremi, inserendo in itinere situazioni grottesche, ricordi personali di dipendenze assortite e una vena malinconica capace di conferire ulteriori sfumature di interpretazione alla trama concettuale del lavoro. A coronare, poi, un album virato a seppia e tuttavia non privo di un'indubbia aura beffarda, pensa l'artwork, uno dei più bizzarri mai realizzati in ambito black metal: Meyhna'ch, candelabro in mano, appare stravaccato su una sedia a rotelle all'interno di una stamberga ammuffita, mentre un cane nero lo sorveglia nella sua agonia. Un rovesciamento sardonico della cover di "Transilvanian Hunger": se lì Fenriz celebrava il tripudio gelido dei Darkthrone, qui Willy rantola, al pari di un ufficiale delle SS annientato da una sconfitta devastante (l'iconografia della copertina, d'altronde, lancia evidenti segnali di fascinazione nazista senza però che nei testi si adombri nello specifico a posizioni politicamente massimaliste). Attenzione, comunque: lo stertore dell'occitanico è quello di un uomo già morto, di un revenant in procinto di trascinare con sé nella rovina totale ogni minima particella dell'universo, una prefigurazione della sorte futura di un mondo destinato al tormento perpetuo. E dunque, paradossalmente, il platter, costruito in modo tale da risultare "orecchiabile", diviene un veicolo di macerie escatologiche intelligibile a un numero maggiore di ascoltatori: informarli (e spaventarli) circa il destino tragico che attende loro sembra, in fin dei conti, l'obiettivo principale del polistrumentista transalpino, insieme a una condanna del Cristianesimo netta e vibrante, anche rispetto al contenuto lirico delle opere anteriori. Un inno al declino, alla fatiscenza, allucinato e razionale al medesimo istante, eiaculatio insalubre di un artista capace di reinventarsi rimanendo profondamente sé stesso, uno separazione dal cordone ombelicale delle Legioni Nere, un ammiccante fluido putrido, un sterzata decisa che condurrà al nichilismo integrale: "Black Millenium (Grimly Reborn)" inizia, così, un processo di sollevamento cosmico, per il momento, però, ancora ricco di terra e fango. Cenere alla cenere, polvere alla polvere.

The Eggs Of Melancholy

L'abbrivio del disco viene affidato a uno dei brani più significativi, e dal titolo tra i più curiosi, realizzati dal solo project transalpino: "The Eggs Of Melancholy", ossia "Le Uova Della Malinconia" in lingua italiana. Nello spirito di alcuni momenti cinematico/letterari di "Vampires Of Black Imperial Blood" e, in parte, di "Remains Of A Ruined, Dead, Cursed Soul", Meyhna'ch costruisce per il pezzo un impianto romanzesco affine alla narrativa gotica di fine '800 a cui, però, si affianca un gusto dell'orrido così pronunciato da ricordare i truculenti horror movie nostrani del secolo scorso. La partenza mette in luce come siano cambiati alcuni aspetti nel sound della band, mutamenti che, se non lasciano sorpresi dopo aver ascoltato l'EP "New False Prophet", comunque marcano una parziale differenza rispetto alle prime prove in studio. L'introduzione, infatti, consta di una breve sezione acustica rimpolpata da un'effettistica elettronica tetra e uggiosa, ma dallo spiccato flavor melodico, e da tastiere dark ambient di chiara impronta burzumiana; quando entra la drum machine, in sordina e statica nel suo incedere robotico, le keys si sovrappongono seguendo la propria texture senza poggiare sul ritmo monocromatico delle pelli. Una scollatura che permette di assaporare appieno un gusto catchy, rotondo, di grande orecchiabilità, già strisciante nei lavori anteriori, ora tangibile e concreto, anche grazie a una produzione dal taglio abbastanza professionale. Quarantasei secondi atmosferici, dunque, tosto seviziati da un'accelerazione pregna di tremolo e blast beats che, fulminea, lascia campo alla vecchia chitarra dronica e balbettante tipica del marchio Mütiilation; il ricorso allo schema classico permette al singer di ritagliarsi il giusto spazio teatrale per avviare, attraverso uno scream globoso e grattugiato, il racconto alla base della traccia. Ci troviamo in una landa obliata da Dio: l'estate, di natura desertica e capace di generare esclusivamente frutti marci, volge al termine, si approssima un autunno carico di depressione e oscuri presagi, gli abitanti del posto, rosi dall'inquietudine, sembrano spaventati, e mentre i cani abbaiano alla luna e i bambini piangono disperati, venti di superstizione spirano ostili. Una seconda sgasata e il subitaneo ritorno al tema uniforme della sei corde serve a sottolineare la motivazione di tale degradato panorama: dalla comparsa di strane uova nere, forse opera di stregoneria, di fatto di origine ignota, uomini e animali cadono falciati da fame ed epidemie e nessun esorcismo sembra in grado di stanare la maledizione, né risulta possibile fermarla crocifiggendo, a mo' di vittima sacrificale, qualche capro espiatorio. Rintocchi di una campana funebre e cadenzati mid-tempo spalancano le porte a uno scenario pestilenziale nel quale i cadaveri, ammassati nelle fosse comuni, non ricevono neanche la benedizione del funerale, vista la mancanza del sacerdote, in realtà già bello e sepolto; poi, un profluvio di crash e il tagliente e serrato main riff conducono Roussel al nocciolo della questione, che sbalordisce sino a un certo punto quando si conosce il percorso esistenziale dell'occitanico. La Chiesa, il luogo in cui i sopravvissuti si rifugiano impauriti, rappresenta l'epicentro del Male che affligge il villaggio; da lì, un'onda magnetica di dolore si propaga ovunque, portando con sé il lezzo delle carogne e dell'infezione. La canzone, successivamente alla reprise della strofa inaugurale,  termina con una sorta di esplosione vaporosa che disintegra e polverizza ogni cosa: Meyhna'ch, profeta di distruzione, considera l'Onnipotente una sepsi esistenziale, l'unico responsabile della manifestazione terrena delle eggs of melancholy. Il momento di dire basta è giunto.

New False Prophet

Già presente nell'EP omonimo del 2000 e analizzata nella scorsa recensione, "New False Prophet" costituisce uno dei pezzi migliori e più famosi della seconda parte di carriera dei Mütiilation. Grazie, infatti, alla linearità della struttura, agli inserti elettronici e a un tiro catchy a tratti irresistibile, il brano non fatica a stamparsi nei corridoi del cervello dell'ascoltatore; oltretutto il testo, che annuncia l'avvento di un oracolo di distruzione, viene costruito evocando immagini da film horror capaci di attrarre e concupire in virtù di un artigianato di qualità da novello Mario Bava. Ma il pezzo è interessante anche per un significato che permarrebbe forse un po' sottotraccia se restassimo aderenti rigorosamente al testo; allargando la visuale, ma lasciandola comunque ancorata alle tematiche generali dell'album, possiamo con tranquillità intendere l'arrivo del falso profeta come una dichiarazione di identità artistica. Identità artistica che risponde a una fedeltà indefessa al Verbo del black metal originario, quello declinato dalla triade norvegese Burzum/Darkthrone/Mayhem e, ora, tradito da una masnada di epigoni interessati soltanto alla sua massificazione. Meyhna'ch, dunque, si assume il ruolo di vate oscuro, pronto a punire la scena estrema, macchiatasi del peccato mortale di aver venduto il genere nero per eccellenza al mercato globale delle chincaglierie. Una posizione provocatoria, che colpisce parzialmente nel segno e che trascura volutamente le stimolanti metamorfosi del BM intanto occorse; lo stesso Roussel, d'altronde, stava contribuendo a tali mutamenti di genere con la codificazione della corrente depressive. La critica del transalpino, in filigrana, si rivolge altresì al fallimento dell'esperienza delle Légions Noires, incapaci, alla lunga, di conservare viva la fiamma dell'elitarismo. Un rapporto di odio-amore quello nutrito da Willy nei confronti di un cenacolo da cui fu ripudiato senza troppi complimenti per la propria tossicodipendenza e al quale non vengono risparmiate frecciate velenose pur nel rispetto dell'importanza che esso rivestì quale prima incarnazione francese della Fiamma Oscura. E così lo zombie tossico avanza imperterrito, tra colpi di ride, accelerazioni epiche e un senso di tragedia che ammicca sardonico dalle retrovie.

The Hanged Priest

Il lotto prosegue con una traccia speculare a "New False Prophet", dal momento che il protagonista della pista, "The Hanged Priest", in italiano "Il Prete Impiccato", si accolla, similarmente al falso profeta, il ferale compito di guidare le masse verso l'autodistruzione. Anche qui, un po' come per tutto il disco, le liriche riescono a evocare scenari di ribrezzo e deturpazione, con una ridda di particolari disgustosi messi in bella evidenza, e che avvicina Meyhna'ch a una sorta di Tom Savini prestato al black metal. Il transalpino, infatti, non sfigurerebbe nel triplice ruolo di regista, curatore degli effetti speciali e responsabile della colonna sonora di un adattamento cinematografico del kinghiano "Salem's Lot", romanzo a cui il brano appare accomunato non soltanto da atmosfere notturne e vampiresche e da un senso diffuso di pessimismo e inevitabilità, ma anche, se non soprattutto, dalla presenza di un sacerdote dotato di scarse, scarsissime certezze confessionali. L'avvio del pezzo non costa di alcuna introduzione preparatoria, entrando a piedi uniti e in medias res grazie all'impatto, relativamente morbido e ovattato, di una drum machine enfatica e rifinita dai crash, e di un riff ad alto tasso eufonico; l'insieme procede con un afflato orchestrale per venticinque secondi, quando arriva il momento della forte variazione di marcia attraverso la classica transizione a firma Mütiilation. Il fraseggio atonale e reiterato della chitarra, frustato a sangue dai piatti, allestisce il campo per lo screaming recitato di un Roussel cantastorie crudele e perverso. L'ascoltatore viene subito informato della situazione: un ministro di Dio, spinto dalla lussuria e dal sadismo, cade miseramente in disgrazia e i suoi occhi, folli, brillano di una vampa malvagia. Durante gli uffici liturgici, offende i fedeli con un ghigno terrificante, e orge bestiali, abusi su minori e torture assortite non bastano all'ecclesiastico deviato per guadagnarsi un posto importante nell'Inferno tanto desiderato: bisogna tradire la fede e peccare contro la propria persona, attorcigliandosi una corda attorno al collo e riunirsi finalmente al vero Padre. Immagini, dunque, cariche di turpitudine, aderenti a un canovaccio mefistofelico ricco di feroce corporeità e vergate da un doppio "Amen" proferito dalla voce sintetica del singer nelle vesti di un demone demente. Il successivo cambio di passo strumentale battezza un'esplosione melodica gloriosa, benché in lo-fi, e la sei corde, lasciata libera di affondare gli artigli nel vuoto pneumatico, quasi rimbomba e fugge sferzata dal pungolo uncinato dei ride sintetici. Sembra giunta l'ora del trionfo: il reverendo oscuro, convertito alla causa diabolica, aduna a sé la folla adorante, molti si tagliano le vene in suo onore, altri, al pari di pecore cieche al massacro, lo seguono e obbediscono alla nuova Legge. Il ritmo, la velocità, restano di natura trionfale sino alla fine, con la voce dell'occitanico grassa, voluminosa, quasi a suggellare quello che poi costituisce il fulcro tematico del pezzo: la trasformazione del sacerdote oscuro in un Gesù invertito che, con la lingua nera fuori dalla bocca orribilmente sorridente e le carogne appese alle braccia, rappresenta l'incarnazione di una dottrina soteriologica che conduce direttamente tra le fiamme dell'Oltretomba satanico. Straordinariamente ipnotica, portatrice di un punto di vista cinico e iperrealistico, finanche dal piglio straight-forward, "The Hanged Priest" conclude un abbrivio cupo e psicotico di qualità eccelsa, forse una delle vette artistiche della carriera della one man band di Grabels. Che si apra il messale nero: e così sia.

Inferi Ira Ductus

Dopo un avvio folgorante, il quarto brano in scaletta palesa una certa stanchezza e un grado di pretenziosità che sino a ora non avevamo mai riscontrato nel progetto Mütilation. La scelta di Meyhna'ch, infatti, di innestare, su un brogliaccio compositivo ben noto e un pizzico controcorrente rispetto allo spirito dell'album, un testo in latino, si rivela fallace: al di là di errori grammaticali piuttosto ingenui e corrivi, il songwriter francese ingabbia le abilità romanzesche della propria penna in una lirica disorganica e ordinaria, e la cui stringatezza opera in senso opposto sia a una sua chiara comprensione sia a una sua concreta funzionalità all'interno del disco. A leggere il titolo, "Inferi Ira Ductus" ("Guidato Dall'Ira Dell'Inferno"), ci si attenderebbe una violenta requisitoria anticristiana dai tratti morbosi e sanguinolenti; nella realtà, a parole che incidono poco sull'immaginario horror a cui siamo piacevolmente abituati, corrisponde un pezzo dal piglio sì discretamente efficace, ma, che una volta terminato, crolla presto nella peggiore delle obsolescenze. Lo start della canzone, dal taglio orchestrale, ricalca quello di "The Hanged Priest" grazie all'utilizzo dei piatti a scadenza regolare e a un riff portante in tremolo dalla melodia ficcante: la velocità d'esecuzione, tuttavia, risulta decisamente superiore e, note a margine negative, il ritmo, tranne qualche impennata, non muta sino alla fine e di variazioni, a parte la consueta cesura, nemmeno l'ombra. Un approccio thrashy difficoltoso e tirato per le lunghe, che ricorda, a tinte sbiadite, e senza la medesima evocazione di atmosfere battagliere e selvagge, il primo EP "Hail Satanas We Are The Black Legions". Anche in questo caso la narrazione si occupa di un trionfo demoniaco successivo, però, all'amara constatazione di una sconfitta bruciante: ciò che viene rappresentato quale una conflitto tra entità divine con tanto di città distrutte dal fuoco rimanda metaforicamente alla cacciata di Satana dal Paradiso e degli angeli ribelli, sconfitti dall'Onnipotente nel loro tentativo di ribellione titanica. Dicevamo supra, niente di particolarmente nuovo o eccitante dal punto di vista testuale, tranne il fatto che la sete di vendetta del Maligno sembra colorarsi di frustrazione, considerato lo scarso guadagno ottenuto da una vittoria che appare soltanto parziale e di breve durata. I fraseggi sfocati e dimessi lasciano un'impressione di trasandatezza che, rispetto al solito, suona più figlia della fatica nel conservare un determinato standard qualitativo che di una consapevole sciatteria legata al classico trademark elaborato nottetempo dai Mütiilation. E la scelta di un idioma antico ai danni della lingua madre, incapace di conferire espressività e significato al pensiero e alla fantasia macabra dell'autore, costituisce una palla al piede che impedisce alla canzone di prendere il volo. A dire il vero, non riesce neanche a inabissarsi, restando in una terra di mezzo pateticamente anonima.

Curse My Funeral

Si ritorna al tenore consueti con "Curse My Funeral" ("Maledire Il Mio Funerale"), brano in cui il nostro caro occitanico non soltanto impiega un certo sarcasmo nel costruire il testo, accentuando una componente grottesca e naïve che da sempre caratterizza parte del discorso Mütiilation, ma lancia una dichiarazione di poetica sospesa tra lo sberleffo e il titanico. Sin dall'avio del brano, Meyhna'ch appare nelle vesti di un giullare medievale volgare e grifagno che, anziché narrare le gesta eroiche dei paladini di Carlo Magno, dà fiato alla descrizione delle proprie esequie. Sembrano delle tastiere giocattolo in modalità requiem quelle che aprono le danze, con il singer che, voce iper-distorta e riverberata, bofonchia come se masticasse gigantesche caramelle al blob: le parole, globose e viscide, raccontano gli ultimi attimi di respiro del protagonista, creatura della notte ancora semiumana che osserva la propria ombra, spossata da una guerra combattuta specialmente con sé stessa, adagiarsi sulle pietre grigie, mentre la luce fatua delle stelle avviluppa un castello dimenticato, sua residenza avita. Chiaro, si avvertono, a livello di immagini, gli echi vampireschi di "Vampires Of Black Imperial Blood" (1995) che, in questo caso, tuttavia, appaiono svuotati sia degli aspetti drammatici sia del loro alone eminentemente metaforico, rivelandosi uno scheletro su cui innestare significati meno volatili. Terminata la bizzarra lamentatio introduttiva, entra in scena il mood uniforme impostato dalla chitarra, obliquo, eppur melodico, e che pare gorgogliare da un amplificatore funzionante a singhiozzo; Roussel più che cantare recita, utilizzando uno scream grandguignolesco, malevolo, ma soprattutto comprensibile. Insomma, il transalpino fa teatro, creando un climax narrativo degno di uno scrittore dall'esperienza consumata: gli appetibili gradini vista Inferno, un'esistenza inutile, rappresentata visivamente dal rifugio misantropico e auto-seppellente di una fortezza maledetta, il desiderio, quasi di natura sessuale, di raggiungere il cancello aggettante l'Oltretomba, i pipistrelli che indicano la strada, il suicidio tanto rincorso e ora, dopo tanti proclami, messo in atto. Durante l'incisione della propria carne, però, il Nostro non avverte né un piacere masochistico né la voluttà della disperazione: nel momento topico la musica incupisce, tremola burzumianamente, rapida scorre fuori dalle vene, la vita sta per cessare, ed ecco che Willy ci fornisce la chiave interpretativa della canzone con la frase "? What a great artist dies with me ?". "Che grande artista muore con me"; asserzione, dunque, carica di narcisismo, fortemente ironica, un pugno rotante sferrato a tutta la scena black metal mondiale, colpevole di essersi venduta al miglior offerente e orfana, adesso, dell'Interprete per definizione. Meyhna'ch lo urla ai quattro venti, supportato dallo scrosciare fragoroso dei piatti e dal ritmo zelante della drum machine, inaugurando una seconda parte che, rispetto alla precedente, viaggia su cadenze decisamente maggiori di velocità, pur conservando il riff principale della sezione d'avvio. Al tono da sarcastico pamphlet viene sovrapposto il leit motiv che opera da spina dorsale dell'album, ovvero il tema della rinascita latrice di verità e sventure; alla condanna della Fiamma Nera moderna si aggiunge, infatti, il tradimento nei confronti di un Dio illusorio e bugiardo, prima attraverso il gesto del suicidio, poi nell'inumazione in una terra benedetta. Da lì emerge un nuovo uomo, una carogna di Satana, pronta a sputare sul volto marcio dell'Onnipotente e divulgatrice di una Rivelazione apocalittica: si comprende, adesso, perché il mondo può unicamente maledire tal funerale. Un sorrisetto sardonico resta comunque sulla bocca del menestrello francese, e mai così visibile.

A Dream

Un brano essenziale, di appena due minuti,  che, però, rappresenta uno splendido colpo di reni capace di far dimenticare il semi-pastrocchio di "Inferi Ira Ductus": "A Dream", infatti, rivela, a livello musicale, la veste più intimista della one man band di Grabels, malgrado tale raccoglimento interiore affidato alle note non collimi con un testo pronto a ribaltare la cupa visione esistenziale tipica di Meyhna'ch. Lo stesso titolo del pezzo risulta un vero inganno perpetrato ai danni, anzi, per meglio dire, a beneficio dagli ascoltatori, in questo modo sorpresi due volte dalla rete a maglie strette intessuta dal songwriter transalpino; prima illusi dal probabile racconto di un sogno piacevole, poi catapultati in un clima novembrino, ci rendiamo conto come un semplice interludio atmosferico possa presto trasformarsi, se gestito oculatamente, in un incubo a occhi aperti. Collocata strategicamente in esergo a una seconda parte del lotto colorata di pece nerissima, la traccia avanza lentamente su una progressione di pochi e grevi accordi di chitarra acustica, così plastici da destare sospetti circa la loro origine elettronica, e a cui si accompagna un organo sintetico delegato a conferire all'insieme un marchio di sacralità funeraria da brividi gelidi. Il singer sussurra ostile e infido, delineando nei particolari l'ossessione personale per la morte, che, bene o male, innerva un po' tutta la discografia dei Mütiilation; qui la narrazione riguarda una visione di matrice persecutoria, che costringe il protagonista a ricordarne e analizzarne le fasi e i dettagli, con tanto di punti interrogativi sparsi nel testo a comprovare la difficoltà di un'interpretazione univoca. La scena consiste nella rappresentazione di un uomo nudo, esanime, dal corpo martoriato, colmo di ferite auto-inferte per mezzo di armi da taglio; il Nostro brancola nel buio, tra significati nebbiosi e orribili presentimenti, sino a quando una notte comprende di aver vaneggiato sia sul proprio cadavere che sulla sua relativa inumazione. Ora, appare manifesto un richiamo neanche troppo velato alla figura di Cristo, riferimento intriso di blasfemia visto il clima masochistico-suicida dell'intermezzo. Spingendosi oltre nell'esegesi, emerge altrettanto evidente quanto tale allucinazione da profondo assopimento accenni all'atavica paura di essere sepolti vivi. E il fatto che nella descrizione si occhieggi a un immaginario letterario oscillante fra la poesia sepolcrale settecentesca, Charles Baudelaire e il racconto "The Premature Burial" di Edgar Allan Poe, autore spesso fonte di ispirazione per Roussel, testimonia, ancora una volta, l'estrema cura dell'occitanico per la realizzazione delle liriche. Centoventi secondi di pura sottigliezza e suggestione onirica.

Black Millenium

Nella title track i Mütiilation si travestono da Nuclear Assault, visto che lo scenario evocato nella canzone concerne un'apocalisse nucleare; ma, ovviamente, la somiglianza resta superficiale, anzi illusoria, e ciò sorprende poco o nulla, soprattutto per chi conosce il Verbo oscuro della one man band francese. Un titolo, "Black Millenium" (Millennio Nero), che la dice già lunga sul clima asfissiante e velenoso di una traccia collegata, per il suo significato più profondo, con l'opener "Eggs Of Melancholy". Il cantato di Meyhna'ch, poi, ancora una volta estremamente chiaro, si trasforma presto in una sorta di recitativo teso a dare corpo e sangue (entrambi guasti) a uno sfondo da romanzo catastrofico che contempla fiotti di orripilanti goticismi e di paranoie escatologiche. L'avvio trafigge e appesta: sciabolate ipnotiche di chitarra si fondono alla secca lestezza di un'inflessibile drum machine, per sessanta secondi di litania alla velocità del Primo Mobile che mai disdegna di cavalcare un fil rouge melodico dal sapore meticcio, tra il malinconico, il ferale e il rassegnato. Un mondo devastato, cieli rosso vermiglio che carbonizzano gli uomini, pochi superstiti nascosti nel profondo di gallerie sotterranee in compagnia dei topi; nessuno sa cosa accade, se non che un cancro sta divorando il pianeta. La vera causa? Duemila anni di storia dominati dal Cristianesimo: ma ora quel nauseante processo carico di ignoranza e paura appare atrocemente concluso, con il cinico scintillio delle armi da fuoco capaci di uccidere persino la notte. Nel momento topico il brano diviene tumido, orchestrale, i piatti si conficcano nell'aere malsano, la batteria, programmata sulla medesima velocità di crociera, non offre minime variazioni. Roussel in tutto questo gracchia al pari di un corvo sulle carcasse di una vita svanita, sui resti di una Terra affumicata dai fumi e dagli acidi; intanto il brano riprende musicalmente la strofa introduttiva, soltanto che in quest'occasione vengono messe in risalto gli effetti del disastro. Inutili lotte per accaparrarsi ciascuno un miserabile frammento di crosta morta, cadaveri lasciati putrefare senza sepoltura, il cannibalismo quale ancora di sopravvivenza. La cesura di mezzo, esclusivamente strumentale, vede chitarra e batteria impegnati in un dialogo cupo e serrato, preludio al ritorno della consueto leit motiv all'interno del quale si inserisce la chiave interpretativa del pezzo: nonostante la tragedia, un gruppo sparuto di uomini, nascosti come ratti nella feccia e nelle latrine, si ostina a pregare, ed è proprio da lì, da quell'accolita di stolti discepoli di Dio, che deriva il vero Male, la radice di ogni tragedia, cataclisma atomico compreso. Non manca il riferimento all'arretramento della civiltà, al sorgere di un nuovo Medioevo oscuro e barbaro: perdoniamo all'autore, considerata l'efficacia della canzone, il ricorso a un topos storiografico, diffuso ad hoc dall'Illuminismo, da anni sdoganato e privo di fondamento, tranne che per i secoli immediatamente successivi alla caduta dell'Impero Romano, quando il suo crollo ufficiale provocò una decadenza sociale, economica e culturale in realtà già in itinere da tempo. Espediente letterario ammesso, dunque, e che offre la stura a Willy per continuare a narrare dello sfacelo generale e dell'arrivo del millennio nero del titolo: mentre tutto è perduto e la cenere incombe ovunque, il transalpino, nella forma gassosa di un fantasma e anonimo testimone della caduta, si aggirerà in eterno, privo di amarezza e di lacrime per la sorte toccata al genere umano. La pista sfuma in un timido feedback, quasi a voler rimarcare l'ambiguità di una lirica che, a un certo compiacimento morboso, accosta un'atmosfera di profonda mestizia relativa al quadro di desolazione ritratto: il volto bifronte dell'Onnipotente.

No Mercy For Humans

Perseverando sulla linea fosca della seconda metà del lotto, Meyhna'ch confeziona, in "No Mercy For Humans" ("Nessuna Pietà Per Gli Umani"), il J'accuse misantropico più violento della storia dell'extreme music: affermazione volutamente esagerata, ma che rende bene l'idea circa l'odio totale del francese nei confronti dell'umanità intera, senza nessuna deroga di sorta. Il brano, però, non si limita a sprizzare dispregio e rancore: l'occitanico, infatti, profetizza l'avvento di un gruppo di pochi eletti, che, a seconda delle interpretazioni, può riferirsi sia alle vecchie Légions Noires, custodi di un black metal primigenio ora scomparso e finanche vilipeso, sia a una schiatta di devoti al Maligno (?) interessati soltanto a precipitare l'uomo nella rovina. Sembra evidente, soprattutto guardando alla prima nota esegetica, come il risentimento verso la società si concentri intorno a un nucleo preciso, circostanziato, ovvero quello riguardante la banalizzazione spirituale della scena nera: una tematica, questa, cardine concettuale dell'album, eppure non suo esclusivo fuoco speculativo, considerati gli assidui riferimenti di Roussel al proprio percorso esistenziale sparsi nelle fitte trame liriche dei pezzi. Passando alla canzone in questione, bisogna sottolineare il fatto che a un testo così ricco di spunti corrisponda una parte musicale altrettanto ciarliera, specialmente a livello di ritmo. Tanto che, dopo una melodia uggiosa e inquietante posta in esergo, intarsiata da una plettro costruito a mo' di vomere elettrificato, la cadenza diviene tosto rapida, addirittura ottimistica nell'incedere circense e sincopato: ennesimo sberleffo di un songwriter difficilmente prevedibile, nonostante le apparenze di una proposta monocorde e meccanica. Immaginando un'espressione di torva sfida negli occhi, ascoltiamo Roussel scagliarsi con rabbia contro gli individui, ne vitupera il modo in cui vivono e si muovono fisicamente, li incolpa della sua depressione e della sua progressiva attrazione per la tomba: ora, redivivo, è pronto alla vendetta. Il cambio di marcia viene caratterizzato da un rallentamento vischioso e oscenamente teatrale, a cui si sovrappone la voce effettata del singer, qui forse in veste ancora più grottesca rispetto a quella sperimentata in "Curse My Funeral". In un luogo nascosto e inaccessibile, lontano nella foresta, le candele bruciano su una cripta di pietra; tutt'intorno al fuoco, dipinti di nero e dalla cupa sembianza, uno sparuto pugno di uomini maledice un mondo che, senza rimpianti, si lasciano alle spalle. Durante l'appiccicosa accelerazione in tremolo sembra di scorgere questa piccola accolita di reduci dedicarsi a notti cariche di sadismo e lussuria e officiare riti ancestrali, entrambe empie azioni intraprese al fine di conservare l'antica Fiamma e instaurare un proprio regno: oscuro, naturalmente. Ulteriore moviola ritmica, ancora un'accelerazione e poi strascichi fangosi al limite dello sludge, con i piatti sempre intenti a dettare la linea marziale e un senso di fanfara funebre che dall'iniziale tono burlesco pian piano tracima nel sopore cadaverico; del resto, e inaspettatamente, Roussel invoca, in lacrime, una richiesta d'aiuto. Il "Save me" ("Salvami") pronunciato a denti stretti e rivolto a un interlocutore non ben definito (Dio? Satana? Sé stesso?) adombra la possibilità che la famosa rinascita cicalata ovunque nel disco conduca alla solitudine, al silenzio eterno dei boschi, all'amarezza di un fallimento comunque migliore dell'omologazione, esistenziale e, aggiungiamo noi, artistica. Una nuova energia oscura possiede l'anima dei Mütiilation, con tutte le conseguenze del caso.

Black As Lead And Death

L'apoteosi, il culmine di un discorso inaugurato con l'EP "New False Prophet" e ivi corroborato da un testo che, diviso in due parti, costituisce allo stesso tempo sia un seguito dei brani precedenti sia l'affermazione di una nuova parabola artistica. Il suicidio viene considerato hiatus fondamentale per la rinascita, l'instaurarsi di un ordine fondato sul Verbo di un black metal più livido ed enfiato di un cadavere ripescato dopo mesi di galleggiamento negli abissi dell'Acheronte, la catabasi necessaria all'avvento di un'era tetra preludio all'Apocalisse. Potremmo riconoscerli tra mille gli abbrivi di un brano targato Mütiilation, con quei riff taglienti eppure malinconicamente melodici che, negli interstizi tossici di "Black As Lead And Death" assumono le sembianze di arcani aedi del disfacimento. La sporcizia del basso e i ride sinfonici della drum machine ne acuiscono il messaggio, costruito su climax e anticlimax scalari di grande efficacia armonica; appena velocizzata dal tremolo, tale struttura è pronta ad accogliere le parole di Meyhna'ch che, nella prima sezione, riassume in poche battute il proprio tormentato itinerario di vita, sofferto e carico di odio viscerale verso il mondo, destinato a cadere insieme al francese nel baratro dell'auto-annientamento. Tranne qualche raro momento dedicato ai vizi e alla lussuria, peraltro vissuti in maniera borderline, l'occitanico ricorda soltanto momenti di dolore e sofferenza, con la gloria dei giorni passati rappresentata simbolicamente dal fraterno cenacolo delle Légions Noires, che oramai appare un remoto feticcio di appartenenza. Frattanto interviene una lunga plettrata zigzagante, poi il pezzo prosegue sulla falsariga di fraseggi circolari di foggia Darkthrone (periodo "Transilvanian Hunger e in particolare il brano scritto da Count Grishnackh "As Flittermice As Satan Spys"); anche il timbro dell'ugola di Roussel richiama molto da vicino quello di Nocturno Culto, rivelando un legame di sangue mai tradito neanche nel neue kurs dei Mütiilation. La ripresa della strofa iniziale introduce a una seconda parte dotata di un forza testuale rabbrividente e strabiliante e nella quale viene analizzato tutto ciò che, al momento dello revolverata definitiva, passa per la testa del protagonista. Supportato da un'aggressività sonora cupa sino al midollo, Willy tinge la propria morte e rinascita del colore per antonomasia in tale contesto: il nero.  Nero come un guscio umano diventato debole, come il crepuscolo del nostro mondo in macerie, come un tunnel senza fine, come la droga e l'alcol, come il futuro, come il tempo del cenacolo trionfale, come un passato non replicabile, come una fredda canna di ferro succhiata voluttuosamente, come il metallo sui denti, come il seme dell'eiaculazione funebre, come il piombo che schizza sul viso. Sadomasochismo, ebbrezza mortuaria, sentimenti contrastanti, necrofilia, il brano che termina improvvisamente al pari di un proiettile veicolo di una risurrezione parossistica, grottesca, digrignante: non c'è molto da aggiungere a una traccia che fa da apripista al prosieguo della carriera della one man band di Grabels.

Outro

Di colore (nero ovviamente) l'"Outro" che conclude l'album, con Meyhna'ch che bofonchia quae l'orco cattivo delle favole su una base dark ambient, genere sperimentato senza troppa gloria nel suo estemporaneo side project Satanicum Tenebrae. Si avvertono gli echi degli Abruptum, ma nel complesso questi quarantaquattro secondi di lamenti masticati sono utili come il parmigiano sui polipetti affogati. A meno che affogare non tocchi ai Mütiilation stessi.

Conclusioni

Per l'ultima occasione sotto la bandiera degli amici della Drakkar Productions, i Mütiilation, con "Black Millenium (Grimly Reborn)", non soltanto divengono leggermente più accessibili dal punto di vista musicale, ma si aprono anche a una maggiore schiera di potenziali ascoltatori: sempre a tiratura limitata, il disco viene infatti stampato in tremila copie rispetto alle mille dei due full-length precedenti. E dunque, dopo una trapasso annunciato e poi smentito nel booklet dell'album presente, in cui quella stessa morte viene definita uno stato dormiente necessario a ri-alimentare le vecchie batterie dell'odio, Meyhna'ch resuscita, mostrandosi alla platea in tutta la propria carica profetica, supportato da un sapido artwork a metà tra il grottesco e il sinistro (e il politically uncorrect). La one man band di Grabels aveva già stupito molto con l'EP "New False Prophet" e l'eccellente demo-compilation "Destroy Your Life For Satan" (2001), nel libretto della quale campeggiava l'orgogliosa frase "I'm not still buried / Fuck You!" ("Non sono ancora sepolto / Fanculo!"): curiosi di sapere se il nuovo sentiero intrapreso da Roussel valesse la pena essere da lui percorso sino in fondo, i (pochi) fan attendevano il terzo lavoro sulla lunga distanza del progetto francese con malcelata trepidazione. La risposta, affidata a un opus dalla produzione decorosa e ricco di momenti "orecchiabili", non tarda ad arrivare: Willy centra l'obiettivo, realizzando l'ennesimo LP ambiguo, dai significati molteplici, un urlo comprensibile (e ragionato) contro un black metal ormai degenere, contro un'umanità avvilente, contro un Dio illusionista bislacco, contro un Cristianesimo facchino di abissale ignoranza. I riff di una chitarra non sovraincisa, marchio di fabbrica dell'occitanico, si susseguono viscosi e inquietanti nella quaterna formata da "The Eggs Of Melancholy", "New False Prophet", "The Hanged Priest" e "Curse My Funeral": le atmosfere gotiche, il taglio horror dei testi, le melodie ammalianti e venefiche, concorrono a plasmare un poker d'assi da brividi sulla schiena. Una pausa qualitativa in "Inferi Ira Ductus", brano ove dove l'utilizzo del latino lascia abbastanza interdetti non tanto nella resa, quanto nella grammatica vacillante, e poi via a una seconda parte del lotto decisamente funerea e abietta. Dalla breve "A Dream" alla visione apocalittica di "Black Millenium", dal grido misantropico di "No Mercy For Humans" alla chiusura in grande stile di  "Black As Lead As Death", i colori dell'esistenza immaginata e vissuta da Meyhna'ch si tingono di nero profondo, troncando qualsiasi speranza di salvezza. O meglio, il transalpino, tornato dal regno oltretombale, si rivela un mezzo soteriologico che, al fine di adempiere allo scopo prefissosi, deve condurre ineluttabilmente alla rovina il mondo intero. Egli interpreta il ruolo dell'angelo sterminatore, di colui che si fa ambasciatore di una Verità scomoda, del menestrello lugubre che tra una risata beffarda e lo sguardo vitreo, scaglia parole ammorbanti e pizzica note di apparente amichevolezza. Un luna park dell'orrore, congegnato attraverso un songwriting aracnoideo e spettrale, che paga pegno a qualche ingenuità non perdendo comunque un'oncia della sua iconoclastia abituale; i platter successivi, a partire da "Majestas Leprosus" (2003), condivideranno quasi la medesima linea stilistica di "Black Millenium (Grimly Reborn"), con una spinta maggiore sul versante satanico, scelta obbligata - e forse anche troppo tradizionale - quando l'opera dell'Onnipotente appare rigettata così intensamente. In poche parole, qualora bramiate immergervi in una trance maligna e infarcita di negativismo, ancora una volta i Mütiilation potranno soddisfare tali desideri, altrimenti la fuga a gambe levate rappresenterà l'unica via di scampo da una peste maligna e travolgente.

1) The Eggs Of Melancholy
2) New False Prophet
3) The Hanged Priest
4) Inferi Ira Ductus
5) Curse My Funeral
6) A Dream
7) Black Millenium
8) No Mercy For Humans
9) Black As Lead And Death
10) Outro
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